giovedì 31 gennaio 2013

Attacco alla Città Vecchia

Ed ecco ormai svelata la manovra speculativa dei palazzinari tarantini, l'unica industria alternativa a quella multinazionale. Bloccati da una città in contrazione dove non si vende manco più una cuccia per cani, i palazzinari si sono uniti per marciare sulla Città Vecchia e annodare il cappio della speculazione intorno al patrimonio comunale sull'isola, che ammonta ad oltre il 70%.
Un patrimonio, lo ricordiamo, che non viene da donazioni ma da espropri e deportazioni di massa fatti nel nome del Risanamento e solo per metà portati a termine.
Ora, dopo decenni di incuria, i palazzinari si presentano con il cilindro e il bastone a bussare alla porta di Stefano, il più debole e ignavo dei sindaci che la città abbia mai avuto, per chiedere i suoi gioielli in cambio di un tozzo di pane: qualche appartamento da cedere a canone agevolato per una ventina d'anni.
Già negli scorsi anni questa manovra era partita con il peggior progetto di rigenerazione urbana che sia stato prodotto da un comune pugliese dopo il varo della legge regionale. Talmente sfacciato nelle sue intenzioni speculative da essere bocciato dalla Regione per ben due volte.
Alla fine, forti del panico da Ilva e dietro l'incalzare dei crolli, i palazzinari hanno ottenuto il piano e ora parte la manovra di aggiramento per chiamare gli investitori allocchi d'Italia per finanziare abbattimenti e ristrutturazioni all'insegna di una qualità edilizia a prova di geometra di provincia.
Andranno a Milano a dipingere gondole sulle rive del Mar Piccolo per vendere come possibile paradiso immobiliare il centro delle contraddizioni della città meno turistica d'Europa.
Forse chi ha detto che al peggio non c'è mai fine era di queste parti...


Taranto e il suo patrimonio al centro prossimo EIRE a Milano. Marinaro: “Progetto che valorizzi isola antica”

Taranto e il suo patrimonio immobiliare al centro di un incontro tra i vertici di ANCE Confindustria locali e Antonio Intiglietta presidente di EIRE, una delle più grandi fiere internazionali del Real Estate che si tiene ogni anno a Milano. In poche parole il grande business del patrimonio immobiliare che ogni anno in primavera viene posto all’attenzione dei grandi investitori e dei grandi Fondi d’investimento del settore.
DIGITAL IMAGEUn appuntamento che quest’anno si svolgerà dal 4 al 6 giugno e che su 25mila metri quadrati di superficie espositiva presenterà sui tavoli di intermediazione immobiliare internazionale anche una fetta della Puglia da valorizzare e probabilmente una importante porzione di Taranto con la possibilità di mettere in vetrina potenzialità immobiliari che potrebbero riguardare diversi settori: dal turistico-ricettivo al retail e commerciale, dai centri storici da rivalutare al social housing al terziario e residenziale.
«Stiamo valutando l’ipotesi di presentare un progetto che valorizzi il sistema Taranto partendo dai programmi di rigenerazione urbana che dovranno riguardare al più presto l’isola antica – dice Antonio Marinaro, presidente di ANCE Taranto – ma siamo più che mai convinti che la vetrina che il territorio, compresa la sua provincia, potrà conquistare in ambito internazionale sia anche un ottima occasione per non svendere o peggio ancora lasciare in abbandono vaste aree di pregio consentendo così agli operatori, ad esempio, di agire con il pubblico per valorizzare al meglio il patrimonio».
Così ANCE candida autorevolmente Taranto ad EIRE 2013, forte dell’impegno regionale per una presenza qualificata delle potenzialità del sistema Puglia nel campo della trasformazione urbana e valorizzazione dei patrimoni immobiliari pubblici.
Ambizioso progetto condiviso anche da Antonio Intiglietta che non esclude nel book elettronico del “The Best of Italy” (stilato ogni anno dall’organizzazione dell’EIRE e sottoposto all’attenzione degli investitori internazionali- ndr) una presenza più che qualificata della progettualità made in Taranto.
Un appeal che sembra essere confermato anche dall’alto valore di patrimonio demaniale e pubblico immediatamente disponibile alla riqualificazione.
Taranto, seconda solo a Roma in termini di beni demaniali, potrebbe essere dunque uno dei laboratori più interessanti dell’EIRE di quest’anno e attrarre così opportunità capaci di ridisegnare il futuro della provincia ionica. Città come Bologna, Torino e vaste aree di territorio della Toscana hanno già segnato importanti best practice in questo settore. Ma anche al Sud esistono esempi virtuosi come quello dell’isola di Ortigia a Siracusa totalmente recuperata grazie ad una serie di interventi di tutela e recupero del centro storico.
«Ma noi saremo in grado di attrarre investimenti – ha detto Intiglietta – solo se saremo capaci di presentare progetti maturi, con capacità gestionale certa e interlocutori certi».
Insomma, le valorizzazioni riuscite e i modelli vincenti chiamano a responsabilità non solo chi progetta e investe, ma anche e soprattutto le istituzioni e gli enti locali chiamati a sostenere le leve del cambiamento.
Alla riunione, a tal proposito, erano presenti l’assessore al patrimonio del Comune di Taranto, Barbara Scozzi, il sindaco di Palagianello, Labalestra e gli assessori al turismo e ai lavori pubblici del Comune di Castellaneta, Angelillo e Rubino.
Nel corso dell’incontro è stata ufficialmente chiesta ai rappresentanti degli enti locali presenti la possibilità di un confronto più serrato con le amministrazioni comunali al fine di poter coordinare un gruppo di lavoro che lavori sulla individuazione dei progetti da presentare ad EIRE 2013 nell’ambito dell’iniziativa promossa dalla Regione Puglia alla quale ANCE Taranto ha aderito. (Quotidiano Italiano)

Che giunta!

Ma è peggio convivere con la diossina o con una dirigenza politica e amministrativa di imbecilli e criminali? Grazie ancora a Stefano. Le sorprese dell'incantatore di infanti non finiscono mai!

«Convivere con la diossina» divampa polemica a Taranto su assessore all'ambiente

«Con la diossina dobbiamo convivere per tanto tempo ancora...». La gaffe è consumata. E per l’assessore comunale all’Ambiente, Vincenzo Baio (Pd) che poi proverà a spiegarsi ed a corregere il tiro, non c’è èiù nulla da fare. La sua frase, pronunciata durante i lavori del consiglio comunale, viene ripresa su facebook e twitter da Angelo Bonelli, consigliere comunale di «Taranto Respira» e leader dei Verdi. «Sono senza parole», scrive Bonelli, «le lascio a voi» e così sui social network Baio viene preso di mira. I toni, nei suoi confronti, non sono proprio oxfordiani. Quasi tutti gli internauti poi accostano negativamente la professione dell’assessore comunale - è medico ed ha lo studio al rione Tamburi - con quelle parole appena pronunciate.

OPS, mi tolgono le serate danzanti!

Ecco il senso dello Stato. Ecco il contributo che le forze armate danno alla città nel momento della Grande Crisi, quando le bestie feroci sfuggite al controllo del Circo Clini minacciano la bancarotta totale.
8 milioni! Una cifra seria, importante per un'economia al lumicino come quella jonica.
La Marina Militare come ospite permanente e comandante a Taranto da 150 anni, mette a disposizione ben 8 milioni!
Siamo felici di questa generosità. Ma per cosa?
Per bonificare l'apirolio e il benzoapirene dell'arsenale che ha devastato il Mar Piccolo? No!
Per sistemare le aree demaniali abbandonate ed aprirle al pubblico? Ma no!
Per dismettere le isole cheradi o parti del suo immenso patrimonio e favorire l'occupazione ed il turismo? No!
Per avviare corsi di formazione di maestranze specializzate nella cantieristica navale e contribuire a generare un'economia alternativa alla grande industria inquinante? No, basta!
8 milioni è la cifra che a Taranto servirà per:
  • sistemare le spiagge militari,
  • tenere ben separati ufficiali da sottufficiali,
  • organizzare le serate danzanti,
in modo da permettere ai poveri militari che non possono andare nei paesi tropicali, di mettere le loro famiglie al sole, senza che gli indigeni e i turisti possano disturbarli.
La grande problematica della Marina oggi, all'alba della rivoluzione sociale, sono le serate danzanti.
Private o non private?
Questo è davvero un problema, oggi, qui, a Taranto!

La Marina militare di Taranto "privatizza" i beni del personale

guardia-costiera-spieggiaStanno diventando ormai una annosa consuetudine i tentativi di "privatizzare" le spiagge, quali Organismi di Protezione Sociale (O.P.S.). Già l’anno scorso con il collega del Co.Ce.R. Giampaolo Vietri affermavamo che gli O.P.S. hanno lo scopo tra l’altro di conservare vincoli di solidarietà militare tra Ufficiali, Sottufficiali e Sottocapi.Nonostante ciò, la Marina di Taranto, in particolare nel caso degli O.P.S. dedicati alle spiagge, rimane ancora chiusa in una anacronistica e dispendiosa divisione fra i luoghi frequentati esclusivamente dagli Ufficiali e i luoghi frequentati dal resto del personale.
Circa un anno e mezzo fa il Capo di Stato Maggiore pro-tempore rispose ad una delibera, comunicando lo stanziamento per gli O.P.S. di 8 milioni di euro per le sedi di Taranto (in particolare per stabilimenti balneari), Roma (per le palazzine per i sottocapi) e Augusta. L’unica realtà visibile è la ristrutturazione di una palazzina “O.P.S.- di rappresentanza” sul Lungotevere delle Armi a Roma per gli Ufficiali dirigenti. L’argomento provocò un duro scontro fra alcuni delegati Co.Ce.R. e l’allora Capo di Stato Maggiore La Rosa. Intanto a Taranto a livello informale si è avuto notizia che a fine 2012 siano stati stanziati, per le spiagge di Taranto, fondi superiori a quelli stanziati negli ultimi anni. Nonostante ciò, nei fatti, vi sarebbe l’intenzione di voler affidare a ditte private gli stabilimenti balneari dell’isola di San Pietro e quelli di San Vito sia degli Ufficiali che dei Sottufficiali e Sottocapi. Spiagge che consentono a quasi tutti i colleghi e le famiglie che non possono permettersi viaggi e spiagge private, di trascorrere le vacanze estive. Se si ripeteranno i tentativi degli scorsi anni, si cercherà di esternalizzare tutti i singoli servizi, comprese le serate danzanti, cambiando nella sostanza il sistema di gestione.

