domenica 27 dicembre 2015

Svendere please!

Ilva, preavviso infrazione Ue: «No aiuti di Stato, vendete»

Era prevista da settimane ed è arrivata. L’Unione Europea si appresta ad aprire una procedura di infrazione verso l’Italia a proposito dell’Ilva. A settembre 2013 toccò alle violazioni ambientali, stavolta, invece, finiscono sotto la lente i provvedimenti finanziari che, su proposta del Governo, il Parlamento ha approvato all’interno di varie leggi e che Bruxelles considera aiuti di Stato e quindi incompatibili con le regole dell’Unione. «Mi riferisco all’indagine preliminare in corso riguardante gli aiuti garantiti all’Ilva» scrive in una lettera di una cartella e mezza il commissario europeo Margrethe Vestager al sottosegretario agli Affari europei, Sandro Gozi, annunciando le intenzioni di Bruxelles. «Considerando le lamentele ricevute, come anticipato durante i nostri incontri del 10 settembre 2015, la Commissione dovrà presto decidere formali provvedimenti sulle misure finanziarie già garantite» specifica Vestager, responsabile della Concorrenza.«La lettera? Non costituisce affatto una sorpresa - commentano Piero Gnudi e Corrado Carrubba, commissari straordinari dell’Ilva -. Sapevamo che l’Unione Europea si stava muovendo su questa strada». «Il Governo ha già tenuto delle riunioni sul tema e altre ne convocherà - puntualizza Gnudi -. Alle obiezioni di Bruxelles sarà data risposta».
A quanto pare, se la Commissione ritiene che siano tutti aiuti di Stato i 300 milioni di prestito inseriti nell’ultimo decreto legge, gli 800 di prestito garantito dallo Stato inseriti nella legge di Stabilità 2016 e gli altri 400 di prestito garantito della legge 20 di marzo 2015, il Governo italiano intende far valere il principio che in materia di risanamento ambientale l’azione pubblica non è preclusa dalle norme europee. In sostanza, il messaggio che Roma lancia a Bruxelles è che il Governo è intervenuto intensamente per l’Ilva perchè c’è una questione ambientale grave e complessa. E che senza bonifica, l’azienda non potrà mai tornare a produrre a pieno regime, nè essere competitiva. Lo ha detto mesi fa il ministro dell’Ambiente, Gian Luca Galletti, lo ha sottolineato giorni addietro a Bari il capo di gabinetto del Mef, Roberto Garofoli («l’ambientalizzazione e il risanamento ambientale costituiscono una sfera nella quale la disciplina dell’Unione Europea prevede che il pubblico possa intervenire»), e lo conferma addesso il sottosegretario Gozi.
In verità non è che Bruxelles non sappia che per l’Ilva il problema ambientale è prioritario. Scrive infatti Vestager a Gozi: «Sono consapevole dell’urgente bisogno di disinquinamento sia all’interno dell’Ilva che nell’area adiacente di Taranto. Ecco perchè sono pienamente a favore del supporto pubblico per il disinquinamento del sito e dell’area circostante». Così come «prendo nota dell’impegno dell’Italia a fare tutti i passi necessari per recuperare alla fine il supporto pubblico da coloro che sono i responsabili dell’inquinamento». Tuttavia, dice ancora il commissario, il salvataggio e gli aiuti per le fabbriche in pericolo dell’industria dell’acciaio «rimangono proibiti sotto le regole Ue» e «queste regole vengono applicate constantemente nei confronti di un numero di Stati membri da quando sono state introdotte». Esiste una «capacità produttiva strutturale», rammenta il commissario al Governo, e «le compagnie dell’acciaio non dovrebbero essere tenute nel mercato artificialmente a spese del contribuente se non sono economicamente autosufficienti». Questo non va bene, dice Vestager. Tant’è che il Consiglio dell’Unione del 9 novembre ha ribadito che non devono esserci «deroghe» nella disciplina degli aiuti di Stato. Invece «le parti stanno sostenendo che gli aiuti pubblici in corso stanno consentendo all’Ilva di continuare la sua produzione ed aggiornare i suoi impianti con i soldi del contribuente, così falsando la competizione». E’ vero che l’acciaieria va risanata, ma la strada giusta è coinvolgere i privati, suggerisce Bruxelles, che invita il Governo ad andare avanti con la vendita così come prevede l’ultimo decreto legge (cessione entro giugno 2016). Scrive infatti Vestager: «La migliore garanzia per lo sviluppo a lungo termine della produzione dell’acciaio e i lavori collegati nella regione di Taranto, è, non appena possibile, organizzare la vendita dei beni dell’Ilva agli operatori solvibili che possano aggiornarli per assicurare la compatibilità ambientale» e gestirli ad un uso produttivo. Segue quindi l’incoraggiamento della Ue al Governo: «L’annuncio, la scorsa settimana, dell’intenzione di organizzare il processo di vendita prima rispetto a quanto inizialmente pianificato, è un passo gradito». Basterà questo a disinnescare il conflitto tra Roma e Bruxelles?  (GdM)

Botti di Natale

Ilva: Emiliano, spero che la compri l'Eni

"L'Eni potrebbe essere l'acquirente ideale dell'Ilva di Taranto", perché "si passerebbe dal carbone al gas per l'alimentazione della fabbrica. Così facendo le emissioni di CO2 si abbasserebbero del 60 per cento e quelle della diossina sarebbero abbattute addirittura del 100 per cento". Lo dice a Repubblica il governatore della Puglia, Michele Emiliano.
    "La verità è che lavoro per decarbonizzare la Puglia, dove sbarcherà dall'Azerbaigian il metanodotto di Tap. Ne ho parlato a Parigi, alla conferenza sul clima", spiega. "Occorre cambiare registro. E puntare sul gas per evitare che Ilva chiuda rovinosamente. I nuovi impianti avrebbero un costo accettabile e nel momento in cui entreranno in funzione nel giro di dieci anni, i vecchi altiforni diventerebbero un brutto ricordo. Per l'Eni sarebbe un affare, secondo me". "Il premier Renzi insieme col sottosegretario De Vincenti e il ministro Guidi, devono avere fiducia nel sottoscritto. A mio parere, ci stanno pensando. La mia non è una sfida, ma una proposta di collaborazione". "Non ho avuto contatti con la multinazionale, comunque ho l'impressione che sia favorevole a questo progetto", precisa.
    L'alternativa è che "qualche privato metterà le mani sull'Ilva solo per smontarla e ricavarne vantaggi economici.
    Perché mai nessuno comprerebbe un'azienda che cade a pezzi e che ha bisogno del carbone per funzionare". (ANSA).

Vendere l'Ilva all'Eni? "E' follia pura, vuol dire confondere le pere con le mele. L'idea che l'Eni possa mettersi a fare acciaio è irrealizzabile, con buona pace di Emiliano". Così Davide Crippa, capogruppo M5S alla Camera, commenta all'Adnkronos l'idea del governatore pugliese Michele Emiliano, che oggi, dalle pagine di Repubblica, ha auspicato che sia l'Eni ad acquistare l'Ilva.
"Il problema - secondo Crippa - è che l'Eni figura tra le maggiori creditrici dell'Ilva. C'era un problema di forniture di gas, dall'Ilva non pagavano le fatture. Ma da qui a pensare di poter vendere all'Eni ce ne vuole...". Per i 5 Stelle, dall'empasse dell'Ilva si esce "scordandosi di fare concorrenza sulla produzione primaria, dobbiamo puntare piuttosto su ricerca e innovazione". Bisogna "convertire la produzione in tutt'altro, dimenticare questa produzione obsoleta - suggerisce Crippa - e puntare su un piano rilancio che parta dalla valorizzazione turistica - partendo dalle bonifiche dell'area - e passando poi alle energie rinnovabili".
"Noi, ad esempio - ricorda il grillino - avevamo proposto di locare intere aree a canone zero per le imprese che volevano produrre rinnovabili, a patto che poi rinvestissero parte degli utili sulla bonifica della zona".(ADNKRONOS)

giovedì 24 dicembre 2015

Bancacciacchi

Banche e acciaio, è guerra tra l'Italia e l'Ue: bocciati gli aiuti all'Ilva

Si tratta dunque di uno scontro tra l'Italia e l'Unione europea senza precedenti. E stavolta è Roma all'offensiva. Mai si erano concentrati tanti elementi di conflittualità in uno spazio di tempo così breve. La tensione registrata la scorsa settimana al Consiglio europeo tra il presidente del consiglio e la Cancelliera tedesca Merkel assume adesso tutta un'altra luce. Tutto ha ormai preso la forma e la sostanza di un braccio di ferro che mira a cambiare non tanto - o almeno non ora - gli equilibri all'interno dell'Unione ma a modificare il perimetro dei tre negoziati cui i due contendenti saranno chiamati a discutere nel 2016.
Non è un caso che l'Italia, dinanzi alle lettere spedite in questi giorni da Bruxelles, abbia iniziato a valutare tutte le contromisure. Compresa quella più radicale: il ricorso alla Corte di Giustizia.
Sul caso Ilva, infatti, il governo insiste nel richiamare l'attenzione sulla circostanza che non si tratta di un semplice "salvataggio" ma anche di un'operazione finalizzata al risanamento ambientale. E secondo l'esecutivo italiano, proprio la disciplina europea prevede l'intervento pubblico in questi casi e in modo particolare in riferimento all'intervento siderurgico. La procedura di infrazione, nella fattispecie, non è stata ancora completata. Ma se l'esito dovesse essere negativo, Palazzo Chigi è pronto ad attivare appunto il ricorso alla corte di Giustizia.
Una soluzione che in questi giorni è in corso di valutazione anche per la questione Tercas. Anzi, sulla vicenda della banca teramana la decisione verrà presa in tempi strettissimi. E tutto sta portando verso la linea dello scontro totale: ricorso alla Corte di Lussemburgo. Non solo. Per rendere l'impatto ancora più avvelenato, potrebbe essere accompagnato dalla richiesta di risarcimento danni alla Commissione. Una procedura che, se avesse un esito positivo, porterebbe un cifra considerevole nelle casse dello Stato.
Lo stesso può valere per il cosiddetto decreto salva-banche che - fanno notare i ministri competenti - è stato modificato con un emendamento alla legge di Stabilità nella parte concernente il fondo interbancario. Quel fondo non è più obbligatorio bensì volontario. E chi ha usufruito di quegli stanziamenti - come la Tercas - li restituirà per attingere dal nuovo fondo "volontario". Un percorso accettato alla fine dalle banche con la garanzia che sarebbe stato applicato il medesimo regime fiscale: quello che permette la deducibilità.
Del resto l'attenzione dell'esecutivo sul sistema bancario sta crescendo sempre più. Il timore che le recenti vicende possano compromettere il flusso dei finanziamenti alle attività imprenditoriali e ai privati sta diventando una sorta di incubo per Palazzo Chigi. Soprattutto la paura che il complesso degli istituti di credito nostrani non vengano più percepiti come affidabili. Se questi due fantasmi si trasformassero in realtà, il primo effetto sarebbe una vera e propria mazzata sulle previsioni del governo relativa alla crescita nel prossimo anno. Tant'è che una delle parole d'ordine pronunciate in questi giorni da Renzi tocca le banche e la necessità di rafforzarle attraverso il loro accorpamento.
Ma dietro queste due partite, ossia quella degli istituti di credito e dell'Ilva, se ne gioca una terza. Che Palazzo Chigi considera la più importante. Il via libera al deficit al 2,4 per cento nel 2016. Questa soglia, infatti, non è stata preventivamente concordata con Bruxelles. Il negoziato di settembre- ottobre aveva prodotto per l'Italia l'ampliamento dei margini di spesa fino al 2,2 per cento. Ora, però, c'è questo 0,2 per cento in più che espone l'esecutivo italiano al rischio di un'altra procedura d'infrazione. Renzi è sicuro di poter trattare, come lo scorso anno, una via d'uscita.
Ma le tre battaglie non saranno combattute separatamente. Nel governo italiano, sono certi che anche le due ultime missive spedite dalla Commissione sulle banche e sull'Ilva rientrino nella tattica di Bruxelles di aprire una trattativa sui tre fronti per poi discutere su quale chiudere un occhio.
Il premier è invece convinto di poter vincere contemporaneamente sui tre tavoli. Con una premessa che vale per tutte le tappe da affrontare da qui alla prossima primavera: il vero interlocutore è la Germania di Angela Merkel. Solo se la Cancelliera approverà la linea della flessibilità per l'Italia, allora Bruxelles si adeguerà. Era questo il fulcro della lite che ha segnato l'ultima riunione del consiglio europeo tra "Matteo e Angela". Questo sarà il centro del loro prossimo incontro. (Rep)

lunedì 21 dicembre 2015

I puntini sulle "i" al tempo del telepopulismo PD

"Ambientalismo estremo aiuta i Riva"

