martedì 31 luglio 2012

Una più del diavolo

L’Ilva e i lenzuoli delle donne. Per Taranto c’è una terza via: vivere 

Quando mise in bocca a Cassandra queste parole (tra uccidere e morire c’è una terza via: vivere) lo fece pensando alla guerra. Le donne dello Scamandro, lontane dal palazzo reale dove la natura era bandita, e con essa la vita, sapevano che era necessario, pena la fine dell’umanità, “combattere il male prima, quando ancora non si chiama guerra”. Una visione, questa, mai abbastanza valorizzata e praticata nella quale, negata la guerra come strumento di risoluzione dei conflitti, non si nega invece il motivo del conflitto, ma lo si pone al centro, affinché lo si riconosca, lo si dipani e quindi si costruisca l’alternativa.
Uso questa intuizione preziosa della studiosa tedesca per provare a ragionare sul drammatico caso di Taranto, città che da decenni vive l’atroce contrapposizione tra diritto al lavoro e diritto alla salute, identico dilemma vissuto anche in altri luoghi della penisola, (solo per citare i casi più noti nel tempo): l’Acna di Cengio, le acciaierie di Cornigliano, l’amianto di Casale Monferrato, il progetto Dal Molin, l’alta velocità in Val Susa, il terzo valico in Liguria.
In ognuno di questi casi lavorare ha significato (e significa) contemporaneamente garantirsi un salario ma anche avvelenarsi, e avvelenare la comunità circostante: parlo della diossina all’Acna, delle polveri cancerogene a Genova, dell’asbestosi a Casale, dell’avvelenamento delle falde acquifere a Vicenza, di nuovo dell’amianto per la Val Susa, delle polveri sottili per il terzo valico, tralasciando per brevità molte altre negatività per la salute e i gravi danni ambientali irreversibili in tutte queste situazioni.
Al contrario di altri paesi europei, nei quali lavorare sì, ma non a costo di morire e far morire del medesimo lavoro malsano che sfama, è diventata una priorità senza ombre da molti anni, in Italia siamo ancora alla tragedia della, (in apparenza), insanabile contraddizione tra lavoro e salute, quindi tra lavoro e vita. La parola ‘riconversione’ è ancora un tabù.
Non è un mistero che, oltre e accanto alla scellerata e cinica politica industriale di molti imprenditori, ai quali non importa nulla della salute di chi lavora, ci sono state anche responsabilità sindacali nel non avere in modo limpido e puntuale costruito una cultura del lavoro e dei diritti che connettesse indissolubilmente, senza contrapporre, lavoro e salute: a Genova, per esempio, è noto che negli anni ’80 c’era tensione tra ecologisti e settori sindacali sulla questione delle acciaierie di Cornigliano.
Il lavoro non si tocca, dicevano, l’ambiente viene dopo. Rigettare il discorso ecologista contrapponendo il diritto al lavoro a qualunque altra priorità arriva a dei punti di tragico paradosso: recentemente un sindacalista genovese ha dichiarato, parlando di Taranto, che anche la cioccolata in dosi massicce fa male, minimizzando così la tragedia di vivere immersi nelle polveri nere respirate ogni giorno. Il lavoro, qualunque lavoro e a tutti i costi, la monetizzazione della salute: una forma grottesca di mors tua vita mea, che non vede come sia follia chiudere gli occhi davanti alla inciviltà di una produzione industriale non sicura e malsana.
Come non fare un parallelo con la miope e perversa concezione della vita fine a se stessa e senza qualità? Penso ai temi etici quali l’autodeterminazione nelle scelte riproduttive e di fine vita, che sono state le donne a porre al centro stimolando una riflessione sui limiti e la qualità di quella che dai fondamentalisti di ogni religione viene pensata come vita purchessia, senza definizioni.
‘Vita’ quella di Eluana Englaro, ‘vita’ quella appena concepita, da contrapporre alla donna che la porta in grembo, con la creazione della soggettività dell’embrione portatore di diritti.
E’ stato il movimento delle donne a porre come centrale la necessità di partire dall’esperienza concreta dei corpi per ragionare sui temi etici della vita, della morte e del limite e anche sull’intreccio tra diritto al lavoro e diritto alla salute sono state, (e sono ancora), delle donne a dire parole di verità svelando contraddizioni e aprendo fecondi conflitti.
Donne erano quelle che, negli anni ’80 a Genova, nel quartiere di Cornigliano, non senza fatica e dovendo superare l’ostilità di molti uomini, (spesso i loro stessi compagni, mariti e figli), fondarono il Comitato salute e ambiente.
Iniziarono mostrando i lenzuoli stesi ai davanzali anneriti dalla polvere dell’acciaieria, la stessa che finiva dritta nei polmoni delle loro bambine e bambini, così come oggi le donne di Taranto mostrano la micidiale materia nera che raccolgono in casa, mentre raccontano di vietare ai figli e figlie di giocare nel cortile nelle giornate di vento. Sono maestre le genovesi della scuola Villa Sanguineti, la materna che il progetto Tav del Terzo valico prevede di chiudere perché ne intralcia il percorso: nel caso in cui non la si cancelli i piccoli e il resto della popolazione dovranno ingoiare per anni idrocarburi e polveri sottili a causa dei lavori e del passaggio costante di camion. Sono state le donne di Vicenza a sfilare in silenzio con dei bastoni per le vie della bella città veneta nella quale si sta sviluppando il mostruoso insediamento del secondo aeroporto militare, mormorando il nome del fiume che lentamente morirà nel cemento. Ancora donne le parenti dei morti d’amianto a chiedere che non si ripeta mai più lo scempio velenoso e silenzioso sui corpi di altri esseri umani. Come può essere onesto, compatibile e giusto un lavoro che ammala e uccide?
Sono davvero civiltà e progresso, questi, nei quali o si lavora o si inquina, e si crea contrapposizione tra lavoro e salute, mettendo contro due diritti inalienabili? (Monica Lanfranco - Il fatto quotidiano)

