domenica 31 agosto 2014

Un avviso allo sceriffo più pavido del West!

Festeggiò la rielezione con la pistola, indagato il sindaco di Taranto

Dopo quelli dell'Ilva, nuovi guai giudiziari per il sindaco di Taranto, Ezio Stefàno. E' indagato e ha ricevuto un avviso di garanzia per aver portato una pistola in luogo pubblico. I fatti si riferiscono alla primavera di due anni fa, al lunedì successivo al ballottaggio per le elezioni del sindaco del capoluogo. Appresa la vittoria sullo sfidante di centrodestra, Stefàno, al suo secondo mandato e a capo di una coalizione di centrosinistra, raggiunse a piedi, per festeggiare la rielezione, un comitato elettorale nel centro della città dove lo attendevano amici e sostenitori. In strada, mentre allargava le braccia per salutare quanti lo applaudivano, un fotografo notò che all'altezza della cintola - Stefàno aveva la giacca sbottonata - spuntava il calcio di una pistola. La foto fece il giro dei media, provocando scalpore e proteste. 
Stefàno, in seguito, chiarì di avere regolare porto d'armi da tempo e di portare con sè la pistola per difesa personale essendo stato più volte minacciato in modo pesante. In particolare il sindaco riferì di aver trovato persone che lo avevano atteso sotto la sua abitazione privata per minacciarlo, di non aver mai voluto chiedere una scorta di protezione e di non volere che altri, esponenti delle forze di polizia o della polizia municipale, che dipende dal Comune, rischiassero per lui la propria incolumità. Successivamente Stefàno non ha più portato la pistola nè ha modificato i suoi comportamenti: gira spessissimo solo e a volte raggiunge anche a piedi da casa il suo ufficio del Comune.
Questo, ha chiarito il sindaco, nonostante le intidimidazioni non siano cessate. Spesso infatti Stefano è stato bloccato e accerchiato da gruppi di persone senza lavoro o senza casa. Un'altra tegola giudiziaria per il sindaco di Taranto - medico ospedaliero in pensione e negli anni passati senatore del Pci e del Pds, ora politicamente vicino al governatore della Puglia, Nichi Vendola - riguarda l'Ilva. Nell'ambito della maxi inchiesta per disastro ambientale, la Procura ha infatti chiesto al gup il suo rinvio a giudizio assieme ad altre 48 persone tra cui esponenti del gruppo Riva, dirigenti ed ex dirigenti del siderurgico, amministratori e dirigenti della Regione Puglia.
Stefano è accusato di omissione di atti d'ufficio. In sostanza, avrebbe denunciato con un esposto alla Procura i danni alla salute dei cittadini provocati dall'inquinamento dell'Ilva ma poi, secondo l'accusa, non avrebbe agito con i poteri che gli vengono dall'essere un'autorità sanitaria. Sull'eventuale rinvio a giudizio del sindaco di Taranto, ora deciderà il gup Wilma Gilli. Partito a giugno, il procedimento è stato aggiornato al 16 settembre ma è molto probabile che in quest'udienza si prenda solo atto che la Corte di Cassazione deciderà il 7 ottobre se tenere o meno il processo a Taranto vista l'istanza di rimessione presentata dai legali dei Riva, per i quali a Taranto non ci sono le condizioni ambientali per un giudizio "sereno ed equilibrato". (Rep)

Se non è zuppa...

“La zuppa del demonio” il film di Davide Ferrario

“LA ZUPPA DEL DEMONIO”,è il film di Davide Ferrario che sarà presentato martedì 2 settembre alla 71^ Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia (Fuori Concorso), e uscirà nelle sale italiane giovedì 11 settembre, distribuito da Microcinema.
“La zuppa del demonio” è il termine usato da Dino Buzzati nel commento a un documentario industriale del 1964, “Il pianeta acciaio“, per descrivere le lavorazioni nell’altoforno. Cinquant’anni dopo, quella definizione è una formidabile immagine per descrivere l’ambigua natura dell’utopia del progresso che ha accompagnato tutto il secolo scorso.
“È questo il tema del nostro film: l’idea positiva che per gran parte del Novecento (almeno fino alla crisi petrolifera del 1973-74) ha accompagnato lo sviluppo industriale e tecnologico. Perché è facile oggi inorridire davanti alle immagini (proprio de Il pianeta acciaio) che mostrano le ruspe fare piazza pulita degli olivi centenari per costruire il tubificio di Taranto che oggi porta il brand dell’ILVA: eppure per lungo tempo l’idea che la tecnica, il progresso, l’industrializzazione avrebbero reso il mondo migliore ha accompagnato soprattutto la mia generazione, quella nata durante il miracolo economico italiano.
Per raccontare questa eccentrica epopea abbiamo deciso di evitare commenti di storici, interviste ad esperti e didatticismi vari. Abbiamo preferito andare alla sorgente, usando i bellissimi materiali dell’Archivio Nazionale del Cinema d’Impresa di Ivrea, dove sono raccolti cento anni di documentari industriali di tutte le più importanti aziende italiane. Abbiamo fatto parlare il film con le loro voci e le loro immagini, riservando al montaggio il compito di esprimere il nostro punto di vista di narratori. Quello che più ci interessava, non era svolgere un discorso storico, politico o sociologico: ma provare a restituire il senso di energia, talvolta irresponsabile ma meravigliosamente spencolata verso il futuro, che è proprio ciò di cui sentiamo la mancanza oggi. Non per macerarsi in una mal riposta nostalgia: ma per capire come siamo arrivati dove stiamo ora”.


sabato 30 agosto 2014

Proposta d'estate

Salvare Taranto dall'eccidio ambientale si puo'

L’eccidio ambientale,  che si sta consumando a Taranto, deve essere portato a conoscenza di tutta l’Europa. Patologie gravi e aumento dei decessi connessi all’inquinamento ambientale continuano nel capoluogo jonico. Inaccettabile risulta essere lo stallo delle decisioni operative ed efficaci degli organismi comunitari e nazionali; irretiti, i primi, nella comoda scusa degli abnormi tempi procedurali e, i secondi, nella grande illusione del finanziamento privato alla ricapitalizzazione e alle prescrizioni dell’autorizzazione integrata ambientale. Aia che Ilva e gli altri stabilimenti del polo industriale tarantino avrebbero dovuto avere, scontando già il ritardo, al massimo entro il 2004. La direttiva istitutiva ne fissava i limiti di recepimento all’agosto del 1999. Giochetti di Palazzo e pressioni di lobby d’interesse hanno determinato la concessione delle prime Aia nel 2007.  La lettera di messa in mora dello Stato italiano per l’Infrazione alla direttiva sull’Aia ha il numero 2013/2177. Risale a 11 mesi fa,  in una UE che predica semplificazioni e repentinità di azioni! Messa in mora  seguita  all’indagine “EU Pilot 3268/12/ENVI”,  attivata dalla Commissione UE e riguardante l’applicazione della direttiva IPCC a Ilva del 26 marzo 2012. Il ritardo decisionale della Commissione UE sul caso Ilva è di palese evidenza atteso che la stessa è in possesso di tutti gli elementi necessari all’azione per le inadempienze del Governo italiano. Assenza totale di proposte da parte del Parlamento UE, repentino solo nelle decisioni riguardanti parametri di bilancio e vincoli, di spesa pubblica tanto cari ai dogmi del mainstream economico!   
Ilva era uno degli impianti industriali oggetto della procedura d’infrazione 2008/2071 riguardante impianti,  che funzionavano in assenza di Aia, e che ha determinato la condanna dell’Italia da parte della Corte di Giustizia UE nel 2011.  Dai controlli svolti dalle autorità (gennaio e maggio 2013) sono inattuate molte prescrizioni previste dall’AIA del 26 ottobre 2012, violando in tal modo la legge 231/2012.  Lo stabilimento siderurgico è gestito in violazione dell'articolo 14, lettera a), della direttiva IPPC, a norma del quale gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché il gestore rispetti, nel proprio impianto, le condizioni dell'autorizzazione Questo è tanto più grave in quanto l'Aia, che ai sensi della direttiva IPPC doveva essere emanata entro il 30 ottobre 2007, è stata rilasciata a ILVA nell'agosto 2011, e ciò malgrado la procedura d'infrazione avviata dalla Commissione europea nel 2008 sia  culminata nella di condanna  del marzo 2011 (C-50/10). Inoltre, ai sensi della 426/1998, che ha individuato i Siti di Interesse Nazionale ovvero, le aree che sono considerate altamente inquinate, e che devono essere bonificate con la zona industriale che comprende lo stabilimento siderurgico Ilva è inclusa nel SIN di Taranto.  
Il sito di pertinenza è stato caratterizzato, ed è risultato che il suolo, le acque superficiali e le acque sotterranee del sito sono gravemente inquinati. Dalle informazioni disponibili risulta,  che le acque e il suolo inquinati non sono ancora stati bonificati, che sono stati eseguiti solo alcuni interventi di messa in sicurezza d’emergenza dei suoli, mentre non sono stati eseguiti interventi di messa in sicurezza d’emergenza delle acque. La direttiva 2004/35/CE istituisce un quadro, per la responsabilità ambientale, basato sul principio “chi inquina paga”, per la prevenzione e la riparazione del danno ambientale. Ilva ha causato un inquinamento significativo e, in particolare, ha causato un danno delle acque e del terreno, come definito dall'articolo 2.1. lettera b) e c) della direttiva sulla responsabilità ambientale. Ai sensi dell'articolo 6, paragrafo 1, della direttiva quando si è verificato un danno ambientale, il responsabile adotta “ a) tutte le iniziative praticabili per controllare, circoscrivere, eliminare o gestire in altro modo, con effetto immediato, gli inquinanti in questione e/o qualsiasi altro fattore di danno, allo scopo di limitare o prevenire ulteriori danni ambientali ed effetti nocivi per la salute umana e b) le necessarie misure di riparazione” . A norma dell'articolo 6, paragrafo 3, l'Autorità competente dello Stato richiede che il responsabile adotti le misure di riparazione e, se l'operatore non adempie, l'Autorità competente ha facoltà di adottare essa stessa tali misure, qualora non le rimangano altri mezzi. 
Non risulta che le Autorità italiane abbiano preso provvedimenti per far si che Ilva adotti le necessarie misure di riparazione o, quantomeno, sopporti i costi di tale misure di riparazione. L’Autorità italiana ha invece velocissimamente riconosciuto un incredibile credito di imposta di mezzo miliardo di euro alla autostrada pedemontana lombarda e si appresta a riconoscerne altrettanti alla Pedemontana Veneta e alla Autostrada BreBeMi ( Brecia/Bergamo/Milano). Incredibile il riconoscimento di un credito imposta di 1,9 mld di euro all’autostrada Orte/Mestre che sconta il parere contrario della Corte dei Conti. I fruitori del credito ? Nella sostanza Banca Intesa, che controlla il 49% di Autostrade Lombarda, che controllano l’89% della BreBeMi  e il 25% della Pedemontana Lombarda mentre sulla Orte /Mestre troviamo la commissariata Banca Carige, la Efibanca Spa e la Gefip Holding del pluricondannato Vito Bonsignore.
Quando è nato il credito d’imposta? Con il Ministro delle Infrastrutture Passera e vice Ministro con delega infrastrutture Ciaccia. Entrambi di Banca Intesa. Ciaccia  ex amministratore delegato di Banca Intesa Infrastrutture e Sviluppo (BIIS) ,  consulente della Bre.Be.Mi (autostrada Bergamo-Brescia-Milano) . Advisor delle 2 autostrade Pedemontane (Lombarda e Veneta). E ancora la BIIS controlla la Cofergemi che sta realizzando la Tav  Ge-Mi (quella che ha avuto un miliardo al primo Cipe del Governo Monti) e che rappresenta l’opera più scandalosa italiana. Infrastrutture che hanno ottenuto copiosi finanziamenti pubblici e determinanti linee di credito dalla Cassa Depositi e Prestiti!  Bonifiche, dissesto idrogeologico e riconversione economica della città di Taranto non sono nell’agenda politica degli ultimi governi etero-diretti da interessi finanziarie e industriali sconfitti nella competizione globale e vincenti nell’assalto alla dissestata  finanza pubblica italiana Nella lettera di messa in mora la Commissione ha invitato il governo ai sensi dell'articolo 258 del trattato sul funzionamento dell'Unione Europea, a trasmetterle osservazioni,  entro due mesi dal ricevimento della  lettera.  
Ammettiamo che la Commissione,  con parere motivato condanni l’Italia. Visto il pregresso legislativo di legge pro Ilva l’Italia potrebbe non conformarsi al parere motivato, e la Commissione  adire alla  Corte di Giustizia. Mediamente, occorrono due anni perché la Corte pronuncia la propria sentenza. Le sentenze della Corte di giustizia non hanno lo stesso effetto di quelle dei tribunali nazionali. Al termine del procedimento, nella sua sentenza la Corte di giustizia costata, infatti, semplicemente l'esistenza (o la non esistenza) di un'infrazione. Lo Stato condannato dalla Corte di giustizia, può decidere di prendere le misure necessarie per conformarsi alla sentenza. Se lo Stato non fa nulla, la Commissione europea può soltanto adire di nuovo la Corte di giustizia e chiederle di infliggere allo Stato membro una penalità da versare fino al momento,  in cui avrà messo fine all'infrazione, e/o una somma forfettaria. Io credo invece che sia anche da valutare l’istituzione di una Commissione temporanea d’inchiesta , che è disciplinata dall’art. 193 Trattato CE attraverso la richiesta fatta dal 25% dei parlamentari europei. La Commissione d’inchiesta temporanea esamina le denunce d’infrazione o di cattiva amministrazione degli Stati o della Commissione UE, nell’applicazione del DIRITTO COMUNITARIO. So che è complesso avere il 25% dei parlamentari UE , ma sarebbe ad altissimo impatto politico e non potrebbe non produrre in tempi rapidi un provvedimento significativo. E’ ora che la vicenda di Taranto fuoriesca dal compromesso ambientale e politico-sindacale italiano e coinvolga associazioni, partiti e testate giornalistiche indipendenti che hanno realmente assunto la questione ambientale come questione di tutela della salute e settore su cui innescare uno sviluppo. Una crescita che generi benessere e ricchezza senza massacrare ambiente e vite umane. E’ una grande sfida. Io, assieme a CosmoPolis e quanto vorranno accompagnarsi in questo lungo percorso, ci sono. (E. Venosi - Cosmopolis)