Sempre lo scorso anno riguardo le “privatizzazioni” dicevamo che, per capire cosa potrà accadere nel futuro, sarebbe opportuno mettersi nei panni dell’imprenditore che vincerà l’appalto. Se fosse vero che non ci sono soldi, l’azienda appaltatrice avrà ingenti spese per nuove strutture e cercherà, o di avere un periodo prolungato di gestione (anche se di anno in anno) o cercherà di alzare tutte le tariffe, comprese quelle per serate danzanti. I Comandanti dei dipartimenti e i direttori dei servizi di commissariato cambieranno, e la ditta privata che gestirà le spiagge rimarrà la stessa o si riciclerà, perché pratica della situazione. Chi sarà il “proprietario”? Lo Stato, i militari frequentatori o nei fatti qualcun altro? Se le cose non andranno bene, la rappresentanza a chi si rivolgerà? Che forza avrà nel far valere le sue ragioni? Chi risolverà i problemi che si presenteranno, ad esempio se il personale delle ditte sciopererà? Forse Il personale lì destinato? Se il personale della Guardia Costiera o della Guardia di Finanza ecc. dovesse elevare dei verbali ammnistrativi per eventuali irregolarità, in seguito a ordinari controlli, chi ne risponderà? I colleghi comunque li destinati, o le ditte?
La Forza Armata ed in particolare la Marina di Taranto hanno fatto degli studi affinchè la gestione rimanesse interna, anche a fronte dei tagli?
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Ancora un libretto

L'Ilva sta diventando una vacca grassa.
Si pubblicano opinioni come verità rivelate.
I bagarini si accalcano per vendere i biglietti del Grande Circo Clini!

L’introduzione all’ebook L’acciaio tra gli ulivi

Fra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta, l’Italsider aveva commissionato ad artisti e scrittori ritratti e descrizioni del paesaggio tarantino per spiegare i vantaggi che l’acciaio avrebbe portato fra gli ulivi. Questi fascicoli raccontavano la mutazione antropologica imminente e i cambiamenti del paesaggio, in termini di progresso. Scrittori e artisti dovevano spiegare le novità portate dall’industria. Acciaio fra gli ulivi era la descrizione del polo industriale di Taranto, secondo l’Italsider, nei primi anni Sessanta.
Uno slogan quasi futurista, che evoca insieme il retro delle foglie degli ulivi e il bagliore dei profilati in acciaio; alla brezza estiva, illuminati dal sole, gli ulivi hanno riflessi argentei e metallici. I riferimenti alla mitologia megalo-ellenica e alle divinità di fondazione della città non mancano. In qualche modo, lo slogan evoca un contrasto, ma anche una continuità. Il contrasto fra biologico e artificiale, e la continuità fra due elementi che resistono al tempo. Così, ritratti di contadini nodosi dalle mani gigantesche e sporche cedevano all’avanzare dell’uomo nuovo, dell’operaio tutto nervi, occhiali, tuta blu e saldatore stretto come un fucile. E un paesaggio fatto di creste di ulivi, anche questi nodosi, terragni, diventava un giardino intorno a torri giganti, e a volumi puri di lamiere grecate. Questo parallelo fra le facce e il paesaggio era il modo in cui l’industria si auto-rappresentava, ma anche con cui cercava di comunicare la sua impresa etica a favore della popolazione.
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mercoledì 30 gennaio 2013

Un po' di ENI

Tempa rossa in commissione europea

Doppio risultato, dopo la discussione a Bruxelles delle due petizioni del Comitato Legamjonici contro l'Inquinamento, presentate a fine 2011 ed inizio 2012: la prima sul progetto di Raffineria Eni, Tempa Rossa, con annesse relazioni sulla sicurezza alimentare dei mitili e la presunta violazione dei regolamenti comunitari del 2006 e del 2011 sulla classificazione e controllo dei molluschi bivalvi e sui limiti restrittivi di diossine e pcb in Mar Piccolo; l'altra sui progetti di hidrocracking, metanodotti, centrale a turbogas e sulla richiesta di una via, valutazione di impatto ambientale, unica. Ieri mattina, in conferenza stampa, al Centro Magna Grecia, Daniela Spera, a nome del comitato, ha spiegato le fasi dell'iter, arrivato ad un punto significativo il 22 gennaio, con la sua esposizione delle problematiche, in suolo belga, nel corso della seduta della Commissione europea delle petizioni (presso la Commissione Europea del Parlamento Europeo): l'organismo ha una funzione investigativa, può garantire l'accesso a mezzi di ricorso extra giudiziari, organizzare missioni d'informazione e riferire al riguardo in seduta plenaria, fino ad arrivare alle procedure di infrazione sull'applicazione delle direttive europee. Il primo risultato si aggancia alla prima petizione: il rischio dell'aumento dell'inquinamento in Mar Grande, a causa del Tempa Rossa dell'Eni, ha fatto scoprire il caso del primo seno del Mar Piccolo, da dove le cozze dovrebbero traslocare. Allora, la Direzione Generale Sanco (Salute e Consumatori) della Commissione europea avrebbe deciso di chiedere alle autorità italiane ulteriori documentazioni sulla classificazione delle acque di Mar Piccolo ai fini mitilicoli. Tutto questo unitamente alla denuncia della possibile violazione del diritto comunitario sulla valutazione di impatto ambientale e sulla direttiva Seveso: «Gli stabilimenti avrebbero dovuto variare l'assetto urbanistico, se si poteva aumentare il rischio di incidente rilevante. Lo Stato membro dell'Unione Europea deve tenere conto della vicinanza dei luoghi frequentati dal pubblico. Pensiamo ai rischi della costruzione di due serbatoi di 180.000 metri cubici accanto alle cisterne esistenti. Il sindaco non ha informato la popolazione, nessuno è stato addestrato ad affrontare il rischio». «Il rischio di inquinamento del Mar Grande con il transito di petroliere, il carico del greggio, il lavaggio dei serbatoi, può aumentare - ha continuato Daniela Spera – e, poiché il novellame del primo seno di Mar Piccolo dovrebbe essere trasferito in Mar Grande, il progetto non dovrebbe essere realizzato se si vuole tutelare la mitilicoltura». La stessa, ha esposto in Commissione un'altra possibile violazione: il “Tempa Rossa” sarebbe stato autorizzato quando l'Eni non aveva ottemperato alle prescrizioni di Via/Aia del 2009 e 2010. Il secondo risultato, riguarda la seconda petizione: c'è conferma della richiesta di risposte alle autorità italiane sulle modalità di valutazione di impatto ambientale. Le inchieste rimangono aperte. Le Autorità italiane risponderanno a Bruxelles e Legamjonici potrà inviare integrazioni e fare ricorsi. «Cittadini apartitici - ha concluso - sono andati a proprie spese a Bruxelles, dopo essere stati ignorati dai politici locali, di Regione e Consiglio Comunale. In futuro, presenteremo una petizione sulla sicurezza dei prodotti alimentari ed un ricorso alla Corte Giustizia dei Diritti Umani a Strasburgo, riferendoci, come precedente, ad una sentenza sulla cattiva gestione dei rifiuti in Italia»."
(Il Quotidiano - Francesca RANA)

Dal sito di Legamjonici la rassegna stampa dell'azione dei cittadini contro lo scempio territoriale del progetto Tempa Rossa.
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Per fortuna "c'è chi dice no"!

Ovvero: esiste ancora in Italia chi non si beve le promesse del gatto (Riva) e della volpe (Clini)...

Ilva, no del gip al dissequestro vincolato
"Per la restituzione non bastano le promesse"

Il gip del tribunale di Taranto Patrizia Todisco ha rigettato la richiesta dell'Ilva di revocare il sequestro preventivo dei prodotti finiti e semilavorati che sono bloccati sulle banchine del porto. Il no del gip arriva a una settimana di distanza dal parere negativo già espresso in materia dalla Procura di Taranto.

LA RICHIESTA DELL'AZIENDA - All'inizio della settimana scorsa, l'Ilva raccogliendo anche l'invito del governatore della Regione Puglia, Nichi Vendola, aveva avanzato alla Procura un'istanza di dissequestro vincolato di coils e lamiere fermi dal 26 novembre, chiedendo che il ricavato della vendita non andasse all'azienda ma fosse invece gestito dal Garante dell'Aia e finalizzato al pagamento degli stipendi e alle opere di ambientalizzazione previste dall'Aia. L'Ilva ha stimato che il milione e 700mila tonnellate di merci vale un miliardo di euro. I pm avevano invece già respinto la richiesta dell'Ilva - fra l'altro il no fu anche anticipato al ministro dell'Ambiente Corrado Clini, che proprio quel giorno era a Taranto in Prefettura - e adesso altrettanto ha fatto il gip.

LE MOTIVAZIONI DEL GIP - "Nessuna norma dell'ordinamento giuridico - scrive il gip Todisco rigettando la richiesta - contempla la possibilità di una restituzione di beni sottoposti a sequestro preventivo, per giunta in favore di soggetti indagati proprio per i reati di cui i beni sottoposti a vincolo costituiscano prodotto, sulla base di esigenze particolari o dichiarazioni di intenti circa la destinazione delle somme ricavabili dalla vendita dei beni, che vengano ad essere dedotte dall'interessato". Fondamentale è inoltre la questione di legittimità costituzionale. "Finché la Corte Costituzionale non si sarà pronunciata sulla questione di legittimità sollevata dai giudici tarantini sulla legge 231/2012 'Salva Ilva' - spiega la Todisco - "ogni ulteriore istanza" al gip "che fosse fondata esclusivamente sulle norme già impugnate davanti al Giudice delle leggi, non potrebbe determinare una decisione nel merito", essendo sospeso il giudizio. Il gip Todisco, inoltre, afferma che "l'invocata istituzione della figura del Garante non consente di ritenere in alcun modo modificato nè il quadro degli elementi che integrano le condizioni di applicabilità del sequestro preventivo, nè la disciplina della misura cautelare reale".

LA CHIUSURA DELLE BATTERIE - Per dar seguito alle prescrizioni indicate nell'Autorizzazione integrata ambientale, l'Ilva sta procedendo alla chiusura delle batterie 3 e 4 del reparto cokerie. Lo si apprende da fonti sindacali. Per questo pomeriggio, inoltre, sono stati convocati dall'azienda i sindacati metalmeccanici Fim, Fiom e Uilm per discutere della possibile ripartenza dell'ex Sidercomit, che si occupa di lavorazioni collaterali alla produzione lamiere, e di un altro impianto che si trova sulla strada Taranto-Statte, che realizza le fasce in polietilene per i tubi prodotti dal tubificio Erw dell'area a freddo. (LaRepubblica)

Cortina di fumo o numeri da circo?

Ecco tre post tratti dal blog Corporeus Corpora che fanno le pulci alla manomissione delle parole e dei fatti perpetrata dalla stampa riguardo al caso Ilva.
Sono estratti, cliccate sui titoli per leggerli integralmente.

ILVA: AIA che male II - Fumo negli occhi da Azienda e ministri. A mezzo stampa.

Continua la cortina di fumo pro ILVA.
Dopo First, dopo la Corte Costituzionale, ecco la Gazzetta del mezzogiorno.
La relazione Aia dell'azienda: Piani a tempo record, richieste a tamburo battente. Carta chiama carta.
Tutto quel che sappiamo su AIA 2011 e 2012.
La stampa che non fa domande. Ma noi si: dov'è la disciplina ministeriale per discariche e reflui prevista per domani?