Doppio corteo!

Roba da grandi parate!
Ma l'incertezza resta... Che vuole questo corteo in pratica?
Noi lo sospettiamo. E voi?
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Comunicato Fim Fiom Uilm
Giovedì 2 Agosto 2012 Sciopero Generale dei Metalmeccanici di Taranto e provincia
“Lavoro e Salute camminano insieme”

 La lotta dei lavoratori dell’Ilva è diventata una grande battaglia di civiltà di tutti i lavoratori e di tutti i cittadini per coniugare il diritto al lavoro con il diritto alla salute, alla sicurezza, ad un ambiente ripulito dall’inquinamento dentro e fuori la fabbrica, nella città, nel territorio. Ora tocca all’Ilva dimostrare, come peraltro annunciato dalla stessa, il proprio concreto impegno per ambientalizzare in continuo lo stabilimento. Per queste ragioni, Fim Fiom Uilm proclamano per l’intera giornata di giovedì 2 agosto lo sciopero generale di tutti i metalmeccanici dell’intera provincia di Taranto con partecipazione alla manifestazione che vedrà due cortei con concentramenti alle ore 8.30 all’Arsenale e al Ponte di Pietra. La manifestazione si concluderà in Piazza della Vittoria con gli interventi dei segretari generali Fim, Fiom Uilm Farina, Landini, Palombella e dei segretari generali di Uil, Cisl, Cgil Angeletti, Bonanni, Camusso.