Giampiero Marcarelli, dirigente del PD di Taranto, ha dichiarato che "l'ambientalismo estremo aiuta i Riva", facendo esplicito riferimento a me.
Infatti secondo Mancarelli "tutto rischia di naufragare per le affermazioni su un non miglioramento della qualità dell'aria a Taranto". E prosegue: "Si sostiene che nonostante la riduzione della produzione di ILVA, dei cumuli minerari e lo stop prolungato delle cokerie l'aria non migliora ed equivale a sostenere che non c'è nesso di causalità tra le malattie e lo stabilimento. Chi afferma questo rischia di diventare l'arma più potente in mano agli avvocati dei Riva che sosterranno appunto la non connessione tra i livelli di inquinamento e la produzione della fabbrica. Per questo dico a Marescotti di riflettere. Il benzo(a)pirene si è ridotto drasticamente ed è quello il marcatore che individua la pericolosità dell'aria a Taranto. Fermati Alessandro, prima che sia tropopo tardi e prima che i Riva ti citino a loro vantaggio".
Vorrei rispondere a Gianpiero Mancarelli facendo un esempio: se un fumatore passa da due pacchetti di sigarette ad un pacchetto di sigarette al giorno, non per questo è fuori pericolo.
Se va dal medico non può ottenere il consenso di fumare, come se quel "miglioramento" fosse sinonimo di azzeramento del rischio.
La situazione di Taranto registra un miglioramento che tuttavia non garantisce i nostri polmoni.
Per fortuna si è dimezzata la produzione, ma non per questo con una dose dimezzata di fumi possiamo dirci fuori pericolo. Un buon dottore non dirà mai al fumatore che può continuare a fumare dimezzando le sigarette.
La riduzione di alcuni inquinanti è sicuramente un "miglioramento", ma non per questo possiamo dire che a Taranto è venuto meno l'eccesso di mortalità che è stato accertato fino a ora da tutti gli studi epidemiologici. Quando i periti della magistratura hanno calcolato un eccesso di mortalità di 386 decessi correlabili all'inquinamento industriale probabilmente la situazione era "migliorata" rispetto al decennio precedente, ma non per questo la magistratura ha dichiarato accettabile quell'eccesso di mortalità.
Vorrei dire a Mancarelli che l'unico "miglioramento" accettabile a Taranto non è quello del "meno peggio" ma è quello che riporterà Taranto a livelli di ricoveri e decessi allineati con la media regionale. Ed è per questo che da tempo chiediamo un registro della mortalità aggiornato in tempo reale e georeferenziato con cui controllare se si muore di più o di meno rispetto alla media regionale. Quel registro si può realizzare a costo zero. PeaceLink ha già fatto un incontro con i vertici della ASL di Taranto, è tecnicamente fattibile e manca solo il consenso della politica.
Quanto alla situazione attuale, che ha preoccupato per l'innanzamento dei livelli di inquinamento in alcune giornate, vorrei dire a Mancarelli che i legali dei Riva non potranno usare le dichiarazioni di PeaceLink
a loro vantaggio.

Abbiamo infatti bene chiarito che i picchi di inquinamento sono relativi a situazioni meteo avverse che favoriscono l'incremento delle concentrazioni del PM10, ad esempio. Questo è un fatto che accade in questi giorni in tutt'Italia e che sta accadendo anche a Taranto, con l'aggravante che il centro urbano è sottoposto a costante vento da NordOvest, ossia dall'area dell'ILVA. Che i livelli di inquinamento aumentino quando il vento viene dall'ILVA non è certo un argomento che i legali dei Riva potranno usare a loro vantaggio.
Come tutti gli esperti di inquinamento sanno, le concentrazioni di sostanze tossiche che respiriamo non derivano solo dalle emissioni, ma anche dalle condizioni meteo che fanno da tramite fra le emissioni e il nostro naso. A Taranto in particolare ci sono i venti dall'area industriale che influenzano le concentrazioni di sostanze tossiche. Ma vi è anche il PBL (Planetary Boundary Layer), ossia lo strato limite planetario che innalza o abbassa lo strato di aria all'interno del quale i fumi si diluiscono o meno. I cittadini che vedono la striscia orizzontale scura al mattino non sono vittime di allucinazioni ed è bene che il PD ogni tanto guardi il cielo fotografato dalle ecosentinelle e non faccia come i cardinali che per non dispiacere alla dottrina non volevano vedere il cielo con il telescopio di Galileo. Il fatto che ILVA, nonostante la produzione dimezzata, continui a costituire un problema dimostra che non è stata resa ecocompatibile, ammesso e non concesso che ciò sia possibile. ILVA oggi non è ecocompatibile in quanto la copertura dei parchi minerali - nonostante le ripeture assicurazioni di Mancarelli del gennaio 2014 - non è mai avvenuta, benché per legge dovesse essere completata entro il 27 ottobre 2015, sulla base della prima AIA dell'ottobre 2012 e del primo decreto salva-Ilva del dicembre 2012. Sono stati dati ben tre anni di tempo e le coperture non ci sono. Sui balconi la gente trova ancora polvere che si attacca alle calamite.
Mancarelli dichiarò il 25 gennaio 2014 che i parchi sarebbero stati realizzati, e ne anticipò anche le caratteristiche: "La soluzione costruttiva - dichiarò - prevede una struttura in acciaio ad arco spaziale a sezione triangolare con copertura mediante lastre a raggio costante. Il progetto è stato presentato a fine dicembre al ministero dell'Ambiente per la Via e le relative autorizzazioni. L'Ordine è stato assegnato a Cimolai per un importo di 99 milioni di euro".
Mancarelli, chi l'ha visto quel parco minerali che avevi assicurato con tanta dovizia di particolari nel gennaio 2014?
Se manca la copertura dei parchi minerali, non saranno certo le dichiarazioni di PeaceLink a fornire ai Riva un appiglio. L'appiglio lo fornisce semmai il governo alla magistratura stessa, in quanto i commissari del governo - benché definiti "immuni penalmente" - risultano comunque inadempienti rispetto all'opera più importante che avrebbe dovuto garantire il contenimento delle polveri sottili.
Di fronte a questa mancanza, è sicuramente significativo che la ASL si sia cautelata in quanto le polveri sottili possono creare effetti sanitari avversi a breve termine, come ricoveri e decessi per infarti e ictus.
La ASL è intervenuta - su sollecitazione di PeaceLink - dichiarando che i bambini, gli anziani e i cardiopatici vadano tutelati nei giorni in cui si superano i 25 microgrammi a metro cubo di PM10 (polveri sottili). Visto che non coprono i parchi minerali, la ASL ha deciso di adottare il principio di massima precauzione per la criticità delle polveri sottili, non escludendo un incremento del rischio sanitario in alcune giornate e in alcuni orari della giornata.
 Alessandro Marescotti Presidente di PeaceLink

domenica 20 dicembre 2015

Mai sola..

L’Eni si riaccende…

Foto e post su Facebook di Alessio Leone. Noi ci siamo permessi di prelevare la segnalazione dal social e ve la proponiamo, così per ricordare a tutti, semmai ce ne fosse bisogno, che l’impatto inquinante sulla città da parte delle grandi industrie c’è. A prescindere dai dati e dalle polemiche.
“ENI di Taranto, foto delle ore 18.40 del 20.12.2015. Fiaccole d’emergenza accese per oltre tre quarti d’ora all’ENI di Taranto. La cugina silenziosa dell’ILVA, parente subdola del rottame assassino che produce acciaio, morte, malattie, povertà e disperazione, anch’essa protetta a suon di decreti e provvedimenti legislativi ad hoc, non perde mai occasione di mostrarci i propri orrori. La S.S. 106 è pervasa, intrisa di aria irrespirabile, frutto dell’immissione in atmosfera di derivati di raffinazione bruciati in emergenza, probabilmente per la solita, annosa motivazione, ossia in classico, generico black-out, da dare in pasto alle autorità che, puntualmente, devono prenderlo per buono. Ammesso che sua Maestà ENI ritenga opportuno dare giustificazioni di un evento anomalo ad autorità locali i cui poteri sono stati schiacciati dai lasciapassare vari che lo Stato ha gentilmente donato, avocando a se ogni determinazione di politica energetica nazionale.
ENI, come ILVA è “strategica”; ciò basta a giustificare tutto e ad accogliere con o senza sdegno, gioia, convinzione, informazione anche il prossimo scempio che stanno per ultimare nella nostra terra, e mi riferisco, ovviamente, a TEMPA ROSSA!!!” (CdT)

