Ilva, dirigenti condannati
di Tiziana Migliati
E' stato il mancato rispetto delle norme di sicurezza
che ha ucciso Antonino Mingolla, operaio di una ditta che lavorava per
conto dell'Ilva. Questa la motivazione della condanna per omicidio
colposo da parte del tribunale di Taranto per sei imputati, responsabili
del siderurgico e di un'azienda appaltatrice. Un episodio che
l'avvocato di parte civile definisce "di una frequenza ormai seriale"
(14 dicembre 2012)
Fuori dall'aula del Tribunale di Taranto Francesca Caliolo
finalmente si siede, stringe la borsa, spalanca gli occhi in un
viso che diventa trasparente quando parla del marito, operaio
all'Ilva, che le diceva 'va tutto bene' e poi la notte non dormiva,
'non ti devi preoccupare' e lei provava ad ascoltare anche i
silenzi, 'meglio che non lo sai cosa accade lì dentro'. Poi un
giorno non è tornato a casa: il 18 aprile 2006 Antonino Mingolla ha
perso la vita a 46 anni per un incidente sul lavoro.
La sentenza del processo che ha coinvolto l'Ilva di Taranto e la ditta Cmt che eseguiva, in appalto, la manutenzione degli impianti spiega cosa è accaduto in quello stabilimento. Dal dibattimento emerge che gli imputati non hanno adempiuto agli obblighi informativi, addestrativi, di segnalazione del pericolo e di controllo degli ambienti a rischio. Si tratta di una mancata predisposizione di adeguati mezzi di produzione, e di omissione di controllo che fossero correttamente utilizzati. Le condanne, al di là di ogni ragionevole dubbio, per omicidio colposo inflitte dal giudice Massimo De Michele sono state superiori a quanto richiesto dal pm.
Continua...
Così a Pietro Mantovani, titolare della ditta Smi subappaltatrice della Cmt, il giudice ha attribuito una maggiore responsabilità condannandolo alla pena di 2 anni e 6 mesi. Due anni di carcere ad Alfredo De Lucreziis, tecnico d'area energia manutenzione meccanica dell'Ilva, Angelo Lalinga, responsabile di produzione, distribuzione e trattamento acque, soffiaggio vapore, aria e gas dell'Ilva; Mario Abbattista, capo reparto energia, aria e gas dell'Ilva; Antonio Assentato, capo cantiere della ditta Cmt; Francesco Ventruto, responsabile del servizio di prevenzione e protezione rischi per la sicurezza e salute durante il lavoro.
Antonino è rimasto intossicato dal monossido di carbonio che usciva da una tubatura in manutenzione. Non era il solo, lassù, a 10 metri d'altezza in un condotto di tre metri e nessuna via di fuga dalla sua parte. Quando è svenuto i colleghi sono riusciti a raggiungerlo solo assemblando con delle assi un passaggio di fortuna, mentre il tempo correva. Altri operai hanno avuto malori quel giorno, sono stati soccorsi, ma lui aveva respirato più a lungo nell'aria pregna di gas, senza maschera. L'aveva tolta in continuazione per rispondere alle telefonate dei capi, aveva impartito direttive a quei ragazzi più giovani, di cui era responsabile, ed era rimasto oltre il suo turno, per non lasciarli soli.
"E' stata colpa sua: troppo ligio al dovere" hanno detto a Francesca durante la prima udienza, come se una moglie non possa capire quello che ogni compagno non osa denunciare: per paura di perdere il lavoro, perché non ci si sente tutelati dai sindacati, perché c'è un clima di omertà. Ma lei ha avuto la forza di parlare, durante questi anni, in ogni occasione pubblica: "In quella fabbrica non c'è sicurezza. Si lavora al risparmio. E a rimetterci sono gli operai. Mio marito diceva sempre che i suoi ragazzi non potevano lavorare così, cercava di proteggerli, e si sporcava anche lui le mani, faceva squadra. Poi quando è accaduto l'incidente alcuni dei suoi colleghi mi hanno sostenuta; qualcuno mi ha detto 'si vede che era destino' non dipende mica da noi. Ma la sicurezza sul lavoro se non la pretendono gli operai chi gliela deve dare?".