lunedì 30 luglio 2012

Bilanci del terzo millennio

La vicenda Ilva di Taranto ed il conflitto tra capitale/lavoro/salute

Nuvole rapide

Immaginare il paesaggio della propria terra, del luogo dove dovresti essere felice, dove svolgi il tuo lavoro, è un elemento iconografico importante che determina il livello della felicità nell’essere umano. Lo skyline della città di Taranto è composto da un lato da due mari : il mare grande ed il mare piccolo, con il ponte girevole che separa le due parti della città dei due mari. Dall’altro lato, verso l’interno, ci sono una ventina di ciminiere e quelle nuvole che costituiscono la cappa di veleni che soggioga la città.
E’ veleno per chi lo sa. E’ sviluppo per chi non vuol vedere.
All’Icmesa di Seveso ufficialmente producevano fertilizzanti. Nessuno in quel paese della Brianza poteva mai immaginare il volto brutto e cattivo della fabbrica. Era sviluppo, era benessere, non poteva esserci, in quel sogno tecnologico e moderno, un lato oscuro che avesse a che fare con il veleno. Non l’avevano mai immaginato fino al 10 luglio del 1976, quando il reattore dell’Icmesa fece il botto, vomitando diossina su 108 ettari di territorio. Nessuno oggi sembra voler ricordare quella che è stata la prima Chernobyl italiana. In quella fabbrica dove lavoravano decine di operai sbuffarono via 300 grammi di diossina pura capace di distruggere per sempre quel piccolo centro lombardo. Seveso fu evacuata. Le case distrutte, i campi arati per 40 cm. Tutto fu seppellito in una discarica fatta da quattro vasche una sopra l’altra. I veleni del reattore racchiusi in 41 fusti. L’Italia scopriva che il capitalismo produce scorie. Forse è quella la data in cui nel conflitto tra capitale e lavoro fa irruzione l’elemento dell’ambiente/salute. Da quel momento, governi ed imprenditori sono stati ben attenti a manipolare l’informazione, ad omettere il più possibile il lato oscuro della modernità, quelle scorie di produzione che distruggevano le vite di chi lavorava in fabbrica ed i territori dove sorgevano. Quello che sta avvenendo a Taranto in merito alla vicenda dell’Ilva è senza dubbio un fatto complesso. Lo è innanzitutto perché Taranto non è la Brianza. Una città che secondo i piani di espansione demografica legata allo sviluppo che la fabbrica dei Riva avrebbe dovuto portare, sarebbe dovuta diventare, nelle stime di venti anni fa, un centro di oltre trecentomila abitanti. Invece Taranto è ventimila abitanti in meno rispetto al dato demografico in cui furono fatte quelle stime. Un territorio dove il fenomeno dell’emigrazione, come elemento caratterizzante di subalternità del mezzogiorno al Nord del paese, continua ad essere un dramma del presente e non un ricordo. Taranto non è la Brianza dove invece le fabbriche, dopo Seveso, hanno continuato a prosperare trovando posti comodi e sicuri dove smaltire quelle scorie cattive e portarle lontane dagli occhi e dalle preoccupazioni dei cittadini. Proprio nel Mezzogiorno italiano o magari nei paesi africani. Proprio come le scorie e ceneri di alluminio delle Fonderie Riva di Parabbiago, in provincia di Milano, finiti nella discarica di Pianura a Napoli tra la fine degli anni ottanta e l’inizio dei novanta. Taranto resta una città dove il solo lavoro possibile è quello all’Ilva. Un territorio dove i termini del conflitto tra capitale/lavoro/salute si invertono fino ad arrivare all’assurdo di una saldatura di interessi tra padrone ed operai.
Magagne della sussunzione reale del lavoro al capitale.
Un lavoro che significa morire presto. Prima degli altri. Le nuvole rosa provenienti dalle ciminiere dell’impianto siderurgico, dai nastri trasportatori scoperti, dal deposito dei minerali che sembra quasi uno spiazzale dove è accumulato terriccio ed invece sono metalli pesanti, minerali, scoperti lasciati allo sbuffo del vento di Levante, arrivano sulla città costantemente. Non ci sono fusti di colore sgargiante che escono dalle fabbriche su dei camion. Tutto è nell’aria e ciò che si vede poco, si sa, preoccupa sempre meno. Qui non c’è stata una Seveso, nonostante i continui incidenti che hanno caratterizzato la vita della fabbrica, nonostante le immense nuvole cariche di metalli pesanti che si sono rovesciate sulla città ad ogni errore nella produzione, ad ogni guasto all’impianto. Non c’è stato uno shock che abbia prodotto una presa di coscienza collettiva su come quella fabbrica stia uccidendo la città ed i suoi cittadini. Li uccide lentamente. Senza botti. Non c’è un reattore che esplode e centinaia e dei corpi che cadono in terra. Anche se a Taranto tutti lo sanno che la fabbrica fa male. Fa morire presto. Lo sanno ma lo nascondono, come una verità scomoda che ti fa arrossire e di cui ti vergogni. Al tempo stesso agisce un elemento di rimozione del problema frutto del ricatto del padrone che concede il solo lavoro possibile. La vicenda dell’Ilva abbiamo detto che è complessa ed è giusto che sia il territorio ad indagarne le contraddizioni ed a raccontare ciò che succede.
Questa vicenda però ci dice chiaramente alcune cose.
La prima è che non possiamo più immaginare il tema della salute come elemento estraneo alla lotta di classe. Fa davvero impressione notare l’assenza di presa di posizione di un sindacato come la Fiom, che da alcuni anni ha cominciato a parlare di riconversione ecologica, di salute dei lavoratori e del territorio come elemento centrale di un piano di rivendicazioni complessive degli operai. A farsi sentire sono quei sindacati, come la Cisl e la Uil che “difendono il lavoro contro gli ambientalisti”. Quei sindacati complici dei padroni dell’Ilva che non vedono come gli elementi stessi del conflitto sindacale siano completamente sovvertiti quando quelle che dovrebbero essere le organizzazioni degli operai hanno gli stessi interessi del padrone. Non considerare l’elemento della salute come parte integrante del conflitto tra capitale e lavoro, dove la salute da tutelare è quella degli operai, del territorio e di chi lo vive, significa anche rinunciare ad una funzione di formazione rispetto al territorio a cominciare da chi in fabbrica ci lavora. Se oggi a Taranto, e non solo, si parla di difendere il lavoro contro la salute e l’ambiente è perché negli anni proprio i sindacati hanno rinunciato a considerare quell’elemento come parte della lotta di classe.
La seconda è che ogni volta che si parla di necessità di immaginare un modello di sviluppo alternativo a quello esistente non possiamo continuare ad agire sul piano dell’astrazione. Le infinite contraddizioni della vicenda dell’Ilva devono farci capire che si deve avere sempre il coraggio di stare da una parte. Produrre acciaio inquina. Non esiste possibilità di produrre acciaio salvaguardando la salute del territorio. Per questo difronte a queste divaricazioni non può esserci nessuna via di mezzo, non può esserci nessuna chimera riformista per rendere il gigante di veleno un gigante buono. Bisogna stare da una parte. O dalla parte degli interessi di chi vive e muore sul territorio – tra cui anche chi in fabbrica non ci lavora - oppure dalla parte dei padroni che agiscono il ricatto del lavoro come strumento di calmierazione dei conflitti.

