mercoledì 30 settembre 2015

(R)i(n)dotto

Indotto Ilva, ritardi nella produzione. I riflessi anche a Genova, aziende sull’orlo del default 

L’allarme arriva dai sindacati genovesi e viene rilanciato dai media liguri. A Genova ci sarebbe stato un rallentamento nella produzione della banda stagnata. Da Taranto gli arrivi sarebbero in ritardo e l’acciaio di Taranto che trovava nella qualità il suo fiore all’occhiello adesso sarebbe anche talvolta non eccellente. Così i giornali parlano di un incontro con i rappresentanti sindacali aziendali genovesi per discutere della rotazione dei contratti di solidarietà. I vertici dello stabilimento di Cornigliano-Genova non avrebbero nascosto i loro timori.

Incertezze sulla fabbrica e produzione rallentata. Che si annuncia a Taranto ma che produce i suoi effetti in tutti gli stabilimenti del gruppo Ilva. Difficoltà che starebbero aumentando con il passare dei giorni. Perché il pianeta Ilva produce i suoi effetti, nel bene e nel male, su tutti i satelliti: in primis le altre sedi siderurgiche e poi le aziende dell’indotto. Cominciando da Genova. Con la chiusura dell’area a caldo sono finiti i problemi ambientali del capoluogo ligure ma si sono aperti quelli occupazionali. Dipendendo da Taranto per la produzione a freddo ora si rischia di avere un effetto domino che potrebbe far aumentare il ricorso agli ammortizzatori sociali.«Il gruppo sta perdendo commesse – ha detto il segretario genovese della Fiom Bruno Manganaro – perché è ritenuto inaffidabile. A Taranto c’è una situazione di incertezza per via dell’inchiesta e insieme la mancanza di investimenti. Per questo è urgente una risposta da parte del governo sul futuro del gruppo a livello nazionale». Da Genova come da Taranto il pressing si fa sempre più incisivo sul ministro dello Sviluppo Economico Federica Guidi alla quale le segreterie nazionali di Fim-Fiom e Uilm hanno chiesto un incontro sul futuro dell’Ilva. Di recente i sindacati metalmeccanici di Genova hanno raggiunto l’accordo con Ilva che prevede il ricorso al contratto di solidarietà a far data da domani per i dipendenti dello stabilimento di Cornigliano.
L’accordo vale per dodici mesi e va a interessare i circa 1700 lavoratori occupati a Genova, 700 dei quali oggi sono impegnati in lavori di pubblica utilità. A tutti oggi scadrà la cassa integrazione. Non va meglio alla aziende dell’indotto Ilva che registrano, a livello nazionale, come è noto un passivo di 250 milioni di euro. Di questi circa 150 riguardano Taranto e la sua provincia. Le cifre sono quelle che, soltanto la scorsa settimana, aveva diffuso un preoccupato presidente di Confindustria Taranto, nella relazione letta nell'ambito del Consiglio generale dell’associazione proprio a Taranto. «Senza queste aziende - aveva detto Cesareo - il sistema Ilva perde una parte importante della sua identità e la città rischia di perdere un pezzo fondamentale del suo tessuto produttivo. Non basta assicurare la produzione. Non basta far andare avanti le pur indispensabili, fondamentali opere di risanamento e di bonifica. È un intero sistema - aveva concluso - che va recuperato e di questo sistema le nostre aziende sono parte integrante e fondamentale».
Ora la situazione, se è possibile, sta peggiorando. I pagamenti che avrebbe dovuto fare l’Ilva per le fatture delle imprese d’appalto si starebbero facendo sempre più lenti. Non più trenta giorni ma almeno il doppio, due mesi. Ritardi e debiti che si accumulano e che starebbero nuovamente mandando le aziende joniche sull’orlo del default. (Quot)

L'Ilva pronta a ridurre la produzione da 17mila tonnellate al giorno a 14.500. Il dato sarà comunicato dall'azienda ai sindacati metalmeccanici in un incontro già previsto. La minore produzione si impatterà anche sul bilancio di fine anno dello stabilimento di Taranto, che dovrebbe chiudere il 2015 con 4,8 milioni di tonnellate e dunque un milione 200mila tonnellate in meno di quanto i commissari dell'Ilva dissero di poter raggiugere a fine anno nel corso della loro ultima audizione alla Camera (a fine luglio scorso davanti alla commissione Attività produttive).
L'Ilva renderà anche noto che le due acciaierie, 1 e 2, marceranno con un minor numero di colate continue in attività. Attualmente l'acciaieria 1 ha due colate continue e tre la 2. Nessuna ripercussione invece sugli altoforni. Il siderurgico di Taranto resta in produzione con i tre attuali altoforni: l'1, riavviato lo scorso 6 agosto dopo i lavori dell'Autorizzazione integrata ambientale, il 2 e il 4. E' fermo invece da metà marzo l'altoforno 5, il più grande d'Europa, che deve essere sottoposto a lavori di risanamento.
Resta da vedere se questa frenata dell'Ilva, dovuta essenzialmente alla congiuntura siderurgica, all'andamento del mercato dell'acciaio e alla mancanza di ordini di lavoro, si ripercuoterà anche sul personale con un maggior ricorso all'ammortizzatore sociale dei contratti di solidarietà. Confermata infine la ripartenza per il prossimo mese, probabilmente intorno alla metà del mese, del treno nastri 1, fermo da qualche tempo, e la fermata del treno nastri 2, ma in quest'ultimo caso solo per attività di manutenzione che dureranno alcuni giorni a novembre. Al termine dei lavori i due treni nastri dovrebbero restare entrambi in produzione. (RepBa)

martedì 29 settembre 2015

Stop... and go (always)!


Ilva, in settimana lo stop per acciaieria e treno nastri 

Altri reparti si bloccano all’Ilva di Taranto. Dopo la fermata dei “Rivestimenti” dei giorni scorsi, questa settimana potrebbe toccare di nuovo all’area a caldo. Secondo indiscrezioni circolate ieri in fabbrica, nelle prossime ore si dovrebbero fermare infatti sia l’acciaieria 1 che il treno nastri 2. Un brusco calo di produzione dunque si profila in stabilimento, anche se né i tempi né le ragioni dello “stop” sono ancora stati comunicati ai rappresentanti sindacali.
Appare strano tuttavia che l’acciaieria 1 si fermi proprio a breve distanza di tempo dalla ripartenza degli impianti. A fine luglio infatti la linea era ripartita, dopo mesi di blocco totale. In quel periodo erano stati realizzati i lavori di manutenzione straordinaria previsti dall’Autorizzazione integrata ambientale. In particolare era stato montato un potente filtro per l’aspirazione delle polveri. Erano così tornati al lavoro da agosto, dopo aver usufruito dei contratti di solidarietà, circa 290 operai dell’acciaieria. Adesso per loro potrebbe riaprirsi un nuovo periodo di ammortizzatori sociali. E a quei numeri dovrebbero aggiungersi i lavoratori del treno nastri 2 che finora era stato sempre in marcia. Destino diverso dal treno nastri numero 1: quest’ultimo si era fermato e poi era ripartito anche se con turni ridotti.
Le voci che si rincorrono, la mancanza di informazioni certe, d’altra parte, aggiungono caos al caos. E la pazienza delle organizzazioni sindacali - che da un paio di settimane ufficialmente chiedono di essere ricevuti per fare il punto della situazione produttiva ed economica - pare ridursi ogni giorno di più. Soprattutto visto che nei reparti inizia a prendere corpo la voce che le difficoltà finanziarie dell’Ilva siano tali da mettere a rischio anche il pagamento degli stipendi del personale diretto. Nè conferme nè smentite arrivano dai vertici della gestione commissariale dell’Ilva in amministrazione straordinaria. Tuttavia le indiscrezioni lascerebbero presagire problemi di liquidità a breve, forse già dalla prossima retribuzione dei 14mila dipendenti dello stabilimento.
Stando a quanto si apprende da fonti aziendali, invece, non sarebbe del tutto persa la commessa per la produzione dei tubi per il consorzio Tap. L’esclusione dell’Ilva dalla “short list” di imprese scelte da Tap non sarebbe ancora definitiva, a differenza delle notizie circolate nei giorni scorsi. In ogni caso, nella possibile esclusione, non avrebbe pesato il fattore legato alla scarsa affidabilità di Ilva bensì una questione tecnico-produttiva legata al tipo di tubi richiesti. Un problema che Ilva starebbe cercando di superare per accedere alla prima scrematura di aziende candidate a realizzare il materiale per il gasdotto.
Ulteriori informazioni dovrebbero esserci tuttavia nella giornata di oggi con i rappresentanti sindacali di Fim-Fiom e Uilm che potrebbero incontrare, per un breve vertice, lo staff di direzione di stabilimento. Argomento: la programmazione delle fermate e ripartenze dei diversi reparti del siderurgico.  (Quot)