La cortina di oggi:  Secondo Mimmo Mazza della gazzetta del mezzogiorno

L’Ilva ha già attuato 61 delle 94 prescrizioni previste dall’Autorizzazione integrata ambientale rilasciata dal ministero dell’ambiente il 26 ottobre scorso e divenuta successivamente legge con il provvedimento salva-siderurgico varato dal Governo e poi dal Parlamento.
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ILVA: Gallo, presidente "ad hoc" pro siderurgico? Viaggetto nella Corte Costituzionale

Il neo presidente e le prime dichiarazioni - un articolo fantasma, perso nel misterioso diritto della Corte Costituzionale:
prime impressioni sul ricorso di legittimità ILVA
Franco Gallo, neo presidente dell'alta corte in singolare tempismo rispetto alle prossime decisioni sulla materia ILVA, la prima il 13 Febbraio, rilascia immediatamente dichiarazioni che parrebbero al di fuori delle linee ordinatrici che la Costituzione e le norme  integrative riservano all'alta Corte.

Vediamo perchè:
Franco Gallo diventa membro della Consulta nel 2004, nella quota di giudici che la Costituzione riserva alla scelta del presidente della Repubblica. In questo caso Carlo Azeglio Ciampi.
Un tributarista di grande esperienza, primo caso alla presidenza della Corte Costituzionale.
Nemmeno il tempo di eleggerlo e si occupa subito di ILVA, assicurando che accellererà i tempi del giudizio. Ma non solo.
"Assicuro che la Corte farà di tutto per accelerare i tempi della decisione", ha detto Gallo ai giornalisti subito dopo il suo insediamento. Il neo presidente intende ricorrere alla "norma del regolamento che prevede il dimezzamento dei tempi processuali". Per il 13 febbraio è stata fissata la camera di consiglio in cui si deciderà sull'ammissibilità del conflitto sollevato dai pm di Taranto nei confronti del governo, relativo al decreto 'salva-Ilva'. La Corte, invece, non ha ancora ricevuto, "ma solo letto sui giornali", che è in arrivo un altro conflitto sulla legge di conversione e un giudizio incidentale sulla legittimità della legge. "Abbiamo capito che è urgente bilanciare il diritto al lavoro e il diritto alla vita, stiamo anticipando tutto e ridurremo i tempi del procedimento il più possibile", ha concluso Gallo.
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ILVA: quando gli esperti dimostrano inesperienza e parzialità ...


Corporeus corpora opina sull'opinione e l'analisi di Giorgio Giva, pubblicata da First online
Ad intervalli alterni, qualcuno esprime sempre opinioni non argomentate.
Spieghiamo perchè...
Vediamo insieme cosa scrive Giorgio Giva. 
Anzi, vediamo chi è, in primis.

Nel 2012 Giorgio Giva risulta quale "responsabile dei rapporti istituzionali di FIAT auto".
Nel 2011 compare quale "responsabile nazionale delle relazioni industriali della FIAT".
Nel 2010 il medesimo Giva è ancora "responsabile dei rapporti istituzionali di FIAT auto", come potete leggere qui. Sul sole24.
Nel 2009, non sorprendentemente, egli è invece indicato quale" responsabile del personale", sempre per FIAT automobili. Questa volta dal sito dei Cobas.
Poichè lo scopo del discorso non è quello di introdurci nella vita professionale del dottor Giva, bensì di sapere come si collochi colui il quale si esprime come vedremo sulla vicenda ILVA, vicenda che ci sta a cuore sia per ragioni geografiche sia come simbolo del disastro nazionale (di cui non ci compiaciamo, ma desideriamo prendere atto al fine vi si faccia strutturalmente fronte), possiamo anche fermarci qui.
Diciamo che ci parrebbe uomo d'azienda, uomo FIAT. 
Più che genericamente "esperto di relazioni industriali e consulente del lavoro", titolo che spetta anche a chi insegni o abbia semplicemente superato un master specifico.
Non è certo un crimine avere cotanto curriculum, anzi... ma poichè sappiamo come sinora FIAT sia stata forse la principale cliente di ILVA per decenni, di certo il responsabile nazionale delle relazioni industriali avrà avuto buoni, se non ottimi, rapporti con la famiglia Riva ed il suo management.
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Sarà per questo che han fretta di vendere i tubi sequestrati?

L’ACCIAIO REGGE LA CRISI PER ORA
Gianmario Leone TarantOggi 30 01 2012

PRODOTTO APPENA IL 5% IN MENO RISPETTO AL 2011. MA SE L’ILVA CHIUDE IL CROLLO E’ ASSICURATO

La produzione di acciaio in Italia nel 2013 è attesa in linea con quella dell’anno appena conclusosi: 27,2 milioni di tonnellate, il 5,2% in meno rispetto al 2011. Secondo le previsioni di Federacciai però, si potrebbe scendere sotto questa soglia qualora l’euro dovesse continuare ad essere forte nei confronti del dollaro. “Nel 2012 la crisi è stata attutita solo grazie alle esportazioni. I forti rischi di svalutazione del dollaro e di rivalutazione dell’euro per un paese come il nostro peseranno”, ha dichiarato ieri il presidente dell’organizzazione, Antonio Gozzi. Federacciai, per chi non lo sapesse, è la federazione che rappresenta le imprese italiane del settore della siderurgia: fa parte di Confindustria e conta circa 150 aziende associate che realizzano e trasformano oltre il 95% della produzione italiana di acciaio. Non è un caso, dunque, se tra i vice presidente dell’organizzazione vi è Nicola Riva. 

Continua...

lunedì 28 gennaio 2013

Per chi quel giorno lì inseguiva un'altra chimera

Fenomenologia italiana

Ovvero la catena indissolubile tra l'assenza (interessata ed omertosa) di senso della realtà di chi parla per i lavoratori e i lavoratori che vengono mandati a casa.

Genova - Maurizio Landini, segretario nazionale della Fiom-.Cgil ha dichiarato questa mattina il suo auspicio verso un intervento pubblico-privato per salvare ILVA

"Ci auguriamo che sia possibile che tra procura e governo si possa trovare dissequestro parziale dei materiali stoccati in banchina a Taranto, sequestrando poi i soldi dei Riva per investirli dentro l'azienda ma pensiamo che l'assetto proprietario non sia più in grado e non abbia la credibilità di garantire investimenti e rilancio. Quello che si dovrebbe fare è decidere che ci sia un intervento diretto publico nella gestione dell'impresa e nel pacchetto azionario ma ci rivolgiamo anche alle altre imprese siderurgiche del Paese. Sarebbe utile pensare a una joint venture che garantisse la riorganizzazione dell'Ilva gli investimenti e rilanciarla".
Ha proseguito poi Landini, "Naturalmente non può essere che la famiglia Riva semplicemente assista e quindi c'é bisogno che chi ha inquinato dia un contributo per risanare". Insomma, "il blocco definitivo dell'Ilva non è il modo per difendere e risanare l'azienda. Un intervento pubblico assieme all'intervento privato: se davvero gli imprenditori hanno interesse che la siderurgia resti nel paese devono intervenire". (Primocanale)

Ilva, scatta la cassa integrazione nell'indotto

Cassa integrazione per tredici settimane alla Omev, azienda elettromeccanica dell'indotto Ilva che opera a Vado Ligure. Il provvedimento è stato deciso per la situazione di stallo nella quale versa l’Ilva di Taranto, uno dei principali clienti dell'industria del ponente savonese.
“Speriamo – ha detto il direttore dello stabilimento Franco Poggio – che si possa acquisire una serie di commesse che facciano rientrare al piu' presto questo periodo di cassa. Ma siamo preoccupati per la situazione che si sta delineando per l'Ilva per la quale sono in gioco in tutta Italia 50 mila posti di lavoro”. Preoccupati anche i sindacati: “Nel Savonese abbiamo ormai raggiunto quota 25.000 disoccupati, e 2.000 su 3.500 metalmeccanici sono in casa integrazione” ha detto Andrea Pasa della Fiom/Cgil. (Savonanews)

Ilva, sindacati sul piede di guerra. "L'azienda paghi gli stipendi"

Per i lavoratori dell'Ilva si apre oggi un'altra settimana cruciale. Dovrebbero essere affrontati, infatti, i nodi degli stipendi di febbraio e della nuova cassa integrazione negli stabilimenti Ilva di Taranto, Genova e Novi Ligure. L'azienda l'ha prospettata per 7-8mila lavoratori a causa della particolare situazione determinatasi a Taranto, ma il Governo l'ha temporaneamente fermata perché vuole prima approfondire il dossier Ilva e vedere se la permanenza del sequestro giudiziario delle merci e la scelta aziendale di non far ripartire gli impianti dell'area a freddo a Taranto sono vincoli insormontabili o c'è ancora uno spazio di mediazione in modo da alleggerire la situazione. Preoccupa soprattutto la possibilità che l'azienda non possa fronteggiare la scadenza degli stipendi che è immediata e per la quale servono ogni mese 78 milioni di euro.
Questo tipo di verifica è cominciata già giovedì scorso, all'indomani della decisione della Procura di Taranto di respingere anche l'ultima richiesta di dissequestro vincolato fatta dall'Ilva e probabilmente proseguirà anche nei primissimi giorni della prossima. I sindacati dei metalmeccanici attendono una convocazione dell'azienda per capire quali sono gli scenari a breve termine, chiedono la puntuale corresponsione delle retribuzioni, e pongono un paletto affermando che non c'è alcuna disponibilità a trattare su un'eventuale nuova cassa integrazione al buio. Se trattativa deve esserci, precisano i sindacati, può avvenire solo su una cassa straordinaria dovuta alla ristrutturazione del sito di Taranto e alla sua messa a norma ambientale.
In ogni caso, dicono ancora i sindacati, dovrà essere una cassa inferiore rispetto ai numeri prospettati dall'azienda e prioritariamente ci dovrà essere la ripartenza a Taranto degli impianti dell'area a freddo (laminatoi, tubifici, produzione lamiere) che sono  fermi da quasi due mesi. L'Ilva, infatti, aveva fermato questi impianti già a metà novembre ricorrendo alla cassa per crisi di mercato. Dopo che la magistratura, alla fine dello stesso mese, ha sequestrato anche un milione e 700mila tonnellate fra coils e lamiere, ha deciso di rinviarne la ripartenza a data da destinarsi. Governo e sindacati sono in pressing sull'Ilva per rimettere in marcia l'area a freddo della fabbrica. In questo modo, spiegano i sindacati, "ci sarebbe una ripresa del lavoro, parte degli addetti lascerebbero la cassa integrazione per tornare in produzione, e soprattutto non si perderebbero più altre commesse di lavoro dopo che è stata già persa quella americana che prevedeva la fornitura di 25mila tonnellate di tubi per un valore di 25 milioni di dollari".
Sinora l'azienda ha fatto cadere ogni invito a far ripartire questo settore del siderurgico, sostenendo che l'occupazione di piazzali e magazzini da parte delle merci sequestrate preclude la possibilità di stoccare le merci di nuova produzione. Tuttavia, piazzali e magazzini potrebbero essere sgomberati nei prossimi giorni se la magistratura desse via libera alla vendita delle merci sequestrate.
La vendita partirebbe dalle merci più a rischio deterioramento e sarebbe gestita da uno dei custodi giudiziari-amministratori nominati tempo addietro dal gip di Taranto, Patrizia Todisco. Le relative risorse, però, non andrebbero all'Ilva ma sarebbero congelate in un deposito, essendo le merci sequestrate soggette ad eventuale confisca.
Coils e lamiere andrebbero o ai legittimi acquirenti o, qualora questi ultimi le rifiutassero, a nuovi compratori. Prima di dar via a quest'operazione, la Procura attende due riscontri tecnici: effettiva deteriorabilità delle merci e reale valore commerciale (l'Ilva ha dichiarato un miliardo). Nel caso specifico, a ordinare la vendita sarebbe lo stesso gip Todisco, al quale ora spetta l'ultima parola sull'istanza di dissequestro vincolato presentata martedì scorso dall'azienda. La Procura, infatti, ha espresso un parere negativo e chiesto al gip di sollevare anche un'eccezione di incostituzionalità in merito alle legge 231, ma al gip resta comunque il verdetto definitivo. Intravedere la luce in fondo al tunnel rimane un'impresa. (Repubblica)