venerdì 29 agosto 2014

Alternative!

A Crispiano inaugurazione impianto trasformazione canapa

"Costruiamo un nuovo modello di sviluppo sostenuto da fatti e azioni concrete": lo sottolinea l'assessore alle Risorse Agroalimentari della Regione Puglia, Fabrizio Nardoni, che domani sarà insieme al presidente della Regione Nichi Vendola, parteciperà all’inaugurazione dell’impianto industriale per la trasformazione della paglia di canapa realizzato proprio a Crispiano, in provincia di Taranto, dalla South Hemp Tecno.
“Quando si propone un nuovo modello di sviluppo occorre che l'idea – sottolinea Nardoni – sia supportata da fatti e azioni concrete in grado di sostenerlo. Oggi la coltivazione della canapa (cannabis sativa) sul nostro territorio è una realtà che la Regione Puglia ha accompagnato e sostenuto. Mancava il tassello importante della trasformazione del prodotto. L’anello della filiera che consente di commercializzare e fare profitto su questo segmento agricolo originariamente demonizzato ed oggi finalmente riscoperto nelle sue potenzialità agricole, alimentari, di ambientalizzazione e per uso chimico e industriale”.
“L'inaugurazione dell’impianto di trasformazione a Crispiano – aggiunge – è la migliore risposta al disfattismo di chi pensa che non si possa partire dall’agricoltura per invertire la rotta di un territorio dalle grandi criticità ambientali, occupazionali e sanitarie”.
L'impianto tarantino, secondo solo a quello di Carmagnola, porterà in Puglia inizialmente la canapa prodotta dai 250 ettari seminati tra Abruzzo, Molise, Basilicata, Campania, Calabria e soprattutto Puglia, spiega. “La paglia di canapa processata qui servirà poi – spiega ancora l’assessore regionale – a creare derivati utili soprattutto per la bioedilizia. Ma credo che al di là dei dati sia importante il processo che da domani vedrà la Puglia e gli agricoltori pugliesi attivamente protagonisti. Si è seminato a ridosso dell’Ilva e di Cerano, lì dove non c'era più molta speranza siamo tornati a ridare prospettiva futura e reddito ad agricoltori che l’avevamo persa. Ora si tratterà di contribuire ancora di più a questo processo attivando misure e azioni di sostegno nell’ambito del prossimo Programma di Sviluppo Rurale, che come indicato da Bruxelles, stiamo costruendo più attento all’innovazione, all’aggregazione e ad una agricoltura eco-sostenibile”.
A tal proposito l’Assessorato alle Risorse Agroalimentari della Regione Puglia sta predisponendo nell’ambito del documento di programmazione 2014-2020 gli strumenti economico-finanziari per sostenere lo sviluppo dell’agricoltura (coltivazioni bio-riparatrici, produzione di biomassa – ndr) anche nei territori a ridosso di grandi insediamenti industriali o in aree Sin. (GdM)

E poi sono gli ambientalisti a fermare tutto!

Porto Taranto, Authority annulla atti su terminal e riassegna i lavori alla banchina

L'Autorità portuale di Taranto riassegna i lavori per l'ammodernamento della banchina del molo polisettoriale che dal 2001 ospita Taranto container terminal (Tct), società che fa capo ad Hutchinson ed Evergreen. È il primo degli interventi infrastrutturali messi in cantiere per il terminal. L'importo a base d'asta era di 61,758 milioni di euro, su un pacchetto complessivo che ne vale circa 200, e l'aggiudicazione avvenne a novembre scorso per 46,834 milioni col criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa.
Adesso l'Authority, presieduta da Sergio Prete, ha annullato in autotutela gli atti che l'avevano portata ad assegnare l'opera ad un raggruppamento di imprese formato da Cantieri Costruzioni Cemento, Salvatore Matarrese ed Icotekne riassegnandola al raggruppamento classificatosi secondo in graduatoria e formato da Consorzio stabile Grandi Lavori, Ottomano e Favellato. Deliberato, inoltre, l'affidamento allo stesso raggruppamento della progettazione esecutiva in modo che si possa partire al più presto con le prime attività. E già nella prossima settimana, si apprende dall'Authority, gli esponenti delle nuove imprese avranno incontro per decidere come procedere.
"Abbiamo annullato gli atti in autotutela e concluso il procedimento avviato. A luglio - spiega il presidente Prete - sono stati acquisiti una serie di documenti da cui si evince che il raggruppamento inizialmente vincitore non è più in possesso dei requisiti previsti dalla procedura". Il riferimento è alla regolarità contributiva che, per l'Autorità portuale, sarebbe venuta meno.
È da sottolineare che proprio su quest'intervento relativo al terminal container si è consumata, e non si è ancora conclusa, un'aspra battaglia legale tra Tar di Lecce e Consiglio di Stato. Il raggruppamento secondo in graduatoria, una volta vistosi escluso dall'aggiudicazione, ha fatto ricorso al Tar che ha concesso la sospensiva. La contestazione sollevata verteva sul fatto che il gruppo vincitore aveva presentato al committente una soluzione progettuale ritenuta non in linea con la richiesta. Ai primi di aprile, però, lo stesso Tar, pronunciandosi nel merito, ha stabilito che Cantieri Costruzioni Cemento, Salvatore Matarrese ed Icoteckne non avevano alterato nulla e che migliorie tecniche sono comunque previste dalla normativa. La vicenda sembrava chiusa lì, con i cantieri pronti a partire dopo una stasi di alcuni mesi, tenuto conto che l'Authority, una volta assegnati i lavori a novembre, disse che ne prevedeva l'avvio per i primi di febbraio. Invece il verdetto del Tar portó una tregua solo di pochi giorni. Il 7 aprile scorso, infatti, si seppe che il raggruppamento uscito sconfitto al Tar si era subito rivolto al Consiglio di Stato con un appello. Di qui nuova sospensiva, nuovo allontanamento della data di avvio dei cantieri, e udienza di merito fissata dal Consiglio di Stato per il 28 ottobre prossimo.
Questo malgrado le sollecitazioni rivolte al Governo dalla stessa Autorità portuale, dai sindacati confederali e dal Comune di Taranto perchè il pronunciamento in appello avvenisse in tempi più solleciti considerata l'importanza dell'intervento e le sue ricadute sull'intero scalo. Nel frattempo, l'Authority ha portato avanti il monitoraggio del caso ed è giunta alla conclusione che coloro che avevano vinto la gara d'appalto nei mesi precedenti, adesso non hanno più i requisiti. Da rilevare, specifica l'Authority, che a novembre è stata fatta la cosiddetta aggiudicazione definitiva, non quella efficace. E adesso che accadrà? "Noi abbiamo preso le nostre decisioni e speriamo che la questione si sblocchi - dice Prete -. Certo, non è da escludere che adesso sia il gruppo primo in graduatoria a intraprendere una nuova battaglia legale".
Va intanto avanti l'esame delle offerte delle imprese che si sono candidate al bando dell'Authority, lanciato in primavera, per il dragaggio dello specchio di mare antistante la banchina del terminal. Si tratta del secondo, rilevante intervento del pacchetto Evergreen. Settanta milioni circa l'importo dell'opera, finalizzata a portare i fondali ad una profondità di 16,50 metri e consentire così l'attracco a Taranto delle portacontainer di ultima generazione. L'istruttoria delle offerte dovrebbe concludersi a settembre.
All'ammodernamento complessivo del terminal, la società Tct subordina la sua permanenza nel porto di Taranto in quanto ne fa una questione di efficienza operativa e di competitività rispetto agli altri scali. Tutto il pacchetto di interventi è regolamentato da un accordo che ha coinvolto diversi ministeri con l'obiettivo di aumentare i traffici portuali. L'accordo è dell'estate 2012, è stato poi ripreso nella legge 171 dell'ottobre 2012 (bonifica e rilancio dell'area di Taranto) e i lavori, stando all'iniziale ruolino di marcia, si sarebbero dovuti concludere a fine 2014. Ritardi vari hanno fatto però saltare questa data e adesso la conclusione delle opere, almeno le più importanti, è per dicembre 2015. Un aggiornamento che ha portato Tct a prevedere la prosecuzione della cassa integrazione a rotazione per circa 550 addetti. (Sole24h)

"Solo" duecento tonnellate di lava metallica!