lunedì 28 settembre 2015

Il condizionale è sempre d'obbligo

Autorità portuali, la Puglia potrebbe averne due: Taranto e Bari

Anche la Puglia attende il rush finale della riforma dei porti e delle Autorità portuali messa in cantiere dal ministro delle Infrastrutture e trasporti, Graziano Delrio. Quest’ultimo, si apprende da fonti parlamentari, incontrerà i deputati del Pd nella mattinata dell’1 ottobre e intende portare la riforma in Consiglio dei ministri entro la metà del prossimo mese. A novembre, poi, l’assetto dovrebbe essere completato. Attualmente la Puglia ha quattro Authority: Bari, Taranto, Brindisi e Manfredonia. Con la riforma dovrebbero scendere a una o al massimo a due, essendo Autorità di distretto e di logistica. L’ipotesi di due Authority sembra prendere quota: Bari, che accorperebbe Manfredonia, e Taranto, che aggregherebbe Brindisi.
Bari e Taranto sono entrambi sede di Core Ports riconosciuti dall’Unione Europea. E di recente Delrio ha dichiarato: «La nostra ipotesi è di riorganizzare il sistema a partire dai Porti Core, collegando a questi tutti i sistemi regionali portuali minori». Sino a prima dell’estate si ragionava su una sola Authority e sembrava che potesse essere allocata a Taranto in base al ruolo di questo porto, ai suoi volumi di traffico - che restano comunque elevati nonostante la crisi Ilva e la dismissione del terminal container da parte della società Tct, a giugno messa in liquidazione dagli azionisti Hutchinson, Evergreen e Gsi Logistic - e agli investimenti in corso tra adeguamento dello stesso terminal e costruzione delle opere della piattaforma logistica, la prima delle quali è stata ultimata nei giorni scorsi. Terminal e piattaforma sono un pacchetto da quasi 400 milioni di euro. Poi, restando sempre con una sola Autorità portuale di distretto, c’è stata la rivendicazione da parte di Bari, che tra gennaio e marzo scorsi ha all’attivo un transito di oltre 151mila passeggeri, +3,6%, e di 54mila veicoli di cui 30mila camion e rimorchi (+3,2%). Dato, questo, che beneficia del sensibile incremento dei volumi di traffico da e per l’Albania. Bene anche il comparto merci, il cui indice generale sfiora un aumento del 34% grazie alle performance del grano (+39) e del general cargo (+60), mentre i container mettono a segno un +45% nei tre mesi di riferimento che per i soli container pieni sale a +79.
Sulla base di ciò che i due porti esprimono, dunque, la possibilità (adesso rilanciata) di due Authority, Bari e Taranto, da un lato andrebbe incontro all’indicazione dei Core Ports della Ue e dall’altro permetterebbe anche di trovare un punto di equilibrio, visto che Bari non intende essere “sacrificata” e Taranto non vuole essere accorpata a Bari. In tal caso, infatti, si avrebbe una governance più spostata sul capoluogo di regione poichè nel vertice della nuova Authority siederebbero il sindaco della città metropolitana, che è Bari, e il presidente della Regione Puglia. Tra i nomi nuovi che si fanno per la presidenza dell’Authority a Taranto c’è quello di Ugo Patroni Griffi, presidente della Fiera del Levante di Bari, sostenuto, a quanto pare, da un’area del Pd pugliese. Ma è in corsa anche Sergio Prete, nei mesi scorsi è stato nominato da Delrio commissario dell’Authority dopo essere stato presidente per quattro anni. Prete è anche sostenuto dal sindaco di Taranto che l’ha proposto al ministero dei Trasporti come nome unico per la riconferma. Non così, invece, per Camera di Commercio e Provincia di Taranto che hanno avanzato una terna senza Prete. Che però, negli ultimi mesi, ha avuto uno stretto rapporto col Governo e con Palazzo Chigi per la gestione del caso Tct a metà settembre conclusosi con l’accordo al ministero del Lavoro per la cassa integrazione per i 539 di Taranto container terminal.(Sole24h)

Quisquilie...

Incendio Ilva dell'8 settembre: l'azienda non dichiara sostanze emesse e quantità

Quello che si può vedere in questa fotografia è lo scenario presentato dall'Ilva di Taranto, martedì 8 settembte 2015 intorno alle ore 12. Fumo nero alto in cielo e visibile da diversi punti della città. Cosa è successo nello stabilimento?
L'azienda ha inviato una comunicazione agli enti preposti con un documento firmato dal direttore di stabilimento Ruggero Cola (documento in allegato). Quel che non convince, nell'allegato a questo documento, è la mancanza di specifica delle sostanze emesse e la loro quantità, elementi non del tutto trascurabili viste le proporzioni dell'evento in fotografia e i dati richiesti dal Piano di Emergenza Esterno in questi eventi incidentali.
Il documento recita così:
"Si invia in allegato la comunicazione trasmessa nella forma e ai destinatari previsti dal Piano di Emergenza Esterno edizione 2013 per lo spabilimento Ilva SPA di Taranto relativa all'evento incidentale accaduto c/o l'impianto treno nastri n. 2 alle ore 12:00 del giorno 8/9/2015. Restiamo aVs disposizione per quanto eventualmente necessario e cogliamo l'occasione per porgerVi i ns distinti saluti".

Nell'allegato "Comunicazione del Gestore - FASE DI ATTENZIONE" viene comunicato che:
- il tipo di evento è un uncendio
- l'evento seppur privo di qualsiasi ripercussione all'esterno dell'attività produttiva per il suo livello di gravità, può o potrebbe essere avvertito dalla popolazione
- l'evento è comunque sotto controllo e non vi sono motivi di allarme
Il documento a questo punto prevede uno spazio per le condizioni meteo, vento e velocità, ma questo spazio viene lasciato vuoto.
Nello spazio "sostanze coinvolte nell'evento" l'azienda riporta: flessibili e materiale di imballo con conseguenti fumi di combustione (questi sarebbero i materiali coinvolti nella combustione, ma le sostanze quali sono?).
Mentre nello spazio "quantità presunta" l'azienda riporta "trascurabile"
e si conclude con una "breve descrizione dell'evento":
"la presenza di un cumulo di materiale contenente del flessibili e del materiali di imballo, derivante dalla pulizia del forno di riscaldo n. 3, spento per manutenzione, è stato investito da scaglia incandescente proveniente dalla via a rulli dello sfornamento. Questo ha provocato un piccolo incendio con conseguente emissione di fumo nero. Dopo l'intervrnto degli addetti all'emergenza di reparto e successivamente dei VVF di stabilimento,  la situazione è tornata alla normalità. L'evento ha causato la fermata della linea produttiva per circa 1h 30', senza danni alle macchine e senza conseguenze per la salute e per la sicurezza del personale di reparto".
L'allegato è firmato dal capoturno.

In virtù di questa comunicazione corredata con l'allegato, questi firmati da due persone, dal direttore di stabilimento e dal capoturno, vorremmo fare alcune semplici osservazioni, direttamente indirizzate ai firmatari del documento.
Sulla base di quale informazione acquisita si afferma che l'evento ha causato la femata della linea produttiva "senza conseguenze per la salute e per la sicurezza del personale di reparto"?
Se nel documento inviato agli enti preposti, per le comunicazioni relative al Piano di Emergenza Esterno, non vengono riportate le sostanze sprigionate dalla combustione del materiale indicato, che inoltre è "derivante dalla pulizia del forno di riscaldo", si omette di riportare le quantità, anzi peggio, si scrive "trascurabile", non si conoscono le condizioni meteo (a questo punto dato trascurabile in virtù delle precedenti lacune) con quale coraggio, con quale livello di responsabilità e con quale competenza si conclude dicendo che non ci sono state conseguenze per la salute e per la sicurezza del personale di reparto? Sulla base di cosa si afferma ciò?
Quale fiducia possono riporre le istituzioni e i cittadini di Taranto in una azienda che deve dimostrare di rispettare una AIA ma contemporaneamente non sa quantificare e definire le sostanze interessate in un incendio sulle sue linee produttive?
Le nostre osservazioni e la documentazione acquisita, trasmessa a noi da Arpa Puglia dopo averla richiesta, saranno aggiunte al dossier già depositato di recente presso la Procura della Repubblica di Taranto. (Peacelink)

documento in allegato (in questa pubblicazione alcune informazioni, rispetto al documento originale, sono state celate per motivi di privacy)

Allegati

Acciaio rosso

Ilva, fabbrica in rosso. «Chiarimenti sui conti»

Due richieste di incontro. Una dei sindacati nazionali al ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi e ai commissari dell’Ilva in amministrazione straordinaria; l’altra dei metalmeccanici di Taranto per la direzione dell’azienda. L’obiettivo è lo stesso: capire qual è la situazione finanziaria dell’Ilva e quali gli interventi che si stanno programmando per arginare le perdite dello stabilimento.
Perdite considerevoli, che si attestano in decine di milioni di euro al mese, come ha rilevato nel recente consiglio generale di Confindustria il presidente nazionale dell’associazione industriali Giorgio Squinzi. L’Ilva arretra e il conto economico peggiora. Anche sul fronte delle commesse infatti il gruppo non riesce ad ingranare la marcia. L’ultima notizia, l’ipotesi di esclusione dalla maxicommessa per la realizzazione dei tubi al consorzio Tap, ha bisogno di conferme che i sindacati jonici hanno chiesto direttamente ai vertici del siderurgico. Voci che si rincorrono sui tempi e sui modi di una ripresa che stenta a decollare. E la mancanza di notizie certe aumenta la fibrillazione anche degli operai del colosso siderurgico: gli addetti dell’indotto sono in crisi da almeno un paio d’anni a causa dei pagamenti a singhiozzo delle retribuzioni.
Gli stipendi. A loro si aggiungono le preoccupazioni dei circa 14mila dipendenti diretti dell’Ilva di Taranto ai quali gli stipendi arrivano puntuali ma che, sempre più spesso, si vedono negare l’accesso al credito anche per piccoli prestiti dalle finanziarie e dalle banche. Segnali di una instabilità che si percepisce attorno all’Ilva sia nel sistema bancario e finanziario sia nella clientela internazionale che preferisce comprare acciaio da un’altra parte. E adesso il pericolo di un nuovo e incombente default deve essere scongiurato, secondo Fim-Fiom e Uilm, direttamente dal ministro Guidi o dai commissari nominati dal governo per gestire la fase di amministrazione straordinaria.
La produzione è in calo, si attesterà nel 2015 attorno ai 5 milioni e mezzo di tonnellate annue. Una cifra che, a detta degli esperti del settore, non basta a riportare in positivo i bilanci dell’Ilva. Azienda che, peraltro, deve fronteggiare spese imponenti per l’adeguamento alle prescrizioni ambientali. Si parla anche di una sperimentazione del preridotto, un semilavorato che eviterebbe il passaggio del minerale nelle cokerie e quindi abbatterebbe le emissioni. L’acquisizione da parte di Ilva, secondo fonti aziendali, starebbe subendo un rallentamento rispetto al programma iniziale proprio per le difficoltà dell’impresa. È noto inoltre che i tubifici sono fermi per assenza di commesse e così anche, da qualche giorno, i Rivestimenti con altri 136 operai che sono passati dal lavoro al contratto di solidarietà, gli ammortizzatori sociali.
E ieri sull’argomento ilva è intervenuto anche il deputato jonico di Conservatori e Riformisti, Gianfranco Chiarelli: «Quanto ho sempre denunciato in fase di discussione dei tanti decreti "salva Ilva", al contrario di quanti hanno accolto con toni trionfalistici tali provvedimenti del governo, si sta puntualmente verificando. Delle risorse che sono state garantite nessuna traccia. Ma anche se a breve questi fondi fossero sbloccati, rappresenterebbero solo una goccia nell'oceano del reale fabbisogno finanziario, necessario per attuare pienamente l'Aia, realizzare le bonifiche e riportare sul mercato l'acciaieria.
Nel frattempo si perdono importanti commesse e si chiudono reparti, ricorrendo sempre più massicciamente agli ammortizzatori sociali. Senza parlare della situazione dell'indotto ridotto alla fame», ha affermato l’onorevole Chiarelli. Per il deputato ha dunque ragione il presidente di Confidustria Squinzi «quando afferma che una delle più grandi acciaierie d'Europa richiede un management di elevata specifica preparazione. È evidente che la gestione commissariale abbia fallito. Il Governo si decida a chiarire cosa intende fare dell' Ilva di Taranto e lo faccia in tempi rapidi» ha concluso Chiarelli.(Quot)