Archinà vale meno di un tubo

Ilva, Archinà resta in carcere. L'azienda riavvia il tubificio

Il gip del Tribunale di Taranto, Patrizia Todisco, ha rigettato una nuova richiesta di scarcerazione presentata dall'ex dirigente dell'Ilva Girolamo Archinà, ex responsabile delle relazioni istituzionali del Siderurgico, arrestato il 26 novembre scorso nell'ambito dell'indagine denominata 'Ambiente svenduto', parallela all'inchiesta-madre per disastro ambientale. Secondo l'accusa, nel marzo del 2010, Archinà avrebbe consegnato in una stazione di servizio a Liberti una busta contenente la somma di 10mila euro in contanti per 'ammorbidire' una relazione che il consulente della procura Lorenzo Liberti avrebbe dovuto elaborare sulle fonti dell'inquinamento atmosferico della città.
Per questo è accusato di corruzione in atti giudiziari. Archinà è anche accusato di aver tenuto contatti, a vari livelli, con uomini politici e amministratori di Comune, Provincia e Regione, dirigenti di enti pubblici, giornalisti cercando di favorire la politica aziendale dei vertici dello stabilimento Ilva di Taranto, che ha causato i reati ambientali contestati dalla Procura. Il gip aveva già respinto una prima richiesta di revoca della misura cautelare avanzata dai difensori di Archinà dopo l'interrogatorio di garanzia. Analoga istanza era stata bocciata dal Tribunale del riesame, che aveva definito l'ex 'pr' dell' Ilva un 'maestro degli insabbiamenti', parlando di "straordinaria capacità dell'indagato di infiltrarsi nelle istituzioni, manipolare la stampa e pilotare l'azione di altri pubblici poteri".

Nel frattempo, l'Ilva ha comunicato ai sindacati metalmeccanici Fim, Fiom e Uilm che lunedì prossimo ripartirà il tubificio Erw nell'area a freddo dello stabilimento. L'impianto serve a produrre tubi di piccolo diametro (12-18 pollici) e da già da domani una squadra di manutentori ed elettricisti (circa una ventina di unità) sarà all'opera per ripristinarlo in modo che la produzione possa ripartire. L'azienda ha comunicato ai sindacati che tra mercoledì e giovedì prossimi fornirà notizie più dettagliate in merito alla forza lavoro da impiegare: dovrebbero essere 15 turni alla settimana, il che equivarrebbe a 70-80 lavoratori.
Non è da escludere che sempre a metà settimana l'Ilva fornisca ai sindacati anche un quadro più ampio relativo a tutta la situazione dove il rischio di cassa integrazione riguarda 7-8mila dipendenti tra Taranto, Genova e Novi Ligure. I sindacati hanno già detto che non sono disposti ad accettare numeri di questa entità, che una trattativa sulla cassa potrebbe esserci solo se ancorata ai lavori di messa a norma ambientale (e quindi l'applicazione dell'Aia), e che comunque prima di tutto viene la ripartenza dell'area a freddo, dove attualmente sono in marcia solo gli impianti Treno nastri 2 e Finitura nastri 2. I sindacati, infine, valutano positivamente il fatto che l'azienda abbia annunciato il riavvio del tubificio Erw in quanto, sottolineano, "non si perdono ulteriori commesse di lavoro e fra queste la commessa Kazakistan per la fornitura di 5mila tubi". (Repubblica)

Un po' di cronaca "gender"

Ilva, la parola alle donne

Dopo anni di silenzio, Taranto mesi fa è tornata agli onori delle cronache grazie al disastro ambientale e occupazionale dall'Ilva, il colosso dell'acciaio che ora rischia di chiudere. I sigilli posti dalla magistratura il 26 luglio del 2012 per disastro ambientale hanno finalmente portato l'attenzione sulla situazione in cui da anni versa la città dei due mari, vittima in passato di amministrazioni sbagliate e oggi costretta a "scegliere" tra diritto alla salute e diritto al lavoro. L'impianto, un tempo statale e dal 1995 di proprietà del Gruppo Riva, è infatti stato costruito in mezzo alla città, a ridosso del quartiere Tamburi, che attualmente ospita oltre 10.000 abitanti e dove ogni famiglia conta almeno un malato di cancro. Stando al Rapporto Sentieri del Ministero della Salute, che ha analizzato l'aria della provincia dal 2003 al 2009, Taranto è una delle città più inquinate d'Italia, con indici di mortalità in crescita impressionante. Ma la salute non è il solo problema di Taranto. Qui il tasso di disoccupazione è altissimo e se l'Ilva chiudesse andrebbero in fumo circa 12mila posti di lavoro. Scegliere tra diritto alla salute e diritto al lavoro è possibile? Quali sono le priorità e chi le stabilisce? Ne abbiamo parlato con le donne della città, da mesi impegnate, con il comitato "Donne per Taranto" e altre realtà similari, a dar voce a una battaglia che si è purtroppo trasformata in una guerra tra poveri. Da una parte chi ha in casa una persona malata o che non vuole che si ammali, dall'altra chi vive con un marito o un figlio lavoratore e non vuole perdere l'unica fonte di sopravvivenza.

Rossella Carrer, 33 anni: "La mia famiglia è stata decimata dal cancro"
La madre di Rossella è morta di tumore al cervello pochi giorni fa. Questa intervista è stata fatta a Taranto tre giorni prima che se ne andasse. Rossella ha deciso che la testimonianza che ci aveva "regalato" era troppo importante e ha voluto che la pubblicassimo lo stesso. "Mia madre l'ho persa quel giorno, il 17 agosto 2012, quando i medici le hanno diagnosticato un tumore al cervello. Ora non parla più, è ridotta a un vegetale, ma io comunico con lei ogni giorno, le racconto quello che faccio, le sussurro all'orecchio i modi buffi in cui ci chiamavamo. So che può sentirmi". Rossella è una bella ragazza di 33 anni, laureata in psicologia a Roma, dove si è rifugiata ai tempi dell'università proprio per scappare da Taranto, città a cui vuole bene ma che le è sempre stata stretta. Lo scorso novembre è stata costretta a tornarci, lasciando lavoro, ragazzo, casa e amici, per assistere sua madre, che ora è diventata sua figlia. "È stata una decisione difficile, ma mi sento una privilegiata a poter trascorrere questi ultimi mesi con lei. I medici hanno detto che non c'è più niente da fare e io voglio starle vicino fino alla fine. Mia madre è tutto per me". Come tante altre persone nella sua condizione, Rossella è convinta che a provocare la malattia siano stati i fumi dell'Ilva. "Ma non tutti i medici che ho incontrato a Taranto la pensano come me. Qui sono molto attaccati al mito del lavoro, non come realizzazione professionale ma come sacrificio. Il lavoro viene prima di tutto, anche prima della salute. Io so che la mia famiglia è stata decimata dal cancro. Mia cugina è stata operata al seno a 45 anni e tutte e due le cugine di mia madre sono morte di tumore ai polmoni a 50 anni, pur non avendo mai fumato. In questa città mi sento in pericolo: a volte di notte mi alzo, mi affaccio alla finestra e respiro. Sento forte nei polmoni l'odore del metallo, ho paura". Rossella ha già detto che, appena potrà, tornerà a Roma, la città che l'ha accolta e dove "ti basta fare una passeggiata in centro per sentirti fortunato". "Ai tarantini vorrei dire che non vale la pena sacrificare la salute per un posto di lavoro. Non si può vivere con la prospettiva di ammalarsi, anche perché qui per curarsi non esistono le strutture adeguate. Io non farei mai un figlio a Taranto. A me e alla mia famiglia ho deciso di dare un'altra possibilità".

Ilva, la parola alle donne
Marcella De Bartolomeo, 38 anni: "Grazie all'Ilva ho potuto studiare e laurearmi"
Sorriso brillante, battuta sempre pronta, Marcella è una ragazza dalla simpatia contagiosa. Lavora a Taranto come direttrice di una casa famiglia per bambini con situazioni problematiche e pur non avendo bisogno dell'Ilva per vivere ne ha avuto bisogno per studiare. "Mio padre ci ha lavorato come operaio per 22 anni. Senza quel posto sicuro, con uno stipendio dignitoso, non avrei mai potuto studiare, perché la mia è sempre stata una famiglia modesta. E invece i miei, grazie a quel lavoro, sono riusciti a mantenermi a Lecce all'università per quattro anni. Oggi mio padre ha una pensione che permette a tutti e due i miei genitori di vivere tranquilli. Devo essere sincera: io all'Ilva devo la mia realizzazione professionale e la serenità della mia famiglia". Marcella però crede anche nell'importanza della tutela della salute. E ha in mente un progetto preciso per la città che ama e dalla quale, giura, non se andrà mai: "Io credo che l'impianto debba essere smantellato e ricostruito a norma e che questa operazione debba essere fatta utilizzando proprio la forza lavoro che con la chiusura rischierebbe il posto. L'Ilva è una vera e propria città, io l'ho visitata, e i lavori di bonifica sono necessari ma richiederebbero, se ben fatti, anni di interventi. Ce n'è abbastanza per dare lavoro a tutta la popolazione disoccupata. Perché aspettare che arrivi qualche miliardario cinese o arabo a comprare tutto? Lo Stato, se vuole davvero aiutarci, che lo faccia con convinzione e senza costringere la popolazione a scegliere, dolorosamente, tra salute e lavoro. Taranto è una città che poteva vivere di turismo e ora ha perso anche le sue pregiatissime cozze. Ci sono allevatori a cui hanno ammazzato le pecore perché producevano latte contaminato. La mia città ha già perso tutto, non merita di sprofondare nel baratro perdendo anche gli ultimi posti di lavoro".

