Un pianeta da difendere
di Mario Tozzi
primo ricercatore Cnr - Igag
e conduttore televisivo
Lavoro o salute?
Quello
che sta accadendo all’Ilva di Taranto lascia stupefatti anche in un
paese dalle contraddizioni palmari come il nostro. La questione, ridotta
ai termini più semplici, è in realtà molto chiara: in cambio del lavoro
è giusto perdere la salute, il benessere, un ambiente integro e sano?
Anche la risposta dovrebbe essere molto chiara, e, in un paese normale,
sarebbe certamente no. Invece da noi la semplicità disarmante della
questione viene incrostata da chiacchiere prive di senso e da
considerazioni che esulano dai contenuti. A partire dagli anni Sessanta
l’Italia costruiva il suo boom economico sulle autovetture e su uno
sviluppo industriale che piazzava nei luoghi più incantevoli del nostro
mare bombe ecologiche di una bruttezza disarmante. Porto Marghera vicino
a quell’incanto di marmi che è Venezia, le acciaierie a Taranto e
Piombino, le raffinerie a Ancona, Brindisi, Ragusa, gli impianti di
Porto Torres, Termini Imerese, Manfredonia, Bagnoli...
Continua...
Erano tempi in cui non si prevedeva il carico inquinante che questi
impianti avrebbero portato, anche se, a partire dalla fine degli anni
Settanta, qualche sospetto avrebbe dovuto farsi strada anche nelle menti
ottenebrate dal profitto. La tragedia di Seveso segnava comunque uno
spartiacque che rimase, però, ignorato. Anzi nacque in quei momenti un
modo di porre la questione che ritroviamo oggi a proposito dell’Ilva di
Taranto: se vuoi mantenere il posto di lavoro devi rinunciare alla
salute e all’integrità ambientale. Ha pesato anche l’atteggiamento,
bisogna pur dirlo, dei rappresentanti dei lavoratori che, invece di
incrociare le braccia fino a che le condizioni di sicurezza e di salute
non fossero state rispettate, hanno visto come problema i cittadini che
cominciavano a protestare.
Invece di prendersela con quello che un tempo si chiamava il padrone,
ci si è divisi dandogli la possibilità di non fare nulla per adeguare
gli impianti e di appoggiarsi, anzi, alla protesta di chi aveva paura di
perdere il lavoro.
Gli impianti che inquinano vanno chiusi e basta. Per legge chi inquina
deve pagare: non deve esser caricato sulle spalle della comunità quello
che è stato il prezzo che l’industria ha fatto pagare all’ambiente e
alla salute. Sembra molto semplice, ma, invece, vediamo ancora le stesse
scene tra chi si ammala di cancro fuori dalle fabbriche e chi si ammala
dello stesso cancro dentro gli impianti. Quando sarebbe il caso di
portare sul banco degli imputati chi per decenni ha lucrato profitti
sulla nostra pelle e sul nostro ambiente.
Taranto era una città bellissima, incastonata in un ambiente
straordinario completamente distrutto da uno sviluppo (?) che non si è
saputo adeguare alle norme più elementari di salute e ambiente.
Prendersela con i giudici che hanno messo finalmente in luce questa
contraddizione non serve a nulla. In tutto il mondo dove non riesci a
garantire salute e qualità dell’ambiente o chiudi o ti riconverti. E la
spesa è a carico di chi su quella contraddizione ha ricavato profitti
immensi. Sarebbe bene iniziare a farlo anche nel nostro sfortunato
paese. (e-coop)
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