Le allucinazioni di Mucchetti, il grande supporter

Per l’Ilva è l’ora del coraggio

Dopo tre anni di illusioni e delusioni, per l’Ilva scocca l’ora del coraggio. Il coraggio di trasformare la grande malata della siderurgia europea nella prima acciaieria low carbon del vecchio continente, spalla a spalla con la tedesca Saltzgitter. Il COP 21 apre spazi fino a ieri insperati alle politiche industriali della Commissione Ue e dei governi nazionali. La stessa disciplina degli aiuti di Stato andrà reinterpretata per perseguire la decarbonizzazione dell’economia. Approfittiamone. Attraverso il rilancio in forme nuove dell’Ilva, l’Italia può uscire dall’angolo, nel quale la vorrebbero cacciare i concorrenti europei, e assumere un ruolo di guida nella Ue.
Con il decreto da approvare a gennaio, il governo darà tempo fino al 30 giugno 2016 all’amministrazione straordinaria per espletare le procedure di vendita dell’Ilva e metterà a disposizione le risorse finanziarie per reggere nei prossimi mesi. L'amministrazione straordinaria ha già liberato l'azienda dalle vecchie legacy. Ora il governo riallineerà gli investimenti ambientali al piano industriale capovolgendo la logica precedente, che asserviva il piano industriale al piano ambientale, peraltro troppo costoso se applicato alle vecchie tecnologie. E tuttavia mettere a gara l'Ilva sic et simpliciter non basta. Cedere alla tentazione, via il dente, via il dolore, se mai procurerà un padrone agli stabilimenti, difficilmente potrà garantire ai creditori un recupero decente, ancorché parziale, delle proprie spettanze né potrà assicurare ai dipendenti, alle imprese dell'indotto e all'industria meccanica il rilancio del maggior gruppo siderurgico nazionale.
La siderurgia mondiale fronteggia due grandi emergenze: l'eccesso di capacità produttiva e l'impatto ambientale di altoforni e cockerie. Sperare che un concorrente come Arcelor Mittal rilevi Taranto per rilanciarla rischia di essere illusorio. Più verosimilmente chiuderebbe l'area a caldo, sfrutterebbe i laminatoi fino a quando fosse conveniente e conserverebbe il sito di Genova, vicino alla sua acciaieria di Fos, Francia del Sud, pronta a girare l'impianto di Novi Ligure a chi l'aiutasse nell'impresa. E' questo che vogliamo? Si è parlato anche di alcuni fondi di private equity. Ma la natura di questi investitori consiglia di farvi ricorso solo in mancanza di altre soluzioni. La verità è che non ha molto senso parlare di azionisti a prescindere dai piani industriali. L'Ilva non è un gioiello da battere all'asta, ma rappresenta un'opportunità solo se chi se la intesta sa rispondere alle due grandi emergenze della siderurgia.
Fino a oggi l'Ilva ha seguito un piano industriale che, attuando le prescrizioni dell'Aia (Autorizzazione integrata ambientale), regge solo se marciano a pieno regime i 4 altoforni e le 10 cockerie. Ma un tal piano ha senso se la domanda di coils fosse stabile e abbondante. Così non sarà per un periodo imprecisabile. E dunque la rigidità del processo produttivo tradizionale finisce con l'imporre costi fissi insostenibili. L'11 agosto 2015, in un intervento sul “Sole 24 Ore”, avevo dato l'allarme. Il bilancio 2015 dell'Ilva purtroppo lo conferma. Ora il nuovo decreto del governo ci mette una pezza provvisoria, ma non si possono buttare denari all'infinito nella fornace di Taranto. Bisogna voltare pagina: acquisire flessibilità produttiva per navigare nella congiuntura, non sprecare denari in investimenti inutili, migliorare l'impatto ambientale. Un'equazione a tripla incognita che si può risolvere solo con un nuovo piano industriale, quello al quale si è lavorato negli ultimi tre mesi, sotto l'egida dei commissari. Un progetto che recupera, aggiornandole, le intuizioni del precedente commissario, Enrico Bondi.
Taranto dovrebbe diventare un'acciaieria ibrida con i tre altoforni piccoli in marcia per tutta la durata dei cospicui investimenti già effettuati. Invece, il gigantesco altoforno 5, fermo perché da rifare avendo esaurito i vecchi investimenti, va gradualmente sostituito con due forni elettrici ai quali agganciare due colate continue ad alta velocità, così da rendere più snello e finalmente flessibile il processo produttivo. L'attività fusoria verrebbe alimentata in buona misura, dal 20 al 40%, da minerale di ferro preridotto con il gas. Le cockerie verrebbero quindi dimezzate. Le emissioni nocive idem. Le prescrizioni dell'Aia andrebbero pertanto adattate alla nuova impostazione. Che comporterebbe a regime il risparmio di almeno 400 milioni di investimenti (2,5 a 2,1 miliardi).
Un'innovazione così radicale regge se la fornitura del gas è certa nel tempo e non esosa nel prezzo. Prima della rivoluzione dello shale gas, che ha ribassato i prezzi spot, non sarebbe stata nemmeno ipotizzabile. Ma in questa fase nuova è ragionevole pensare che l'Eni possa convergere su un tale progetto cogliendo l'opportunità di avere un grande cliente che alleggerisca il peso dei contratti take or pay.
Questo piano potrà riportare la pace tra l'azienda e la città, anche se verrà avversato da chi vuole la chiusura dell'acciaieria perché punta sul business, assistito e arretrato, della mera bonifica. Ma per realizzarlo servono capitali adeguati. La Bei può offrire mutui ventennali importanti, diciamo 2 miliardi, a condizioni poco onerose. Ma ci vuole anche capitale di rischio: almeno 500 milioni per partire, 8-900 per sostenere l'intero progetto è avere il circolante dalle banche. Capitale di rischio apportato da “mani adatte”. Personalmente, non avrei nulla in contrario se lo Stato scendesse in campo per rivendere poi. Sarebbe la soluzione più semplice, sotto le bandiere del COP 21. Ma al momento si lavora attorno a una soluzione a netta maggioranza privata, più complicata e ambiziosa. La Cassa depositi e prestiti può mettere nella nuova società che affitterà l'azienda 150-200 milioni. Le banche creditrici, Intesa San Paolo e Unicredit, già fortemente esposte (come la Cassa del resto), potrebbero portarne altri 50-70. Sarebbe assai significativo l'ingresso, anche su base ridotta, dei grandi fornitori delle tecnologie, anche a garanzia del loro impegno. Ma la chiave di volta sarebbe l'ingresso della siderurgia privata del Nord sulla base di una precisa convenienza industriale, non certo di appelli nazionalistici. (M. Mucchetti - Sole24h)

venerdì 18 dicembre 2015

Visite di cortesia

Ilva, blitz della Finanza

Guardia di Finanza nello stabilimento Ilva di Taranto, stamane. Secondo fonti interne all’azienda, da alcune ore i militari stanno eseguendo verifiche e controlli in Acciaieria.
Pare che l’intervento sia scaturito da un esposto della Usb – unione sindacale di base – firmato dal coordinatore Francesco Rizzo che denuncerebbe la presenza di  una discarica abusiva di oli , grassi e materiali di risulta nei pressi dell’impianto Colata Continua 5 dell’acciaieria 1. Questa la prima ipotesi. Sapremo di più nella prossime ore.
Aggiornamento ore 18: tutta l’area è ora sottoposta a sequestro dopo il riscontro effettivo del materiale abbandonato, nelle vasche in disuso e in contenitori a cielo aperto. Sul posto anche i responsabili ARPA che hanno effettuato i rilevamenti del caso; accertamenti ancora in corso. (laringhiera)
 

giovedì 17 dicembre 2015

Proviamo a curare l'AIDS con l'aspirina?

Inquinamento a Taranto si sperimentano limiti nella circolazione

Il sindaco di Taranto, Ippazio Stefano, ha dato mandato al comando di polizia municipale di proporre, per un periodo sperimentale, percorsi viari che possano determinare un minor flusso di mezzi pesanti e autoveicoli nelle strade del quartiere Tamburi, in particolare in via Orsini. Le centraline qui hanno rilevato, nei giorni di vento proveniente da nord-ovest, una maggiore concentrazione di ossidi di azoto e di Ipa (Idrocarburi policiclici aromatici) rispetto ad altre zone dello stesso quartiere e del resto della città. Le emissioni di Ipa sono in larga parte da attribuire, secondo l'Arpa (Agenzia regionale di protezione ambientale), all’attività dello stabilimento Ilva.
L’associazione ambientalista Peacelink da giorni aveva sollevato il problema degli alti valori di Ipa nei 'wind days', chiedendo al sindaco di emettere una ordinanza di chiusura delle cokerie. In seguito l’Asl ha inviato al primo cittadino una relazione in cui rilevava che la situazione ambientale «è sotto controllo», ma forniva anche suggerimenti ad alcune categorie considerate a rischio (come cardiopatici e asmatici) da seguire nei giorni di vento che spira dall’area industriale. Quanto alla circolazione dei bus cittadini, Stefano fa presente di aver concordato «con l’Amat di impiegare a breve (entro 30 giorni) per le linee urbane che riguardano il quartiere Tamburi, mezzi di categoria Euro 6 o a metano».
Stefano fa sapere che lo stesso dg di Arpa Puglia, Giorgio Assennato, con una propria nota ha proposto l’11 dicembre scorso di limitare sperimentalmente la circolazione di mezzi pesanti al quartiere Tamburi nella fascia oraria 12-18, per ridurre gli inquinanti dovuti al traffico veicolare. Il sindaco aggiunge che, quando saranno verificate dall’Arpa, queste iniziative potranno anche diventare definitive. (GDM)

E quanto ci voleva a puntare 'sto mirino!

Ilva: Italia nel mirino di Bruxelles per aiuti di Stato

La Commissione Ue si appresta, salvo colpi di scena, ad aprire un'indagine formale nei confronti dell'Italia per verificare se gli interventi previsti dalla legge 'Salva-Ilva' sono in contrasto che le norme Ue che vietano gli aiuti di Stato. Inoltre, apprende l'Ansa da fonti Ue, Bruxelles nutre dubbi anche sugli 800 milioni che verrebbero stanziati con la Stabilità 2016.
Nel mirino dei servizi di Bruxelles che vigilano sulla concorrenza ci sarebbero tra l'altro i fondi già erogati in favore dell'Ilva a vario titolo - nella proposta di decisione di cui l'Ansa ha preso visione si citano due prestiti, rispettivamente da 250 e 400 milioni - anche se in parte legati alla necessità di fare fronte all'emergenza ambientale venutasi a creare nell'impianto e nei suoi dintorni. E questo nonostante la garanzia dello Stato sui 400 milioni sia stata concessa a un tasso d'interesse del 3,12%, ovvero in linea con i tassi di mercato. Inoltre, in base alla bozza di decisione, anche la garanzia dello Stato sugli 800 milioni previsti nella legge di stabilità 2016, "se attuata nella corrente formula, contiene aiuti di Stato". E questo perchè la Commissione nutre "dubbi" sul fatto che un garante privato si assumerebbe un tale rischio su una società insolvente che è nelle stesse condizioni dell'Ilva. Il dossier preparato dai servizi antitrust di Bruxelles, a quanto si è appreso, potrebbe essere formalizzato dalla commissaria alla concorrenza Margrethe Vestager già prima della pausa per le festività di fine anno. (ANSA)

mercoledì 16 dicembre 2015

Gli acciacchi di "Indottolo"

Ilva, doccia fredda per l’indotto, il governo stoppa revisione aiuti

Doccia fredda per l’indotto dell’Ilva. Il governo, col vice ministro dell’Economia, Enrico Morando, ha infatti respinto l’emendamento presentato nella legge di Stabilità dai gruppi Pd delle commissioni Attività produttive e Finanze della Camera finalizzato a rivedere e a snellire la modalità di accesso delle imprese al Fondo di garanzia. La possibilità di attingere al Fondo, che allo scopo prevede un budget di 35 milioni di euro, resta quindi quella approvata dal Senato nelle scorse settimane. «Una misura insufficiente» l’aveva già definita Confindustria Taranto, affermando che lo stato economico-finanziario delle aziende è così deteriorato a causa dei mancati pagamenti dell’Ilva nel periodo antecedente l’amministrazione straordinaria, da non consentire alle stesse aziende, per mancanza di una serie di requisiti, la possibilità di usufruire del Fondo di garanzia. «Con l’emendamento alla Camera avevamo allargato le maglie del Fondo di garanzia – spiega il capogruppo Pd nella commissione Finanze, Michele Pelillo, uno dei proponenti – in modo che alle tante imprese fornitrici dell’Ilva fosse assicurato sostegno. Il viceministro Morando ha invece detto di no. Un piccolo emendamento avrebbe risolto un grande problema. Ma non ci fermiamo – aggiunge Pelillo –. Riproporremo la stessa misura alla Camera quando arriverà, per la conversione in legge, l’ultimo decreto sull’Ilva».
«Un brutto segnale»: così Vincenzo Cesareo, presidente di Confindustria Taranto, definisce lo stop all’emendamento salva-indotto. «Riuniremo presto le aziende e decideremo il da farsi – annuncia Cesareo –. Non escludo conseguenze pesanti, anche la messa in libertà del personale, perché la situazione sta saltando. Si consolida purtroppo la valutazione che si voglia salvare l’Ilva, ammesso che si riesca, e non anche tutto il sistema che vi ruota attorno e che è fatto da imprese e migliaia di posti di lavoro».
Gli aiuti all’indotto Ilva hanno avuto un cammino difficile. Furono introdotti, col meccanismo del Fondo di garanzia, nella legge 20 dello scorso marzo ma non hanno funzionato proprio perché i criteri di accesso hanno sbarrato la strada a gran parte delle aziende. Il Governo è quindi reintervenuto ad ottobre, inserendo la misura nella legge di Stabilità varata da Palazzo Chigi, ma nel testo trasmesso al Parlamento è poi scomparsa. L’ha quindi reintrodotta il Senato, ma le imprese hanno protestato dicendo che era inefficace: era solo una riedizione di quanto non aveva funzionato con la legge 20. Allora i gruppi Pd di due commissioni della Camera hanno provato a correggere il tiro con un ulteriore emendamento ma il Governo ha detto no. E adesso l’indotto – già esposto per 250 milioni di mancati pagamenti, di cui 150 relativi a Taranto – è di nuovo in tensione. (Sole24h)