Taranto, tragedia sfiorata: all'Ilva deraglia un 'carro siluro' con 200 tonnellate di ghisa

Tragedia sfiorata ieri sera a tarda ora all'Ilva di Taranto. Nella zona dell'Acciaieria 1, per cause ancora in fase di accertamento, è deragliato, rovesciandosi, un carro siluro (chiamato così per la forma allungata). Il mezzo trasportava circa 200 tonnellate di ghisa liquida ad altissima temperatura, destinate a essere trasformate in acciaio. Non ci sono stati danni alle persone presenti sul posto ma solo agli impianti.
Nessun ferito
Bloccata l'attività dell'Acciaieria 1 e anche, di conseguenza, dell'altoforno 4. "Accerteremo con l'Ilva stamattina come sono andate le cose all'Acciaieria 1. Da quello che sappiamo, il carro siluro che è deragliato ha trovato il binario ostruito da altri carri e di qui l'incidente". E' questa la ricostruzione che fa dell'accaduto Cosimo Panarelli, segretario della Fim Cisl di Taranto. "Per fortuna che non è accaduto nulla di grave soprattutto agli operai e a quanti erano sul posto di lavoro se consideriamo che il mezzo trasportava ben 200 tonnellate di ghisa", aggiunge Panarelli.
Tutta la zona era inagibile
Secondo la versione fornita dal sindacalista, sullo stesso binario sarebbero stati presenti in quel momento altri due carri siluro. Veri e propri convogli ferroviari che trasportano la ghisa dagli altiforni, da dove viene colata, alle acciaierie e trasformata in acciaio. "Il carro siluro funziona come un vero e proprio carro ferroviario, ha il locomotore e viene manovrato dall'addetto - spiega Panarelli - se, come pare, il binario era ostruito bisogna ora capire perchè il carro siluro pieno di ghisa non è stato fermato in attesa che il percorso venisse liberato. Bisogna capire cosa ha determinato la collisione. La ghisa, una volta fuoriuscita, è finita per terra, sui binari, e questo ha determinato l'inagibilità di tutta la zona. In nottata, poi, è stato fermato l'altoforno 4 la cui produzione di ghisa - aggiunge Panarelli - non poteva più essere mandata in acciaieria per la relativa trasformazione essendoci appunto un blocco".
Un altro incidente
Blocco che, secondo il sindacalista, persiste ancora "non essendo possibile ripristinare la piena funzionalità in poche ore". Prima dell'incidente in Acciaieria 1, all'Ilva c'era stato un altro incidente ma di natura diversa: delle emissioni dal Treno nastri 1. Era scattato quindi l'allarme e la comunicazione di quanto avvenuto alle autorità competenti tra cui Comune e Prefettura di Taranto e Arpa Puglia. L'azienda ha però precisato, relativamente a quest'episodio, che non ci sono state conseguenze nè per gli operatori, nè per l'ambiente. (Rainews)


Ed ecco il comunicato stampa "minimizzatore" dell'Ilva. 
Notare lo stile "tutto sotto controllo, quisquiglie!"

Sversamento di ghisa

Nessun danno alle persone o all'ambiente. Ripresa l'attività produttiva

Nella serata di ieri, alle ore 21.55, durante una manovra routinaria di trasferimento di due carri siluro - dagli altoforni verso l'acciaieria 1 - contenenti ghisa liquida, all'altezza di uno scambio ferroviario, si è verificato il deragliamento di uno dei due carri siluro trasportati. Ciò ha causato lo sversamento di ghisa liquida contenuta nel carro, provocando un principio di incendio prontamente domato dall'intervento dei Vigili del Fuoco.
L'evento ha generato la momentanea impossibilità di trasferimento dei carri siluro dall'area degli altoforni verso l'acciaieria 1. In conseguenza, è stata ridotta la produzione di ghisa negli altoforni e di acciaio in acciaieria 1.
Al momento (ovvero all'ora della diffusione di questa nota), la linea di collegamento ferroviario tra l'area altoforni e l'acciaieria 1 è stata parzialmente ripristinata, con conseguente ripresa dell'attività produttiva in acciaieria 1.
Quanto accaduto non ha comportato alcun danno a persone o all'ambiente, ed è stata data tempestiva comunicazione alle autorità competenti (Prefettura di Taranto, Regione Puglia, Comune di Taranto, Comune di Statte, Provincia di Taranto, Questura di Taranto, Comando provinciale Carabinieri di Taranto, Comando provinciale Vigili del Fuoco, Arpa Puglia, Arpa Taranto e 118.).
L'azienda si riserva di dare informazione sulle cause all'esito di una indagine prontamente avviata, avendo all’uopo costituito una commissione di esperti interni.

mercoledì 27 agosto 2014

E noi paghiamo...

Ilva tra Bad e New Company

Sono giorni che insistentemente non solo sulla stampa, ma tra i funzionari del ministero dello Sviluppo Economico e dell’Ambiente si parla del futuro dell’Ilva come di un futuro che porterà ad un intervento di chirurgica separazione dal punto di vista societario. E’ lo schema che è stato seguito con Alitalia, per favorire l’acquisto da parte della cordata d’imprenditori guidata da Colaninno di cui fece parte anche la famiglia Riva. Sappiamo - ormai lo sanno tutti - che il  commissario di governo per Ilva, Piero Guidi, insieme al ministro Federica Guidi, hanno come proposta da fare agli acquirenti dell’Ilva quella di dividere la società in due: una bad company e una  new company. Ma si farà peggio di quanto fu fatto con Alitalia, perché i costi che si scaricheranno sulle casse dello Stato italiano saranno maggiori di quanto accaduto con la compagnia aerea. 
Arcelor –Mittal, società molto discussa a livello europeo, specialmente in Francia, ha già manifestato il suo interesse all’acquisto dell’impianto siderurgico. Ma Arcelor-Mittal perché dovrebbe acquistare l’Ilva su cui pende un processo, dove con ogni probabilità saranno presentate circa 1.500 richieste di costituzioni di parti civili, di risarcimento danni, con un danno ambientale provocato alle falde, ai suoli, al mare? Sappiamo che per fare le bonifiche serviranno tra i 4 ai 5 miliardi di euro, nell’Aia non è stato considerato l’inquinamento alle acque. Il Governo ha deliberato un prestito ponte di 250 milioni di euro. A ciò aggiungo che, secondo quanto messo nero su bianco dall’ex commissario Ronchi, per dare attuazione alle prescrizioni Aia serviranno 4,1 miliardi con una tempistica che arriva fino al 2020. Nessuna società al mondo con un quadro economico di questo tipo comprerebbe l’Ilva.  Ma se l’Ilva viene divisa in due le cose cambiano. Nella bad company il governo, d’accordo con i Riva, inserirà i contenziosi , le bonifiche ( Arcelor-Mittal sosterrà che quello che  è accaduto nel passato non c’entra nulla), i debiti, il prestito ponte dello Stato, gli inevitabili esuberi legati al piano di ristrutturazione, la richiesta di risarcimenti connessi  all’esito del processo e l’onere delle bonifiche. Nella new company ci saranno gli impianti, gli immobili,i suoli: in sintesi tutto ciò che determinerà valore aggiunto e non perdita.
La conseguenza di una simile strategia sarà quella di dire addio alla possibilità di fare le bonifiche a Taranto, il principio chi inquina paga sarebbe seppellito con tanto di funerale, gli investimenti per dare applicazione all’Aia non saranno certamente quelli previsti dall’ex sub commissario Ronchi fissati in 4,1 miliardi di euro. Non è un caso, infatti, che il Piano industriale che doveva essere approvato il 9 giugno del 2014, come stabilito dalle modalità previste dal decreto n.207/2013, non sia ancora stato nemmeno presentato. Chi subentrerà nell’acquisto, oltre ad ottenere i notevoli benefici dello scorporo societario, metterà le sue condizioni sul nuovo Piano. Non sarà approvato il Piano industriale da 4,1 miliardi di euro che avrebbe dovuto applicare le prescrizioni AIA del 2012. Dobbiamo avere ben presente che la relazione di Valutazione sul danno sanitario elaborato dalla regione Puglia evidenzia due scenari. Uno scenario senza attuazione dell’AIA, nel quale si parla di 22.500 persone a Taranto che saranno a rischio di malattie tumorali a causa dell’inquinamento; e, l’altro scenario, quello legato alla piena applicazione delle prescrizioni ambientali previste dall’AIA in cui la relazione individua in 12.500 le persone a rischio tumore. Questi dati danno il segno della drammaticità della situazione tarantina, ma  fanno comprendere anche  come con questo ritardo, ovvero la trattativa sul Piano industriale, si sta giocando con la vita delle persone.
Con bad company e new company, lo slogan “ socializzare le perdite e privatizzare i profitti“ è molto attuale. Le perdite saranno quelle ambientali, sanitarie, perché all’orizzonte non s’intravedono le bonifiche urgenti per eliminare i veleni dai terreni, dalle falde e dal Mar Piccolo e il Mar Grande. Saranno perdite anche economiche perché la domanda da porsi è la seguente: chi restituirà il prestito ponte di 250 milioni di euro, al di là delle rassicurazioni del governo?  Certamente non sarà chi comprerà!  Sarà lo Stato, se lo farà, a doversi fare carico dei lavori urgenti di bonifiche sui suoli e per la messa in sicurezza delle falde. Lo schema della bad company significherà non fare le bonifiche e lasciare il disastro ambientale a danneggiare economia e salute. La bad company darà il via libero alla ristrutturazione interna dello stabilimento con esuberi e licenziamenti. Ora, di fronte ad uno scenario di questo genere, sarebbe il caso, per me doveroso, che il governo scommettesse sul futuro di Taranto pensando ad un progetto di conversione e di grande trasformazione come abbiamo provato ad indicare molte volte. Non è assolutamente vero che senza Ilva assisteremo  al disastro sociale. Se si costruisce la conversione accadrà il contrario. A Bilbao, Pittsburgh e nella Ruhr ci sono riusciti. Perché non a Taranto?  Taranto in questi decenni ha pagato un prezzo alto in termini d’inquinamento ambientale e di vite umane per lo “sviluppo economico” dell’Italia. Oggi tutta l’Italia dovrebbe occuparsi di questa città, come Taranto si è occupata dell’Italia negli ultimi 54 anni. (Angelo Bonelli - Cosmopolismedia)

