Ilva: la riconversione che non c'è, già pagata dall'Europa? Il "segreto" svelato dalla Bei
La saga dell'Ilva di Taranto continua, tra il dramma per la salute
dei cittadini e quello dei lavoratori dell'impianto. Prodotti
semilavorati e finiti ancora sotto sequestro, difficoltà di scarico
delle materie prime, disperazione tra gli operai e indagini a tutto
campo della magistratura che inseguono anche all'estero i membri della
famiglia Riva. Su tutto poi i dubbi su quanto il decreto del governo,
ancora in via di conversione in un Parlamento di fine legislatura, possa
risolvere la situazione nel medio e lungo termine e dare un futuro
possibile al sogno di una "filiera dell'acciaio sostenibile".
Tutto
ruota, infatti, sull'applicazione dell'autorizzazione integrale
ambientale, e in particolare intorno a chi dovrebbe pagare bonifica e
riconversione, se ancora possibile, dell'impianto dell'Ilva - per non
parlare delle compensazioni per la popolazione locale.
Continua...
Eppure i
soldi sono stati dati, e da tempo. Il 16 dicembre 2010 la Banca europea
per gli investimenti (BEI) ha accordato un prestito di ben 400 milioni
di euro a favore della Riva per il progetto "Riva Taranto Energia e
Ambiente": 200 milioni sborsati subito e ulteriori 200 concessi il 3
febbraio 2012.
Obiettivo del progetto, secondo quanto riporta il
sito web della Bei, «mantenere la competitività del sito [industriale]
attraverso un programma di investimenti su larga scala per modernizzare
le strutture produttive, migliorare la produttività dell'impianto e allo
stesso tempo facilitare l'aumento dell'efficienza energetica e ridurre
l'impatto ambientale». Il tutto prendendo a riferimento gli impegni
della valutazione di impatto ambientale del progetto, licenziata nel
2007 dal ministero dell'Ambiente italiano e poi rivista.
Singolare,
perciò, che oggi si dica che il problema è chi pagherà per la
riconversione, quando sarebbe da chiedersi che cosa ha fatto la famiglia
Riva dei 400 milioni prestati dalla Bei per un progetto di quasi 800
milioni, di cui loro avrebbero dovuto mettere l'altra metà.
Ma le
domande non finisco qui, ed è giusto che non si facciano sconti neanche
alle autorità europee, sempre così solerti a chiedere nuovi poteri per
interferire nella gestione dei conti pubblici dei paesi membri, ma poi
stranamente tolleranti, o disattente, a monitorare come i soldi pubblici
europei siano gestiti dalle grandi imprese continentali. E' giusto
chiedersi perché la Bei non abbia monitorato la situazione di Taranto,
ben nota alle cronache, e continuato a sborsare centinaia di milioni di
euro, quando i livelli di emissioni erano oltre la norma, secondo quanto
sostenuto dalla magistratura pugliese. In base alla scheda progetto
della Bei, la riduzione delle emissioni di gas serra dell'impianto di
Taranto sarebbero state certificate dall'Istituto italiano per la
garanzia della qualità. Ma perché non si parla nella scheda progetto
anche di altri inquinanti al cuore del dramma della salute per la
popolazione di Taranto? Ma soprattutto la Bei ha in maniera solerte
informato sia la magistratura italiana, che quella anti-corruzione
europea - ossia l'ufficio dell'OLAF - di una possibile cattiva gestione
del prestito all'Ilva?
Si aggiunga che a Bei sembra conoscere
bene l'area di Taranto, poiché sempre alla fine del 2010 la Banca
dell'Ue ha finanziato la Cementir per il "miglioramento ambientale" del
suo impianto nella città pugliese. Anche in questo caso ci si domanda
perché le tanto attente autorità europee, di fronte al ben noto lassismo
di quelle italiane, non si sono poste almeno loro domande più
stringenti su quale fosse la reale emergenza sanitaria a Taranto e
quanto le misure proposte miglioreranno per davvero la qualità dell'aria
nella città, che forse avrebbe bisogno di massicci investimenti
pubblici di lungo termine per una ben altra riconversione industriale.
Se,
come sancito dai recenti Consiglio Europei, la Bei dovrebbe essere il
braccio finanziario che con i suoi investimenti anti-ciclici in economia
reale rilancerà la crescita in Europa, è meglio che i cittadini europei
si inizino a preoccupare per i propri territori, perché al riguardo
neanche l'inflessibile Europa appare troppo interessata. (Greenreport)
Nessun commento:
Posta un commento