sabato 26 settembre 2015

Il valzer delle visite

In visita all'altoforno 2 dell'Ilva commissione parlamentare infortuni

"Questa commissione ha voluto indagare vari aspetti che riguardano l'Ilva, più complessivamente la comunità di Taranto, sia dal punto di vista dell'attività commissariale che dal punto di vista dei rappresentanti dei lavoratori, che ovviamente hanno anche punti di vista diversi". Lo ha detto la senatrice Camilla Fabbri (Pd), presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali che oggi ha tenuto una serie di audizioni nella Prefettura di Taranto, ascoltando anche i commissari straordinari dell'Ilva Enrico Laghi e Corrado Carrubba.
"Per quanto ci riguarda - ha aggiunto Fabbri - il tratto comune è quello della sicurezza e della salute sui luoghi di lavoro. Un'attenzione dedicata in particolare, da parte della commissione come del governo, alla questione Ilva, recuperando un ritardo per tante cose successe in questi anni. La nostra intenzione è quella di produrre un'accelerazione, sia sul versante degli incidenti gravi, e noi siamo partiti purtroppo dall'incidente avvenuto l'8 giugno scorso ad Alessandro Morricella, sia sul tema delle malattie professionali".
La delegazione della Commissione Parlamentare ha incontrato nel pomeriggio i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (Rls) all'interno dello stabilimento Ilva di Taranto. La commissione, presieduta dalla senatrice Camilla Fabbri e composta da Giovanni Barozzino, Paola Pelino e Daniele Gaetano Borioli, ha chiesto di visitare l'Altoforno 2, dove l'8 giugno scorso è avvenuto l'incidente costato la vita all'operaio Alessandro Morricella.
L'impianto è stato dissequestrato, ma la magistratura ha imposto una serie di prescrizioni che dovranno essere completate entro il 30 novembre. "Non si può legiferare su un problema - ha spiegato Fabbri - se non si comprende di persona quello di cui si parla. Siamo informati sulla dinamica dell'incidente ma andremo in quell'impianto per capire come il Governo può contribuire affinché non si verifichino più incidenti mortali". La Commissione ha ascoltato il prefetto Umberto Guidato, il sindaco Ippazio Stefano, i commissari straordinari dell'Ilva, il procuratore Franco Sebastio, i sindacati di base e di categoria dei metalmeccanici e il presidente del Comitato '12 Giugno', Cosimo Semeraro. (GdM)

venerdì 25 settembre 2015

A data da destinarsi

AIA Ilva: i documenti di Ispra fermi ad aprile

Sul sito del Ministero dell'ambiente sono di aprile gli ultimi documenti pubblicati
Non è ben chiaro ciò che accade sul sito del Ministero dell'Ambiente in merito alla documentazione su Ilva e di conseguenza relativa all'AIA. Abbiamo però una certezza, siamo alla fine del mese di settembre e la documentazione ufficiale di Ispra, in merito allo stato di attuazione delle prescrizioni a seguito dei controlli trimestrali, è ferma ad aprile. Gli ultimi documenti pubblicati che ci dicono a che punto sono i lavori dell'AIA Ilva fanno riferimento all'esito dell'ispezione effettuata da Ispra e Arpa il 14 e 15 aprile.
Ma che fine hanno fatto quindi le considerazioni di Ispra in merito al famoso 80% delle prescrizioni AIA che doveva essere realizzato entro luglio 2015? Non lo sappiamo e chissà quando lo sapremo.
Per essere sempre sicuri ed aggiornati su quanto Ispra vuole comunicarci ci premuriamo di conservare le schermate video in merito a quanto accade sul sito del Ministero, questo semplicemente perchè ci siamo accorti che alcuni documenti che sono, diciamo, "in ritardo" alcune volte vengono pubblicati con date non effettivamente corrispondenti alla data di pubblicazione, in altri casi, proprio come sta accadendo con questi ultimi documenti, si preferisce omettere la data. Succede quindi che navigando sulla pagina che elenca tutti i documenti relativi all'AIA Ilva, a piè di pagina troviamo gli ultimi pubblicati in ordine cronologico, in questo caso i documenti del gestore Ilva in merito alle relazioni trimestrali, mentre per quanto riguarda quelli di Ispra relativi alle ispezioni si deve risalire la pagina perchè questi sono pubblicati senza data e quindi non sono in ordine temporale. Nell'era dell'open source e della politica all'insegna dell'amministrazione trasparente tutto ciò non ha una spiegazione.
Se poi denunciamo anche, che la documentazione pubblicata non è in formato testo ma  vengono fornite, anche se in pdf, come immagini di documenti realizzate allo scanner, e dove pertanto non è possibile fare una ricerca nel testo di parole specifiche, cosa che semplificherebbe un lavoro se si deve consultare un documento che contiene centinaia di pagine, allora è probabile che ci appaia l'Enterprise con Mr. Spock che ci saluta dall'oblò e ci fa cenno che stiamo chiedendo davvero troppo. Pertanto torniamo sulla terra e ci rassegnamo a vivere nel medioevo digitale espresso dai siti web delle istituzioni italiane che per essere realizzati e "aggiornati" richiedono notevoli risorse economiche del contribuente.
In realtà, però, questa settimana qualcosa è accaduto. Sul sito del Ministero è comparso il verbale del sopralluogo in Ilva da parte di Ispra ed Arpa effettuato dal 28 al 31 luglio 2015. Documento inviato al Ministero solo il 14 settembre, come da timbro protocollo. Qualcosa si muove anche se in realtà con questo documento vengono verbalizzati solo gli impianti visitati e la documentazione richiesta, ma non si apprende l'esito del controllo e di conseguenza neanche lo stato di attuazione delle prescrizioni AIA.
Quando sarà possibile, quindi, prendere visione della documentazione in questione? Abbiamo scritto ad Ispra e al Ministero dell'Ambiente tramite posta elettronica certificata, ma per non sbagliare e per essere sicuri che la nostra richiesta sia presa in considerazione abbiamo anche informato la Procura della Repubblica di Taranto.
Ad oggi, con il mese di ottobre alle porte, Ispra, sull'AIA Ilva, ci informa sullo stato dei lavori aggiornati ad aprile.
Non ci rimane, quindi, che aggiornarci sullo stato dei lavori AIA Ilva per mezzo delle fotografie che gli operai ci fanno pervenire dall'interno della fabbrica e che Puglia Press (in questo articolo) ha pubblicato proprio in questi giorni.
Immagini eloquenti: le solite emissioni non convogliate a cielo aperto e nei reparti pronte per essere respirate dagli operai, cappe di aspirazione inesistenti sulle siviere dei reparti di colata continua ma che il dimenticato Ronchi ci narrava fossero esistenti, cappe mobili al GRF che nessuno ha mai visto montate, coperture dei parchi minerali ammirate solo in slide e rendering in televisione, ricordiamo le slide, abbiamo dimenticato la faccia di chi ce le mostrava.
Rimuoviamo i brutti ricordi e badiamo alla sostanza, a Taranto è una regola per la sopravvivenza. (Peacelink)

In allegato l'ultimo documento disponibile di Ispra  in merito allo stato di attuazione dell'AIA Ilva, aggiornato ad aprile, e il verbale del sopralluogo di luglio.