Giusto qualche spicciolo

«Ilva, servono tre miliardi o l’azienda è spacciata»

«Per l’Ilva servono 3 miliardi o l’azienda è spacciata». Va giù duro il presidente di Federacciai, Antonio Gozzi, intervenendo al convegno della Fiom che, sull’onda della conferenza sul clima di Parigi, cerca la strada «Per una siderurgia pulita, dal declino allo sviluppo», invitando al dibattito tutti gli attori. Governo compreso, che invece è risultato assente.Per Gozzi, che è sempre stato contrario all’amministrazione straordinaria attuata dal governo, tra piano ambientale, manutenzioni e recupero di competitività, è necessaria «una magnitudo di tre miliardi», ma a suo avviso è difficile che ci sia una cordata italiana o straniera interessata a sostenere un investimento di questo tipo. L’Aia, infatti, sarebbe troppo stringente rispetto alle norme degli altri Paesi e l’unico in grado di intervenire sarebbe il governo, tramite Cassa Deposito e Prestiti. Un punto, quest’ultimo, su cui Gozzi e il leader della Fiom, Maurizio Landini, sono pienamente d’accordo. «Noi continuiamo a pensare - dice Landini - che ci  sia bisogno di un ruolo del pubblico, non solo un’idea di  privatizzazione. Sia per garantire la qualità degli  investimenti che devono essere fatti sia per garantire una  prospettiva, per non svendere, per non trovarci di fronte  anche a problemi occupazionali o a ridimensionamenti molto  seri. L’unica ipotesi, secondo il numero uno di Federacciai è che si colga la norma prevista dall’ultimo decreto Ilva, in base al quale chi propone un piano industriale può chiedere una modifica dell’Aia.
Landini, invece, considera l’ultimo decreto Ilva un passo indietro del governo, che una volta bloccati in Svizzera gli 1,2 miliardi per evasione fiscale sequestrati ai Riva, soldi che dovevano essere utilizzati per l’ambientalizzazione, rischia di dover cedere l’impianto ai privati in sei mesi. Ecco perché il leader della Fiom, con i segretari di Fim e Uilm ha mandato una lettera al governo per chiedere un confronto urgente sull’Ilva e sulla politica siderurgica italiana, altrimenti promette di portare la mobilitazione sotto palazzo Chigi. Landini, infine, intende coinvolgere anche le associazioni datoriali nella battaglia contro la riduzione degli ammortizzatori sociali «perché se si rende più facile licenziare che accedere agli ammortizzatori, le aziende licenzieranno».
Dopo Rosario Rappa, ora alla segreteria nazionale, Mauro Faticanti, responsabile della siderurgia della Fiom chiarisce che rispetto al primo decreto salva Ilva «eravamo d’accordo con il principio della partecipazione pubblico-privata per il rilancio strategico dell’azienda, ma siamo contrari ad una newco con soggetti privati che rischia di regalare l’azienda risanata con fondi pubblici a un privato. Non accetteremo ridimensionamenti produttivi e del personale: Taranto è una polveriera che può esplodere», avverte.
Dalle relazioni di Riccardo Colombo di «Sbilanciamoci», Domenico Capodilupo, esperto di politiche ambientali, ed Enrico Gibellieri di «IndustriAll», la federazione europea dei sindacati dell'industria, si evince che, nelle previsioni più pessimistiche, in Europa la siderurgia perderà 350mila posti di lavoro, perché la Cina da sola produce la metà dell’acciaio del mercato globale e da due anni lo esporta a prezzi competitivi. In questa situazione di sovraccapacità produttiva, quindi, secondo Gozzi è difficile che qualcuno (anche Arcelor Mittal) possa investire 3 miliardi. Men che meno si troverebbero investitori se si convertisse lo stabilimento di Taranto al preridotto, come ipotizzato dal governatore della Puglia, Michele Emiliano, nel suo intervento al Cop 21 d Parigi sulla decarbonizzazione della regione.
Vincenzo Vestita, delegato Fiom dell’Ilva di Taranto ritiene che non sia possibile convertire totalmente l’impianto a ciclo integrale, su cui anche la gestione del Commissario Bondi ha fatto delle sperimentazioni. «Noi come Fiom non siamo contrari a nessun tipo di soluzione che riesca a contemplare produzione e ambientalizzazione, ma attualmente - sottolinea - non c’è alcun esempio nel mondo di uno stabilimento della complessità di Taranto che produca acciaio da preridotto e ci devono dimostrare la fattibilità tecnica». Ci sarà pure una ragione se su 1.650 miliardi di tonnellate di acciaio sfornate nel globo, solo 73 milioni di tonnellate sono prodotte da preridotto. (GdM)

domenica 13 dicembre 2015

Una boccata d'aria?

Taranto-Ilva: finestre chiuse

Un ordine delle autorità Sanitarie Locali di Taranto, suggerisce la chiusura delle finestre dopo le 08:00 sino alle ore 12:00 e dopo le ore 18:00. Il “consiglio” dell’ASL è anche di evitare attività fisica all’aperto perché ci sono sforamenti di idrocarburi policlici aromatici (IPA). La relazione di tale situazione è stata inviata al Sindaco di Taranto perchè prenda provvedimenti.

Il rapporto ASL parla di programmare le attività  sportive all’aperto nelle ore in cui i livelli di inquinamento sono inferiori, di cambiare l’aria quando la concentrazione dei Pm10 è tra 26 e 50 microgrammo a metro cubo. I dati delle ultime rilevazioni ARPA relative al 06/12/2015, dicono che la concentrazione ha probabilmente ha superato i 26 microgrammi sui Tamburi, a Taranto, ma anche a San Vito, Talsano e Statte,  zone distanti da ILVA.

Questa concentrazione preoccupante era tale anche il 5 dicembre, dunque, nei giorni in cui l’ASL ha fatto tale raccomandazione. Le istituzioni locali preposte alla salvaguardia della salute pubblica, dovrebbero tener conto del rischio della popolazione mettendo in atto misure cautelative relative alla qualità dell’aria nei momenti critici che si riferiscono ai picchi di Pm10 e IPA nei giorni di vento proveniente da Nord-Ovest tristemente,noti come Wid days.

Ma quali provvedimenti sono stati presi? La popolazione è a conoscenza realmente di tutto questo? quanti tarantini sono sui social network, unico mezzo di un tam tam mediatico che, per alcuni è puro allarmismo , e per altri è fonte di notizie? Che succede se le finestre sono aperte durante quelle ore? Che succede se una partita di calcio si disputa su un campetto all’aperto alle ore 18:30, e se prima delle 12:00 sul Lungomare vedremo correre qualcuno dovremo avvisarlo di tornare a casa o quantomeno di fermarsi…?

Qual è realmente il rischio e perchè nonostante anche i media nazionali ne stiano parlando, a Taranto si tace e nel silenzio solo i “pazzi ambientalisti ” sono in ansia?
Nei giorni in cui si chiede ai tarantini di chiudere le finestre il Governo approva il nono decreto salva-ILVA, l’ennesima proroga per l’applicazione delle misure ambientali. A Taranto è sospeso il diritto alla salute e  il futuro proprietario di un’ILVA in svendita potrà riscrivere un piano ambientale privilegiando il guadagno  a danno di chi ha già pagato un caro prezzo.

Chi ci governa prenda decisioni sagge perchè chiudere le finestre è un’azione priva di senso dal momento che ovunque persiste un inquinamento rischioso. Riaprirle dando un futuro diverso a questa città è la sfida a cui è chiamata la città, soprattutto nei giorni in cui è chiamata a scegliere chi deve governarla, con i fatti, quelli che hanno poche parole e che mirano alla sostanza, e la sostanza adesso è tutelare la vita di questo popolo che non si può chiudere dietro le finestre, mai. (art21)

giovedì 10 dicembre 2015

Piove dalle nubi sparse




Qualcuno fa festa...

Ilva, processo tutto da rifare

Il processo Ilva in Corte d’Assise a Taranto crolla come un castello di carta per alcuni difetti formali riscontrati nel provvedimento con cui, lo scorso 23 luglio, il giudice dell’udienza preliminare, Wilma Gilli, ha disposto 47 rinvii a giudizio.
I difetti formali riguardano l’omissione del nome di un avvocato d’ufficio, la mancata puntualizzazione dei reati contestati, dei ruoli operativi svolti e dei tempi a cui quest’ultimi si riferiscono, relativamente ad una serie di imputati, infine l’insufficiente descrizione dell’imputazione sollevata verso l’Ilva. Dettagli, eppure di rilievo visto che hanno bloccato tutto. Ieri la Corte d’Assise ha deciso che si torna all’udienza preliminare e quindi bisognerà rifare tutto daccapo. È come se un anno di udienze davanti al gup Wilma Gilli, da giugno 2014 a luglio 2015, non si fosse mai svolto. Eccetto la posizione dei cinque imputati che hanno scelto il rito abbreviato e che sono stati già giudicati (due condannati e tre prosciolti), per gli altri 47 di cui la Procura ha chiesto il rinvio a giudizio, ora si apre un nuovo procedimento davanti ad altro gup. Essendosi già espressa, non sarà infatti il giudice Gilli a pronunciarsi. E decadono anche le oltre 800 richieste di costituzione parte civile che erano state ammesse per un ammontare complessivo di 30 miliardi. C’erano i ministeri della Salute e dell’Ambiente, la Regione Puglia, la Provincia e il Comune di Taranto, ma anche i sindacati, le associazioni ambientaliste, le organizzazioni dei mitilicoltori, degli allevatori e degli agricoltori, categorie che hanno lamentato danni alle loro attività a seguito dell’inquinamento dell’Ilva.