Marianeve Santoiemma, 43 anni: "Mia figlia non respira più. Se non la porto via morirà"
La vita di Marianeva ha un nome. Si chiama Giulia. Giulia è sua figlia, una bambina di 7 anni malata di asma cronica che l'ultimo Natale l'ha passato in un centro di cura specializzato a Misurina, in mezzo alle Dolomiti, dove l'aria pizzica i polmoni per quanto è pura. Oltre a una incredibile quantità di medicine, Giulia da 7 anni assorbe anche la vita della madre, che a fatica si divide tra lei, l'altro figlio (anche lui asmatico) e un lavoro da educatrice professionale. "Ogni anno chiedo le ferie e porto, a mie spese, mia figlia in montagna. Un mese in estate e due settimane in inverno. Quando sta qui soffre, non respira, ha crisi continue. Appena la porto a Misurina rinasce, in pochi giorni i valori tornano normali e passano le crisi. Se non avessi trovato quel centro di cura per l'asma infantile (www.misurinasma.it) mia figlia sarebbe morta. Qui a Taranto centri di cura per asmatici non ce ne sono". Marianeve è convinta che l'asma di sua figlia si sia cronicizzata a causa dell'inquinamento prodotto dall'Ilva e che anche la malattia sia stata indotta dal fatto di aver respirato diossina e benzopirene durante la gravidanza, avendo lei lavorato nelle vicinanze dello stabilimento. "Sono sostanze genotossiche, che modificano il dna. Non è un caso che sia io che i miei figli soffriamo della stessa malattia. Quando porto Giulia a Milano lei sta benissimo, eppure anche Milano è piena di smog: non è un problema di semplice inquinamento, qui si parla di sostanze mortali". Marianeve è talmente sensibile alla questione che aggiorna, sul sito di un importante quotidiano nazionale, il blog "L'Ilva da fuori", denunciando in diretta la situazione di inquinamento in cui i tarantini vivono da anni. "Nei "wind day", così li chiamiamo a Taranto i giorni di vento, quelli che trasportano la polvere di minerale dappertutto, io e mia figlia non usciamo di casa. La polvere velenosa si deposita dappertutto, non solo nel quartiere Tamburi. Il pavimento della Villa Peripato è rosso di minerale. Eppure nella cartella clinica di mia figlia Giulia non c'è una spirometria: perché? Per anni i responsabili hanno cercato di insabbiare tutto e i tarantini sono stati inconsapevoli dei rischi che correvano. Ora l'aria sta cambiando". Il decreto salva-Ilva, però, ha indebolito fortemente le speranze di Marianeve e se l'industria non chiuderà lei non avrà scelta: dovrà andarsene. "È l'unico modo per dare un futuro a mia figlia. Non c'è speranza per lei, se continua a vivere sotto i fumi dell'Ilva". 

Elvira Vene, 45 anni: "Mio marito lavora all'Ilva, mio figlio è disoccupato. Se chiude che ne sarà di noi?"

Elvira è donna dal sorriso sgargiante di amore per la propria famiglia e la propria città. Ha due figli, uno di 26 anni che lavora a Milano, e uno di 21, che prima lavorava a progetto in un call center e ora è disoccupato.  Suo marito è un impiegato dell'Ilva, nel settore dedicato al trattamento dell'acqua, uno dei più importanti di tutta l'industria. "Mio marito non è più un ragazzino. Se lo stabilimento chiude, come faremo? Lui sa perfettamente che non troverebbe un altro lavoro, per noi sarebbe la fine. Per questo non voglio assolutamente che chiuda. Tra diritto alla salute e diritto al lavoro, in questo caso, scelgo quello al lavoro, perché senza lavoro ci si ammala". Elvira non è certo una persona insensibile ai problemi ambientali ed è convinta che la situazione debba comunque essere modificata e che non si possa andare avanti così. "Ho amici che sono morti di cancro, certo che mi preoccupo del problema delle emissioni. I responsabili dovrebbero chiudere un reparto alla volta e sistemarlo. Lo Stato dovrebbe farsi carico del problema. Mi sembra impossibile che non si riesca a trovare una soluzione ragionevole per tutti. L'Ilva non può chiudere, non si può fermare. Per noi è una fonte di lavoro di primaria importanza. Se chiude la città intera finirà in ginocchio".


Maria Pignatelli, 50 anni: "Vivo ai Tamburi, sotto le ciminiere. Non ce la faccio più"
Per capire qualcosa della vita di Maria e suo marito Gianfranco, bisogna aprire i cassetti della loro camera da letto. Maglie, camice, mutande, tutto è avvolto in tovaglioli bianchi e pulitissimi. "In tanti anni, è l'unico modo che ho trovato per impedire al minerale di penetrare nei tessuti". Maria non vive infatti in un quartiere "normale". Lei abita nel rione Tamburi, quello a ridosso dell'Ilva, chiamato così per via del rumore che l'acqua un tempo faceva scorrendo lungo l'acquedotto romano che lo costeggia. Oggi quell'acquedotto, mai valorizzato, è un lugubre corridoio di sassi corrosi dall'inquinamento e ha il colore rossastro del minerale che l'acciaieria sputa fuori ogni giorno. Tutto il quartiere, a dire il vero, ha quel colore. Le lapidi che i residenti hanno affisso su un paio di palazzine, ricordando le morti per cancro e la difficoltà di vivere e respirare ogni giorno quell'aria, sono diventate un triste feticcio per turisti. Ma Maria non si arrende e ogni giorno aggiunge alla propria vita una nuova tecnica di sopravvivenza, una nuova strategia, un nuovo trucco per evadere la forza invasiva del minerale. "Abbiamo fatto ricoprire le pareti del palazzo di mattonelle lavabili, per evitare che i panni stesi ad asciugare sbattessero contro il muro e si sporcassero. Abbiamo messo doppi infissi dappertutto. Ma non basta. la casa si riempie di polvere rossa in continuazione, per noi è un incubo". Questo, di giorno. Ma è di notte che arriva il peggio. "Ho registrato i rumori che l'azienda fa nelle ore notturne. Non so che combinino là dentro, ma è un frastuono assordante, indecifrabile". Il tasto play del registratore riproduce un rumore profondo, frastornante e continuo. Impossibile immaginare di dormire anche solo un'ora con un sottofondo del genere. "Ma per noi ormai queste cose sono diventate la normalità", spiega Maria. Alla domanda "Perché non ve ne andate?", la donna dà una risposta talmente ovvia da mettere in imbarazzo l'interlocutore: "per andarcene dovremmo vendere. E in queste condizioni questa casa, chi vuol che la compri?". Maria e il marito hanno fatto causa all'Ilva per svalutazione dell'immobile e sono seguiti da un pool di avvocati che fa parte del movimento "Taranto respira" (www.tarantorespira.it). Al balcone di casa hanno appeso un lenzuolo bianco con la scritta "Non morirò di Ilva". Sullo sfondo, le ciminiere. E la sensazione, remota, che qualcosa stia finalmente cambiando.

L'abitudine alle brutture che genera il degrado: le (ir)responsabilità degli amministratori

E' stata oramai archiviata  da politici e amministratori locali, come se fosse questione risolta, la brutta pagella data a Taranto a novembre scorso dal Sole 24 ore che  la posizionava  in coda alla classifica sulla qualità della vita e faceva del capoluogo jonico la città italiana in cui si vive peggio.


Ma a rinfrescare la memoria, del cattivo amministratore come quella del più attivo cittadino, è il paesaggio tarantino.

Non quello incantevole di un dolce tramonto su morbide e selvatiche colline di intatta macchia mediterranea...

A rinfrescare la memoria è il paesaggio fatiscente di un quartiere periferico, come "Paolo VI", dove è possibile respirare e "vivere" a pieni polmoni l'aria inquinata che fuoriesce dal complesso industriale, oltre che l'incuria e la negligenza di tanti, tra cui amministratori locali e dirigenti pubblici.



Da mesi il quartiere è lasciato allo sbando: cumuli di erbacce, di "carcasse" di alberi sradicati e rami recisi, sono stati abbandonati tra marciapiedi e strade. tra i responsabili c'è certamente l'Amiu.
Nel sito dell'Azienda municipalizzata, si legge che le operazioni di rassetto per la riqualificazione del territorio sono state ultimate il 12 novembre. Ma da quella data in poi, nonostante le diverse sollecitazioni arrivate a voce agli stessi operatori Amiu dagli abitanti del quartiere, sui  rifiuti da loro stessi depositati per strada, e poi abbandonati, nessuna risposta nè tanto meno un'azione concreta volta alla pulizia e disinfestazione del quartiere è pervenuta a noi abitanti.
Perchè oramai le zone del quartiere interessate dal degrado necessitano di una disinfestazione, resasi indispensabile dal momento in cui ai cumuli di erbacce "è stato permesso" che si aggiungessero rifiuti ingombranti e pericolosi come l' amianto.
Esistono inoltre altre zone, strade e piazzali, addibite a discariche, vicine alle abitazioni, dove oltrettutto sono presenti i cartelli con tanto di scritta "divieto di discarica".

Se, come scritto sempre nel sito dell'Amiu,  l’obiettivo della stessa Azienda fosse stato quello di "dare continuità a quanto si è realizzato, attraverso un programma di ordinaria e costante manutenzione e di diserbo dei luoghi rassettati", ci si domanda come mai non si è dato seguito a quanto disposto.
Perchè le zone in questione non sono state più ripulite?
E ci si domanda inoltre come verranno smaltiti e trattati i rifiuti classificati come speciali?
Verrà effettuato uno smaltimento adeguato per ogni tipo di rifiuto trovato nelle discariche abusive?
Ed inoltre chi controlla che le essenziali e più elementari regole di igiene urbana vengano rispettate?
A tal proposito si porta alla luce un fatto che si ripropone ogni anno.
Soprattutto in questo periodo, ma non solo, in cui si avvicina la tradizionale giornata di San Giuseppe, i bambini sono soliti frequentare queste vere e proprie discariche - con tutti i danni per la loro salute che ne posso conseguire - per raccogliere materiale in legno (tavole, resti di armadi, sedie..) al fine di realizzare il Falò per la notte del 19 marzo. Per questa ragione, gli stessi bambini svuotano interi cassonetti dell'indifferenziata che utilizzeranno poi per la raccolta del materiale da bruciare.

I rifiuti così gettati per strada, si accumulano  a quelli già presenti (come ben rappresentato nelle immagini qui sotto riportate) procurando all'ambiente ed al quartiere un danno di immagine e di decoro, nonchè un danno per la salute pubblica e l'igiene.