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Taranto divisa su Tempa Rossa

Le ultime autorizzazioni per costruire a Taranto, nella raffineria Eni, la base logistica di Tempa Rossa, il giacimento della Basilicata da 50mila barili di petrolio e 230mila metri cubi di gas naturale al giorno (investimento a regime di 1,6 miliardi di euro privati) sono arrivate tra giugno e luglio. Prima l'autorizzazione sismica della Provincia di Taranto per gli impianti cosiddetti "ancillari", poi quella del ministero dell'Ambiente che esclude la Via per il piano di scavo di 300mila metri cubi nell'area destinata ad ospitare i due serbatoi di stoccaggio da 180mila metri cubi, raccomandando però un piano di monitoraggio ambientale prima, durante e dopo i lavori da concordare con l'Arpa Puglia. Adesso, per il via libera al cantiere, manca il sì del Comune di Taranto relativamente agli aspetti urbanistici, edilizi e concessori. Ma il Comune, in sintonia col movimento ambientalista, sbarra la strada al progetto e ribadisce proprio in questi giorni il no già espresso nel 2012 in quanto teme un aumento delle emissioni fuggitive e incidenti in mare a seguito dell'arrivo delle petroliere (90 in più in anno). «Taranto non può ricevere altri danni ambientali» dice il sindaco Ezio Stefàno. «Taranto non può essere la città dei no» protesta Vincenzo Cesareo, presidente di Confindustria Taranto, che dell'investimento ha fatto uno dei motivi alla base del corteo di protesta del 1° agosto scorso che ha visto sfilare 2mila persone tra imprenditori locali e loro dipendenti. «No irrazionali e immotivati allontanano lavoro e opportunità per le imprese» aggiunge Cesareo.
Il numero che accende le polemiche è 12% perchè questa, per gli ambientalisti, sarebbe la percentuale di incremento dell'inquinamento. «Ma non è così - dice la joint Total, Shell e Mitsui che gestisce Tempa Rossa mentre Eni è solo partner logistico -. Il progetto approvato dal ministero dell'Ambiente prevede che il saldo delle emissioni della raffineria in seguito agli interventi sarà uguale a zero: nessun incremento in confronto ad oggi. La cifra del 12 per cento non corrisponde all'evoluta realtà tecnica prevista. Come approvato in sede ministeriale - puntualizza la joint -, l'incremento delle emissioni complessive di composti organici volatili è in realtà pari al 4,8 per cento delle emissioni degli stessi composti stimate nell'attuale configurazione della raffineria. È stato quindi predisposto un piano di interventi gestionali e tecnologici in grado di conseguire la totale compensazione del limitato incremento emissivo dovuto all'adeguamento della logistica della raffineria di Taranto. Pertanto con Tempa Rossa - afferma la joint - il quadro emissivo complessivo della raffineria non subirà variazioni. E Taranto farà solo stoccaggio e nessuna lavorazione o trasformazione del greggio».
Altra obiezione sollevata dal fronte del no è la modesta ricaduta occupazionale dell'investimento, su Taranto stimato in 300 milioni di euro. «Per i posti di lavoro - afferma la joint - prevediamo che il cantiere impiegherà circa 50 imprese tra lavori civili, meccanici ed elettrici, soggetti il cui numero potrà subire delle oscillazioni in fase di realizzazione dell'opera. In fase di costruzione, il progetto Tempa Rossa contribuirà alla creazione di 300 posti di lavoro a Taranto e fornirà una risposta immediata e concreta ai bisogni occupazionali che affliggono la realtà locale. Ottenute le ultime autorizzazioni, l'opera sarebbe già realmente cantierabile. La durata della costruzione dei nuovi impianti - si afferma - è stimata in circa 24 mesi». (Palmiotti - Sole 24h)

martedì 26 agosto 2014

IPASSENNATO

Ilva: emissioni Ipa al 99,4%, ecco la prova che Peacelink non farnetica


Se date un’occhiata a questo video vi renderete conto di cosa significa vivere e respirare nel quartiere Tamburi di Taranto quando il vento viene dall’area dell’Ilva. All’alba di oggi  il quartiere Tamburi era in buona parte “avvolto” dagli Ipa (Idrocarburi policiclici aromatici), che sono inquinanti potenzialmente cancerogeni. Gli Ipa nel 2009-2010 – in quel quartiere accanto al quale sbuffano le cokerie (fonte di Ipa) – si erano attestati attorno alla media di 20 nanogrammi a metro cubo. I valori che vedrete nel filmato, girato oggi da Luciano Manna, sono di gran lunga superiori, e – oltre che trascritti con la penna sul blocco note – sono andati a finire nella memoria elettronica dell’analizzatore portatile utilizzato da PeaceLink.
Ma proprio sul monitoraggio degli Ipa a Taranto PeaceLink si è presa una solenne bacchettata dal direttore generale dell’Arpa, Giorgio Assennato. “Quelle di PeaceLink sono farneticazioni”, ha dichiarato. Aggiungendo con disappunto: “C’è un’organizzazione ambientalista che fa del terrorismo psicologico il suo strumento di penetrazione”. Va tuttavia sottolineato che i dati diffusi negli scorsi giorni da PeaceLink non erano stati rilevati con l’analizzatore portatile che vedete nel filmato. I dati diffusi da PeaceLink erano invece rielaborazioni ottenute partendo da dati dell’Arpa stessa e utilizzando un modello matematico sempre dell’Arpa Puglia.
PeaceLink non aveva fatto altro che aggiornare al 2014 il modello matematico che stava alla base del rapporto Arpa del 4 giugno 2010, da cui nacque la furibonda girandola di telefonate e di intercettazioni della Procura in cui è finito anche Vendola. Aggiornando i dati di quel modello matematico, PeaceLink aveva fornito una notizia: Ilva, anche solo con 4 cokerie attive su 10, continua a emettere il 99,4% di tutti gli  Ipa censibili a Taranto. Questa altissima percentuale spiega perché a Taranto siano così importanti gli Ipa e perché la gente da tempo guardi con apprensione i dati di queste sostanze potenzialmente cancerogene e genotossiche, fra cui il pericolosissimo benzo(a)pirene. Questa è anche la ragione per cui PeaceLink si è “armata” dello strumento di misurazione in dotazione di Arpa.
E tuttavia – come già detto – quello che ha fatto discutere negli scorsi giorni non sono state le misurazioni di PeaceLink ma quelle di Arpa, risultate per gli Ipa particolarmente elevate: 28 nanogrammi a metro cubo nella centralina in via Orsini (a poca distanza dall’Ilva). Il valore di 28 nanogrammi a metro cubo e un dato superiore a 20 nanogrammi a metro cubo, ossia il valore registrato nella centralina del quartiere Tamburi di via Machiavelli nel 2009-2010 quando scoppiò lo il problema “benzo(a)pirene”. C’è da preoccuparsi? No, è solo colpa del traffico, non dell’Ilva, ha messo le mani avanti il direttore generale dell’Arpa Puglia.
Quella centralina tuttavia va detto che avrebbe lo scopo di monitorare il processo di diffusione degli Ipa provenienti dalla cokeria, fornendo misurazioni seriali dettagliate e continue (in gergo tecnico si parla di “alta risoluzione temporale”). La posizione è stata scelta in un tavolo tecnico a cui partecipava Arpa. I dati di quella centralina – deputata a controllare l’Ilva – non possono però essere usati da PeaceLink perché darebbero valori eccessivi e indurrebbero a “farneticazioni”. Questa è la posizione in buona sostanza del professor Assennato che ha dichiarato: “Che piaccia o no in via Orsini c’è un problema  locale specifico che non ha niente a che fare con le emissioni del siderurgico. Quella di Marescotti è pura propaganda ideologica. Purtroppo, però, ottengono più riscontro le sue farneticazioni che le nostre valutazioni scientifiche. E’ una cosa che Taranto pagherà per secoli”.
Per curiosità io e il fotoreporter Luciano Manna oggi ci siamo svegliati presto e siamo andati in via Orsini per controllare questa autorevole dichiarazione. Armati di analizzatore Ipa, telecamera, macchina fotografica e smartphone per controllare il meteo, ci siamo appostati monitorando la situazione. E dobbiamo dire che il direttore generale dell’Arpa Puglia ha ragione. Abbiamo registrato picchi altissimi dovuti a veicoli molto inquinanti, assieme a momenti in cui i valori erano ben inferiori. Conclusione: l’Arpa ha lasciato malamente posizionare una centralina in mezzo a due distributori di benzina, ad un’arteria di traffico non indifferente e non distante dal punto in cui stazionano gli autobus urbani, molti dei quali diesel. In quel punto non andava messa nessuna centralina degli Ipa finalizzata al controllo dell’Ilva. E ci chiediamo come mai l’Arpa abbia fatto un simile errore. In quel punto abbiamo registrato una media di 87 nanogrammi a metro cubo di Ipa.
Ma siccome siamo curiosi, abbiamo fatto anche altre misurazioni nelle case più vicine all’Ilva, quelle di via Lisippo ad esempio. Lì  i valori erano addirittura superiori: ben 90 nanogrammi a metro cubo. Nelle condizioni meteo odierne (vento da Ilva) nel 2009-2010 si registravano tra i 20 e i 28 nanogrammi a metro cubo nella centralina di via Machiavelli (Tamburi). Oggi invece abbiamo registrato concentrazioni tre-quattro volte superiori in condizioni meteo simili. Questo non significa che la situazione sia peggiorata rispetto a quattro anni fa, ma solamente che se ci si avvicina al muro di cinta dell’Ilva i dati solo molto alti, e – come documenta il video - non sono “farneticazioni”.
Della questione si è occupato anche Antonia Battaglia su MicroMega. L’articolo è consultabile qui. (Marescotti - FQ)

Taranto abbandonata

Taranto continua a essere il paradosso della politica italiana. 


La città nella quale si scontrano i poteri forti, che la tengono ostaggio di interessi economici sovrastanti. La città nella quale la Magistratura tenta di bloccare il laissez-faire imposto dal Governo, ma viene intimidita da leggi che depotenziano la portata dei provvedimenti adottati. La città dove le Istituzioni Europee portano avanti un braccio di ferro con un Governo che promette ma che mai realizza, posponendo all’infinito. La città dove, in un clima di scontro continuo, i cittadini e le loro associazioni, in una lotta senza quartiere contro lo stato di adattamento e di abbandono, sono rimasti l’unica risorsa per sollevare la cortina spessa di fumi, IPA, diossina, omertà, corruzione, indulgenza, collusione, che ha fatto di Taranto una delle città più isolate e disperate del Paese.