Una mera dimenticanza appare il fatto che il nome dell’avvocato Vincenzo Vozza, che all’udienza preliminare conclusiva del 24 luglio scorso era stato designato quale difensore d’ufficio per undici imputati che quel giorno non avevano il proprio legale in aula, non compaia nel provvedimento del gup che dispone i 47 rinvii a giudizio.
Eppure è uno dei motivi che ha «azzerato» il processo sinora svoltosi, riportando indietro le lancette. Inoltre, lo stesso avvocato Vozza, sentito ieri, ha dichiarato di non ricordare se quel 24 luglio fosse stato nominato o meno difensore d’ufficio. È stata la Procura, col procuratore aggiunto Pietro Argentino, ad accorgersi dei difetti formali e a porre la questione alla Corte d’Assise presieduta dal giudice Michele Petrangelo. Pare che la Procura li abbia notati solo nei giorni scorsi. La pubblica accusa ha quindi deciso di uscire subito allo scoperto per evitare che la difesa degli imputati, probabilmente anch’essa a conoscenza dell’omissione, potesse tenere il caso coperto per lungo tempo salvo poi tirarlo fuori, come un’asso nella manica, in Corte di Cassazione. A quel punto, non solo l’udienza preliminare sarebbe stata «azzerata» ma anche le conclusioni del primo e del secondo grado di giudizio.
Ieri si è discusso se quanto emerso potesse essere ritenuto una nullità relativa, sanabile cioè dalla Corte d’Assise, oppure assoluta, rendendo quindi necessario tornare al gup. La Corte ha scelto quest’ultima strada. Oltre ad essere rilevante sia per il numero degli imputati, degli avvocati e delle parti civili, che per i capi di imputazione contestati (associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale è il reato ascritto a Fabio e Nicola Riva, esponenti della proprietà dell’Ilva), il processo di Taranto sinora non ha avuto un cammino facile. L’udienza preliminare, a metà 2014, restò in stand by per alcuni mesi in quanto i difensori di 13 imputati, dell’Ilva e di Riva Fire avanzarono istanza di rimessione alla Corte di Cassazione.
In pratica, chiesero di spostare il processo in altra sede (sarebbe stata Potenza nel caso) in quanto a Taranto, per la pressione degli ambientalisti e di alcune componenti della città, nonchè per le manifestazioni anti-Ilva che si erano svolte in passato, non c’erano le condizioni per un giudizio «sereno» ed «equilibrato». La Cassazione però decise a ottobre 2014 che il processo dovesse restare a Taranto.
E così l’udienza preliminare riprese e si concluse a luglio scorso con 47 rinvii a giudizio. Relativi a 44 persone fisiche tra cui i due fratelli Riva, l’ex governatore pugliese, Nichi Vendola (concussione aggravata), il sindaco di Taranto, Ezio Stefàno (omissione di atti d’ufficio), l’allora presidente dell’Ilva, Bruno Ferrante, dirigenti del siderurgico, funzionari ed amministratori pubblici. Ma anche a 3 società per la responsabilità amministrativa delle imprese: Riva Fire, Riva Forni Elettrici e Ilva. Il processo in Corte d’Assise è cominciato il 20 ottobre scorso ma si è subito inceppato per l’omessa notifica ad uno degli imputati, l’ex assessore della Regione Puglia, Nicola Fratoianni, oggi deputato di Sel. Nemmeno l’udienza dell’1 dicembre si è svolta perchè c’era lo sciopero dei penalisti. Si è così arrivati a ieri. Ma stavolta dovrà trascorrere tempo prima che il proccesso Ilva torni in aula.(Sole24h)

mercoledì 9 dicembre 2015

Strada tortuosa, piuttosto!

Ilva Taranto, dritti verso il baratro

Dopo il sequestro degli impianti da parte della magistratura nel 2012 il nono, l’ennesimo, decreto salva-Ilva è realtà. Non ci è voluto molto, in verità, per approvarlo, pare ormai quasi una procedura automatica, meccanica, fredda. Indegna di un paese che si direbbe democratico. 
In cosa consiste tale decreto? Proviamo a fare un passo indietro per comprendere appieno le presunte strategie del governo. 
A novembre, il tribunale federale di Bellinzona ha bloccato il rientro di 1,2 miliardi di euro sequestrati ai Riva a seguito delle inchieste della procura di Milano. Secondo i pm Clerici e Civardi, infatti, tale patrimonio era stato trasferito, dopo essere stato distratto dai capitali della Fire Finanziaria (poi diventata Riva Fire), nel paradiso fiscale dell’isola di Jersey. Sarebbe in seguito stato occultato in otto trust e riemerso solo con l’introduzione dello scudo fiscale nel 2009. 

La sentenza del tribunale è stata negativa poiché «i valori patrimoniali sono soltanto presumibilmente e non manifestatamente di origine criminale».
Viene scritto, inoltre, che «dall’Italia non sono arrivate le garanzie che le persone perseguite, se dichiarate innocenti, non subirebbero nessun danno» e, motivazione più emblematica di tutte, «i valori in questione sarebbero subito convertiti, senza che vi sia una sentenza di confisca cresciuta in giudicato ed esecutiva, in obbligazioni di una società in fallimento, soggetta a commissariamento straordinario»
E ciò «costituirebbe», dunque, «un'espropriazione senza un giudizio penale».
Questa decisione rende nulla, di fatto, la garanzia, per le banche, del rientro in tempi brevi del prestito di 800 milioni di euro (che si andavano a sommare ai 400 milioni provenienti dalla Cassa Depositi e Prestiti) che il governo aveva previsto nell’articolo 469 della legge di Stabilità come garanzia dello Stato italiano nei confronti delle banche che avrebbero fornito i capitali necessari per le attività di risanamento previste dal piano ambientale.
In questo nono decreto il governo Renzi non si smentisce e continua in un’opera autolesionista, ma soprattutto lesiva dei diritti fondamentali dei lavoratori di Ilva e dell’indotto e dei cittadini di Taranto, seguendo tre linee fondamentali: un ulteriore prestito ponte all’azienda, lo slittamento della realizzazione delle prescrizioni AIA e le nuove condizioni per la vendita dello stabilimento.
Proviamo ad analizzare questi punti.

L’ulteriore prestito ponte all’azienda di 300 milioni di euro arriva proprio nel momento in cui la Commissione Europea ha intensificato le sue indagini sui presunti aiuti di Stato nei confronti dell’Ilva.
La garanzia pubblica a beneficio dell’Ilva, infatti, da tempo ha attirato l’attenzione della Commissione Europea, sollecitata anche dall’azione dell’associazione PeaceLink.
Secondo l’articolo 107 del TFUE (Trattato di Funzionamento dell’Unione Europea), infatti, «salvo deroghe contemplate dai trattati sono incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza».
Ora quella garanzia pubblica a vantaggio dell’Ilva sta ulteriormente attirando l’attenzione di Bruxelles. La Commissione starebbe, dunque, valutando l’eventualità di ingiungere l’interruzione immediata del sussidio e, nella lettera indirizzata a PeaceLink in data 28 novembre 2015, la Commissione Europea Concorrenza ha confermato che il Commissario Margrethe Vestager ha agito in modo tale che la questione diventi «una priorità assoluta.
Il governo è a conoscenza che la Commissione sta indagando sui prestiti già erogati, perché, dunque continua nella sua azione sapendo che ci sono alte probabilità che quei capitali vengano bloccati? Perché quei capitali non vengono indirizzati verso un piano di sviluppo che dia un futuro agli operai di Ilva e indotto e alle loro famiglie e ridia speranza agli allevatori, agli agricoltori, ai mitilicoltori danneggiati dall’azione inquinante dell’Ilva? Perché non destinarle alle bonifiche di un territorio martoriato su più fronti dal punto di vista ambientale?

Cui prodest? Non è dato saperlo
Un secondo provvedimento è lo slittamento del termine ultimo per la realizzazione delle prescrizioni AIA fino al 31 dicembre 2016. Il ministro dell’ambiente Gianluca Galletti aveva dichiarato a proposito delle prescrizioni che «a tutt’oggi l’Ilva rispetta tutte le Bat (Best available techniques, ndr): tutti i limiti di emissione europei oggi a Taranto sono rispettati» e che «Il piano di ambientalizzazione prevedeva degli step intermedi – ha dichiarato – uno di questi era la realizzazione dell’80% delle prescrizioni entro il 31 luglio 2015. Oggi possiamo dire con certezza, perché certificato dall’Ispra, che il primo step è rispettato».
Peccato che le prescrizioni fossero espresse in percentuali il che, come più volte sottolineato quando è stata approvata questa procedura, ha fatto sì che tuttora siano assolutamente incompiute le opere di maggiore rilevanza ambientale come la copertura dei parchi minerali.

Inoltre, a tal proposito, siamo venuti a conoscenza negli ultimi giorni che a Taranto, quando il vento soffia dalla zona industriale, i cittadini hanno le ore d’aria.
La Asl cittadina, infatti, ha inviato al sindaco Ippazio Stefano «una serie di raccomandazioni utili per minimizzare l’esposizione a polveri sottili della popolazione della città» e ha stabilito tre livelli di allerta.
Nell’allerta 1, ovvero quando il livello di inquinamento è considerato alto, è meglio lasciare aperte le finestre solo tra le 12 e le 18.
Nell’allerta 2, ovvero il giorno prima che la città sia sottovento rispetto all’area industriale (vento da N/O), le raccomandazioni sono le stesse, ma solo per minori ed anziani.
L’allerta 3 si concretizza quando la città è effettivamente sottovento ed è consigliato a «tutta la popolazione di programmare eventuali attività sportive all’aperto nelle ore in cui i livelli di inquinamento sono inferiori, ovvero fra le ore 12 e le 18».

«Sennò è meglio tapparsi in casa» ha dichiarato Angelo Bonelli, consigliere comunale ed ex portavoce nazionale dei Verdi.
L’allarme sulle emissioni era stato lanciato più volte da Peacelink, non solo sul suo sito ufficiale, ma anche sulla pagina facebook Peacelink Air Monitoring con rilevamenti di IPA giornalieri. In particolare, Alessandro Marescotti, presidente dell’associazione, aveva anche chiesto al sindaco di emettere un’ordinanza di chiusura della cokeria Ilva.
È qui presente la relazione sullo stato dell’aria a Taranto con riferimento ai picchi di IPA e di Pm10 in occasione dei cosiddetti “wind days” sopracitati.
Assolutamente preoccupante, infine, è il terzo punto fondamentale del decreto. Esso prevede che le procedure di trasferimento a terzi della gestione vengano messe in atto entro il 30 giugno 2016 e che i criteri per l’aggiudicazione siano valutati anche in base alla rilevanza ambientale. Nello stesso momento, però, si permette al vincitore dell’asta pubblica di proporre un nuovo piano ambientale, formulato, però, ovviamente, in base al piano industriale. Tale piano ambientale sarebbe, dunque, sottoposto al giudizio di alcuni “saggi”.
La prima, legittima, preoccupazione è: chi saranno questi “saggi”? E poi, con che criterio saranno scelti? Saranno presenti le parti sociali di Taranto? Saranno presenti i rappresentanti delle istituzioni, compresi quelli imputati nel processo Ambiente Svenduto? 

Al di là di questo, l’ultimo punto presenta anche un difetto di fondo.
L'ultimo decreto del dicembre 2014 era arrivato proprio dopo che il governo non era riuscito a vendere l'Ilva ad Arcelor Mittal. Allo stato attuale, Ilva ha i conti ulteriormente peggiorati con perdite mensili che oscillano intorno ai 50 milioni di euro al mese. Ilva è per il 78% sotto sequestro della Magistratura ed è stata considerata dal tribunale svizzero, appunto, una società fallita.
Arcelor Mittal ha già acquistato, in Francia, acciaierie semplicemente per eliminare la concorrenza chiudendole, ma attualmente vive anche una profonda crisi sotto l’ascia di una crisi mondiale della siderurgia.
Solo nel terzo trimestre, infatti, il terzo consecutivo in perdita, il gruppo franco-indiano-lussemburghse ha perso 711 milioni di dollari e la società ha anche visto al ribasso le stime per il 2015.
Tutto questo non sarà altro che, dunque, altro fumo negli occhi per i lavoratori dell’Ilva di Taranto e dell’indotto lasciati privi di un piano alternativo per il loro ricollocamento ed illusi che il governo avrebbe rimesso in piedi un’azienda la cui fine è stata sancita, in realtà, già da tempo, dal mercato siderurgico stesso.
Gli operai e le loro famiglie vengono lasciate nelle mani della sorte di un acquirente che potrebbe non arrivare mai e che, anche nel caso in cui arrivasse, si troverebbe una situazione catastrofica.
Nel frattempo, i cittadini di Taranto sono giornalmente privati dei loro diritti fondamentali: del diritto alla salute, del diritto al lavoro, del diritto all’autodeterminazione.
Invochiamo, ancora una volta, l’apertura di un tavolo per un piano B per la città che ricollochi gli operai nell’opera di bonifica e che punti a valorizzare in un piano industriale serio le risorse del territorio quali quelle agroalimentari, turistiche ed archeologiche.
Taranto ha già pagato abbastanza le scelte di una politica miope ed asservita ai grandi interessi che potrebbe portare la città dritta nel baratro. (Dazebao)

lunedì 7 dicembre 2015

La fabbrica modello..