C'è evidentemente una "tendenza in atto ad abituarsi alle brutture" come dimostrano anche i bambini del quartiere che nel loro intento di imitare i grandi non fanno altro che ripetere gli errori di chi invece di tutelare l'ambiente lo "distrugge".

domenica 27 gennaio 2013

TeleIlva

Questa sera alle 21.30 su RaiTre la trasmissione Presadiretta di Riccardo Iacona sarà interamente dedicata all'inchiesta sull'Ilva.
Interverrà anche il ministro circense Clini con qualcuno dei suoi numeri di equilibrismo impossibile. Alcune frasi già circolano per le agenzie di stampa:

“Grazie al lavoro della magistratura di Taranto, che ha fatto un lavoro di supplenza incredibile rispetto alle amministrazioni pubbliche”. Lo ha dichiarato il ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, intervistato da Riccardo Iacona per Presadiretta, che va in onda su Rai Tre alle ore 21 e 30, tutta dedicata al caso Ilva. “I dati delle centraline esterne – spiega Clini – mettono in evidenza che la situazione è progressivamente migliorata. In parte perché‚ le misure imposte dalla magistratura come la riduzione della produzione hanno determinato già un primo effetto. Ma non solo questo. Gli interventi sui parchi minerali sono importanti”. Secondo il ministro poi il risanamento dell’Ilva può e deve essere fatto in tre anni: “Quello che penso io e che il risanamento di questo stabilimento può avvenire in 36 mesi. In 36 mesi l’Ilva arriverà a non inquinare più".
Sul sequestro dell’acciaio secondo il ministro "si potrebbe consentire all’Ilva di venderlo e la Magistratura potrebbe sequestrare il ricavato di quelle vendite al posto di tenere tutto l’acciaio bloccato. Comunque i nostri uffici stanno anche controllando se è vero quello che l’Ilva sostiene,cioè che se non vende l’acciaio entra in crisi di liquidità e non può andare avanti con la produzione e tra pochi giorni lo scopriremo". (GdM)


Oltre alle battute del capoclown però circola anche tutto quello che il Ministro non dice:

Ilva, ecco i dati che il ministro Clini non cita mai

di Alessandro Marescotti
Qualche mese fa abbiamo incontrato a Taranto il ministro dell’ambiente Corrado Clini per parlare dell’Ilva. Era un incontro con le diverse associazioni e io chiesi al ministro come mai a Genova lui sostenne, per la stessa azienda e per le stesse problematiche inquinanti, la chiusura dell’area a caldo.
Per Genova infatti Clini affermò: “La chiusura dell’altoforno e della cokeria delle acciaierie è una questione urgente. Sul piano dei danni ambientali, dell’inquinamento e della salute dei cittadini siamo già in ritardo”. Dopo avergli letto testualmente queste parole di fronte alle massime autorità locali, Clini si limitò a dire che quello era un altro contesto e che non si potevano fare parallelismi.
Nella recentissima visita a Taranto (quella del 23 gennaio) ha sottolineato: “Non abbiamo un piano B se la Consulta dovesse dire che la legge 231 è incostituzionale”.
Ed eccoci di fronte ad una governo di “tecnici” che non trovano soluzioni tecniche alternative. Questi sono i tecnici dell’esistente. Gestiscono la realtà senza progettare le alternative.
Questi “tecnici” per me sono stati una grande delusione. Non sono migliori dei “politici”. In passato hanno scritto le relazioni tecniche per chi ha governato. Fanno sostanzialmente parte dello stesso mondo, hanno scritto gli allegati tecnici delle leggi. Ora sono sostenuti da un arco politico trasversale, loro ne hanno fornito il paravento tecnico. Hanno offerto una facciata tecnica a scelte sostanzialmente politiche. Non cercare (e quindi non trovare) alternative è una scelta politica. Perché non prospettare alternative per Ilva? Semplice: perché altrimenti dovrebbero tagliare le spese militari e ritirare il contingente dall’Afghanistan. Questo sarebbe il costo del “piano B”.
Ecco perché oggi tutti si aggrappano al solo “piano A”, quello della legge 231 che vorrebbe dare l’autorizzazione a continuare a produrre, nonostante l’ordinanza della Procura che, sulla base delle perizie, ha dichiarato pericolose le emissioni dell’Ilva per la salute dei cittadini e del lavoratori.
Cercherò qui di riportare le ragioni per cui la Procura ritiene pericolose le emissioni attuali.
Va prima di tutto precisato che gli attuali impianti sono gli stessi su cui è avvenuta la perizia dei tecnici della Procura. Non è cambiato nulla nelle tecnologie, quelle erano e quelle sono, nonostante la tanta proclamata AIA del 2012. Gli impianti dell’area a caldo (la stessa area a caldo che Clini ha voluto far chiudere a Genova) a Taranto sono caratterizzati da queste emissioni :
Emissioni non convogliate delle polveri nel processo di cokefazione:
1 g/t è il valore minimo Bref (la prestazione con la migliore tecnologia)
69.6 g/t è il valore stimato dal gestore post-intervento AIA 2011
17,2 g/t è l’inquinamento massimo consentito dalle Bref
Ossia: le emissioni della cokeria dell’Ilva con l’AIA sarebbero circa 70 volte superiori a quanto consentirebbe la migliore tecnologia!
Queste sono le cose che Clini non dice ai giornalisti. E va constatato che la Regione Puglia di Nichi Vendola è stata concorde nel consentire queste emissioni approvando l’AIA del 2011.
La cosa ancor più grave è che la nuova AIA (e la stessa legge 231 che consente all’Ilva di continuare a produrre) non mette in crisi il dogma di fondo: l’autorizzazione della cokeria a 300 metri dal centro abitato. Mettere in dubbio questo dogma significa che l’Ilva deve comprare coke, riducendo i margini di profitto. Ma i dogmi vanno messi in dubbio e – come ai tempi di Galileo – la scienza smentisce il Potere.
Infatti una cokeria – anche se dotata di BAT recenti – non è in grado di scendere sotto 1 ng/m3 di benzo(a)pirene (inquinante cancerogeno e genotossico) nel raggio di 1700 metri, come ha documentato PeaceLink nelle proprie osservazioni presentate per l’AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale). Quel valore equivale per un bambino a respirare un quantitativo complessivo di benzo(a)pirene cancerogeno pari a 700 sigarette all’anno.
Le emissioni registrate dall’Arpa negli ultimi mesi indicano una riduzione delle concentrazioni di polveri e benzo(a)pirene, ma tutto questo è avvenuto in condizioni di stretta sorveglianza dei custodi giudiziari, di riduzione delle commesse e di veri e propri fermi. Un ritorno della produzione in condizioni di normalità sarebbe il ritorno a quanto già conosciamo.
Il vero problema è che per questa azienda fare profitto ha bisogno di marciare senza intralci. Il motto era: produrre, produrre, produrre. I premi di produzione erano legati ai ritmi che hanno fatto schizzare il benzo(a)pirene ai livelli che abbiamo conosciuto
La cokeria a 300 metri dalle case – assieme ai parchi minerali a cielo aperto – sono la vera grande criticità dell’Ilva. In Europa ormai le cokerie sono allontanate dai centri abitati e su questo punto i tecnici si sono concentrati con appositi studi.
Molto chiari sono infatti i risultati degli studi riportati in Atmospheric Environment 43 (2009) 2070–2079. Lo studio è stato condotto da Diane Ciaparra (Corus Research, Development and Technology, UK), Eric Aries (Corus Research, Development and Technology, UK), Marie-Jo Booth (Corus Research, Development and Technology, UK), David R. Anderson (Corus Research, Development and Technology, UK), Susana Marta Almeida (ISQ, Portogallo), Stuart Harrad (Division of Environmental Health & Risk Management, Public Health Building, School of Geography, Earth & Environmental Sciences, University of Birmingham, UK).
A conferma del fattore “distanza” e delle criticità della cokeria di Taranto, c’è anche uno studio scientifico svolto a Genova che conferma quanto sopra asserito dai tecnici della Corus Research per il benzo(a)pirene. A Genova il “raggio di pericolo” sotto il quale il benzo(a)pirene non scendeva sotto al valore ddi concentrazione di 1 nanogrammo a metro cubo era 1900 metri.
Quando a Genova hanno chieso le cokerie “il benzo(a)pirene è diminuito fra il 92 e il 97%” ha documento il dott. Federico Valerio. E’ tutto documentato in questa ricerca scientificaSe questo è vero per Genova è anche vero per Taranto, anzi è ancor più vero per Taranto, dato che la produzione di Genova è stata spostata all’Ilva di Taranto, dopo la chiusura dell’area a caldo di Genova.
Appare del tutto evidente che la Magistratura di Taranto ha ragioni tecniche da vendere e solo una classe di governo sorda, cieca e incompetente può andare avanti solo con il “piano A”, ignorando il peso di questi dati.
Particolarmente grave è la situazione del camino E312 dell’impianto di agglomerazione dell’Ilva di Taranto che – benché abbia attirato l’attenzione per le emissioni di diossina – è attualmente fuori dalle BREF (le migliori tecnologie) per le polveri/orarie: 
La differenza in massa delle polveri emesse tra i valori misurati e quelli di riferimento del BREF-BAT Conclusions della fase di processo Sinterizzazione sono: 
Minimo Bref 3,4 kg/h
Misurato dal gestore Ilva 85,5 kg/h
Massimo Bref 51 kg/h
Come si vede le emissioni di polveri di quel camino (noto per emettere diossina) si attestano su quantitativi orari di polvere 25 volte superiori rispetto ai minimi emissivi consentiti con la migliore tecnologia. 
Anche il sistema di depolverazione secondaria dei camini E 314 ed E 315 si pone anch’esso al di fuori delle BREF per le polveri:
55,57 kg/h misurato dal gestore Ilva
Massimo Bref 17 kg/h
 Per l’altoforno le cose non vanno benissimo, in quanto le prestazioni si collocano nella fascia peggiore delle Bref:
Altoforno, fase processo di caricamento minimo Bref polveri 2,14 kg/h
misurato dal gestore 29,88 kg/h
massimo Bref 31,97 kg/h
Come si vede si potrebbero ottenere emissioni orarie 14 volte inferiori con la migliore tecnologia. E a 300 metri dalle abitazioni bisognerebbe utilizzare la migliore tecnologia. E magari allontanare gli altoforni. L’acciaieria a Taranto fu infatti clamorosamente costruita “al contrario”, con l’area a caldo vicina alle case e l’area a freddo lontana, mentre doveva essere fatto l’esatto opposto. Ma questa “inversione” dello schema non è stato minimamente preso in considerazione, perché invertire la collocazione spaziale degli impianti costerebbe troppo.
E così anche la fase di colaggio ghisa e loppa fornisce – non lontano dalle case – prestazioni che sono inaccettabili, se si fa riferimento all’art.8 del dlgs 59/2005 (ultilizzo delle migliori tecnologie in assoluto). Infatti:
minimo Bref 0,42 g/t di ghisa
misurato dal gestore Ilva 40,1 g/t
massimo Bref 41,95 g/t
In poche parole se venisse adottata la migliore tecnologia in assoluto, in questa fase produttiva avremmo una diminuzione delle emissioni orarie di 95 volte. Oggi le case degli abitanti del quartiere Tamburi (che sono state costruite prima e non dopo l’acciaieria) vengono invase da questi fumi.
Il ministro Clini chissà se ha mai dato un’occhiata – dato che è un “tecnico” – ai dati dell’acciaieria vera e propria, cioè a quegli impianti che i tecnici della Procura hanno criticato per le seguenti emissioni di polveri:
minimo Bref: 14 g/t di acciaio
massimo Bref: 143 g/t
stimato dal gestore Ilva post interventi AIA 2011: 218,68 g/t
In parole povere l’attuale valore di emissioni dell’acciaieria è ben 15 volte superiore a quello consentito dalla migliore tecnologia.
Ma la grande questione è quella dei grandi parchi minerali dell’Ilva che dovrebbero essere coperti “entro 36 mesi” (lo dice l’AIA 2012). Costo stimato: un miliardo di euro. Troppo. Gli esperti dell’AIA hanno dato tre anni di tempo per ragioni economiche. E un bambino che nasce oggi nel quartiere Tamburi dovrebbe respirare quelle polveri per i suoi primi tre anni?
Se le cose stanno così di che stiamo discutendo? Di che cosa viene accusata la Procura di Taranto? Alessandro Marescotti (IlFattoQuotidiano)

Cespugliame PD

Che strana aggregazione di interessi il PD.
Come faranno Vico e Casson a sedersi accanto e spartirsi le sostanziose portate della politica italiana?
Misteri della fede (nel denaro)!