Il 14 agosto scorso, la Commissione Europea ha inviato a Peacelink una lettera nella quale il Commissario all’Ambiente Potočnik si dice preoccupato per le condizioni sanitarie ed ambientali nelle quali versa la città, come confermato dall’aggiornamento recente dello studio “Sentieri”: 21% di mortalità infantile in più rispetto al resto del Paese, solo per citare uno dei tanti dati allarmanti.

La Commissione, in questa lettera che fa seguito a numerosi scambi ed incontri avvenuti con Peacelink, reitera che l’annoso inquinamento è una questione molto complicata, che deve pur essere risolta con l’impegno del Governo Italiano! Perché, effettivamente, si potrebbe pensare che a Taranto i diritti garantiti dalla Costituzione non siano gli stessi che altrove.

La lettera del Commissario fa venire in mente, in maniera indiretta, che il responsabile primo dello stallo in cui versa la mia città è l’assenza totale delle istituzioni, che avrebbero dovuto fare il proprio dovere, proteggendo noi tarantini dal pericolo al quale siamo ancora esposti. Ma lo Stato non c’è. Dovrebbe fare più notizia il fatto che lo Stato abbia venduto i propri cittadini al mercato dell’acciaio, che una processione religiosa che si inchina ai mafiosi. La Commissione europea, interviene, per quanto la legislazione europea consenta, si fa carico della sofferenza della città, e nella lettera dice testualmente che «essa perseguirà la strada intrapresa fino a che piena soddisfazione non sarà stata data alla popolazione di Taranto direttamente toccata dalla questione Ilva ».

Sono parole tristi, che testimoniano della situazione di abbandono. Sono parole che avrebbe dovuto pronunciare lo Stato, garante dei diritti inderogabili dei suoi cittadini. Ma lo Stato, scomparso da tempo, si nasconde dietro una coperta divenuta ormai troppo corta e affollata già dallo stesso Governo e dalle Istituzioni locali. Non si entra a Taranto nelle questioni vere, e se si viene in visita ufficiale è per fare il giro della sposa: una bella passeggiata in un’Ilva con gli impianti chiusi per l’occasione, con gente che sorride felice sotto minaccia.
L’Arpa Puglia ha definito frutto di farneticazioni i dati, prodotti dalla stessa Arpa, ed elaborati da Peacelink che ha solo aggiornato al 2014, con il modello matematico Arpa, i dati relativi all’inquinamento da IPA (idrocarburi policiclici aromatici, sostanze potenzialmente molto cancerogene) al 2013-2014.

A maggior conferma, e per fugare ogni dubbio, Peacelink ha effettuato la mattina del 26 agosto scorso delle nuove rilevazioni presso il quartiere Tamburi a ridosso dello stabilimento. Le concentrazioni di IPA sono risultate tre-quattro volte superiori ai valori del periodo 2009-2010, pre-AIA, pre-leggi Ilva, pre-Commissariamento del Governo!

Dopo ben sei decreti, siamo oggi al punto in cui sembra che la situazione ambientale sia addirittura peggiorata. Oltre alle rilevazioni strumentali, ci sono centinaia di foto e segnalazioni continue, a Taranto siamo tutti eco-sentinelle e sappiamo, secondo i venti, se possiamo aprire le finestre o meno.

Le prescrizioni dell’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) non sono state realizzate, ma dal 2011 (data in cui fu elaborata la prima versione) ad oggi, esse sono state solo modificate per allungarne la messa in attuazione, che ormai sembra cosa alquanto remota.

Le due ultime leggi sull’Ilva (n.6 del 6/2/2014 e n.100 del 16/7/2014) appaiono come un attacco al bilanciamento dei poteri sancito dalla Costituzione ed una contrapposizione netta al diritto comunitario. A parte la violazione flagrante della direttiva EU sulla riduzione e la prevenzione dell’inquinamento, la legge attuale autorizza l’Ilva a non realizzare il 20% delle prescrizioni del permesso AIA (in questo 20% potrebbero esserci le misure più urgenti, importanti e quindi più costose) e di conseguenza a produrre senza rispettare le leggi approntate precedentemente.

Sembra che il Governo e lo Stato si pongano al di là della legge italiana ed europea e vadano contro i dettami della Corte Costituzionale, che in una sentenza del maggio 2013, ha sancito la persistenza del vincolo cautelare sulle aree e sugli impianti dello stabilimento posti sotto sequestro dal Gip Todisco il 26 luglio del 2012.

La Corte Costituzionale ha affermato che l’attività produttiva è ritenuta lecita solo se è garantito il pieno rispetto del permesso AIA, che prevedeva una messa a norma dello stabilimento entro il luglio del 2014. Il piano ambientale contenuto nelle nuove leggi parla del 2015 e del 2016 per la realizzazione di alcune prescrizioni. Eppure il tempo non va indietro e la situazione sanitaria peggiora di giorno in giorno.

Secondo la Corte Costituzionale, la deviazione dal percorso di messa a norma, che era l’assicurazione di un bilanciamento tra il diritto al lavoro ed il diritto alla salute, doveva ritenersi illecita e pertanto perseguibile ai sensi delle leggi vigenti.
Il bilanciamento di tali diritti viene meno nel momento in cui l’Ilva dichiara di non poter mettere in opera l’AIA a causa di mancanza di fondi.
Svuotata la legge di ogni suo valore, relegate le direttive europee in un angolo, protetta l’Ilva e la sua produzione anche attraverso incredibili opere di propaganda mediatica quale la nomina di un nuovo sub-commissario, quali ridondanti piani industriali futuri, ecco che il Governo sembra aver posto in essere ancora una volta tutte le garanzie volte a garantire la continuità di una produzione i cui effetti per la popolazione e gli operai appaiono devastanti, lo dicono perizie e studi.

Il 7 Ottobre prossimo la Corte di Cassazione si pronuncerà sulla rimessione o meno del processo “Ambiente Svenduto”. L’Ilva-Gate ha 53 imputati, tra i quali tre società appartenenti alla famiglia Riva (Ilva, Riva Fire e Riva Forni Elettrici); il Presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola; l’ex Presidente dell’Ilva (ed ex prefetto di Milano) Bruno Ferrante; altri due ex direttori dello stabilimento, Luigi Capogrosso ed Adolfo Buffo; l'ex addetto alle relazioni istituzionali dell'Ilva, Girolamo Archiná; il direttore dell'Agenzia regionale per la protezione ambientale della Puglia (Arpa), Giorgio Assennato; l’assessore all'Ambiente della Regione Puglia, Lorenzo Nicastro (IdV); l'ex consigliere regionale della Puglia, oggi deputato di Sel, Nicola Fratoianni; l'attuale consigliere regionale Donato Pentassuglia (Pd) e l’ex assessore provinciale all’Ambiente Michele Conserva (Pd).

Quasi tutti i politici per i quali è stato chiesto il rinvio a giudizio sono ancora nell’esercizio delle proprie funzioni. Mentre la città assediata dalle malattie aspetta, il Governo continua ad utilizzarla come une enorme esperimento a cielo aperto. A Taranto non ci sono ospedali attrezzati per far fronte all’emergenza cancro e per curare e diagnosticare le altre malattie che gli esperti dicono generate dall’inquinamento. I suicidi fanno parte ormai della cronaca quotidiana. Non si vive, si sopravvive.

In aggiunta al problema Ilva, come se non bastasse, ad aggravare il carico negativo, c’è il progetto Tempa Rossa. E’ di qualche giorno fa la notizia della già avvenuta approvazione di questo progetto di sfruttamento del ricchissimo giacimento petrolifero, situato in località Tempa Rossa nella valle del Sauro, in Basilicata. Esso prevede una centrale di smistamento del petrolio greggio in arrivo nel porto di Taranto, che diventerà un esteso terminal petrolifero. Il materiale arriverà per essere trasportato verso diverse raffinerie in Italia e all’estero, una parte di esso invece sarà lavorato e stoccato a Taranto presso la raffineria Eni che nel frattempo sarà stata raddoppiata.

I problemi sono più che evidenti e sono legati alla concentrazione alla raffineria e al porto di tutto il petrolio del Sud Italia, e di conseguenza alla pericolosità che attività del genere possono avere in maniera definitiva sull’ecosistema, già pesantemente provato dalla presenza dell’industria siderurgica e della grande base Nato.
C’è bisogno urgente di un cambio di passo, di una nuova visione, di una nuova classe dirigente che sappia affrontare le drammatiche condizioni in cui versa non solo Taranto ma l’intero Paese. Che nasca un movimento qui, da chi ha più sofferto e che non ha null’altro in cui sperare se non l’energia che scaturisce dalle proprie forze.

La società è profondamente cambiata. Nuovi bisogni emergono giorno dopo giorno senza trovare risposta. C’è bisogno di stabilità nello sviluppo, di coesione e di giustizia sociale diffusa, in cui le località siano artefici del loro stesso futuro: Taranto non ha mai avuto accesso alla “stanza dei bottoni”, in cui sono state prese le decisioni che così drammaticamente l’hanno riguardata e la riguardano. E’ ora di darsi una strategia per cambiare un futuro che sembra già segnato.

La crisi della città potrebbe essere risolta con un’energica azione di valorizzazione economica delle risorse locali e con un programma di diversificazione economica e produttiva. Ad esempio, la riconversione industriale affrontata con iniezioni di nuove tecnologie, l’allargamento delle attività portuali, nuovi contratti di lavoro che tengano conto della drammatica situazione occupazionale delle aree meridionali come quella di Taranto e che incentivino il radicamento di iniziative imprenditoriali.