Ilva, cede passerella e precipita un operaio: non è in pericolo di vita

Un nuovo incidente in Ilva questa mattina. L'ancoraggio di una passerella metallica a circa sei metri d'altezza ha ceduto mentre transitava un lavoratore del reparto manutenzione meccanica al secondo sporgente del porto, in uso al siderurgico.
L'uomo di 42 anni è caduto nel vuoto schiantandosi al suolo.  L'operaio è stato sottoposto ad intervento chirurgico, ha riportato una lesione lombare, la frattura del bacino e la perforazione di un polmone. Non è in pericolo di vita.
Il lavoratore è ricoverato all'ospedale Santissima Annunziata di Taranto. È immediatamente stata avviata una indagine per ricostruire la dinamica dell'incidente ed eventuali responsabilità.
I rappresentanti sindacali di Fim, Fiom e Uilm hanno chiesto un incontro urgente al direttore dello stabilimento Cola per essere informati sull'esatta dinamica dell'incidente occorso ad un collega. Le organizzazioni sindacali chiedono immediati controlli su tutte le passerelle dell'area portuale.
L'area del reparto Ima, intanto, è stata posta sotto sequestro su disposizione della magistratura. I sigilli sono stati apposti ai camminamenti mentre il nastro resta in marcia per caricare la loppa. (Rep)

Piccoli danni crescono

Ilva, polveri sottili, Codacons «Chiederemo risarcimento»

"La relazione Asl sullo stato delle polveri sottili a Taranto contiene dati allarmanti che il Codacons porterà mercoledì al processo Ilva, chiedendo un maxi-risarcimento in favore degli abitanti della città ai responsabili che siedono sul banco degli imputati".
Lo annuncia l'associazione di consumatori riferendosi alla relazione dell’Azienda sanitaria locale sulle emissioni di polveri sottili Pm10 e di Ipa (idrocarburi policiclici aromatici), che pur essendo considerate "sotto controllo", nei giorni di vento da Nord-Ovest potrebbero aumentare a un livello tale da comportare danni alla salute per soggetti a rischio, come cardiopatici, asmatici, anziani e bambini. La Asl ha avviato una campagna informativa con le precauzioni sanitarie per evitare le esposizioni in caso di allerta. (GdM)

sabato 5 dicembre 2015

Non respirate troppo forte oggi: parola di ASL!

Ilva, inquinamento Taranto. Asl: “Sport all’esterno e finestre aperte solo dalle 12 alle 18″

Sport all’esterno e finestre delle abitazioni aperte solo per sei al giorno, dalle 12 alle 18. Sono queste le limitazioni decise dall’Asl di Taranto per salvaguardare la salute della popolazione. Le direttive, inviate al sindaco Ippazio Stefano, sono da adottare quando lo stato di inquinamento da Ipa (Idrocarburi policlici aromatici), causato dai tanti anni di attività della polo siderurgico dell’Ilva, supera i 100 micro grammi/metrocubo. Negli ultimi due giorni la concentrazione  da Ipa è oscillata tra 130 e 160, giovedì 3 dicembre, e tra gli 80 e i 129, venerdì 4 dicembre. Con queste condizioni è consigliato stare il più possibile in ambienti chiusi.
Le misurazioni sono state effettuate da Peacelink, l’associazione che con la sua campagna di sensibilizzazione ha spinto l’Asl a consigliare le limitazioni per gli abitanti. “Questi dati e le raccomandazioni fornite sono da vero e proprio bollettino di guerra e ci fanno comprendere che la situazione di Taranto è grave – ha dichiarato Angelo Bonelli dei Verdi – e lo è ancor di più il silenzio e l’inazione del sindaco di Taranto, del ministro dell’Ambiente e della Sanità che non solo non dicono nulla ma che nulla fanno per impedire che i cittadini respirino veleni. Il ministro Galletti e tutti quei parlamentari che hanno votato i decreti salva Ilva – ha concluso Bonelli – vengano a vivere nel quartiere Tamburi comprenderanno cosa significa respirare ogni giorno Ipa e veleni vari”.
Non è la prima volta che a Taranto vengono adottate delle limitazioni a causa dell’inquinamento: nel giugno del 2010, il sindaco Ippazio Stefano (ancora in carica) vietò l’accesso a diverse aree proprio di Tamburi, il rione più colpito dalle emissioni del polo siderurgico. Intanto ieri, proprio sulla questione Ilva, il governo Renzi ha annunciato di aver stanziato 300 milioni di euro per il gruppo siderurgico, un prestito che dovrà essere restituito da chi rileverà lo stabilimento. L’obiettivo il percorso di transizione nella cessione di complessi aziendali del gruppo di Taranto la cui data ultima è indicata al 30 giugno 2016. (FQ)

Nove!!!

Ilva, ecco il nono decreto del Governo
300 milioni per accelerare la vendita

«Abbiamo varato un decreto legge che accelera la cessione a terzi dei complessi aziendali del gruppo Ilva. Il dl fissa al 30 giugno 2016 il termine per il completamento dell’operazione di trasferimento a una nuova compagine societaria per un futuro stabile di Ilva». Lo ha annunciato Claudio De Vincenti al termine del Cdm.Per Ilva arriverà «una nuova compagine societaria che consenta di dare un futuro stabile, definitivo, di prospettiva industriale e risanamento ambientale dell'Ilva», ha sottolineato ancora il sottosegretario.
Il ministro Galletti
«La parte ambientale - ha spiegato il ministro dell'Ambiente Gian Luca Galletti al termine del Consiglio dei ministri - resta un elemento determinante del salvataggio dell'Ilva e la posticipazione del termine di realizzazione del piano ambientale dal 4 agosto al 31 dicembre è dovuta dal fatto che il piano che presenterà l'aggiudicatario potrà portare modifiche al piano ambientale». Le modifiche, sottolinea ancora il ministro, avverranno «con le stesse procedure della formazione del piano ambientale».
La caccia a investitori italiani
Il percorso seguito finora per il risanamento dell'Ilva è stato accidentato, ricco di sorprese. E altre si annunciano, a partire da un nuovo tentativo di coinvolgere l'imprenditoria privata, italiana e internazionale, nell'azionariato del gruppo. Per il momento è una semplice eventualità, certamente difficile da realizzare perché si tratta di una strada già percorsa senza successo. Ma la situazione è d'emergenza, con perdite elevate e prospettive drammatiche perché il tesoretto di 1,2 miliardi di euro dei Riva è rimasto al riparo in Svizzera e non è affluito nelle casse del gruppo, la Cassa depositi e prestiti ha fatto sapere in un vertice a Palazzo Chigi tenuto nei giorni scorsi che non è nelle condizioni di assumersi l'intero peso del salvataggio, la nuova società (newco) che doveva essere costituita nella primavera scorsa con l'apporto d'investitori finanziari è rimasta sulla carta. Per questo occorre rimescolare le carte, o almeno tentarci. Così, per il momento con grande prudenza, sono ripartite verifiche informali per tentare l'impossibile, cioè ridare solidità all'assetto azionario dell'Ilva coinvolgendo soci privati. Mai dire mai, dunque, anche se proprio nel recente passato Piero Gnudi, all'epoca commissario straordinario unico, ci ha provato senza risparmiarsi ma senza riuscirci. E le difficoltà che hanno impedito di raggiungere l'obiettivo rimangono tutte, perfino aggravate. Nell'attesa di capire quale sarà l'esito dei contatti avviati, lo scenario di nuove partnership viene definito una semplice eventualità, che non deve interferire con il lavoro in cui sono impegnati i vertici aziendali, interamente rinnovati meno di un anno fa.
L’odissea dell’acciaieria
La Via Crucis dell'Ilva è cominciata con la fase uno, in cui era al comando il commissario straordinario Enrico Bondi, che ha puntato sul piano industriale messo a punto con i consulenti di McKinsey. Poi, uscito di scena Bondi, è arrivato Piero Gnudi, convinto che la priorità fosse trovare un nuovo assetto dell'azionariato, per ridare solidità al gruppo con l'apporto di soci privati, internazionali e italiani. I tentativi non sono riusciti, perché i potenziali azionisti hanno detto con chiarezza che i problemi dell'Ilva erano drammatici, gli investimenti ambientali non sopportabili da privati, le inchieste avviate dalla magistratura (soprattutto di Taranto) determinano un quadro di assoluta incertezza. Contemporaneamente si è fatta strada la convinzione che i privati intendessero forzare la mano, ingigantendo i problemi dell'Ilva, per poi conquistarla con quattro denari. Insomma, il sospetto è stato che ArcelorMittal guidasse una cordata della serie «I furbetti dell'acciaio», parafrasando la definizione dei «Furbetti del quartierino», coniata dallo spregiudicato finanziere Stefano Ricucci nell'estate del 2005. Così l'operazione Gnudi non ha avuto esito ed è cominciata la fase tre, con la regia dell'ex amministratore delegato di Luxottica, Andrea Guerra, passato nel ruolo di super consulente per Palazzo Chigi. L'occasione da non perdere è stata considerata l'inchiesta della Procura di Milano contro i Riva, gli ex azionisti di comando dell'Ilva, finiti sulla panchina degli imputati, ritenuti colpevoli di una lunga serie di reati. Erano giorni in cui Guerra, sia pure dietro le quinte, spendeva parole di elogio per il lavoro svolto dai magistrati milanesi. Da Palazzo di Giustizia filtravano due certezze: l'Ubs, il colosso svizzero in cui sono parcheggiati i trust dei Riva, era pronto a consegnare i quattrini (i famosi 1,2 miliardi) e la magistratura svizzera avrebbe dato via libera.
La decisione del tribunale svizzero
Il tutto si è verificato, ma è mancato l'ultimo passaggio. Nei giorni scorsi il Tribunale di Bellinzona, a cui hanno fatto ricorso in appello due esponenti della famiglia Riva, ha bloccato tutto, sottolineando (con parole dure) che il tesoretto non si tocca fino a sentenza definitiva di un processo (quello contro i Riva) ancora agli albori. Una vera doccia fredda, per l'Ilva e dintorni, arrivata all'improvviso. L'effetto è di riaprire i giochi sul futuro del gruppo che, proprio negli ultimi due mesi, ha registrato qualche notizia positiva, a partire dal contenimento delle perdite (sotto i 20 milioni al mese contro i 50 milioni dei momenti peggiori) per arrivare all'incremento del portafoglio ordini (più 23 per cento il risultato di ottobre su settembre e più 20 per cento in novembre rapportato a ottobre). Significativa, in particolare, viene considerata la vittoria nella gara promossa dalla Snam per una fornitura di oltre 5 milioni di euro. L'impegno di chi si batte in prima linea c'è. Il problema è la mancanza di soldi in cassa. E non è un problema di poco conto.
I sindacati: «Tanti dubbi, non svendere»
Il Consiglio dei Ministri, con l’ennesimo decreto, il nono, modifica ancora una volta le carte in tavola, arrivando questa volta a indicare la data di vendita dello stabilimento Ilva di Taranto e spostando in avanti il termine dell’applicazione dell’Aia. Così Rosario Rappa, segretario nazionale Fiom-Cgil in una nota. «Siamo in presenza di un decreto che rischia di scaricare i costi sul pubblico e gli utili sul privato, facendo pagare ai lavoratori attualmente occupati pesanti costi in termini occupazionali. Inoltre, riteniamo gravissima la volontà di allungare i tempi del processo di ambientalizzazione, per la quale devono essere rispettati i tempi indicati nell’Aia» afferma il sindacalista. «Ancora una volta - continua - contraddicendo quanto fino ad ora aveva dichiarato, il governo prende decisioni senza consultare le organizzazioni sindacali.» «È assolutamente necessaria una immediata convocazione alla presidenza del Consiglio dei ministri, qualora questo non avvenisse metteremo in campo tutte le iniziative di mobilitazione necessarie». «Bene iniziare a fissare date - ribatte Marco Bentivoglio segretario generale di Fim-Cisl - ma senza passi concreti di rinvio in rinvio la situazione si sta logorando irreversibilmente. Da tempo sosteniamo che il più grande siderurgico d’Europa debba essere gestito da chi ha esperienze e capacità del settore. È positivo aver fissato una data in cui cedere ad un soggetto industriale che guidi il Gruppo ad una più attenta gestione industriale e recuperi il troppo tempo perduto sull’ambientalizzazione e il rilancio industriale». (CdM)

mercoledì 2 dicembre 2015

Negatio della prorogatio

Taranto, il Csm manda in pensione il procuratore del processo all'Ilva. E lui: "Farò ricorso"

