di Greta Marraffa
“Potranno tagliare tutti i fiori, ma non fermeranno mai la primavera”
P.Neruda
Il viaggio è una raccolta di emozioni e
di colori, suoni, sfumature da catalogare nella mente. Il viaggiatore
stanco, si ferma a descrivere e a dar forma alle immagini, disegnandole e
trascrivendole nel suo diario: il taccuino che custodisce gelosamente,
compagno di vita, silenzioso e pronto ad apprendere, senza
interrompere. Ogni volto, ogni sguardo ed ogni lacrima, sono parti di
un racconto che il viaggiatore si limita a narrare con la semplicità e
l’ingenuità di un bambino.
Mi chiamo Greta, compirò fra qualche settimana 22 anni, studio giurisprudenza alla facoltà di Taranto.
Ho sempre vissuto in questa terra
bellissima, amo il mare e le sue coste, il sole che batte sui palazzi di
prima mattina e il tepore delle giornate estive. Ammiro con estrema
meraviglia i suoi colori, la primavera dipinge di rosso porpora i volti
della gente. Vago in città con la mia adorata bicicletta, le strade
sono trafficate, ma con la mia potente graziella riesco a percorrere
lunghi e distesi tragitti. La bicicletta è romantica, proprio come il
percorso che faccio ogni volta, quando mi dirigo verso l’università:
alla mia sinistra una distesa azzurra di mare “infinito”, l’orizzonte e
qualche peschereccio.
In questa triste storia, i nemici hanno
volti, nomi e cognomi: sono i rappresentanti delle istituzioni, del
potere spirituale e anche rappresentanti dell’ordine pubblico: tante
marionette carnevalesche, mosse come pedine, in una trama di intrecci
macabri e grotteschi. E ci sono mazzette, indagati, accuse di genocidio
e disastro ambientale.
Dall’altra parte c’è una città
violentata ed offesa. Ci sono i suoi morti, i fiori più belli, strappati
impetuosamente . Le statistiche non mentono: sono evidenti le
connessioni, dei decessi per malattie respiratorie e tumorali,
all’attività inquinante della grande fabbrica.
In questa terra dimenticata da tutti,
nel “meridione del meridione”, alla periferia dell’impero, si gioca una
battaglia importante. Laboratorio e palestra della pratica e della
mobilitazione cittadina “dal basso”, l’estate tarantina si è
caratterizza di suoni, colori, sorrisi e nuove forme e sperimentazioni
di democrazia partecipata.
“Basta ricatti, si ai diritti”, non è un
semplice slogan, ma una battaglia e una filosofia di vita. La dicotomia
ambiente/lavoro che attanaglia le sorti di questa città, è il conflitto
che riflette le contraddizioni e il fallimento di un sistema economico
ormai giunto al suo capolinea.
E poi c’è “U’ trerote”, simbolo della
protesta, della rivolta popolare, barcollante, precario ma resistente,
fedele rappresentazione metaforica delle nostre vite. Reclama e
rivendica il diritto alla salute, il diritto di lavorare dignitosamente e
propone con forza un cambiamento radicale della città e delle politiche
che hanno da sempre governato e demolito questa terra ricca di storia e
cultura.
La città è in tumulto. L’esasperazione
si trasforma in rabbia e in proposta. Una città per troppo tempo preda
di mercenari e sciacalli, terra di conquista, sottoposta a processi di
speculazione e di sfruttamento, è stanca di subire e di rimanere in
silenzio. Si accendono focolai di speranza e di cambiamento. “Basta
delegare, ci riprendiamo il nostro futuro e le nostre esistenze”. “ Qui
non si decide più nulla senza di noi”- così afferma un operaio Ilva,
durante l’irruzione presso il centro studi Ilva, rivolgendosi a
Ferrante( presidente dello stabilimento).
La piazza è eterogena, non la si può
controllare. E’ un movimento di pancia, non un copione teatrale,
concordato e prestabilito. Ogni volto, ogni sguardo ed ogni ruga narra
la sofferenza di tante generazioni, colpite direttamente dalla presenza
del colosso industriale. Una presenza che non ha concesso di poter
neanche immaginare un mondo ed una città diversa: il fumo grigio ha
annebbiato per tanto, troppo tempo le coscienze e anche la fantasia di
un popolo intero.
Alcuni la definiscono una città
dimenticata da Dio. E il tornado che si abbatte sul cuore dello
stabilimento e distrugge le scuole e le abitazioni del quartiere
cittadino adiacente, stimola isterismi e facili conclusioni.
E quella maledetta tromba d’aria, ha strappato via un pezzo di cuore ad ognuno di noi.
Francesco Zaccaria, operaio Ilva,
gruista, era di spalle e non ha fatto in tempo a scappar via. L’ira
della natura l’ha trasportato in mare. Le onde minacciose e in tempesta
custodiscono ancora la sua anima. Lutto cittadino, silenzio, brividi e
tanta disperazione che si aggiungono ad un sentimento di estrema
indignazione.
Dalle indagini della Procura emergono le
intercettazioni. La rete di relazioni tra i vertici dello stabilimento e
l’intero tessuto sociale ionico, intreccia uno scenario ricco di colpi
di scena. Ciò che desta scalpore è il possibile coinvolgimento di
uomini di chiesa e forze dell’ordine: pressione sociale e segretezza in
cambio di favori economici e lavorativi.
Ma ciò che più accende la mia
attenzione, è il colloquio telefonico tra Archinà e un responsabile
della digos di Taranto, in cui si discute dello sgombero del centro
sociale Cloro Rosso, spazio e luogo di aggregazione e di produzione di
attività culturali, avvenuto qualche anno fa. Tante sono le coincidenze e
le pressioni dietro quell’atto politico e spietato. Paradossale come,
dopo quello sgombero le istituzioni locali, ritennero di aver
ripristinato la legalità, in una città dove il senso di legalità e di
giustizia è un optional per i grandi imprenditori e capitalisti.
C’è infine, chi rimane in questa terra e
continuare a combattere. Questi sono i fiori più belli e resistenti,
perché cresciuti nel deserto. (Mediapolitica)
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