La società si deve arricchire delle attività delle municipalità, le quali per ben contribuire hanno bisogno di mettersi all’altezza in termini di conoscenza e di una più ampia prospettiva europea, abbandonando il miope localismo. Agganciare l’Europa, le occasioni internazionali. Proprio per fare questo, si deve puntare sulla cultura, sull’innovazione, sulla valorizzazione delle competenze locali.
Lanciamo una politica che riparta dai giovani della Puglia, della Calabria, della Sicilia, dal Sud tutto che più del resto del Paese ha bisogno di un cambiamento epocale. Creiamo progetti alternativi coerenti con i cambiamenti già avvenuti in questa società e affatto interpretati dalla politica attuale. Ricerca, informatizzazione, innovazione, cultura, ambiente, per realizzare uno sviluppo economico, sociale, che pongano l'individuo al centro dell’attività umana.
Dare respiro all'azione locale in Europa, inserendola in un contesto del quale beneficiare in modo concreto ed immediato. Ripartire da Taranto e dal Mezzogiorno offeso. Riportare la periferia al centro.(Antonia Battaglia - Micromega)

Chi soffre in ospedale, chi in villa e chi spoliticheggia

Ilva, ditte dell’indotto vanno in sofferenza

Sit in dei dipendenti delle aziende E3, Martucci e Idrotecnica srl, tutte dell’indotto Ilva, davanti alla portineria imprese dello stabilimento siderurgico. Sono lavoratori, alcuni dei quali in cassa integrazione, che lamentano ritardi nel pagamento degli stipendi. I sindacati hanno chiesto un incontro ai responsabili delle ditte per avere garanzie sul pagamento delle spettanze e fare anche il punto sulle prospettive. «Le ditte dell’appalto - scrivono gli operai in una nota - dicono basta. L’Ilva si preoccupa solo dei suoi dipendenti come se noi dell’appalto non avessimo necessità primarie, anche noi abbiamo figli, anche noi non mangiamo e anche noi non paghiamo le bollette se non ci sono i soldi».
È una delle ultime frontiere di una crisi senza fine, che richiama ormai non più e non solo all’ambientalizzazione di uno tra i più grandi poli siderurgici d’Europa de del mondo, ma anche una vera e propria inversione culturale sul modello di sviluppo adottato a Taranto come in altre città prettamente caratterizzate dalla presenza di industria massiva. Sul tema della riconversione, culturale prima ancora che industriale, interviene il coordinatore regionale dell’ala ambientalista del Pd di Puglia, i cosiddetti Ecodem, Luigi Campanale.
«Spetta alla politica decidere il futuro di Taranto. Sono trascorsi due anni da quando con questo titolo veniva pubblicato sulla Gazzetta un mio intervento e la politica, quella che conta e decide, pur essendo stata costretta a interessarsi dell’Ilva, tranne qualche timida iniziativa, poco, davvero poco, ha proposto per affrontare le problematiche di Taranto connesse al siderurgico».
Campanale conviene nel dire che l’Ilva «è il fulcro di un sistema industriale. Aveva circa 160mila unità lavorative, delle quali circa 70mila sono andate perse e circa 3mila andranno perse con la cosiddetta ambientalizzazione della fabbrica. Sicche è del tutto evidente la necessità di trovare altri comparti produttivi capaci di sopperire alle problematiche economico-occupazionali, nonchè ambientali e di tutela della salute, del sistema industriale Ilva». Come riconvertire? Agricoltura, turismo, cultura: sono le vocazioni della regione. Ma per passare dall’acciaio ad ad altro occorre, secondo Campanale «una “mutazione antropologica” del territorio tarantino. L’Ilva e quindi la questione ambientale - spiega ancora il coordinatore regionale Ecodem - ci sfida ad individuare “un nuovo modo di produzione” (per dirla con Pasolini) che dia sostanza a quel 41% (l’assonanza richiamata è ai consensi ottenuti dal Pd alle ultime elezioni Europee, ndr), mettendolo in condizione di produrre quel reale, sottolineo reale, cambiamento necessario al paese per venir fuori dalla crisi di sistema in cui si sta dilaniando».
Quindi la conclusione del ragionamento: «L’Ilva per la sua valenza economica-sociale-ambientale assume una funzione “primariamente come un problema di cambiamento di paradigma e di valori sui quali si fonda l’esistenza personale e sociale.” (così in Ambiente e Ricerca di Angela Danisi). Ciò, non solo e non tanto, per il sistema industriale di Taranto e per la Puglia, ma, per l’intero sistema paese. Di ciò non vi è traccia di discussione nel Partito democratico regionale pugliese. Purtuttavia vi è la ragionevole fiducia, degli Ecodem pugliesi, componente ambientalista del Pd, che i candidati del Pd alla presidenza della Regione, per il prossimo anno, abbiano la consapevolezza che è necessario, per quanto innanzi sinteticamente detto, assumersi la responsabilità di governare la questione ambientale dell’Ilva di Taranto e ciò a prescindere da quelli che si appalesano come spot elettoralistici». (GdM)

domenica 24 agosto 2014

Poveri delfini... non sanno cosa li attende!

Aggiornamento Prospezioni, Ricerca, Coltivazioni di idrocarburi nel basso adriatico e nel mar jonio (golfo di Taranto) - continuano a piovere le richieste da parte delle società petrolifere.


Istanza di permesso di prospezione - 3
http://unmig.sviluppoeconomico.gov.it/unmig/istanze/mappa.asp?cod=405SPECTRUM GEO LIMITED
http://unmig.sviluppoeconomico.gov.it/unmig/istanze/mappa.asp?cod=414PETROLEUM GEO SERVICE ASIA PACIFIC
http://unmig.sviluppoeconomico.gov.it/unmig/istanze/mappa.asp?cod=598SCHLUMBERGER ITALIANA
- Istanza di concessione di coltivazione - 1
http://unmig.sviluppoeconomico.gov.it/unmig/istanze/mappa.asp?cod=168 ENI
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E' nel Golfo di Taranto la nursery dei delfini. Avvistati anche grampi

Anche nell'estate 2014 le acque del golfo di Taranto e dello Jonio settentrionale si rivelano luogo ideale per i delfini, e il mare in prossimità di Taranto diventa una "nursery" per i piccoli cetacei. Lo annuncia l'associazione Jonian Dolphin Conservation (JDC) che da circa quattro anni studia il movimento dei delfini in quel territorio.
Un segnale positivo per una città e una situazione ambientale noti più per il problema dell'inquinamento dell'Ilva che per i fatti positivi come, appunto, l'avvistamento di un gran numero di delfini. La JDC si occupa di ricerca scientifica, è impegnata nello sviluppo di progetti marini e collabora con altri enti e istituzioni scientifiche del settore.
"Siamo nel pieno della campagna estiva 2014 di dolphin watching nel golfo di Taranto che durerà fino a ottobre e già possiamo dirci più che soddisfatti dei risultati che stiamo conseguendo. Infatti abbiamo ulteriormente documentato fotograficamente la stanzialità di diverse specie di delfini che nel Golfo di Taranto si riproducono nonostante l'elevato grado di antropizzazione di queste acque", spiega, facendo un primo consuntivo dell'attività svolta, Carmelo Fanizza, presidente JDC.
E c'è, secondo gli esperti della JDC, anche una novità. "Nelle scorse settimane - aggiunge Fanizza - abbiamo ripreso un gruppo di oltre dieci grampi (Grampus griseus), un delfinide che può raggiungere i quattro metri di lunghezza, caratteristico per l'assenza del rostro sul capo, e, con nostra grande sorpresa, a un certo punto abbiamo visto saltare fuori dall'acqua un cucciolo, il primo di questa specie avvistato e fotografato in anni e anni di ricerche nel nostro mare".
Il grampo è stato solitamente avvistato meno di dieci volte l'anno al contrario delle altre specie. Ogni giorno con il JDC catamarano vengono avvistate "numerosissime colonie stanziali di stenella striata (Stenella coeruleoalba), delfinidi che hanno dimensioni minori, un paio di metri di lunghezza, ma che sono soliti avvicinarsi in piena libertà". "Appena qualche giorno fa - aggiunge ancora Fanizza - in un grande branco di Stenella striata fatto da oltre cinquanta esemplari abbiamo fotografato un gruppo familiare con un cucciolo che, dalle dimensioni, stimiamo abbia circa cinque giorni di vita in quanto aveva già la pinna dorsale dritta mentre fino al terzo giorno di vita è invece floscia. Non è la prima volta che documentiamo la presenza di neonati di questa specie nel Golfo di Taranto. Fotografammo da lontano la pinna floscia di un cucciolo vicino a quella della madre già due anni fa ma è la prima volta che siamo riusciti a riprenderlo così vicino e nell'ambito del gruppo familiare in quanto, di solito, i cuccioli vengono protetti dal branco".
"L'obiettivo di tutelare i cetacei del golfo di Taranto - rileva la JDC - può essere raggiunto solamente creando consapevolezza nella popolazione che i cetacei esistono ancora nel nostro mare. Tale consapevolezza può essere raggiunta solamente creando conoscenza". (quotidiano.net)

sabato 23 agosto 2014

Caritatevoli

Sopravvivenza Ilva, dalle banche arrivano 250 milioni

Ilva, i soldi delle banche arriveranno, la crisi di liquidità è scongiurata, almeno per il momento. Fonti qualificate rivelano al Secolo XIX che l’accordo sarebbe stato trovato su un prestito in due tranche da 125 milioni di euro l’una, che si renderanno disponibili a inizio settembre. La positiva novità promette di sbloccare la situazione di Taranto, con ricadute su tutti gli stabilimenti.
Novità emergono anche per il polo di Cornigliano, dove 1.750 operai sono in emergenza avendo i contratti di solidarietà in scadenza a fine settembre ed essendo necessario trovare una garanzia di continuità del reddito che consenta loro di arrivare a luglio 2015, quando potranno nuovamente accedere ai contratti di solidarietà. Su questo fronte il presidente della Regione Liguria aveva chiesto al presidente del Consiglio dei ministri un incontro tematico: Claudio Burlando e Matteo Renzi dovrebbero incontrarsi, secondo fonti, il 28 agosto.
Sul fronte banche la vicenda prende una piega positiva anche se non risolutiva. Il commissario dell’Ilva, Piero Gnudi, aveva sollecitato 650 milioni a Intesa San Paolo, Unicredit e Banco Popolare all’indomani del decreto legge varato dal Consiglio dei ministri. Il prestito ponte sarebbe stato garantito, anche se non nella misura richiesta. Con il decreto Ilva il governo ha introdotto il principio della prededucibilità, mirato a garantire le banche di fronte al rischio di un eventuale default del gruppo. Gli istituti di credito ne hanno preso atto, continuando la discussione. Fonti ministeriali dicono ora che l’accordo sarebbe stato raggiunto su un prestito pari a 250 milioni, complessivamente: è meno della metà di quanto aveva chiesto Gnudi, ma c’è. (SecoloXIX)

Calura d'agosto: a Taranto o a Bari?