A Seveso i cittadini continuarono ad essere terrorizzati per anni da quei 41 fusti di rifiuti tossici frutto dello smantellamento del reattore dell’Icmesa.
Nell’estate del 1982 fu comunicato ai cittadini di Seveso che i rifiuti erano andati via per sempre. Non fu detta la destinazione. L’importante era farli sparire per far tornare la tranquillità. Vagarono in tutta Europa con la complicità del governo democristiano, di faccendieri e servizi segreti di mezzo continente, mentre le 4 vasche con i rifiuti di tutta l’area inquinata dall’Icmesa restarono proprio lì. L’importante era dare parole di tranquillità per continuare a mostrare il volto buono della produzione industriale.
C’è da scommetterci che tra qualche giorno ai cittadini di Taranto sarà comunicato che sono state varate misure che permettono di riprendere la produzione senza inquinare. Tutti saranno tranquilli. O magari (speriamo!) no.
Cose che passano veloci. Come le nuvole cariche di veleni.
Nuvole rapide. (Antonio Musella - globalproject)

Ilva: Bonelli (Verdi), il ministro della Salute non ordina inchiesta

(ASCA) - Roma, 30 lug - ''A difendere le ragioni di chi si e' ammalato o e' morto a causa dell'inquinamento e il diritto di non ammalarsi piu' e' rimasta solo la Procura della Repubblica di Taranto. E' davvero sconcertante, a questo punto, il silenzio del ministro della Salute che nonostante la gravita' di quanto contenuto nella Perizia dei magistrati ancora oggi non ha ordinato un monitoraggio sanitario, la realizzazione immediata del registro tumori e analisi a campione sul sangue e sulle urine dei cittadini di Taranto che, secondo quanto denunciato da studi indipendenti, sarebbero fortemente contaminate da piombo e cadmio, visto che ad oggi nessun altro lo ha fatto'', dichiara in una nota Angelo Bonelli.

''In questi giorni si avvertono fortissime pressioni per condizionare i magistrati sulla vicenda Ilva e sembra che il disastro sanitario sia passato completamente in secondo piano. Eppure la situazione sanitaria a Taranto e' drammatica: stiamo parlando di una citta' dove si muore e si ci ammala d'inquinamento - continua il presidente dei Verdi -. Chi oggi si affanna a difendere un sistema produttivo basato sulla diossina che (come dice la perizia della procura di Taranto) provoca 'malattia e morte', avrebbe dovuto indicare prima una strada per la conversione industriale del Polo siderurgico seguendo l'esempio di altre realta': Pittsburgh, Bilbao, Valencia hanno cambiato il proprio modello di sviluppo e ora rappresentano delle eccellenze per innovazione e qualita' della vita ''.