Allegati

Scempio rimandato

Total taglia gli investimenti e sacrifica Tempa Rossa


Tra le vittime del crollo del petrolio c’è anche Tempa Rossa. Lo sviluppo del giacimento in Basilicata è rimasto vittima dei tagli agli investimenti da parte di Total, che lo sta sviluppando - tra mille polemiche da parte degli ambientalisti - insieme a Royal Dutch Shell e Mitsui. Il progetto, ha detto la compagnia francese durante una presentazione agli investitori a Londra, è rinviato a dopo il 2017, insieme ad altri due, quello di Ichtthys in Australia e quello di Martin Linge in Norvegia.
La giustificazione ufficiale è la persistente debolezza del prezzo del barile, che rimane tuttora sotto 50 dollari. Non si può tuttavia escludere che la mannaia sia caduta proprio su Tempa Rossa anche per le lungaggini autorizzative che ne hanno ritardato lo sviluppo fin dalla sua scoperta, nel 1989 Gli ostacoli sono legati soprattutto alla realizzazione della “base logistica” nel porto di Taranto, che comprende l'ampliamento del pontile petroli della raffineria Eni e i serbatoi di stoccaggio, indispensabili per commercializzare la produzione del giacimento, che dovrebbe arrivare a regime a 50mila barili di petrolio e 230mila metri cubi di gas naturale al giorno.
Come le altre major, anche Total aveva già tagliato drasticamente gli investimenti per far fronte al crollo del petrolio. Ma di fronte alla persistente debolezza dei prezzi ha deciso di intervenire anche sulle attività in programma nei prossimi anni, a costo di rallentare la crescita della produzione, dall’attuale 6-7% - un tasso particolarmente robusto in confronto a quello dei concorrenti - all’1-2% l’anno a partire dal 2019.
Tempa Rossa, per cui erano stimati 1,6 miliardi di dollari di investimenti, non è certo il progetto più oneroso per Total. Ma è finita comunque nella tagliola della compagnia francese, che ridurrà il capex a non più di 20-21 miliardi di dollari, il 15% in meno rispetto a quest’anno e quasi il 30% in meno rispetto al picco di 28 miliardi del 2013, e nel 2017 scenderà ancora, a 17-19 miliardi. A quel punto l’impatto sulla produzione comincerà a manifestarsi: il target è già stato ridotto da 2,8 a 2,6 milioni di barili al giorno.
«Ci prepariamo ad affrontare un lungo periodo di prezzi bassi per il petrolio», ha spiegato il direttore finanziario Patrick de la Chévardière, assicurando che le misure adottate consentiranno a Total di difendere il dividendo, arrivando al break even anche con il barile a 60 dollari, senza bisogno di assumere nuovi debiti.
Il greggio al momento non vale neppure 50 $/barile. Ieri il Brent era riuscito a tornare brevemente sopra questa soglia, ma ha finito col chiudere in ribasso del 2,7% a 47,75 $. Ancora peggio è andata al Wti, giù del 4,1% a 44,48 $ nonostante le scorte di greggio Usa abbiano mostrato un forte calo per la seconda settimana consecutiva (-1,9 milioni di barili, ma accompagnati da un accumulo di 1,4 mb per le benzine).
Alle attuali quotazioni, secondo Wood Mackenzie, 1.500 miliardi di dollari di potenziali investimenti nel settore petrolifero rischiano di rimanere sulla carta perché non garantirebbero un ritorno economico. Finora ne sono stati cancellati “solo” per 220 miliardi, dunque non stupirebbe se l’esempio di Total fosse seguito anche da altre compagnie. Quest’anno sla paralisi sul fronte investimenti è già quasi totale: solo mezza dozzina di nuovi progetti hanno ottenuto via libera quest’anno, osserva la società di consulenza, contro una media annuale di 50-60.
A forte rischio sono in particolare i progetti nello shale oil, per cui i finanziamenti si stanno riducendo. Un sondaggio dello studio legale americano Haynes and Boone tra operatori di società petrolifere e banche ha evidenziato che in ottobre ci si attende una riduzione media del 39% per le linee di credito garantiti da riserve di idrocarburi. (Sole24h)

giovedì 24 settembre 2015

Ci crediamo

Vertice a Roma, pronta la bozza del piano per rilanciare Taranto

Al Tavolo istituzionale per Taranto, riunito ieri a palazzo Chigi dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Claudio De Vincenti, affiancato dal sottosegretario alla Difesa Domenico Rossi, è stata esaminata la bozza del Cis, il Contratto istituzionale di Sviluppo che deve essere pronto per la prossima riunione del Cipe, prevista entro il primo novembre.
Lo strumento per la riqualificazione di Taranto e dei comuni di Statte, Crispiano, Massafra e Montemesola, contemplato dalla legge 20 del 2015 per l’Ilva e lo sviluppo dell’area «finisce per essere parte integrante del cosiddetto Masterplan per il Sud che si articola su otto Regioni e sette Città Metropolitane, una delle quali è - appunto - Taranto stessa», spiega un comunicato della Presidenza del Consiglio al termine della riunione . Il Cis e i progetti presentati dai vari enti – Regione Puglia, enti locali, Autorità Portuale, Marina Militare, commissario per le Bonifiche, ecc – verranno esaminati e scelti nel corso della prossima riunione del Tavolo, previsto il 19 ottobre a Taranto, dove si sposteranno non solo il sottosegretario, ma i dirigenti della Struttura di missione, del Dipartimento per le Politiche di Coesione e dell'Agenzia per la Coesione Territoriale, dei ministeri dello Sviluppo Economico, delle Infrastrutture, dei Beni Culturali, dell'Ambiente e di Invitalia. Un altro momento di attenzione per Taranto, dove il 20 luglio scorso De Vincenti aveva quantificato in almeno 600 milioni le risorse già stanziate tra fondi europei, nazionali, locali e di privati: 115 milioni per le bonifiche; 189 milioni per l'infrastrutturazione del porto; 219 milioni per la piattaforma logistica; 60 milioni per le opere di rigenerazione urbana; 30 milioni per la reindustrializzazione.
Il testo dell’accordo e le schede progettuali sono suscettibili di ulteriori modifiche, con osservazioni e integrazioni, ma al finanziamento andranno le opere già avviate e quelle che rischiano di perdere i fondi, come i dragaggi del porto di Taranto, già appaltati. «Non il libro dei sogni - afferma il Sottosegretario De Vincenti riassumendo il senso dei progetti in cantiere - ma interventi precisi, dotati di risorse precise, la cui realizzazione dovrà essere scandita da un cronoprogramma verificato periodicamente. Il tutto, nel nome della massima trasparenza perché i cittadini hanno il diritto di conoscere quel che si fa, con quali mezzi lo si fa, di chi è la responsabilità, conclude. Il contratto, “è uno strumento molto flessibile”, spiega il presidente dell’Autorità Portuale di Taranto, Sergio Prete, «e le proposte che non dovessero essere finanziate in tempo idoneo per sfruttare questi fondi, potranno essere poste nella prossima programmazione del Cipe», aggiunge.
Alla riunione, a cui ha partecipato anche l’Ammiraglio del Comando Marittimo Sud, Ermenegildo Ugazzi, il sindaco di Taranto, Ippazio Stefàno, ha consegnato la delibera comunale sul rilancio del ruolo dell’Arsenale Militare di Taranto e il completamento del piano Brin, su cui ha espresso il suo accordo il sottosegretario alla Difesa. (GdM)

Tra il serio e il faceto


Taranto: finalmente svelato il mistero!
 
L'inquinamento non è colpa dell'Ilva ma degli operai troppo benestanti che vanno a lavorare in Volkswagen.

E se Squinzi fosse l'emblema di come Confindustria non sappia fare impresa?

Squinzi (Confindustria): «Taranto è l'emblema della difficoltà di fare impresa in Italia e al Sud» 

Il Consiglio generale di Confindustria, che si è riunito oggi a Taranto alla presenza del presidente nazionale, Giorgio Squinzi e del presidente di Federacciai, Antonio Gozzi, in vista della presentazione del prossimo disegno di Legge di Stabilità e del Masterplan per il Mezzogiorno che il governo si appresta ad adottare, ha approvato una serie di proposte per l'industria del sud. Innanzitutto, "un credito di imposta - come ha spiegato il vicepresidente Alessandro Laterza - per l'acquisizione di beni strumentali nuovi, da parte di imprese delle otto regioni del Mezzogiorno, di durata almeno triennale, il rifinanziamento dei contratti di sviluppo, finalizzati all'attrazione di investimenti di medio utilizzo garanzia per favorire l'accesso al credito delle imprese meridionali, il potenziamento, attraverso l'utilizzo dei fondi strutturali europei, degli strumenti di garanzia per favorire l'accesso al credito delle imprese meridionali".
Confindustria propone, inoltre, "l'utilizzo di voucher per l'internazionalizzazione da parte delle imprese del Mezzogiorno per migliorarne la capacità di esportare, la conoscenza dei mercati esteri e per favorire l'incontro con operatori internazionali specializzati, la definizione di un piano per le infrastrutture che dia attuazione, con tempi e risorse certi, agli interventi già definiti in materia di ferrovie, porti, aeroporti, strade-autostrade, dissesto idrogeologico, beni culturali, edilizia scolastica, riqualificazione urbana". L'associazione invoca, infine, "la previsione di un adeguato stanziamento per il 2016 di risorse destinate al Fondo per lo Sviluppo e la Coesione, da dedicare in particolare al finanziamento di infrastrutture, l'accelerazione del processo di riparto di tutte le risorse del Fondo per il periodo e la definizione della governance della politica di coesione, attribuendo le deleghe a livello nazionale, costituendo la Cabina di Regia e rendendo pienamente operativa l'Agenzia per la Coesione"

L'ILVA - "Il consiglio generale di Confindustria oggi si è riunito eccezionalmente a Taranto che, per le vicende dell'Ilva, è diventata l'emblema delle difficoltà di fare impresa in Italia e, soprattutto, al Sud". Lo ha dichiarato il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi. "Il problema è reale - ha aggiunto - perché la questione Ilva è fondamentale per il futuro dell'industria manifatturiera italiana che non può rinunciare all'industria siderurgica senza retrocedere e quindi rischiamo di passare da Paese di primo rango a un Paese di rango decisamente inferiore. Noi abbiamo sposato questa battaglia fin dall'inizio, offrendo un contributo forte anche grazie alle associazioni come Federacciai e vogliano continuare a darlo, a beneficio delle imprese e di tutta la rete, nazionale, dell'indotto, che è ancora più grande come dimensioni rispetto alle imprese stesse".
"La produzione dell'Ilva si è dimezzata da 10 milioni a 5 milioni di tonnellate di acciaio l'anno - ha poi detto Squinzi - e ritengo che le perdite siano consistenti in questo periodo, nella misura di diverse decine di milioni di euro". "Pensiamo - ha proseguito - che si debba cercare di recuperare, anche in un momento congiunturale difficile come quello attuale per cui i consumi sono calati non solo sul mercato italiano. Occorre recuperare il più possibile e tornare vicino alle capacità reali di produzione dell'Ilva, tenendo presente - ha spiegato Squinzi - che il calo importante di produzione si riflette immediatamente sul conto economico per tutta una serie di costi che possono essere ammortizzati soltanto con i volumi di vendita".
"Oggi le aziende dell'indotto Ilva registrano, a livello nazionale, un passivo di 250 milioni di euro: 150 riguardano Taranto e la sua provincia. Una cifra che incombe gravemente sui bilanci di quelle realtà che, contrariamente ad altre, sono ancora in piedi e che hanno retto l'onda d'urto della crisi dell'Ilva, con tutti gli strascichi che la stessa ha prodotto". Lo ha sottolineato il presidente di Confindustria Taranto, Vincenzo Cesareo, nella relazione letta nell'ambito del Consiglio generale dell'associazione che si sta svolgendo nel capoluogo ionico alla presenza del presidente nazionale. Giorgio Squinzi.
"Senza queste aziende - ha aggiunto - il sistema Ilva perde una parte importante della sua identità e la città rischia di perdere un pezzo fondamentale del suo tessuto produttivo. Non basta assicurare la produzione. Non basta far andare avanti le pur indispensabili, fondamentali opere di risanamento e di bonifica. E' un intero sistema - secondo Cesareo - che va recuperato e di questo sistema le nostre aziende sono parte integrante e fondamentale". Il governo, ha poi affermato il presidente di Confindustria Taranto, "non è riuscito a garantire a queste aziende il ristoro, anche parziale, di quelle risorse che pure hanno consentito all'azienda dell'acciaio di andare avanti quando la situazione era già fortemente compromessa".
Infine Cesareo ha ricordato a Squinzi il "Progetto di sviluppo per l'Area di Taranto" in cui si "ipotizza una visione più ampia del concetto di sviluppo, partendo dal riconoscimento di Taranto quale 'area in situazione di crisi industriale complessa', da portare alla condivisione del governo centrale e delle istituzioni: Regione, Provincia e Comune". Da questo documento, che tiene conto di progetti di riconversione e riqualificazione industriale, è scaturita la "road map anticrisi" che Confindustria Taranto ha sottoscritto con Cgil, Cisl e Uil provinciali. (GdM)