Inquinamento e Ilva «Allarme su emissioni? Sono farneticazioni»

«Sono farneticazioni». La scienza, o meglio la struttura scientifica, contraddice l'ambientalismo. E si ripropone la guerra di numeri e di interpretazioni tra l'Arpa Puglia e l'associazione Peacelink, che nei giorni scorsi ha fornito uno studio autonomo ed aggiornato sui livelli di Ipa. Il direttore generale dell'Agenzia regionale di protezione ambientale, Giorgio Assennato, interpellato dalla Gazzetta, risponde con fastidio alle «elucubrazioni - dice - di Marescotti». Non vuole scendere nel dettaglio delle argomentazioni tecniche ma bolla come «propaganda» la versione degli ecologisti.
Professore, ritiene attendibili questi dati che attribuiscono all'Ilva il 99,4% delle emissioni Ipa? «Non voglio nemmeno commentarli. Mi rifiuto di farlo perchè non attengono ad osservazioni scientifiche ma al mondo della propaganda. Eventualmente l'Arpa farà delle osservazioni strutturate con il centro regionale di qualità dell'aria. Francamente non ci sto al gioco al massacro fatto di propaganda e cattiva informazione successiva. L'Arpa dimostrerà abbondantemente il vuoto culturale che sta dietro le osservazioni di Marescotti».
Dal punto di vista tecnico ritiene di fare delle osservazioni? «Non c'è nulla di tecnico perchè Marescotti è un professore di liceo, faccia il suo mestiere. Lui può dire quello che vuole, capisce di avere le sponde mediatiche che amplificano le sue farneticazioni. Considero umiliante dal punto di vista professionale rispondere al professor Marescotti» .
È giusto, però, interpellare “l'altra campana...”. «Non c'è un'altra campana. C'è un organo tecnico che ha una sua struttura, un suo direttore, e poi c'è un'organizzazione ambientalista che fa del terrorismo psicologico il suo strumento di penetrazione. Lui usa le sue campane, noi abbiamo le nostre trombe».
La prima domanda che rivolge Marescotti è: perché quello studio dell’Ipa che tanto rumore aveva fatto nel 2010 non è stato aggiornato? «Ma di quale studio si tratta? Noi facciamo rapporti continui sugli Ipa e il benzo( a)pirene a Taranto. Ma di cosa stiamo parlando, mi scusi? Stiamo scherzando? Noi siamo un organo tecnico scientifico che opera ogni giorno per controllare, monitorare e informare. Non siamo uno strumento demagogico di disinformazione di massa».
Pur diminuendo gli Ipa per la riduzione degli impianti dell’Ilva, il quantitativo di 3500 kg l’anno è considerato sempre elevato. A Genova, dice Marescotti, fu tra le conseguenze della richiesta di trasferimento dell’area a caldo. «Ma questo è un delirio. La chiusura dell'area a caldo di Genova fu imposta dalla magistratura e sciaguratamente l'Ilva aveva Taranto su cui contare».
Il raffronto che pone l’associazione ambientalista sui livelli di Ipa tra il 2010 e il 2014 riguarda il rione Tamburi, ma lo studio di quattro anni fa si riferiva alla centralina di via Machiavelli e quello attuale alla rilevazione in via Orsini. Il paragone è possibile? «Noi abbiamo due centraline per la qualità dell'aria in via Archimede e in via Machiavelli, che sono quelle storiche. Poi, dopo, come è noto siamo riusciti a obbligare l'Ilva a fare di più rispetto a quello che faceva a Cornigliano con centraline di controllo dentro il perimentro. Lì loro hanno aggiunto, secondo me erroneamente, quella di via Orsini su cui noi abbiamo fatto approfondimenti di tipo scientifico anche con il supporto dell'Università di Bari. C'è una situazione diversa rispetto a via Archimede e via Machiavelli verosimilmente per la presenza di sorgenti locali come il traffico. Noi stiamo continuando a fare approfondimenti. Quella di via Orsini non è una centralina di qualità dell'aria per i Tamburi, ma fa parte della rete Ilva per il controllo dell'impatto. Dal punto di vista degli indicatori di qualità dell'aria che noi utilizziamo per il benzo(a)pirene e comunque dai dati che abbiamo in via Machiavelli il livello è bassimissimo, uguale a quello riscontrato nel resto della città. Questa è una situazione temporanea e va garantito ai cittadini che rimanga negli anni e non raggiunga livelli peggiori». (GdM)

venerdì 22 agosto 2014

Braghe calate per legge. Altro che partecipazione: zitti e sotto!

Petrolio di «Tempa Rossa» a Taranto: già deciso a Roma

Porta la data del 16 aprile del 2010 l’avvio delle procedure per la valutazione di impatto ambientale del progetto di adeguamento delle strutture della raffineria Eni di Taranto per lo stoccaggio e la movimentazione del greggio proveniente dal giacimento lucano denominato «Tempa Rossa». Più, insomma, di quattro anni, trascorsi tra riunioni, conferenze, verifiche, azioni di lobby, concluse il 17 luglio scorso - come rivelato dalla Gazzetta - con il sostanziale via libera ai lavori, così come deciso da due ministeri (Ambiente e Sviluppo Economico) e dalla Regione Puglia (il Comune di Taranto non è stato invitato).
Due i provvedimenti governativi che fanno da supporto a tutta l’operazione che vede coinvolta la Total (proprietaria dello stabilimento lucano assieme a Shell e Mitsui) e l’Eni (proprietaria delle aree nelle quali saranno realizzati i due maxi serbatoi destinati ad accogliere il greggio poi destinato a prendere la via del mare tramite un pontile appositamente attrezzato). Il primo porta la firma degli allori ministri Stefania Prestigiacomo (Ambiente) e Giancarlo Galan (Beni culturali) che il 27 ottobre 2011 decretarono la compatibilità ambientale del progetto presentato dall’Eni, progetto che prevede opere a valle di quello - è bene tenerlo a mente - che è considerata una infrastruttura strategica (delibera del Cipe del 23 marzo 2012), ovvero il giacimento di idrocarburi denominato «Tempa Rossa», nell’ambito della concessione di coltivazione di idrocarburi denominata «Gorgoglione». Secondo il Cipe, lo sviluppo del giacimento in questione, unitamente allo sviluppo del giacimento denominato «Val d’Agri», consentirà di coprire circa il 10 per cento del fabbisogno energetico nazionale per una durata di circa 20 anni e di fornire quindi «un notevole contributo alla riduzione della dipendenza del Paese dall’estero per l’approvvigionamento energetico». E siccome la raffineria di Taranto è collegata al giacimento «Val d’Agri», di proprietà dell’Eni, da un oleodotto, era naturale far giungere, tramite lo stesso oleodotto, il greggio (due milioni e 700mila tonnellate all’anno) di Tempa Rossa a Taranto. Solo che, in questo caso, la proprietà (Total) è diversa e dunque invece di farlo raffinare a Taranto, pagando l’Eni per il servizio, si è scelta la via dei maxi-serbatoi di stoccaggio e della realizzazione di una nuova piattaforma offshore, collegata alla piattaforma già esistente, dotata di due accosti che permettano l’attracco di navi da un minimo di 30.000 tonnellate ad un massimo di 45.000 tonnellate per l’esportazione del greggio Val D’Agri e di navi da un minimo di 30.000 tonnellate ad un massimo di 80.000 tonnellate per l’esportazione del greggio Tempa Rossa; il prolungamento del pontile esistente per una lunghezza totale di 324 metri.
Leggendo il documento presentato dall’Eni in sede ministeriale, si apprende, poi, che «la durata della fase di cantiere di costruzione dei nuovi impianti è stata stimata su base statistica in circa 24 mesi, comprensiva della fase di realizzazione delle opere civili e della fase dei montaggi elettromeccanici delle varie componenti del progetto. Il cantiere impiegherà circa 53 operatori, tra lavori civili, meccanici ed elettrici».
Numeri non roboanti, distanti dai 300 posti di lavoro annunciati ad esempio da Confindustria nella manifestazione dello scorso 1 agosto e da quelli che Total, indugiando non poco nella propaganda, invece contempla sul suo sito web.
Pesante, invece, il bilancio ambientale (sempre fonte Eni). «Le uniche emissioni in atmosfera di tipo convogliato generate dalle nuove installazioni saranno quelle dall’impianto recupero vapori. Il nuovo impianto integrerà l’impianto recupero vapori - si legge nel documento - attualmente esistente e propedeutico alle attività di carico delle due piattaforme. L’efficienza di recupero del nuovo sistema sarà pari al 98%, in linea con le migliori tecniche disponibili. Le portate saranno discontinue nel tempo, strettamente collegate alle operazioni di carico batch previste nella movimentazione. La raffineria ha stimato un quantitativo di vapori dalla caricazione del greggio Tempa Rossa pari a circa 1.300.000 chili all’anno. I nuovi impianti di recupero vapori permetteranno di convogliare e trattare tali streams gassosi in modo da recuperare parte degli idrocarburi, limitando il rilascio di sostanze in atmosfera. Gli scarichi gassosi finali dagli impianti di recupero vapori saranno tali da rispettare i limiti di legge, in linea con valori di performance delle migliori tecnologie disponibili secondo le Bat di settore e sono stimati pari a circa 26.000 chili all’anno di composti organici volatili (Voc). Il contributo delle nuove installazioni alle emissioni convogliate di raffineria può essere considerato trascurabile. Le nuove installazioni genereranno emissioni diffuse e fuggitive in corrispondenza delle nuove aree di stoccaggio e in corrispondenza degli accordi flangiati (stazioni di pompaggio, stazione di raffreddamento), aumentando le emissioni diffuse/fuggitive complessive di raffineria di circa il 11-12%. Tale incremento è determinato principalmente dalla superficie dei nuovi serbatoi, di dimensione atta a contenere il quantitativo di greggio movimentato. Le perdite di frazione volatile lungo le linee saranno rese poco significative dalla messa in posa di tubazioni saldate. L’incremento delle emissioni diffuse/fuggitive dall’impianto di trattamento acque può essere considerato trascurabile».
Dunque, Tempa Rossa sarà un affare per lo Stato (che infatti ha definito strategica l’opera, e dunque in quanto strategica calabile dall’alto senza «se» e senza «ma»), sarà un buon business per Total e soci (che estrarranno il petrolio dalla Basilicata, lo faranno arrivare a Taranto e poi lo raffineranno dove avrà più convenienza, facendo giungere per tale traffici ben 90 petroliere all’anno tra le Cheradi e il molo di punta Rondinella), per l’Eni (che quand’anche dovesse decidere di chiudere, come minacciato, la raffineria tarantina, potrà sempre contare su quanto Total pagherà per l’uso di serbatoi e pontili), per la Basilicata (che già gode delle royalties e degli altri benefit garantiti da compagnie petrolifere e Stato), per l’azienda, o le aziende, a cui saranno affidati i lavori (che impiegheranno, lo ribadiamo, 53 persone per 24 mesi, che probabilmente un lavoro già ce l’hanno).
Per la città di Taranto, invece, l’aumento dell’11-12% delle emissioni diffuse-fuggitive di composti organici volatili (probabilmente causa dell’insopportabile tanfo che aggredisce spesso Borgo, Tamburi e città vecchia) e la consapevolezza di non contare nulla a livello governativo, quanto scelte strategiche per il destino dell’Italia (ai polmoni dei tarantini, poco strategici, chissà chi ci pensa) vengono prese senza nemmeno consultarci. (Mazza - GdM)

Taranto, l’Eni potenzia la raffineria con l’ok della Regione. E ammette: “Più emissioni”

Col parere favorevole di governo e Regione e quello negativo (ma non vincolante) del Comune ionico, la società petrolifera realizzerà il progetto Tempra Rossa, che comporterà un forte aumento dello stabilimento tarantino. Non ci saranno ricadute occupazionali durature e salirà l'inquinamento. Angelo Bonelli: "Decisione che trasforma definitivamente la città nella discarica dei veleni d’Italia"