Il plenum del Csm ha deliberato la cessazione dalle funzioni, per raggiunti limiti di età, di Franco Sebastio e altri 83 magistrati in tutta Italia. Il capo della Procura di Taranto impegnata nel caso Ilva ha già annunciato ricorso. Sebastio aveva già impugnato davanti al Tar il bollettino ufficiale del ministero di Giustizia che ha messo a concorso il suo posto. Il tribunale amministrativo non è fin qui entrato nel merito perché il provvedimento che lo pone in pensionamento anticipato dal prossimo primo gennaio non era ancora scattato, ma Sebastio continuerà la sua battaglia, dice, perché “è una questione di principio”.
Tarantino, classe ‘42, Franco Sebastio già nel ’62 è cancelliere in tribunale, come suo padre e suo nonno. Entra in magistratura sette anni dopo. Pretore prima a Gallarate, poi a San Pietro Vernotico e infine a Taranto, dove comincia una lunga carriera dal civile al penale. Già nel ’79 è in prima linea contro i reati ambientali, per i quali mette su una sezione specializzata della Pretura di cui diventa procuratore capo a cavallo fra gli anni Ottanta e Novanta.
Sua, da pretore, nel 1982 la prima sentenza di condanna per i vertici del siderurgico, all’epoca di Stato, per inquinamento. Un pezzo di “archeologia giudiziaria”, lo ha definito mostrando il testo ai giudici durante una recente requisitoria al processo dell’amianto killer, “ma a ben vedere sembra scritta oggi. segno che non è cambiato molto”, disse. Sempre sul fronte ambientale salgono alla ribalta della cronaca le inchieste sull’inquinamento dei fiumi Patemisco e Galeso, così come quella sugli scarichi inquinanti in Mar Piccolo.
Procuratore aggiunto per otto anni, Sebastio diventa procuratore della Repubblica nel novembre 2008 a 65 anni coronando il suo sogno: concludere la carriera nella sua città. Nel 2012 ottiene la conferma per altri quattro anni, ma di recente Palazzo Chigi ha revocato la proroga. Qualche maligno potrebbe pensare che il braccio di ferro più volte scatenato fra Procura e governo sul caso Ilva possa aver agevolato la decisione sul pensionamento anticipato del procuratore. (Rep)

Pane, Ilva e fantasia

Ilva, grandi manovre per ingresso partner privati

Mai dire mai. Il percorso seguito finora per il risanamento dell’Ilva è stato accidentato, ricco di sorprese. E altre si annunciano, a partire da un nuovo tentativo di coinvolgere l’imprenditoria privata, italiana e internazionale, nell’azionariato del gruppo. Per il momento è una semplice eventualità, certamente difficile da realizzare perchè si tratta di una strada già percorsa senza successo. Ma la situazione è d’emergenza, con perdite elevate e prospettive drammatiche perchè il tesoretto di 1,2 miliardi di euro dei Riva è rimasto al riparo in Svizzera e non è affluito nelle casse del gruppo, la Cassa depositi e prestiti ha fatto sapere in un vertice a Palazzo Chigi tenuto nei giorni scorsi che non è nelle condizioni di assumersi l’intero peso del salvataggio, la nuova società (newco) che doveva essere costituita nella primavera scorsa con l’apporto d’investitori finanziari è rimasta sulla carta.
Per questo occorre rimescolare le carte, o almeno tentarci. Così, per il momento con grande prudenza, sono ripartite verifiche informali per tentare l’impossibile, cioè ridare solidità all’assetto azionario dell’Ilva coinvolgendo soci privati. Mai dire mai, dunque, anche se proprio nel recente passato Piero Gnudi, all’epoca commissario straordinario unico, ci ha provato senza risparmiarsi ma senza riuscirci.E le difficoltà che hanno impedito di raggiungere l’obiettivo rimangono tutte, perfino aggravate. Nell’attesa di capire quale sarà l’esito dei contattiavviati, lo scenario di nuove partnership viene definito una semplice eventualità, che non deve interferire con il lavoro in cui sono impegnati i vertici aziendali, interamente rinnovati meno di un anno fa.
La Via Crucis dell’Ilva è cominciata con la fase uno, in cui era al comando il commissario straordinario Enrico Bondi, che ha puntato sul piano industriale messo a punto con i consulenti di McKinsey. Poi, uscito di scena Bondi, è arrivato Piero Gnudi, convinto che la priorità fosse trovare un nuovo assetto dell’azionariato, per ridare solidità al gruppo con l’apporto di soci privati, internazionali e italiani. I tentativi non sono riusciti, perchè i potenziali azionisti hanno detto con chiarezza che i problemi dell’Ilva erano drammatici, gli investimenti ambientali non sopportabili da privati, le inchieste avviate dalla magistratura (soprattutto di Taranto) determinano un quadro di assoluta incertezza. Contemporaneamente si è fatta strada la convinzione che i privati intendessero forzare la mano, ingigantendo i problemi dell’Ilva, per poi conquistarla con quattro denari. Insomma, il sospetto è stato che ArcelorMittal guidasse una cordata della serie "I furbetti dell’acciaio", parafrasando la definizione dei "Furbetti del quartierino", coniata dallo spregiudicato finanziere Stefano Ricucci nell’estate del 2005. Così l’operazione Gnudi non ha avuto esito ed è cominciata la fase tre, con la regia dell’ex amministratore delegato di Luxottica, Andrea Guerra, passato nel ruolo di super consulente per Palazzo Chigi.
L'occasione da non perdere è stata considerata l’inchiesta della Procura di Milano contro i Riva, gli ex azionisti di comando dell’Ilva, finiti sulla panchina degli imputati, ritenuti colpevoli di una lunga serie di reati. Erano giorni in cui Guerra, sia pure dietro le quinte, spendeva parole di elogio per il lavoro svolto dai magistrati milanesi. Da Palazzo di Giustizia filtravano due certezze: l’Ubs, il colosso svizzero in cui sono parcheggiati i trust dei Riva, era pronto a consegnare i quattrini (i famosi 1,2 miliardi) e la magistratura svizzera avrebbe dato via libera.
Il tutto si è verificato, ma è mancato l’ultimo passaggio. Nei giorni scorsi il Tribunale di Bellinzona, a cui hanno fatto ricorso in appello due esponenti della famiglia Riva, ha bloccato tutto, sottolineando (con parole dure) che il tesoretto non si tocca fino a sentenza definitiva di un processo (quello contro i Riva) ancora agli albori. Una vera doccia fredda, per l'Ilva e dintorni, arrivata all’improvviso. L’effetto è di riaprire i giochi sul futuro del gruppo che, proprio negli ultimi due mesi, ha registrato qualche notizia positiva, a partire dal contenimento delle perdite (sotto i 20 milioni al mese contro i 50 milioni dei momenti peggiori) per arrivare all’incremento del portafoglio ordini (più 23 per cento il risultato di ottobre su settembre e più 20 per cento in novembre rapportato a ottobre). Significativa, in particolare, viene considerata la vittoria nella gara promossa dalla Snam per una fornitura di oltre 5 milioni di euro. L’impegno di chi si batte in prima linea c'è. Il problema è la mancanza di soldi in cassa. E non è un problema di poco conto. (GdM)

I risvolti sull’effettiva sostenibilità del piano di risanamento ambientale previsto dal governo per l’area siderurgica Ilva di Taranto, alla luce della decisione d’ufficio assunta dal tribunale svizzero di Bellinzona, che ha deciso per il non rientro in Italia delle somme sequestrate alla famiglia Riva, sono al centro di una mozione presentata in Consiglio regionale dai consiglieri dei gruppi Emiliano sindaco di Puglia e Lista Emiliano per la Puglia, Gianni Liviano  (primo firmatario), Sabino Zinni, Mauro Vizzino, Mario Pendinelli, Alfonso Pisicchio, Paolo Pellegrino e Giuseppe Turco.
Una mozione con la quale i sette consiglieri di maggioranza impegnano il presidente Emiliano e la sua Giunta a chiedere al presidente del Consiglio, Matteo Renzi di avanzare una “perentoria richiesta” di introduzione, nella prossima legge di stabilità, “delle poste necessarie per garantire disponibilità certa delle risorse indispensabili per dare adeguato impulso, e portare a rapida ultimazione, le opere  di ambientalizzazione e bonifica previste nell’Aia e gli atti integrativi, propedeutiche a qualsiasi ipotesi di rilancio della città di Taranto e del suo territorio provinciale”.
Liviano Emiliano Curcuruto
 
Serve, dunque, che la Regione vada in pressing sul governo nazionale perché, se confermata e ratificata dal tribunale svizzero, la decisione di bloccare il rientro in Italia dei circa 1,2 miliardi di euro potrebbe “avere conseguenze nefaste”, sottolineano i sette consiglieri firmatari della mozione, in ordine “all’efficacia dell’architettura normativa e procedurale messa in piedi dal governo italiano con decreto legge 04/07/2015 n° 92, G.U. 04/07/2015, pubblicato lo 07/07/2015 (ma non convertito in legge ), considerato anche il sicuro dilatarsi delle tempistiche relative agli interventi di ambientalizzazione; all’oggettiva impossibilità di realizzare il piano di risanamento ambientale che, se pur propedeutico al salvataggio del siderurgico più grande ed inquinante d’Europa, risulta paradossalmente ‘imposto’, con il citato decreto, doversi essere contestuale alle opere di bonifica ed ambientalizzazione, a tutto danno della salute pubblica nel transitorio degli interventi a farsi; all’aggravarsi dell’emergenza ambientale, economica e sociale di Taranto e del suo territorio provinciale che determinerebbe un esponenziale incremento dei rispettivi fattori di criticità posti già oltre la soglia di guardia; alla conseguente improbabilità, se non impossibilità, che si generi una reale ripresa del territorio jonico,  in quanto interessato esclusivamente da piani di risanamento risibili giacché fondati su ipotesi di finanziamento inconsistenti”.
Ai colleghi consiglieri e al governo regionale, inoltre, il consigliere Liviano fa presente “che nel delicato tema trattato, ogni inerzia generata da sofismi interpretativi, cavilli ed eccezioni giurisprudenziali, schermaglie tattiche fra diversi ordinamenti giuridici fra stati amici e palleggiamenti di responsabilità ai vari livelli istituzionali, amplificherebbe il già presente stato di prostrazione della comunità jonica, accrescendo in essa quella percepibile angoscia che il problema ambientale continuerà a ripercuotersi sulla salute dei propri figli.. dei nostri figli. Urge quindi - prosegue Liviano - intervenire con estrema decisione, unità d’intenti, fermezza e secondo una visione del problema onesta e condivisa.
Per questo, signor presidente, - conclude Liviano - la invito sin d’ora, a tergo del suo incontro con Matteo Renzi, a voler rappresentare direttamente a Taranto, in una conferenza pubblica della quale mi faccio promotore, il riscontro in merito agli orientamenti del governo nazionale e la voce della nostra Puglia unita”. (Affaritaliani)

Requiem milanese?