«Ai casi di Taranto (Ilva) e Marghera paragonerei quelli di Mantova, Ferrara, Ravenna e Porto Torres. C’è un’unità d’Italia fatta di politiche industriali disastrose sotto il profilo ambientale». A dirlo è un ex magistrato che conosce bene la vicenda del petrolchimico di Marghera. Felice Casson, capolista per il Senato in Veneto, era ieri sera a Mantova assieme a Cinzia Fontana, che guida la lista per il senato nella nostra Regione, per partecipare al dibattito pubblico del Pd sul polo chimico e sulle bonifiche. Un’iniziativa elettorale, è chiaro, ma in mezzo al pubblico (oltre il centinaio di persone ) presente ieri sera nella sala di Santa Maria delle Vittoria, non c’erano solo i candidati democratici e delle altre forze del centrosinistra. In terza fila c’era il leader dei civici arancioni, Giampaolo Benedini. C’erano anche il medico ambientalista Gloria Costani, il presidente di Ambiente e sviluppo, Gaspare Gasparini e l’epidemiologo Paolo Ricci.
Casson e la Fontana, introdotti dal segretario del Pd Andrea Murari e da Matteo Guastalla, si sono mossi sul campo minato del rapporto tra produzione, tutela dell’ambiente e dell’occupazione. «Ho accettato l’invito che mi è stato fatto anche da Paolo Rabitti (suo collaboratore, ndr) perché ci siano molti punti in comune tra Mantova e Venezia – ha esordito Casson – Parlando di rapporto tra politiche industriali e tutela di ambiente e salute mi viene in mente l’espressione ricatto occupazionale, il gioco criminale del rimpiattino a cui assistiamo quando c’è un’industria che, alle prese con la bonifica, tende a chiudere tutto, andarsene per far pagare i costi al pubblico e facendo perdere il posto ai lavoratori. Spero che qui non accada». E ancora: «Ci siamo resi conto in varie indagini che ovunque, quando ci sono dati che dimostrano la pericolosità delle produzioni per la salute, vengono consapevolmente nascosti. È successo per anni con l’amianto e non solo». Come uscirne? «Il principio è di ricordare che la Costituzione definisce libera l’iniziativa economica privata, ma che non può svolgersi in modo da arrecare danno alla sicurezza e alla dignità umana. Basterebbe ricordarselo per evitare tanti conflitti tra giudici, politica, sindacati e industrie. La persona viene prima di tutto».
La Fontana ha sostenuto che «occorre rivedere la legislazione sulle bonifiche, prevede tempi troppo lunghi. Occorre inoltre premiare le imprese che applicano tecnologie innovative e utilizzare i fondi europei destinati a progetti di bonifiche e riconversione. Hanno fatto bene Carra, Colaninno e Zani a proporre in aula il documento per accelerare la riqualificazione del polo chimico ». (Gazzetta di Mantova)

venerdì 25 gennaio 2013

Procura cristallina, Ilva e amici sempre in trincea

«Non sono possibili compromessi»


«All'Autorità giudiziaria non è consentita l'adozione di «misure di compromesso», magari anche comprensibili da diversi altri punti di vista, ma che non trovino il loro fondamento in specifiche disposizioni normative processuali e penali».
LA NOTA - Lo scrive il procuratore di Taranto, Franco Sebastio, sulla vicenda Ilva. «È possibile rivalutare, in tutto o in parte, eventuali questioni poi insorte, però sempre nei limiti» delle disposizioni normative processuali e penali. Sotto tale punto di vista - prosegue la nota - non ci si sta sottraendo a tale valutazione, così come evidenziato anche al signor ministro dell'Ambiente nel corso dell'incontro, sereno e a tratti anche cordiale, con lui avuto». Franco Sebastio, in cui fa il punto della situazione sul caso Ilva e interviene soprattutto sul punto delle merci sequestrate (un milione e 700mila tonnellate) per le quali ieri la Procura ha respinto l'istanza di dissequestro vincolato avanzata dall'azienda che aveva chiesto lo sblocco e la destinazione del ricavato a stipendi e interventi dell'Aia. Sebastio spiega anche che «allo stato l'azienda può continuare la sua attività di produzione in quanto la decisione di sospendere il giudizio sul dissequestro delle merci rimettendo la legge alla Consulta non riguarda tale diverso aspetto. Oggetto delle ulteriori contestazioni - precisa il procuratore - è solo la richiesta del materiale prodotto nei quattro mesi antecedenti il secondo provvedimento di sequestro la cui disponibilità viene considerata dall'azienda assolutamente e ineluttabilmente indispensabile per garantire la sua attività che, in caso contrario, dovrebbe essere sospesa per insuperabili difficoltà finanziarie. Tutto cio' pur essendo stata essa abilitata alla commercializzazione dell'acciaio prodotto dalla data del decreto legge in poi. Giova evidenziare a questo punto - rileva il procuratore di Taranto - che, come ovvio e assodato, l'autorità giudiziaria può assumere le sue determinazioni solo ed esclusivamente nell'ambito delle vigenti disposizioni processual-penalistiche, mentre le è vietata una qualunque decisione che dovesse invece basarsi su mere considerazioni di opportunità anche di tipo sociale ed economico, specialmente nel caso in cui tale determinazione potrebbe determinare una possibile sopravvenuta decadenza (inammissibilità) della questione di legittimità costituzionale per essere venuta meno la rilevanza della questione stessa».
LA MERCE SEQUESTRATA- Sulla possibilità di intervenire in qualche modo sul sequestro delle merci dell'Ilva, ma sempre nell'ambito di quanto prevede il Codice penale e la legge, il procuratore capo della Repubblica di Taranto, Franco Sebastio, fa un'apertura: «E' quindi possibile - dice il procuratore in proposito - rivalutare, in tutto o in parte, eventuali questioni poi insorte, però' sempre nei limiti delle disposizioni esistenti. Sotto tale punto di vista - dice il procuratore - non ci si sta sottraendo a tale valutazione, così come anche evidenziato al signor ministro dell'Ambiente nel corso dell'incontro - sereno e, a tratti anche cordiale - con lui avuto». (CdM)

Ed ecco cosa dice l'Ilva per "bocca" di uno dei suoi giornali-bollettino che anticipa scenari di custodi giudiziari che si trasformano in venditori porta a porta di acciaio e non perde occasione per sottolineare la versione della difesa Ilva sulla legittimità del sequestro.
Insomma, il solito attacco mediatico quotidiano alla magistratura!

Ilva, ai custodi la vendita delle merci

Si fa strada l'ipotesi che la Procura della Repubblica possa dissequestrare le merci Ilva e affidarne la vendita ad uno dei custodi giudiziari-amministratori nominati dal gip. Il ricavato della vendita, però, non andrebbe all'Ilva, nè servirebbe a finanziare il pagamento dei prossimi stipendi (servono 75 milioni di euro) e gli interventi per il risanamento ambientale del siderurgico, ma verrebbe «congelato» in un deposito sempre a disposizione dell'autorità giudiziaria, essendo coils e lamiere beni soggetti a confisca. L'ipotesi è allo studio e la sua applicazione è legata anche agli esiti di una perizia tecnica che dica alla Procura se la merce stoccata tra magazzini e piazzali dallo scorso 26 novembre è deteriorabile (come asserisce l'Ilva) o meno.
Altro punto da chiarire è poi il valore della stessa merce: l'Ilva dice che quel milione e 700mila tonnellate valgono un miliardo di euro («un sesto del fatturato dell'azienda» ha affermato l'altro ieri il presidente Bruno Ferrante), per la Procura, invece, si apprende da fonti giudiziarie, potrebbero valere meno, circa 600 milioni di euro.
Se la Procura decidesse di vendere le merci, affidandone il relativo incarico al custode-amministratore Mario Tagarelli (nominato dal gip Patrizia Todisco insieme ad altri tre custodi per il sequestro degli impianti dell'area a caldo), verrebbe sì incontro ai clienti dell'Ilva che quei beni hanno ordinato, ma non sposterebbe di un millimetro la situazione finanziaria aziendale. Che resterebbe pesante con gli stipendi a fortissimo rischio. D'altra parte nel vertice di ieri col ministro dell'Ambiente, Corrado Clini, Ferrante è stato esplicito: quei soldi servono all'Ilva per generare altra liquidità visto che le banche hanno frenato sugli affidamenti all'azienda. L'Ilva oggi è un po' come un'auto col serbatoio a secco e che ha bisogno di carburante per ripartire. L'unica cosa che si otterrebbe dallo sblocco dei prodotti è che si libererebbero piazzali e magazzini. L'Ilva, che oggi dice di non avere aree in cui stoccare, avrebbe di nuovo i suoi spazi, e gli impianti dell'area a freddo - fermi da fine novembre - potrebbero essere rimessi in marcia, così come chiedono i sindacati. Se si sta studiando un dissequestro con le caratteristiche prima dette, sembrano quindi perdere attualità le ipotesi pure emerse l'altro ieri, ovvero la possibilità di trasferire il fermo delle merci su soluzioni alternative come il sequestro per equivalente o il deposito cauzionale.
Ieri, in una lunga nota, il procuratore capo di Taranto, Franco Sebastio, non ha chiuso la porta a una possibile evoluzione. «È possibile rivalutare, in tutto o in parte - scrive Sebastio -, eventuali questioni poi insorte», ma ci sono dei paletti da rispettare, «limiti» li definisce il procuratore che così spiega: «All'autorità giudiziaria non è consentita l'adozione di misure "di compromesso", magari anche comprensibili da diversi altri punti di vista, ma che non trovino il loro fondamento in specifiche disposizioni normative processuali e penali. Giova evidenziare - scrive ancora il procuratore - che, come ovvio e assodato, l'autorità giudiziaria può assumere le sue determinazioni solo ed esclusivamente nell'ambito delle vigenti disposizioni processual-penalistiche, mentre le è vietata una qualunque decisioni che dovesse basarsi invece su mere disposizioni di opportunità, anche di tipo sociale-economico, specialmente nel caso in cui tale determinazione potrebbe determinare una possibile decadenza (inammissibilità) della questione di legittimità costituzionale per essere venuta meno la rilevanza della questione stessa». Fermo restando questi «limiti», perciò, afferma il procuratore, «non ci si sta sottraendo» ad una possibile, nuova valutazione della vicenda, «così come evidenziato anche al signor ministro dell'Ambiente nel corso dell'incontro - sereno e, a tratti, anche cordiale - con lui avuto».
Al procuratore replica l'Ilva. «Il provvedimento di sequestro da parte della magistratura - dice l'azienda - ha natura meramente facoltativa così come l'eventuale confisca anche in caso di sussistenza dei reati contestati; l'esercizio del potere discrezionale da parte dei giudici di Taranto avrebbe consentito e consente quindi la valutazione di ogni elemento di opportunità dell'emissione del provvedimento. Andrebbe in primo luogo valutata ogni conseguenza sociale che ne deriva». E infine «sulle questioni di legittimità costituzionale proposte» dai giudici, l'Ilva parla di «manifesta infondatezza, posto che la tutela della salute è costituzionalmente demandata agli organi di Governo che con la decretazione d'urgenza ne ha tenuto conto, e non alla magistratura». (Sole24h)


La finanza per indignati

Il giorno Venerdì 25 Gennaio p.v. alle ore 17.00 presso la sala convegni dell'Ist. Pitagora di Taranto, con la presenza dell’autore Andrea Baranes, già presidente della Fondazione Etica, sarà presentato il testo “La finanza per indignati” edito da Ponte alle Grazie, che ha ricevuto per la categoria di volumi editi, il Premio Firenze per le Culture di Pace 2012.
            L’evento inaugura l’avvio delle attività proposte dall’Associazione “Altre Economie per Taranto” ed è rivolto a cittadini, associazioni, imprenditori, amministratori e scolaresche con l’auspicio di favorire la riflessione sui temi di cui l’Associazione si fa promotrice sul territorio, tra questi la finanza etica, cercando di dare un contributo alla nascita di buone pratiche di economia orientata a nuovi modelli di sostenibilità e cooperazione, in un’ottica di responsabilità e tutela del ‘bene comune’.
            Scopo fondamentale dell’Associazione “ALTRE ECONOMIE PER TARANTO” è quello di costruire e sostenere una rete di economia solidale e sociale tra liberi cittadini, comitati, associazioni, cooperative e imprese sociali che da tempo nel territorio della provincia di Taranto costruiscono dal basso un’economia diversa, che valorizzi le relazioni prima che il capitale, che riconosca un’equa ripartizione delle risorse tra tutti, che garantisca il rispetto dell’ambiente naturale e l’arricchimento di quello sociale.