Scambio di favori

Ilva, rifiuti smaltiti in una discarica interdetta per mafia

Un’inchiesta del Corriere della Sera svela un retroscena sullo smaltimento dei rifiuti da parte dell’Ilva. Finivano in una discarica siciliana interdetta per mafia.
Ad aprile la prefettura di Siracusa aveva interdetto la Cisma Ambiente, proprietaria di una discarica nel comune di Melilli. Motivo: pericolo di condizionamento da parte della criminalità organizzata. Nella stessa discarica, una settimana dopo, arrivano 9 mila tonnellate di polverino d’altoforno, scarto di lavorazione non pericoloso. Provengono dall’Ilva di Taranto.
Come riporta il Corriere, oltre il 53% del gruppo Cisma è detenuto dalla Paratore Srl, che possiede quote fino al 63% del totale. Al timone, Antonino Paratore, amministratore unico della società e responsabile della Paradivi Servizi, che si occupa di trasporto e smaltimento rifiuti, ed è fornitore delle multinazionali del petrolio del polo industriale siracusano.
Il contratto con l’Ilva viene firmato il 26 marzo, quindi prima dell’interdizione. Un collaboratore di giustizia, Santo La Causa, parla di Nino Paratore come socio di Maurizio Zuccaro, boss all’ergastolo, nipote di Nitto Santapaola. Secondo La Causa, quando Paratore controllava la Tecnoservice, società amministrata dalla moglie, aveva pensato di cedere per dedicarsi con Zuccaro al settore delle discariche di rifiuti speciali. Tutto smentito dagli avvocati della Cisma. Ci sono dipendenti della Tecnoservice parenti del boss, questo è certo, ma il ruolo di Paratore non risulta chiaro, sebbene i suoi legali affermino che mai prove o intercettazioni lo legano al boss.
A fine giugno il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Sicilia sospende in via cautelare delle richieste delle informative prefettizie di Siracusa e Catania. Il Corriere riferisce le parole di Francesco Paolo Giordano, procuratore capo di Siracusa, che dichiara che al momento è in corso la verifica sul carico di polverino. Poteva essere trasportato a Melilli?
In particolare, alcune prescrizioni regionali impongono che, essendo l’aria ad alto rischio ambientale, la discarica avrebbe dovuto dare priorità ai rifiuti provenienti dai comuni di Augusta, Floridia, Melilli, Priolo Gargallo, Siracusa e Solarino. Tutte limitazioni che per la difesa sono antigiuridiche e non esistono, limitazioni che sono soltanto impegni, non norme.
Interpellato dagli ambientalisti, il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti aveva risposto alla Camera che il trasporto dei rifiuti in Sicilia era una soluzione temporanea in vista del completamento dell’impianto di smaltimento interno agli stabilimenti di Taranto.(Greenbiz)

Stappilva!

Appalto Tap da 300 milioni di euro
Ilva esclusa, interviene Guidi

Il ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi starebbe seguendo da vicino la vicenda che riguarda la fornitura per la Tap da parte dell’Ilva. La ministra si sarebbe infatti attivata subito per cercare di aprire i canali necessari a chiarire alcuni aspetti della vicenda che potrebbero aver portato a un misunderstanding tra le parti relativo alle modalità tecniche della partecipazione alla gara. L’indiscrezione arriva all’indomani della notizia secondo la quale l’azienda siderurgica sarebbe stata esclusa dalla commessa Tap per la realizzazione del gasdotto Trans Adriatico. Una commessa da 300 milioni, la possibilità di rimettere in marcia i due tubifici e la speranza di dare ossigeno ai suoi conti in un momento difficile con posizioni di mercato perse nell’automotive e negli elettrodomestici. La sofferenza non è soltanto della società, ma di tutto il comparto della siderurgia italiana di cui Ilva costituisce la fonte maggioritaria di produzione.
La partecipazione
Ilva, con il sostegno dell’operatore finanziario giapponese Metal One Corporation, aveva partecipato alla gara internazionale di fornitura di tubi per la costruzione della Trans Adriatic Pipeline, l’infrastruttura di trasporto che parte al confine tra Grecia e Turchia, attraversa l’Albania, si inabissa nell’Adriatico e approda nel Salento per congiungersi alla rete italiana gas. Ma non è stata inclusa nella short list delle aziende che potranno fare l’offerta per i vari lotti in cui è stata divisa la fornitura degli 878 chilometri di tubi, compresi i 105 offshore. Degli 878 chilometri, 550 sono in Grecia, 215 in Albania, 105 in Adriatico raggiungendo la massima profondità a 820 metri, e 8 in Italia. Il consorzio Tap è molto riservato, non diffonde direttamente notizie, in particolare sulle gare e sui partecipanti almeno sino alla loro conclusione e all’affidamento dell’appalto, ma le indiscrezioni sono affiorate. Ilva è stata tenuta fuori dalla short list per l’incertezza sui tempi e luoghi di consegna del materiale e per la mancata conformità del suo prodotto alle specifiche tecniche indicate nel progetto Tap. In sostanza una serie di fattori che hanno fatto scartare la sua proposta confermando che le battaglie giudiziarie, la scarsità di fondi per la manutenzione e la produzione ridotta hanno inciso sulla qualità del prodotto finale e sull’affidabilità complessiva dell’azienda in un mercato globale nel quale queste due caratteristiche spesso rappresentano le carte vincenti.
La gara d’appalto
La decisione è stata comunicata una settimana fa a Metal one corporation. Ai bandi di prequalificazione, pubblicati nove mesi fa da Tap, avevano partecipato alcune società di respiro internazionale, alcune turche, la greca Corinth Pipeworks, le tedesche Salzgitter e Europipe. Ilva e Metal One avevano presentato un’offerta per i lotti dal 2 al 6, ma il risultato è stato negativo. La commessa per il gasdotto sarebbe stata un’iniezione di lavoro e risorse fresche per una fabbrica che oggi ha i due tubifici fermi, a conferma dello stop alla produzione di tubi per mancanza di ordinativi, il Treno nastri 1 fermo; in marcia i tre altiforni 1, 2 e 4, le due acciaierie 1 e 2, il laminatoio a freddo con una produzione di acciaio che, a fine anno, dovrebbe attestarsi attorno ai 6 milioni di tonnellate. Solo con la ripartenza di Afo5, a metà del prossimo anno, Ilva tornerà a uno standard produttivo di 8 milioni, la soglia minima perché sia remunerativa la produzione. Un aspetto ancora oggi preoccupante è la scarsità di soldi per la manutenzione ordinaria degli impianti mentre la società è in attesa, per portare avanti il processo di ambientalizzazione dello stabilimento tarantino nel rispetto dell’Aia, che si sblocchi il tesoro di 1.2 miliardi sequestrato ai Riva e fermo nelle banche svizzere sui quali il magistrato dovrà pronunciarsi entro la fine del mese di settembre. (CdM)

mercoledì 23 settembre 2015

Quando la Giustizia fa battere il cuore

Non siamo abituati alla Giustizia.
Come Italiani, come meridionali, come tarantini.
Abbiamo sempre vissuto con la parzialità, le beffe dei potenti verso i deboli, i soprusi delle oligarchie e dei corruttori fino a portare anche nel piccolo delle scaramucce di strada la sbruffoneria del più forte che se ne frega: "cce me ne futt a me!"
Talmente radicata è questa abitudine ai "due pesi e due misure" che, da qualche tempo a questa parte, leggere che un pool di magistrati, fedeli alla Legge e alla Costituzione, stia letteralmente frantumando la tradizione millenaria del più forte e degli interessi dei ricchi, ci suscita un immediato, primo sentimento di ... paura!
Forse è la stessa paura che ebbero gli abitanti delle città attraversate dalle rivoluzioni o dai cambi di regime che avvenivano facendo piazza pulita dei potenti dei vecchi sistemi.
Fa innata paura pensare che i Don Rodrigo di tutte le estrazioni possano anche loro sudare freddo davanti alla lettura di una condanna, sentirsi minare sotto le loro certezze storiche e i loro possedimenti, e con loro anche il nostro mondo.
Forse perché fa paura perdere la consuetudine dell'ignavia, la legge delle ostriche verghiane per cui ogni opposizione alla legge della giungla è un sacrilegio e tutti bisogna accettare tutto. Lamentarsi si, anche tanto, ma in fondo stare zitti e sotto, accettare perché così è sempre stato.
Qualcosa è cambiato. La Legge è arrivata anche in riva allo Jonio?
E con lei i diritti universali degli uomini a chiedere Giustizia, a sentirsi parte di uno Stato civile, a credere nei valori di tutti.
L'ignavia e l'interesse sono duri da spezzare.
Anche per tante persone stimabili e convintamente oneste è difficile, soprattutto in età più avanzata e disillusa, immaginare un mondo in cui due cittadini siano pari di fronte alla Legge: una libertà faticosa, che richiede impegno, responsabilità, partecipazione.
Per questo immaginiamo che, così come noi all'inizio abbiamo letto con un pizzico di paura il terremoto della notizia che segue, la schiera dei conservatori benpensanti griderà allo scandalo e additerà ancora una volta i magistrati giusti come biechi persecutori, come sovvertitori del sistema, come estremisti alleati con sfaccendati idealisti anacronistici, relegati ai margini della società!
Le ragioni del GIP sono corrette al limite della banalità: in attesa di giudizio, è necessario sequestrare i beni privati dei presunti responsabili perché sono venute meno le garanzie patrimoniali societarie, quindi la parte civile «non può che trovare soddisfazione del proprio credito nei patrimoni personali degli imputati, in caso di condanna».
Ma potete immaginare che per far valere il diritto all'esistenza dignitosa di un "miserabile" allevatore si metta mano ad una delle famiglie più potenti d'Italia e ai suoi prossimi?
La storia si può scrivere anche così. Ed oggi è più bella che mai,perché anche quando tutto sembra già scritto, lei non finisce mai di stupirci!
E la paura diventa presto emozione e speranza.
Auguri Vincenzo Fornaro, non volevi essere un martire e sei diventato un cittadino di questo Stato!