L’Ilva è agli sgoccioli. Come Taranto

Sul Corriere della Sera di oggi c’è una intera pagina di Federico Fubini sulla crisi dell’Ilva, crisi che è economica e industriale prima ancora che sociale. Crisi che resta da decenni ambientale, che è il vero nodo mai sciolto. Perché è sicuramente vero che come scrive Fubini che un’Ilva risanata sarebbe troppo competitiva per i suoi concorrenti ma intanto l’Ilva risanata non è, né tantomeno lo sarà con (l’annaquato) piano ambientale che – si accettano scommesse – non sarà portato a termine per la scadenza prevista (luglio 2016) con l’inevitabile e scontato ulteriore decreto salva-azienda che prorogherà i termini, permettendo alle fonti inquinanti di…inquinare un altro po’. In fondo chi ha sopportato (in alcuni casi persino favorito) oltre mezzo secolo di inquinamento, può benissimo sopportare ancora. No?
Tra il crollo dei prezzi dell’acciaio, i prestiti che non arrivano e quei 50 milioni di euro che bruciano ogni mese, l’azienda dei Riva non riesce a far fronte alle spese essenziali
Corriere della Sera, mercoledì 2 dicembre 2015
«L’acciaio o la vita: scegli» recita la scritta a spray nero sulle mura della chiesa di Tamburi, il quartiere di Taranto più devastato dall’epidemia di tumori attorno agli impianti Ilva. Non fosse perché la produzione è scesa quasi a metà della capacità industriale, la più vasta d’Europa, le ombre di polvere nera sui muri oggi incutono meno paura. Ma a scegliere per gli abitanti di Tamburi e gli oltre dodicimila di là dal muro, gli addetti di un impianto grande come la città, rischia di essere qualcun altro. Fuori da Taranto, e in parte anche dall’Italia.
Per l’Ilva di Taranto e di Genova, 14.200 dipendenti diretti e altri ottomila nell’indotto, sono tornati tempi terribili. L’azienda sta ingaggiando la sua battaglia finale per la sopravvivenza: la stagione che si apre sarà decisiva per capire se uno dei maggiori gruppi siderurgici del continente, un interesse strategico per l’Italia, può arrivare – e a quali condizioni – alla seconda metà del 2016. La sola certezza è che in queste settimane gli ostacoli stanno tornano ben visibili in molte direzioni: dalla Svizzera, da Bruxelles, così come dalle stesse casse del gruppo che nel 2015 brucerà oltre mezzo miliardo di euro, e ormai fatica a far fronte ad alcune delle spese essenziali.
Il mese scorso, una corte penale federale del Canton Ticino ha bloccato per molti anni a venire il rimpatrio in Italia di 1,2 miliardi di euro depositati su un trust svizzero riconducibile a Emilio e Adriano Riva. Quelle risorse degli ex proprietari del gruppo siderurgico, reclamate dalla procura di Milano sulla base di un’inchiesta per frode fiscale, dovevano andare al Fondo unico di Giustizia dello Stato e di lì trasformarsi in un prestito per aiutare l’Ilva. Non succederà, non nel futuro prevedibile. Il tribunale elvetico è stato quasi sprezzante: «Non c’è garanzia delle autorità italiane che le persone perseguite, se risultassero innocenti, non subirebbero dei danni – ha scritto —. E la consegna dei fondi all’Italia avrebbe come risultato la loro conversione in obbligazioni di una società fallita». Quali che siano gli indizi a carico, in effetti i due fratelli Riva non sono ancora neppure rinviati a giudizio. Il sequestro dei loro fondi non era il vanto di uno Stato capace di garantire i diritti di proprietà di qualunque investitore, anche discutibile, finché provato colpevole.
Nell’immediato, il rifiuto opposto dalla Svizzera avrà almeno una conseguenza: cambiare la legge di Stabilità votata in Senato dieci giorni fa. L’articolo 489 della manovra prevede infatti una garanzia dello Stato italiano «esplicita, incondizionata e irrevocabile» su prestiti per 800 milioni che l’Ilva commissariata avrebbe potuto chiedere alle banche in attesa di ricevere i fondi dei Riva. Ora che non arriveranno, non è scontato che lo Stato possa garantire le banche sulla base di una rete di sicurezza che non c’è più. In parte, è quanto sta già succedendo: a fine aprile il ministro del Tesoro Pier Carlo Padoan ha firmato un decreto con cui garantisce un altro prestito da 400 milioni di Cassa depositi e prestiti, banca Intesa Sanpaolo e Banco popolare all’Ilva, sempre coperto dai fondi di Emilio e Adriano Riva che sarebbero dovuti arrivare.
Ora quella garanzia pubblica a vantaggio dell’Ilva sta attirando l’attenzione di Bruxelles. «La Commissione europea ha ricevuto ricorsi riguardo a possibili misure pubbliche a favore dell’Ilva, che stiamo valutando» dice la portavoce del commissario europeo alla Concorrenza Margrethe Vestager. Secondo almeno tre persone coinvolte, sarebbe ormai matura la decisione di aprire una procedura per aiuti di Stato contro l’Italia. La Commissione starebbe valutando anche l’eventualità di ingiungere l’interruzione immediata del sussidio, con il rischio di bloccare l’attività dell’Ilva. A Bruxelles si ricorda che le regole comunitarie proibiscono aiuti di Stato a operatori cronicamente in perdita, e Ilva sta bruciando cassa per 50 milioni al mese dopo aver perso 2 miliardi dal 2012 all’anno passato. Non sempre in realtà le norme vengono applicate con intransigenza: la tedesca Salzgitter ha ricevuto ripetuti aumenti di capitale dal suo azionista di controllo, il Land della Bassa Sassonia, e nel 2002 i Chantiers de l’Atlantique furono salvati con 650 milioni dal governo di Parigi senza contraccolpi traumatici. Ma a Bruxelles si è sempre più convinti che, «in linea di principio», nessuna azienda debba essere tenuta artificialmente in vita usando il denaro dei contribuenti. Da parte di Arcelor-Mittal e altri concorrenti europei, la pressione sulla Commissione perché stacchi la spina all’Ilva è fortissima: significherebbe togliere dal mercato fino a 11 milioni di tonnellate di potenziale produzione, metà del surplus europeo in certe linee di prodotto. A Bruxelles si vedrebbe di buon occhio una cessione del gruppo, magari a pezzi, ma è quasi impossibile: nessuno al mondo, neanche gratis, comprerebbe un impianto al 78% sotto sequestro della magistratura italiana. Poco importa che un’Ilva risanata sarebbe anche troppo competitiva per i suoi avversari.
Massimo Rosso e Aldo Ranieri, operai degli altiforni di Taranto, si accontenterebbero di molto meno. Per ora – dicono – basterebbe che l’azienda fornisse guanti, maschere protettive e tute ignifughe nuove quando serve. L’Ilva, oggi, non ha cassa neanche per questo.
Federico Fubini (Mimmomazza)


Un nuovo caso di “cannibalismo industriale” si va profilando nel nostro paese. Sulle sorti dell'Ilva di Taranto si stanno addensando attenzioni pericolose. Da un lato le banche svizzere che hanno bloccato il trasferimento in Italia dei fondi esportati dalla famiglia Riva, ex proprietaria dell'Ilva. I tribunali svizzeri ritengono che la richiesta dello Stato italiano di riavere i soldi dei Riva – circa 1,2 miliardi di euro - corrisponda ad esproprio. Le risorse degli ex proprietari del gruppo siderurgico, reclamate dalla procura di Milano sulla base di un’inchiesta per frode fiscale, dovevano infatti essere destinate al Fondo unico di Giustizia dello Stato e di lì trasformarsi in un prestito per aiutare l’Ilva. Ma le autorità giudiziarie (e le banche) svizzere ritengono che “Non c’è garanzia delle autorità italiane che le persone perseguite, se risultassero innocenti, non subirebbero dei danni — ha scritto —. E la consegna dei fondi all’Italia avrebbe come risultato la loro conversione in obbligazioni di una società fallita”.
Ma il blocco del recupero dei fondi neri della famiglia Riva apre un buco sui finanziamenti pubblici destinati a mantenere in produzione l'Ilva. Sette mesi fa il ministro del Tesoro Padoan aveva firmato un decreto attraverso cui veniva garantito un altro prestito da 400 milioni da parte della Cassa Depositi e Prestiti, di Banca Intesa Sanpaolo e Banco popolare all’Ilva, coperto proprio dai fondi di Emilio e Adriano Riva che sarebbero dovuti arrivare dalla Svizzera.
Ma questo piano di mantenimento dell'Ilva sta attirando le malevaole attenzioni della Commissione Europea. Il Corriere della Sera di oggi riporta che «La Commissione europea ha ricevuto ricorsi riguardo a possibili misure pubbliche a favore dell’Ilva, che stiamo valutando» dice la portavoce del commissario europeo alla Concorrenza Margrethe Vestager. Secondo almeno tre persone coinvolte, sarebbe ormai matura la decisione di aprire una procedura per aiuti di Stato contro l’Italia. La Commissione starebbe valutando anche l’eventualità di ingiungere l’interruzione immediata del sussidio, con il rischio di bloccare l’attività dell’Ilva”.
Eppure, lo stesso Corriere rammenta che in altri casi, la stessa Commissione Europea ha chiuso gli occhi di fronte ad aiuti pubblici verso società tedesche o francesi in difficoltà. Cita il caso della Salzigitter dove è intervenuto il governo del land della Bassa Sassonia (lo stesso che ha le mani in pasta con la Volkswagen) oppure dei Cantieri dell'Atlantico che hanno ricevuto 650 milioni dal governo francese. Ma a fare pressione sulla Commissione Europea sembra che siano soprattutto le multinazionali della siderurgia interessate a chiudere l'Ilva e a prendersi la sua rilevantissima quota di mercato. Si parla infatti dell'interessamento della multinazionale franco-indiana Arcelor Mittal. “Significherebbe togliere dal mercato fino a 11 milioni di tonnellate di potenziale produzione, metà del surplus europeo in certe linee di prodotto” precisa il Corriere della Sera. Le ipotesi alternative ventilate da Bruxelles non sono migliori: uno spacchettamento dell'Ilva e di fatto il suo depotenziamento, “perchè nessuno intende comprare una azienda piena di debiti e sotto il controllo dello stato”.
Insomma per l'Ilva si prospetta un altro classico caso di cannibalismo industriale che ha già portato alla scomparsa in Italia della chimica e di buona parte della farmaceutica oltre che alla chiusura dell'Italsider di Bagnoli, appena ristrutturata, negli anni '80. Chi ne ha tratto giovamento? Le multinazionali tedesche e francesi. (Contropiano)