Eni
Il progetto Tempa Rossa dell’Eni s’ha da fare. A Taranto, la città avvelenata dall’Ilva che, evidentemente, non ha dato abbastanza sul piano industriale al Paese. L’ufficialità è giunta il 17 luglio scorso, quando la conferenza dei Servizi a cui hanno preso parte i ministeri dell’Ambiente e dello Sviluppo Economico e la Regione Puglia, ha di fatto dato il via libera al progetto in barba al “no” espresso dal consiglio comunale il 14 luglio, solo tre giorni prima. Il divieto dell’assise cittadina, evidentemente, non è piaciuto a Roma: il Comune di Taranto, infatti, non è stato nemmeno convocato. Era stato convocato invece il ministero della Salute che, però, non ha inviato al tavolo nessun rappresentante. Ma che cosa è e cosa comporta il progetto Tempa Rossa?
IL PROGETTO - Nel documento presentato dall’Eni a gennaio 2011 si legge che il progetto prevede il “potenziamento” della Raffineria di Taranto “per lo stoccaggio e la spedizione del greggio” estratto dal campo di Tempa Rossa, in Basilicata. Il potenziamento prevede interventi sia in ambiente marino, come il prolungamento del pontile già in uso all’Eni di Taranto e l’adeguamento dei servizi ausiliari asserviti al pontile, sia su terra come la costruzione di due nuovi mega serbatoi, costruzione nuova linea di trasferimento del greggio dai nuovi serbatoi al nuovo pontile, costruzione di un nuovo impianto pre-raffreddamento e la fabbricazione di due nuovi impianti di recupero vapori. Un progetto che, inoltre, servirà a garantire il miglioramento della gestione dello stoccaggio del greggio estratto in Val D’agri che già da tempo viene movimentato a Taranto.
RISVOLTI OCCUPAZIONALI - Nel documento si legge chiaramente che “l’adeguamento della Raffineria non prevede un incremento della capacità di lavorazione attuale, ma solo un aumento della capacità di movimentazione greggio Tempa Rossa, destinato esclusivamente all’export via mare”. Insomma non ci sono prospettive occupazionali per i tarantini. Le uniche unità lavorative da impiegare servirebbero per la realizzazione dei nuovi impianti. “La durata della fase di cantiere di costruzione dei nuovi impianti è stata stimata su base statistica in circa 24 mesi, comprensiva della fase di realizzazione delle opere civili e della fase dei montaggi elettromeccanici delle varie componenti del progetto. Il cantiere impiegherà circa 53 operatori, tra lavori civili, meccanici ed elettrici”. Insomma 53 lavoratori per 24 mesi e l’aumento del traffico navale mercantile in cambio di un impianto industriale che si aggiungerebbe a quelli già esistenti: su tutti Ilva e Cementir del Gruppo Caltagirone.
OBIETTIVI - Gli obiettivi del progetto, del resto, sono messi nero su bianco nei documenti presentati dall’Eni. “L’intervento di adeguamento delle strutture della Raffineria di Taranto – si legge nelle carte – si inserisce nei più ampi progetti petroliferi Val d’Agri e Tempa Rossa” che comportano la produzione di 600 milioni di barili di petrolio delle riserve della Val d’Agri (Potenza) e 420 milioni di barili di greggio dal giacimento Tempa Rossa che contribuirà ad aumentare in maniera significativa la produzione nazionale di petrolio, contribuendo così alla sicurezza degli approvvigionamenti energetici del Paese”. Il contributo offerto dal progetto Tempa Rossa, ovviamente, contribuirà a ridurre, seppure sensibilmente, “la bolletta petrolifera italiana”. Non solo. “Il buon esito di questo piano di sviluppo, di cui gli interventi presso la Raffineria di Taranto rappresentano una parte essenziale, è dal punto di vista economico assai rilevante sia a livello nazionale che locale e costituisce un tassello importante nell’ambito delle opere strategiche previste dal piano degli interventi nel comparto energetico”.
I RISVOLTI AMBIENTALI - Il potenziamento degli impianti dell’Eni, che oggi contano già ben 133 serbatoi, contribuiranno anche all’incremento delle emissioni industriali nell’aria di Taranto. Le emissioni diffuse (cioè quelle che vengono emesse in modo incontrollato dallo stabilimento), secondo il colosso italiano del petrolio, aumenteranno del 11-12%. “Tale incremento è determinato – si legge ancora tra i documenti – principalmente dalla superficie dei nuovi serbatoi, di dimensione atta a contenere il quantitativo di greggio movimentato”. Cresce il numero dei serbatoi e quindi anche il livello nell’aria dei composti organici che periodicamente costringono i tarantini a chiudersi in casa per non respirare “la puzza di gas” che avvolge la città. Un fenomeno sul quale anche la procura di Taranto sta indagando da mesi. Ma per l’Eni, ed evidentemente anche per i ministeri e per la Regione guidata da Nichi Vendola, quell’aumento è da considerarsi “trascurabile”.
IL “NO” DEL COMUNE E LA PROCEDURA “SOSPETTA” - “Siamo assolutamente meravigliati di quello che è avvenuto – commenta a ilfattoquotidiano.it l’assessore comunale all’Ambiente Vincenzo Baio – perché il 10 luglio io stesso ho chiarito al tavolo con sottosegretario Dal Basso Decaro, i rappresentati dei ministeri e i vertici di Eni e Total il netto dissenso del Comune di Taranto. Quel giorno ho letto un documento che è stato formalmente acquisito. Quello stesso documento, solo quattro giorni dopo è stato letto in consiglio comunale che ha coerentamente ribadito il “no” al progetto Tempa Rossa. Scoprire che il 17 luglio, cioè una settimana dopo quell’incontro a Roma, ci sia stato il via libera appare più che sospetto. Il nostro “stop” – conclude Baio – evidentemente avrebbe messo i bastoni tra le ruote e così hanno pensato di fare a meno di noi. Del resto il parere del comune in questi casi è obbligatorio, ma purtroppo non vincolante”.
LE REAZIONI - “Questa è una sentenza che trasforma definitivamente Taranto nella discarica dei veleni d’Italia – dice invece Angelo Bonelli, coportavoce nazionale dei Verdi e consigliere comunale di Taranto -. Anche il comportamente della Regione è scandaloso perché il progetto Tempa Rossa, dal punto di vista ambientale, contribuirà ad accrescere le emissioni in atmosfera in modo insostenibnile e irreversibile. E’ la dimostrazione che nessuno vuole un futuro alternativo per questa città. E’ vergognoso”. E proprio poche ora fa Angelo Bonelli è stato destinatario di nuovi atti intimidatori. Dopo la busta con all’interno un coltello consegnata al municipio di Taranto con il messaggio “Te lo mettiamo in gola. Via da Taranto bastardo”, questa mattina il coportavocenazionale dei Verdi ha ricevuto una telefonata anonima nella quale un uomo gli avrebbe riferito “Lei ha preso soldi a Taranto e la sua vita ha ore contate”. Bonelli ha denunciato tutto agli organi di polizia e poi ha raccontato la vicenda sui social network. (Casula - FQ)

mercoledì 20 agosto 2014

Cara Taranto ti scrivo...

La Commissione Europea scrive a Peacelink

Nuova Lettera del Commissario Europeo Janez Potocnik a Peacelink
20 agosto 2014 - Redazione Peacelink
 
Il 14 agosto 2014 il Commissario Europeo Janez Potocnik ha scritto a Peacelink nell'ambito della procedura di infrazione nei confronti dell'Italia sulla questione Ilva.
Di seguito il testo originale e la traduzione in italiano.

Janez Potocnik, Commissario Europeo 
Bruxelles, 14 agosto 2014 

Ms Antonia Battaglia, Mr Alessandro Marescotti, Mr Luciano Manna
Peacelink
Post Box 2009
Taranto
ITALY
Dear Madam, dear Sirs,
Thank you for your letter of 7 July 2014 in which you express your worries about the
conclusions of the latest update of the "Sentieri" study, confirming the sanitary critical situation in Taranto and Statte.
I would like to reassure you that the European Commission continues to closely monitor the situation with the aim to ensure that Italian authorities take the necessary measures for the actual implementation of the ILVA permit, in order to comply with all relevant emission limits imposed for environmental and health reasons. I consider that some limited progress has already been made after the start of the infringement procedure, but I am committed to pursuing this case until full satisfaction is found for the people directly affected and the environment in Taranto in line with existing EU law.
I also share your concerns relating to the need of urgent measures, but there is no
easy solution to the longstanding environmental pollution in Taranto the control and cleanup of which will need serious efforts by the Italian authorities. Finally, I want to confirm that, on the basis of all the information in its possession, the European Commission will rapidly decide what further action to take in the framework of the infringement procedure, with the aim of protecting the environment and citizens' health in Taranto.
Yours sincerely
firma Janez Potocnik






Janez Potocnik,
Commissario Europeo
                                                                                  Bruxelles, 14 agosto 2014

Signora Antonia Battaglia
Signor Alessandro Marescotti
Signor Luciano Manna
Peacelink
Taranto


Cara Signora, Cari Signori,
Vi ringrazio per la lettera del 7 luglio 2014 nella quale esprimete preoccupazione riguardo le conclusioni dell’aggiornamento dello studio “Sentieri”, che conferma la criticità della situazione sanitaria di Taranto e di Statte.
Ci tengo a rassicurarvi sul fatto che la Commissione Europea continua a monitorare da vicino la situazione, al fine di assicurare che le Autorità Italiane prendano le misure necessarie per una effettiva realizzazione del permesso ILVA ( AIA), in modo da garantire il rispetto dei limiti delle emissioni rilevanti, così come imposti per ragioni di natura ambientale e sanitaria. 
Credo che un progresso seppur limitato sia stato realizzato dopo il lancio della procedura di infrazione, ma sono intenzionato a portare avanti il caso finché piena soddisfazione sia stata data alla popolazione direttamente colpita e all’ambiente a Taranto, così come garantisce il diritto europeo in materia.
Io condivido inoltre le vostre preoccupazioni relative alla necessità di misure urgenti, ma non ci sono soluzioni facili all’annoso inquinamento ambientale di Taranto, il cui controllo e la cui rimozione richiederanno uno sforzo molto serio da parte delle autorità italiane.
Infine, tengo a confermare che, sulla base delle informazioni in Suo possesso, la Commissione Europea deciderà rapidamente quale ulteriore azione intraprendere nel quadro della procedura di infrazione, con il fine di proteggere l’ambiente e la salute dei cittadini di Taranto.

Cordiali saluti,
Janek Potocnik
Note:insieme alla lettera è stata in conferenza stampa è presentata un'analisi dei dati ipa di Arpa Puglia
 
(Peacelink)