Dalle risultanze istruttorie così come dagli atti di indagine è emersa, con riferimento al luogo di lavoro, una struttura logistica assolutamente inadeguata ad un corretto e tempestivo intervento di soccorso.
Nella sua testimonianza il dott. Severini in servizio presso l'Ispettorato del Lavoro di Taranto, ha chiaramente descritto, senza lasciare alcuno spazio all'immaginazione, il precario stato dei luoghi in cui è avvenuto il soccorso di Antonino Mingolla: "la postazione di lavoro ove era stato destinato ad operare l'infortunato presentava delle carenze che se fossero state ovviate, mediante l'adozione di precauzioni o misure, avrebbero, probabilmente, consentito una rapida evacuazione della persona". (L'Espresso)
“Il Tribunale Penale di Taranto - alla conclusione del processo a carico di diversi preposti e dirigenti dell’Ilva", nonché della ditta appaltatrice e della subappaltatrice per la morte sul lavoro dell'operaio Antonio Mingolla, avvenuta il 18 aprile del 2006 - "ha condannato l’Amministratore delegato della ditta subappaltatrice a due anni e sei mesi di reclusione e tutti gli altri imputati a due anni.” E' quanto dichiarano in una nota congiunta Rosario Rappa, segretario nazionale Fiom-Cgil responsabile per la siderurgia, e Maurizio Marcelli, responsabile per la stessa Fiom dell'Ufficio Salute, ambiente e sicurezza.
“Il Tribunale ha emesso la sentenza dopo aver rigettato tutte le eccezioni degli imputati, relative a pretesi vizi di forma nella costituzione di parte civile della Fiom-Cgil, e ha accolto tutte le deduzioni e conclusioni di quest'ultima.” “In favore della Fiom - aggiungono i sindacalisti - costituita parte civile già dall’udienza preliminare del settembre 2009, in quanto portatrice dell'interesse collettivo dei lavoratori alla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, è stato riconosciuto, a carico di tutti gli imputati, il risarcimento del danno.” “Questa sentenza è importante perché afferma che la morte del lavoratore in questione non è frutto della causalità ma, così come affermato anche da altre significative sentenze relative ad altri incidenti mortali sul lavoro, è la risultante di una grave violazione imputabile non solo all’azienda appaltante, ma anche a quella committente. Antonio Mingolla, infatti, è morto perché non era stato sufficientemente formato e informato in materia di sicurezza sul lavoro.”(Rassegna)
La sentenza del processo che ha coinvolto l'Ilva di Taranto e la ditta Cmt che eseguiva, in appalto, la manutenzione degli impianti spiega cosa è accaduto in quello stabilimento. Dal dibattimento emerge che gli imputati non hanno adempiuto agli obblighi informativi, addestrativi, di segnalazione del pericolo e di controllo degli ambienti a rischio. Si tratta di una mancata predisposizione di adeguati mezzi di produzione, e di omissione di controllo che fossero correttamente utilizzati. Le condanne, al di là di ogni ragionevole dubbio, per omicidio colposo inflitte dal giudice Massimo De Michele sono state superiori a quanto richiesto dal pm.
Continua...
Così a Pietro Mantovani, titolare della ditta Smi subappaltatrice della Cmt, il giudice ha attribuito una maggiore responsabilità condannandolo alla pena di 2 anni e 6 mesi. Due anni di carcere ad Alfredo De Lucreziis, tecnico d'area energia manutenzione meccanica dell'Ilva, Angelo Lalinga, responsabile di produzione, distribuzione e trattamento acque, soffiaggio vapore, aria e gas dell'Ilva; Mario Abbattista, capo reparto energia, aria e gas dell'Ilva; Antonio Assentato, capo cantiere della ditta Cmt; Francesco Ventruto, responsabile del servizio di prevenzione e protezione rischi per la sicurezza e salute durante il lavoro.