 
Ilva, per gli ex dirigenti sequestro degli immobili. Sigilli per gli ovini abbattuti: 87 le proprietà



Negli anni scorsi, migliaia di capi di bestiame destinati all’alimentazione furono abbattuti per la contaminazione da diossina e pcb, in seguito all’attività di pascolo in zone aggredite dall’inquinamento prodotto dall’Ilva. Per numerose aziende che si occupavano dell’allevamnento ovino-caprino fu il tracollo.

Ora, nelle more del processo “Ambiente svenduto”, i titolari dell’azienda Fornaro, fra i più colpiti dall’ordine di abbattimento, si rivalgono sull’Ilva. Ma non più sulla società per azioni, quanto sugli allora dirigenti che, nei loro rispettivi ruoli, avrebbero concorso al disastro. I sequestri, per alcuni milioni di euro, sono stati disposti dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Taranto dottoressa Vilma Gilli, gup del procedimento sull’Ilva sfociato a processo.
In funzione di gip, la dottoressa Gilli ha emesso un ordinanza di sequestro conservativo sui beni, di varia natura: in tutto ben ottantasette proprietà.
Si tratta di beni che sarebbero nella disponibilità di Nicola Riva, Fabio Arturo Riva, Giuseppe Casartelli, Cesare Corti, Girolamo Archinà, Francesco Perli, Salvatore D’Alò, Salvatore De Felice, Ivan Di Maggio, Bruno Ferrante, Angelo Cavallo, Adolfo Buffo, Alfredo Ceriani, Giovanni Rebaioli e Lorenzo Liberti.

Quelli appena riportati sono, in pratica, i nomi di dieci degli imputati coinvolti nel processo che sarà celebrato dalla Corte d’assise di Taranto a partire dal 20 ottobre prossimo, nei confronti dei quali è stata avanzata istanza da parte degli imprenditori Angelo, Vincenzo e Vittorio Fornaro, titolari dell’azienda “Masseria Carmine”, situata in agro di Taranto.

Oltre a quelle dei fratelli Riva, nella procedura sono coinvolte le proprietà dell’ex presidente di Ilva Spa Ferrante, dell’ex legale della famiglia Riva, avvocato Perli, di alcuni degli ex fiduciari della famiglia di industriali lombardi. Ma anche quelle dell’ex responsabile delle relazioni esterne dell’Ilva, dei dirigenti di impianti siderurgici e dell’ex consulente della procura della Repubblica.

A quest’ultimo, cioè al professor Liberti, è contestato nel processo proprio di aver falsificato una consulenza tecnica disposta dalla magistratura, asserendo «falsamente che la diossina rinvenuta nelle matrici alimentari analizzate (che portarono all’azzeramento del bestiame dell’azienda Fornaro) non era compatibile con l’attività dello stabilimento siderurgico Ilva».

Nell’evidenziare la sussistenza delle condizioni di legge per l’emissione del sequestro conservativo, la dottoressa Gilli ha ricordato come a propria firma, a suo tempo, sia intervenuta una ordinanza di esclusione dal processo dei responsabili civili Ilva Spa, Riva Fire e Riva Forni Elettrici.

Il riferimento, sic et simpliciter, è del tutto pertinente per spiegare come alla luce di questa circostanza siano venute meno le garanzie patrimoniali societarie. Per questo motivo, secondo quanto evidenziato dalla dottoressa Gilli, la parte civile «non può che trovare soddisfazione del proprio credito nei patrimoni personali degli imputati, in caso di condanna». (Quot)



“Ambiente Svenduto” – I Fornaro chiedono sequestro immobili per i dirigenti e spronano: “Fatelo con i politici”


E’ risaputo oramai, come  la Masseria “Carmine” sia il simbolo di questa Taranto che lotta contro l’inquinamento. Una Taranto martoriata, abbandonata, alla quale si promette il mondo, e puntualmente tutto finisce in fumo. Si in fumo, lo stesso maledetto fumo che ha inquinato il nostro mare, che ha visto morire padri, madri, figli. Lo stesso fumo che fuoriesce dai quei camini, lì al bivio, il maledetto bivio tra salute e lavoro. E il danno peggiore per il cittadino di Taranto è stato costringerlo a scegliere, e non per vivere, ma per sopravvivere in entrambi i casi. Questa è la triste storia di una delle città più belle. Questa è la triste storia dei tarantini, e la Masseria “Carmine” è il simbolo del cambiamento, l’apice, il punto di inizio, di quello che oggi è il più grande processo nella storia per disastro ambientale. I titolari della Masseria, Vincenzo, Vittorio e Angelo Fornaro, allevavano capi di bestiame. Gli stessi qualche anno fa, sono stati abbattuti in quanto contaminati da diossina e pcb. La causa? Il pascolo in zone contaminate dall’attività dello stabilimento Ilva. Dunque, capi di bestiame abbattuti, un’azienda al collasso, e un mondo crollato addosso. Ma i Fornaro non si sono dati per vinti, e i primi risultati sono stati i 47 rinvii a giudizio e le prime condanne. Taranto si è improvvisamente mobilitata, e fioccano le prime costituzioni di parte civile nei confronti degli ex dirigenti. Il 20 ottobre prossimo, il processo presso la Corte di Assise di Taranto, per gli imputati Nicola Riva, Fabio Arturo Riva, Giuseppe Casartelli, Cesare Corti, Girolamo Archinà, Francesco Perli, Salvatore D’Alò, Salvatore De Felice, Ivan Di Maggio, Bruno Ferrante, Angelo Cavallo, Adolfo Buffo, Alfredo Ceriani, Giovanni Rebaioli e Lorenzo Liberti, avverso i quali i Fornaro hanno presentato una istanza di sequestro conservativo dei beni immobili. Le proprietà sarebbero in tutto 87.
“Bisogna insistere, bisogna essere più incisivi e non bisogna demordere” ci spiega – raggiunto dal PugliaPress – in un’intervista Vincenzo Fornaro.
Fornaro commenta i primi rinvii a giudizio, riferendosi anche  alla classe politica, quella “del bello e cattivo tempo”, affinché la responsabilità del disastro ricada anche  su di loro, che questa città avrebbero dovuto proteggerla. “La nostra istanza sia anche da monito – spiega Fornaro – verso tutti coloro che si sono costituiti parte civile nei confronti della classe politica. Io dico loro di fare la stessa cosa, di chiedere il sequestro degli immobili – e continua – sequestrate i beni di queste persone”.
“Tutti i decreti del mondo, ma non ci piegheranno” dice Fornaro.
La Masseria “Carmine” ha segnato l’inizio di questo lungo percorso, spronando anche altri allevatori del territorio a ribellarsi, senza temere poteri forti. Un segnale di forza e coraggio all’intera città, e un segnale di presenza e determinazione anche  al Governo, che per quanto cerchi disperatamente di salvare con vari decreti questa fabbrica di morte, non risolve la situazione di una  città messa in ginocchio, da quella che chiamavano la sua vocazione. (Pugliapress)

Arte e Ilva


ALL’OMBRA DELL’ILVA SI COMPIE IL RITO COLLETTIVO DEL

PARADISO - VOI NON SAPETE LA SOFFERENZA DEI SANTI
ideazione, drammaturgia e regia di Armando Punzo
INGRESSO LIBERO


Il nostro occidente, quello che i fanatici di una cultura che sembra essere altra attaccano, ha già la morte al suo interno. Basterebbe lasciarlo alla sua vita per vederlo morire mentre si affanna a vivere, a imporsi. Si attaccano feticci, come se uno fosse migliore dell’altro. Le bandiere sono tutte false, tutte uguali, i loro colori chimere al vento. 