''A Taranto siamo in presenza di una situazione di emergenza ambientale e sanitaria gravissima che solo la magistratura ha avuto il coraggio di affrontare. I giudici di Taranto hanno fatto il proprio dovere mentre la politica e le istituzioni facevano finta di non vedere quello di cui tutti erano a conoscenza: ossia che a Taranto ci si ammala e si muore a causa dell'inquinamento e di un modello industriale alla diossina'', conclude Bonelli.

Ilva: parte il sequestro. E Napolitano risponde agli operai

da televideo_rai:
Con l'arrivo dei custodi nominati dal gip, sono di fatto cominciate le procedure per eseguire il sequestro di 6 impianti dell'area a caldo dell' Ilva disposto dalla magistratura giovedì scorso. I tecnici sono incaricati dal gip di "avviare le procedure tecniche per il blocco delle specifiche lavorazioni e per lo spegnimento".

I custodi sono giunti all'interno del siderurgico attorno a mezzogiorno e hanno incontrato la dirigenza dell'Ilva, per stabilire le procedure di chiusura degli impianti, che richiederanno tempi lunghi. I custodi giudiziari sono stati incaricati di sovrintendere alle procedure, osservando "le prescrizioni a tutela della sicurezza e dell'incolumità pubblica e a tutela dell'integrità degli impianti".

I custodi che dovranno sovrintendere alle operazioni di spegnimento degli impianti sono tre ingegneri. Si tratta di Barbara Valenzano, dirigente del servizio tecnologie della Sicurezza e Gestione dell'emergenza presso la direzione Scientifica dell'Arpa Puglia, nonché componente del Comitato tecnico regionale prevenzione incendi, che sarà coadiuvata da Emanuela Laterza, funzionario presso lo stesso servizio e da Claudio Lofrumento, funzionario presso il servizio impiantistico e rischio industriale del Dipartimento provinciale ambientale di Bari. Per gli aspetti amministrativi riguardanti la gestione degli impianti e il personale è stato nominato dal gip Patrizia Todisco il presidente dell'Ordine dei dottori commercialisti di Taranto, Mario Tagarelli, che potrà essere coadiuvato da altri collaboratori

SINDACATI PREOCCUPATI, NON ESCLUSE INIZIATIVE SUBITO"Siamo fortemente preoccupati per quello che sta accadendo nell'Ilva in queste ore. Il fatto che i tecnici del gip insieme ai Carabinieri del Noe stiano andando sugli impianti del siderurgico per predisporre e attuare il sequestro crea oggettivamente un clima di tensione tra i lavoratori. Si sta creando una situazione che non sappiamo come e dove potrebbe sfociare, ma ci e' stato anche detto chiaramente che esiste un'ordinanza del gip che dispone certe cose e che questa ordinanza va applicata". Lo affermano fonti sindacali. Fim, Fiom e Uilm hanno intanto rinviato la conferenza stampa fissata per oggi alle 17 nella quale avrebbero dovuto illustrare le iniziative per il 2 agosto.

COMUNE TARANTO, ODG SU DIRITTO A LAVORO E SALUTE Dopo quattro ore di dibattito e qualche battibecco tra il sindaco Ippazio Stefano e gli ambientalisti, il Consiglio comunale di Taranto ha approvato un ordine del giorno riguardante la ''preoccupante situazione ambientale e produttivo-occupazionale verificatasi in seguito alle vicende dell'Ilva''. Nel documento si impegna il sindaco a compiere tutti gli atti necessari, tra cui l'attivazione di una ''cabina di regia per Taranto'', per il governo del territorio e quindi dell'ambiente in una visione equilibrata che coniughi il diritto al lavoro con quello alla salute entrambi costituzionalmente garantiti. Nel documento, che e' stato approvato con 23 voti a favore, due astenuti e tre contrari (gli ambientalisti chiedevano un documento piu' incisivo) si esprime solidarieta' umana e istituzionale ai lavoratori dell'Ilva e alle famiglie delle vittime dell'inquinamento ambientale. Si impegna inoltre il sindaco a ''vigilare sul pieno e puntuale rispetto degli accordi e degli impegni pubblici oltre a quello della parte privata informando costantemente il Consiglio comunale affinche' possa seguire gli sviluppi della questione Ilva''.