Antonino è rimasto intossicato dal monossido di carbonio che usciva da una tubatura in manutenzione. Non era il solo, lassù, a 10 metri d'altezza in un condotto di tre metri e nessuna via di fuga dalla sua parte. Quando è svenuto i colleghi sono riusciti a raggiungerlo solo assemblando con delle assi un passaggio di fortuna, mentre il tempo correva. Altri operai hanno avuto malori quel giorno, sono stati soccorsi, ma lui aveva respirato più a lungo nell'aria pregna di gas, senza maschera. L'aveva tolta in continuazione per rispondere alle telefonate dei capi, aveva impartito direttive a quei ragazzi più giovani, di cui era responsabile, ed era rimasto oltre il suo turno, per non lasciarli soli.
"E' stata colpa sua: troppo ligio al dovere" hanno detto a Francesca durante la prima udienza, come se una moglie non possa capire quello che ogni compagno non osa denunciare: per paura di perdere il lavoro, perché non ci si sente tutelati dai sindacati, perché c'è un clima di omertà. Ma lei ha avuto la forza di parlare, durante questi anni, in ogni occasione pubblica: "In quella fabbrica non c'è sicurezza. Si lavora al risparmio. E a rimetterci sono gli operai. Mio marito diceva sempre che i suoi ragazzi non potevano lavorare così, cercava di proteggerli, e si sporcava anche lui le mani, faceva squadra. Poi quando è accaduto l'incidente alcuni dei suoi colleghi mi hanno sostenuta; qualcuno mi ha detto 'si vede che era destino' non dipende mica da noi. Ma la sicurezza sul lavoro se non la pretendono gli operai chi gliela deve dare?".
Dalle risultanze istruttorie così come dagli atti di indagine è emersa, con riferimento al luogo di lavoro, una struttura logistica assolutamente inadeguata ad un corretto e tempestivo intervento di soccorso.
Nella sua testimonianza il dott. Severini in servizio presso l'Ispettorato del Lavoro di Taranto, ha chiaramente descritto, senza lasciare alcuno spazio all'immaginazione, il precario stato dei luoghi in cui è avvenuto il soccorso di Antonino Mingolla: "la postazione di lavoro ove era stato destinato ad operare l'infortunato presentava delle carenze che se fossero state ovviate, mediante l'adozione di precauzioni o misure, avrebbero, probabilmente, consentito una rapida evacuazione della persona". (L'Espresso)
Ilva Taranto: Fiom, condannati responsabili incidente del 2006
“Il Tribunale Penale di Taranto - alla conclusione del processo a carico di diversi preposti e dirigenti dell’Ilva", nonché della ditta appaltatrice e della subappaltatrice per la morte sul lavoro dell'operaio Antonio Mingolla, avvenuta il 18 aprile del 2006 - "ha condannato l’Amministratore delegato della ditta subappaltatrice a due anni e sei mesi di reclusione e tutti gli altri imputati a due anni.” E' quanto dichiarano in una nota congiunta Rosario Rappa, segretario nazionale Fiom-Cgil responsabile per la siderurgia, e Maurizio Marcelli, responsabile per la stessa Fiom dell'Ufficio Salute, ambiente e sicurezza.
“Il Tribunale ha emesso la sentenza dopo aver rigettato tutte le eccezioni degli imputati, relative a pretesi vizi di forma nella costituzione di parte civile della Fiom-Cgil, e ha accolto tutte le deduzioni e conclusioni di quest'ultima.” “In favore della Fiom - aggiungono i sindacalisti - costituita parte civile già dall’udienza preliminare del settembre 2009, in quanto portatrice dell'interesse collettivo dei lavoratori alla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, è stato riconosciuto, a carico di tutti gli imputati, il risarcimento del danno.” “Questa sentenza è importante perché afferma che la morte del lavoratore in questione non è frutto della causalità ma, così come affermato anche da altre significative sentenze relative ad altri incidenti mortali sul lavoro, è la risultante di una grave violazione imputabile non solo all’azienda appaltante, ma anche a quella committente. Antonio Mingolla, infatti, è morto perché non era stato sufficientemente formato e informato in materia di sicurezza sul lavoro.”(Rassegna)
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