Nel grande vuoto a cielo aperto di una piazza, con la consueta magnificenza di linguaggio che mescola arti visive, musica e parola,
Armando Punzo ricostruisce allora con i cittadini di Taranto
il ciclo di una vita, sotto forma di festa, di paradiso artificiale e sgargiante
in cui una umanità vestita a festa abita una collina di croci,
una orchestra filarmonica si aggira sulle macerie invisibili della nostra cultura, e tra banchetti di scuola, sotto spoglie di una necessaria educazione, si riperpetra nei bambini la memoria di un errore
e l’inganno di una promessa tradita.
Per culminare in una processione che allontana lentamente tutti
verso il loro destino di uomini, mentre portano sulle proprie spalle,
santificandoli, i feticci della loro esistenza


Ci è stato promesso qualcosa che non è stato mantenuto.
Il paradiso devo averlo sicuramente sentito promettere bambino.  Si è dovuto scoprire essere una menzogna. È arrivato come suono in una caverna buia, come possibile luce che appare nella mente pronta a credere nelle meraviglie che l’attendono.
L’arte come dono, unico, per scongiurare la disperazione del fanciullo e vivere su quella porzione di mondo lo sconcerto di questa mancata promessa.
Un giorno di festa.
Ci hanno promesso un paradiso, il sogno di un paradiso in terra.
Sotto quelle croci tutto  il ciclo della vita.
Dalla nascita fino alla morte.
La nascita del bambino a cui viene promesso il paradiso.
Quel bambino sono io e non sono io. È mio figlio ed è tutti i figli che non sopportano la vita. O la subiscono per com’è accettandola, integrandosi. Ed è tragicamente, forse, la stessa cosa. 
Armando Punzo 
Misteri e Fuochi, un progetto del Teatro Pubblico Pugliese che raccoglie dal 24 al 27 settembre installazioni artistiche e performance di grandi maestri di teatro, danza e visual art internazionale. La catalana Angélica Liddell, gli iraniani Shoja Azari-Mohsen Namjoo-Shirin Neshat, l’uruguaiana Tamara Cubas, e l’italiano Armando Punzo incontrano quattro città (Taranto, Bari, Lucera e Brindisi) che appartengono alla Via Francigena pugliese per creare opere in relazione al tema della passione e del dolore. Una riflessione artistica, contemporanea, sulla sofferenza intesa come percorso verso la consapevolezza della condizione umana.
"Misteri e fuochi" è un progetto FSC (P.O. FESR Puglia 2007-13 - Fondo per lo sviluppo e coesione 2007-2013 - Accordo di programma quadro rafforzato "Beni ed Attività Culturali" -La filiera del Teatro e della Danza) della Regione Puglia


Ricordati di portare con te una candela bianca!
Per maggiori info sullo spettacolo/sistema di prenotazione:
cell +39. 328.6917948 / e mail: promozione@teatropubblicopugliese.it

martedì 22 settembre 2015

Chissà cosa troveranno?

Mar Piccolo, occhi puntati sull’Area “170 ha”

Nota stampa del Commissario Straordinario per gli interventi urgenti di bonifica, ambientalizzazione e riqualificazione della città di Taranto.
 
La Marina Militare possiede una adeguata conoscenza del Mar Piccolo di Taranto per esservi presente con proprio primario insediamento sin dagli inizi del ‘900 ed è impegnata, nell’ambito della “marine strategy”, in numerose attività di caratterizzazione dei fondali, di monitoraggio e salvaguardia dell’ambiente marino impiegando le proprie Unità Navali opportunamente attrezzate con strumenti tecnologicamente all’avanguardia.

Il Commissario Straordinario per gli interventi urgenti di bonifica, ambientalizzazione e riqualificazione della città di Taranto ha quindi ritenuto opportuno avvalersi della stessa Marina Militare per le attività propedeutiche agli interventi urgenti da porre in essere nel Mar Piccolo di Taranto e per questo, a giugno scorso, è stato formalizzato un accordo di collaborazione in tal senso.
Dall’inizio del mese di agosto sono quindi iniziate, sotto il coordinamento diretto del Commissario Straordinario, una serie di attività congiunte che hanno visto l’esecuzione di rilievi strumentali nell’area tecnicamente chiamata “170 ettari” di competenza  della Marina Militare, con il supporto, in questa fase, anche dell’Università di Bari, del CNR e dell’Istituto Idrografico della Marina. Contestualmente gli operatori del Gruppo Operativo Subacqueo (GOS) MM di base a Taranto hanno iniziato la ricerca visiva e catalogazione dei materiali antropici nella fascia prospiciente le banchine (sino a 30-40 metri).
Le attività di questa prima fase proseguiranno con il completamento dei rilievi strumentali e della catalogazione dei materiali antropici mediante investigazione visiva dei singoli contatti individuati. Un team costituito dai collaboratori del Commissario Straordinario, da biologi di enti di ricerca/università designati dal Commissario Straordinario, con il supporto degli operatori del GOS, valuteranno successivamente l’opportunità di rimuovere gli oggetti rinvenuti che nel tempo potrebbero essere diventati habitat di specie protette. Il Commissario e la Marina Militare hanno unito capacità, mezzi ed expertise, affinché la complessità del sistema si traduca in efficienza. La piattaforma su cui si ancora l’articolato processo è stata definita e configurata conseguentemente le attività sono iniziate. Il percorso iniziato, che è una vera e propria sfida a causa della complessità e della vastità delle operazioni da portare a termine, è tuttavia un’impresa in cui la Marina investe e crede molto, consapevole del fatto che un mare pulito è un mare più sicuro. (Inchiostroverde)

Scuole di serie P come polvere

Comunicato dei Cittadini e lavoratori liberi e pensanti

I bambini vanno difesi e tutelati

La “Dichiarazione di Ginevra dei diritti del fanciullo” dichiara, al secondo punto, che “il fanciullo deve beneficiare di una speciale protezione e godere di possibilità e facilitazioni, in base alla legge e ad altri provvedimenti, in modo da essere in grado di crescere in modo sano e normale sul piano fisico intellettuale, morale, spirituale e sociale in condizioni di libertà e di dignità.”
La difesa e la tutela dei bambini può e deve essere un obiettivo comune a tutti: genitori, istituzioni scolastiche e politica. E’ questo lo spirito che ci ha spinto a denunciare la situazione in cui versano le scuole elementari del quartiere Tamburi di Taranto, il rione a ridosso della zona industriale, forse più inquinante d’Italia, quello in cui, qualche tempo fa, un prefetto (ci pare) impedì l’apertura di un istituto superiore a causa dell’inquinamento. Evidentemente il nostro voler veder chiaro ha dato fastidio a qualcuno che si è sentito accusato, senza alcuna ragione, di negligenza.
L’iniziativa di ieri mattina presso la scuola Vico, maturata dopo le dichiarazioni del sindaco Stefàno al Convegno “Oltre l’Ilva”, in cui ringraziava il premier Renzi per l’attenzione riservata alla nostra città, aveva lo scopo di misurare quanto concreto fosse l’impegno del Governo. Abbiamo così scoperto che, contrariamente a quanto sostenuto dal sindaco, il Comune di Taranto, per realizzare questi lavori, che sono partiti in ritardo proprio per la mancanza dei fondi, ha anticipato un milione di euro in attesa che il Governo, che non smette mai di proclamare l’importanza di Taranto per tutta la nazione, restituisca la somma.
Nell’incontro con la dirigente scolastica dell’Istituto Comprensivo Deledda, a cui ha partecipato anche il responsabile dei lavori, è emersa, per la sede centrale, la questione della palestra non ancora completata e usata come deposito di materiale fino alla fine dei lavori. Abbiamo chiesto come mai non si sia pensato ad un prefabbricato da adibire a deposito ma ci è stato risposto che “costa troppo”. Tradotto, significa che, garantire ai bambini frequentati la scuola, il diritto di svolgere attività psicomotorie, indispensabile per una corretta crescita, è un costo troppo oneroso.
Abbiamo anche chiesto se chi ha stilato il progetto di questi lavori abbia posto “particolare curaper quanto riguarda la presa dell’aria esterna”, così come previsto dagli art. 5.3.13 e 5.3.14 del Decreto Ministeriale del 18 dicembre 1975 in materia di trattamento dell’aria esterna nelle zone con condizioni particolarmente gravi d’inquinamento atmosferico. Prevedevamo che la risposta sarebbe stata negativa, ma non immaginavamo che i nostri interlocutori non conoscessero per niente questa normativa.
Qualche articolo di giornale in cui si “ridicolizza” l’iniziativa di ieri e si afferma che i bambini non subiscono alcun disagio (come se la polvere di cui è pieno l’edificio, i rumori continui, la mancanza della palestra e del giardino esterno non fossero disagi) non ci fermerà anzi, così come abbiamo sempre fatto, andremo a fondo anche interpellando la Magistratura.

lunedì 21 settembre 2015

Continua lo scempio

Ilva – Gli operai: “Lavoriamo in costante pericolo”. Ecco le foto dei reparti.

Continuano a giungerci dall’interno dell’acciaieria Ilva di Taranto numerose segnalazioni corredate da foto che immortalano come i lavori di ambientalizzazione della fabbrica siano in alto mare.
Ormai sono gli stessi operai, non sentendosi più al sicuro, che, dopo la morte di Alessandro Morricella – l’operaio arso vivo da una colata di ghisa incandescente mentre controllava la temperatura della stessa – hanno iniziato a raccontare cosa avviene nella fabbrica.
Loro, gli operai, non si sentono più al sicuro e si rendono conto che i lavori di adeguamento degli impianti previsti dall’Autorizzazione Integrata Ambientale non garantiranno, fossero tutti ultimati, la loro incolumità.
Hanno capito che il sistema Ilva è molto complesso e che prima della loro vita ci sarà sempre la produzione nell’interesse del Paese.
Numerose, ci raccontano, sono le denunce fatte ai capireparto, capiturno fino ad arrivare al sindacato senza però ottenere i risultati sperati.
Le foto, che ci sono giunte, mostrano palesemente come le emissioni provenienti dai vari reparti interessati ( gestione rottami ferrosi, colata continua e acciaieria1) siano continue ed incontrollate. Queste sono tanto pericolose per gli addetti ai lavori quanto nocive.