Associazione, ALTRE ECONOMIE PER TARANTOVia Pupino, 1 c/o Comunità Emmanuel, altreconomie@gmail.com - http://altreconomie.blogspot.it/

Sovranità o rappresentanza?

 Punti di vista...

Sabato 26 gennaio 2013 alle ore 16,30 presso il Salone di Rappresentanza della Provincia di Taranto, via Anfiteatro 4, si terrà l’incontro intitolato “La Costituzione, la Sovranità Nazionale e la Crisi Economica”. 
Interverranno il Prof. Stefano D’Andrea, Presidente dell'Associazione Riconquistare la Sovranità e docente associato di Diritto Privato alla Facoltà di Economia dell’Università della  Tuscia di Viterbo e il Dott. Francesco Lincesso, Medico Neurologo ASL Taranto e socio ARS.
Il tema dell’incontro verterà sulla crisi economica di cui siamo testimoni, i ‘come’, i ‘perché’ ed eventuali soluzioni. Inoltre sarà affrontata la questione riguardante la sovranità nazionale, a iniziare da quella monetaria sino a giungere alla Costituzione Italiana, espressione universale della vera democrazia e di disciplina dei rapporti economici. Infine sarà affrontata un’analisi sullo SSN (Sistema Sanitario Nazionale) e che impatto ha avuto la crisi economica su di esso.

mercoledì 23 gennaio 2013

La questione è di pecunia. Ma Riva non ci sente e lo stato sussurra

Un'apparente analisi a 360 gradi in realtà viziata da molti dogmi italiani.
Ecco il senso di questo articolo che in maniera apparentemente scientifica non fa altro che ripetere quello che la vecchia economia mondiale ripete per ogni situazione in cui emerga la contraddizione tra il profitto privato e il bene pubblico creata dal meccanismo dell'accumulazione e della concorrenza.
L'analisi di questo articolo è comparsa sul validissimo blog Corporeus Corpora, ne riportiamo le parole in calce invitandovi a visitare il blog per gli aggiornamenti sull'Ilva.

Dall'Ilva rischio contagio per il Paese

Prima l'acciaieria di Taranto. Poi tutto il gruppo Riva. Quindi, l'economia italiana. L'Ilva è un gigantesco organismo industriale che sta sperimentando una paralisi produttiva, una asfissia finanziaria e una acefalia strategica. Da Taranto, potrebbero presto originarsi cerchi concentrici in grado di sommergere un bel pezzo di Paese.
La fabbrica è bloccata per il conflitto fra magistratura e politica sui tempi, sul grado di cogenza dei lavori di risanamento e sulla possibilità (negata dalle toghe) che questi ultimi avvengano mentre il ciclo produttivo è in funzione.
Il gruppo vive una crisi di liquidità che nasce dal sequestro delle merci (non commerciabili) e dall'indisponibilità dei Riva a fare affluire mezzi finanziari propri – estranei alle attività italiane – a Taranto. L'acefalia strategica è causata dagli effetti sulla governance del gruppo provocati dai guai giudiziari della famiglia lombarda: le decisioni più importanti vengono rese pubbliche dal presidente dell'Ilva Bruno Ferrante, ma si formano soprattutto nel dialogo fra gli avvocati e Emilio Riva, il fondatore dell'azienda agli arresti domiciliari che ha rappresentato (finora) il maggiore argine a ogni ipotesi di disimpegno totale da Taranto, insieme ai banchieri preoccupati dei danni che una liquidazione dell'Ilva potrebbero produrre ai bilanci dei loro istituti di credito. Il combinato disposto di queste criticità rischia di fare di Taranto un epicentro da cui le onde si potrebbero presto sprigionare. Prima investendo nella sua totalità il (fu) primo gruppo siderurgico italiano, poi diffondendosi nei gangli e nel sistema nervoso della manifattura attraverso il virus patogeno del collasso delle forniture, quindi ritornando indietro sotto forma di disastro economico-sociale, con il rischio di inghiottire tutta Taranto.
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Il piano B c'è: Clini sparisci!!!

Il Grande Circo Clini è riapprodato a Taranto con due nuovi clown e tante gag.
Per l'occasione si sono dispensati inviti terrorizzanti, grandi depressioni, licenziamenti di massa insieme alle solite gag del Burattino dell'Industria travestito da Ministro.
Strette di mano, tarallucci, vino e biscottini hanno accompagnato le collanine di vetro che sono state distribuite agli indigeni: promesse di scenari fantastici dove Taranto diventa la foresta di Tarzan in un mix di natura e industria buona e pulita.
Tutti hanno riso a crepapelle, anche le sagome di cartone che parlavano per i morti dell'industria di questa città hanno applaudito.
Invece i politici con l'anello al naso che rappresentano il territorio e la Puglia hanno applaudito supini. D'altronde, sono eredi di una tradizione secolare di comparse dei Circhi forestieri.
Ad ogni parere della magistratura si replica, sempre più comico e sempre più ricattatorio. Uno spettacolo da non perdere!


Si e' tenuto nella prefettura di Taranto l'incontro nel corso del quale il ministro dell'ambiente, Corrado Clini, ha presentato ai rappresentanti delle istituzioni locali il garante per l'attuazione dell'Aia rilasciata all'Ilva, Vitaliano Esposito, e il commissario straordinario per il risanamento ambientale, Alfio Pini. Alla riunione anche il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola.
"Il programma di risanamento dello stabilimento è il più importante in Europa, richiede risorse cospicue e si colloca in una situazione di mercato complessa. Se qualcuno pensa che il risanamento possa avvenire fermando gli impianti, non ha capito dove siamo" spiega Clini. "La Corte Costituzionale si esprimerà nel merito. Nei fatti c'é una legge approvata dalla stragrande maggioranza del Parlamento con parere contrario solo di alcuni parlamentari. Non abbiamo un piano B se la Consulta dovesse dire che la legge 231 è incostituzionale. Questa non è una officina meccanica" risponde a un giornalista che chiedeva se il governo abbia un piano alternativo se la Consulta dovesse dichiarare incostituzionale la legge 'Salva- Ilva'.
PM: PARERE CONTRARIO A DISSEQUESTRO PRODOTTI - La procura di Taranto ha espresso parere negativo all'istanza di dissequestro 'vincolato' dei prodotti finiti e semilavorati presentata ieri dai legali dell' Ilva. Nell'istanza la vendita dei prodotti era finalizzata al pagamento degli stipendi. Istanza e parere sono stati inviati al gip per la decisione. Lo si apprende da fonti giudiziarie. Esprimendo parere negativo sull'istanza di dissequestro dei prodotti,la procura ha chiesto al gip di sollevare una nuova questione di legittimità costituzionale della legge 'Salva-Ilva'.Per i pm, l'istanza non ha elementi di novità ed è proposta in una fase di sospensione del procedimento essendo gli atti alla Consulta.
PG LECCE, NOI LA LEGGE LA STIAMO APPLICANDO  "Noi abbiamo il dovere di applicare la legge e mi pare che la stiamo applicando". Lo ha detto il procuratore generale presso la Corte di appello di Lecce, Giuseppe Vignola, a conclusione dell'incontro avuto in Prefettura con il ministro dell'Ambiente, Corrado Clini, insieme col procuratore di Taranto, Franco Sebastio. "Di dissequestro non se ne parla. Stiamo studiando la nuova istanza dell'azienda". Lo ha detto il pg di Lecce, Giuseppe Vignola, dopo aver incontrato il ministro dell'Ambiente, Corrado Clini. Vignola si riferiva all'istanza di ieri dell'Ilva di vendita dei prodotti sequestrati per pagare stipendi e interventi di risanamento.
"L'obiettivo di recuperare il territorio di Taranto, valorizzare le risorse naturali, promuovere nuove attività produttive a basse emissioni, trasformare gli impianti industriali esistenti per renderli compatibili con l'ambiente è alla nostra portata". Lo ha detto il ministro dell'Ambiente, Corrado Clini, poco prima della riunione nello stabilimento Ilva di Taranto con i vertici dell'azienda, il sottosegretario allo Sviluppo economico Claudio De Vincenti, il Garante dell'attuazione dell'Aia e il commissario per il risanamento ambientale di Taranto, Vitaliano Esposito e Alfio Pini. "E Taranto - ha aggiunto Clini - può essere l'esempio più importante in Europa dopo quello della Ruhr di riqualificazione di un grande territorio industriale". "Sono a Taranto - ha proseguito il ministro - per confermare la responsabilità delle istituzioni nei loro diversi ruoli e per assicurare il rispetto delle direttive europee e delle leggi nazionali che sono la garanzia per salute, per l'ambiente e per il lavoro". "Il percorso avviato nel luglio scorso con il protocollo d'intesa per Taranto, e rafforzato nell'ottobre scorso con l'Aia, - ha detto ancora Clini - ha già dato i primi risultati importanti in termini di miglioramento della qualità del'ambiente". (ANSA)

Esprimendo parere negativo sull'istanza di dissequestro dei prodotti,la procura ha chiesto al gip di sollevare una nuova questione di legittimita' costituzionale della legge 'Salva-Ilva'.Per i pm, l'istanza non ha elementi di novita' ed e' proposta in una fase di sospensione del procedimento essendo gli atti alla Consulta. (ansa).

In concomitanza con gli incontri sull'Ilva che il ministro Clini tiene in prefettura a Taranto, comitati e movimenti hanno organizzato in piazza un sit-in con sagome di cartone che rappresentano i malati di tumore e le vittime di inquinamento. ''I cittadini - dice la portavoce, Fulvia Gravame - prendono atto che il ministro ha paragonato Taranto al bacino della Ruhr per le condizioni nelle quali era prima. Ne discende l'esigenza urgente che a Taranto si compia la stessa operazione''.