Nella prima foto si nota un carro siluro posto nella zona denominata “acciaieria1” (acc1).
Il carro siluro, ci spiegano gli operai, sia carico di ghisa che scarico, emette un fumo di colore arancione che non è altro che l’emissione della ghisa carica di ossidi di zolfo, ossidi di azoto, rame, piombo, nichel, ferro, cromo ed altri metalli. Il tutto a cielo aperto senza che questi fumi vengano o aspirati o convogliati.
Proprio in questa zona, ricordiamo,  a settembre del 2014 morì un operaio mentre lavorava presso i binari dove viaggiano i carri siluro e, sempre lì, un carro siluro deragliò ad agosto 2014 versando per terra 200 tonnellate di ghisa liquida. L’emissioni dei carri siluro come dimostrano queste foto di qualche giorno fa, avvengono a cielo aperto e senza nessuna aspirazione o contenimento. Quindi nulla ancora risulta essere cambiato in quel reparto nonostante si dica che le prescrizioni AIA siano quasi all’80% rispettate.
La seconda foto ritrae la siviera. Lo scatto è particolare perché immortala la fase di apertura siviera nel reparto “colata continua 1” ( cco1). Anche in questo caso le emissioni di vapori sono incontrollate e si disperdono in tutta la zona circostante.
Quei fumi sono dannosi per la salute dell’uomo ed in passato si sono verificate intossicazioni di operai per i fumi da siviera.  Inoltre, si notano sfiammate notevoli che si spigionano durante la lavorazione della ghisa. Gli operai hanno le protezioni ma ricordando il caso di Morricella: se quella ghisa dovesse raggiungere qualcuno di loro per un inconveniente, quelle tute sarebbero sufficienti? La distanza degli operai dalla siviera è minima, probabilmente è quella consentita nelle pratiche operative. Ed ancora, perchè accanto a questi e a pochi metri dall’apertura siviera ci sono teli di plastica e cartoni, materiali facilmente infiammabili?
Infine, altri problemi sorgono nel reparto “gestione rottami ferrosi” (grf). Qui le prescrizioni AIA non hanno cambiato nulla o quasi. Non esistono cappe, neanche quelle mobili prescritte nell’AIA. Il grf non ha contenimenti sul terreno e pavimentazioni. Tutto viene ammassato sul suolo nudo. Le scorie incandescenti, poi, provocano delle combustioni con relative emissioni di sostanze in atmosfera.
Adesso, toccherà a chi di competenza, approfondire quanto gli operai raccontano e se quella fabbrica, gestita così, potrà mai essere compatibile con l’ambiente e la vita dei tarantini.
Antonello Corigliano Pugliapress

All'italiana

Bichi si insedia e parla di Ilva: «Qui
il processo più imponente d’Italia»

Si parla di Ilva, nelle aule giudiziarie milanesi, dove questa mattina ha avuto luogo la cerimonia di insediamento di Roberto Bichi, nuovo presidente del Tribunale nominato dal Csm lo scorso 30 luglio e che prende il posto di Livia Pomodoro che, dopo 8 anni al vertice del Palazzo di Giustizia, nei mesi scorsi è andata in pensione.
Oltre a parlare della «costante diminuzione di risorse» per gli uffici giudiziari milanesi, Bichi ha infatti ricordato che il Tribunale dovrà gestire il «procedimento civile più imponente in Italia», quello «sull’insolvenza» dell’Ilva di Taranto.
Per il 27 novembre prossimo, infatti, è stata convocata la maxi-adunanza dei creditori per la quale, come ha ricordato il nuovo presidente del Tribunale, sono previste «oltre 20mila» istanze di insinuazione al passivo da parte di altrettanti creditori. (CdM)

domenica 20 settembre 2015

Quanto inquina l'Ilva? 280 milioni di euro all'anno!

Ilva e salute, i costi dell’inquinamento a Taranto in un e-book pubblicato oggi

È  stato pubblicato questa mattina  l’e-book dal titolo “Valutazione economica degli effetti sanitari dell’inquinamento atmosferico: la metodologia dell’EEA”, a cura di Giorgio Assennato, direttore generale di Arpa Puglia, contenente gli atti del workshop di approfondimento sul Report dell’Agenzia Europea per l’Ambiente Revealing the costs of air pollution from industrial facilities in Europe (EEA technical Report n .15/2011), tenutosi a Taranto il 23 e 24 luglio 2012.
Il documento, composto da oltre 170 pagine e arricchito da contributi aggiornati, dedica una sezione importante al caso Taranto, curata dalla dott.ssa Paola Biasi (Facoltà di Economia – Università degli Studi di Firenze). Riteniamo quanto mai opportuno immergersi nella lettura di questo testo per rendersi conto di quanto sia complesso il rapporto tra inquinamento, danno sanitario e costo sociale. Un tema che non dovrebbe essere affidato, come spesso accade, a semplicistiche argomentazioni. Intanto, partiamo da un dato: basandosi sul framework delineato dalla European Environmental Agency per la città di Taranto è stato possibile stimare un danno sanitario imputabile all’inquinamento atmosferico pari, in media, a oltre 280 milioni di euro annui. 
“La quantificazione monetaria del danno – si legge – è stata effettuata utilizzando dati indiretti; in particolare il riferimento è al metodo dello unit value transfer approach. Coerentemente con quanto stabilito dall’EPA, i valori utilizzati sono stati desunti da rapporti e studi riconducibili ad istituzioni internazionali. In particolare si fa riferimento al progetto ExternE per la quantificazione monetaria delle esternalità legate alla produzione di energia (Bickel e Friedrich, 2005). I valori monetari sono ovviamente stati adattati considerando la rivalutazione della moneta per adeguare il valore del danno calcolato al periodo in analisi.
La fonte principale per i dati ambientali e sanitari utilizzati nello studio è costituita da due tra i più importanti studi a livello nazionale che hanno analizzato le relazioni tra inquinamento atmosferico e salute: “Metanalisi italiana degli studi sugli effetti a breve termine dell’inquinamento atmosferico” (Biggeri et al., 2004) relativo al periodo 1996-2002; il secondo è lo studio dal titolo “Inquinamento atmosferico e salute: sorveglianza epidemiologica e interventi di prevenzione” (Berti et al., 2009), relativo al periodo 2000-2005.
biasiIl dataset relativo al capoluogo ionico include dati relativi alla concentrazione di PM10 nell’aria della città di Taranto, oltre che i dati sanitari sulla mortalità raccolti dall’Azienda Sanitaria Locale Taranto/1. In particolare, per la mortalità sono stati utilizzati coefficienti di Relative Risk (RR) mutuati dalla letteratura epidemiologica; per gli eventi sanitari sono invece state utilizzate Impact Functions (IF). Sulla base di tali dati è stato possibile effettuare il calcolo dei casi attribuibili all’inquinamento in tre scenari controfattuali. Il dato ottenuto è quindi da intendersi come danno economico potenzialmente evitabile con diverse concentrazioni di PM10 nell’aria.
Ovviamente – fa notare la Biasi – tale stima rappresenta solo una frazione del costo sociale dell’inquinamento atmosferico: l’arco temporale in cui tale valore è stato stimato è limitato (come già specificato, il periodo dal 2001 al 2005); è stato preso in considerazione un solo inquinante; l’analisi è limitata ad una sola matrice ambientale in un contesto in cui la contaminazione ambientale è molto più pervasiva e complessa. Ciò nonostante, la base informativa fornita dalla stima è di notevole importanza, sia in termini di policy making che di dibattito pubblico”. Per i soli costi di mortalità “il valore stimato supera i 170 milioni di euro, e oscilla tra un minimo di circa 70 milioni annui a un massimo di quasi 400 milioni. Il valore totale stimato sulla base del valore centrale utilizzato per singolo end-point configura un danno sociale importante a carico della collettività in analisi: in media, oltre i 284 milioni di euro all’anno”.

CONCLUSIONI

tabelle“L’uso di strumenti interdisciplinari per la valutazione del danno imputabile all’inquinamento atmosferico – conclude l’economista –  è di fondamentale importanza per chiarire entità e pervasività del danno sociale prodotto dall’inquinamento stesso. Il framework delineato dalla European Environmental Agency ha il merito di contribuire allo sviluppo di tali procedure e tecniche di valutazione. Nonostante le incertezze connesse al processo di quantificazione in termini monetari dei costi sociali dell’inquinamento, la valutazione economica consente di misurare in termini omogenei una pluralità di tipologie di danno sanitario, chiarendone entità, effetti indiretti e peso relativo sul totale dei costi sociali. La possibilità di comunicare con chiarezza i risultati di questo tipo di valutazioni è un vantaggio di non secondaria importanza: in primo luogo per la priorità che tali temi hanno assunto nel dibattito pubblico; allo stesso tempo la valutazione economica può avere un ruolo importante nel definire obiettivi e urgenza di interventi di policy making in aree caratterizzate da un pervasivo impatto ambientale di attività inquinanti, come è chiaramente il caso di Taranto analizzato in questo lavoro”.
Per chi volesse approfondire l’argomento consigliamo di scaricare gratuitamente l’e-book dal sito http://www.ledizioni.it/prodotto/valutazione-economica-degli-effetti-sanitari-dellinquinamento-atmosferico-la-metodologia-delleea/. E’ sufficiente una rapida registrazione. Nel documento troverete altri interessanti contributi da parte di esperti che hanno studiato l’argomento da più angolazioni. Tra questi, figura anche il professor Francesco Forastiere, uno degli autori della perizia epidemiologica realizzata su richiesta del gip Patrizia Todisco nell’ambito del processo sull’inquinamento prodotto dall’Ilva.

Alessandra Congedo - inchiostroverde



venerdì 18 settembre 2015

Gli eroi agnellini e la coscienza imprenditoriale nazionale

Ilva, Gozzi (Federacciai) «I Riva eroi e agnelli sacrificali Accanimento su Bondi e Gnudi»


"Anche l’incriminazione dei commissari dell’Ilva Enrico Bondi e Piero Gnudi è spiegabile con l'accanimento della magistratura nei confronti dell’Ilva e con un rigore eccessivo rispetto alla realtà delle cose". Così Antonio Gozzi, presidente di Federacciai e ad di Duferco, in un’intervista. Per Gozzi - si legge in una nota - "lo scopo finale della magistratura sarebbe di chiudere l’Ilva, provocando danni importanti all’industria italiana e all’occupazione in Puglia".
"Da parte di settori dell’opinione pubblica, e anche da parte di qualche sostituto procuratore o giudice delle indagini preliminari, si pensa che nel rapporto costi/benefici della situazione tarantina sarebbe meglio che l'Ilva fosse chiusa", afferma Gozzi, molto critico verso l'atteggiamento generale dei pubblici ministeri. Gozzi prende le difese della famiglia Riva, definiti sia "eroi" e "agnelli sacrificali".
Per Gozzi, che non ritiene le morti a Taranto ascrivibili all’Ilva, i Riva sono: "bravi imprenditori per quello che hanno fatto in 50 anni di storia, gestendo molto bene le loro aziende. Per esempio, sono i primi ad aver introdotto la colata continua in Italia". (GdM)