Da La Repubblica.it

Ilva: salta l'incontro azienda-procura
via alle procedure di sequestro, sale la tensione

I lavoratori in Comune per un odg sulla vicenda del siderurgico. Rinviato il faccia a faccia tra Ferrante e gli inquirenti: i custodi nominati dal gip al lavoro in fabbrica per dare seguito al provvedimento della magistratura. Preoccupazione tra gli operai, i sindacati: "Possibili mobilitazioni immediate"

   

Napolitano risponde agli operai

AGI) - Roma, 30 lug. - Deve essere "possibile - nel pieno rispetto dell'autonomia della magistratura e delle sue valutazioni ai fini dell'applicazione della legge - giungere a soluzioni che garantiscano la continuita' e lo sviluppo dell'attivita' in un settore di strategica importanza nazionale, fonte rilevantissima di occupazione in particolare per Taranto e la Puglia, e insieme procedere senza ulteriore indugio agli interventi spettanti all'impresa e alle iniziative del governo nazionale e degli enti locali che risultino indispensabili per un pieno adeguamento alle direttive europee e alle norme per la protezione dell'ambiente e la tutela della salute dei cittadini". Lo scrive Giorgio Napolitano in risposta ad una lettera ricevuta dai lavoratori dell'Ilva di Taranto.
  "Auspico - scrive il Capo dello Stato - che in tale direzione si operi rapidamente ed efficacemente, favorendo un clima di serena comprensione e di responsabile partecipazione sociale e civile a Taranto e in tutti i centri interessati alla scottante questione". Il presidente della Repubblica aggiunge: "Sono debitore di una risposta al drammatico appello che mi avete rivolto: anche perche' nel lontano 1959-60, da giovane deputato ed esponente politico meridionale, fui convinto sostenitore della necessita' - per la rinascita e lo sviluppo del Mezzogiorno - della costruzione di un impianto siderurgico a ciclo integrale nella citta' di Taranto. Nacque allora - osserva la prima carica dello Stato - una grande realizzazione, una straordinaria esperienza di produzione e di lavoro, che non puo' cancellarsi, per quanto sia passata attraverso scelte discutibili e abbia conosciuto complessi problemi".

Cari sindacati, ci spiegate che volete?

Ecco il comunicato sindacale unitario per la prossima manifestazione indetta dai sindacati a Taranto sulla questione Ilva:

 COMUNICATO SINDACALE SU ILVA

Venerdì 27 luglio alle ore 14 si è svolto un incontro tra le OO.SS.FIM-FIOM-UILM nazionali e territoriali, CGIL-CISL-UIL e la Direzione dell’ILVA nel corso del quale il Presidente dell’Ilva dottor Ferrante ha dichiarato che: E’ stata fissata per il 3 agosto, sulla base del ricorso da loro presentato la convocazione del Tribunale del Riesame sull’insieme dei provvedimenti, ed è intenzione dell’azienda confrontarsi direttamente, da subito, con la Procura.
Ad oggi nessuna esecutività è stata data all’ordinanza di sequestro.
E’ volontà dell’Impresa proseguire tutte le attività produttive coniugando la tutela del lavoro, della salute e della sicurezza, dell’ambiente interno ed esterno e a tal fine rafforzare il dialogo ed il confronto negoziale con il Sindacato, le Istituzioni ed il Governo
Consideriamo importanti le comunicazioni dell’azienda a partire da quella sulla convocazione del Tribunale del Riesame per il 3 agosto che siamo fiduciosi possa garantire l’operatività degli impianti. Consideriamo questi primi e parziali risultati frutto delle iniziative di lotta dei lavoratori dell’Ilva che continuano nella giornata odierna con lo sciopero del terzo turno.
Riteniamo necessario continuare la mobilitazione affinchè sia possibile realizzare un percorso sindacalmente condiviso che impegni Azienda e Istituzioni a realizzare gli investimenti necessari a coniugare le attività produttive con la tutela della salute e dell’ambiente interno ed esterno.
In tale ambito FIM-FIOM-UILM proclamano per il 2 agosto una giornata di lotta con manifestazione ed Assemblea Pubblica nella città di Taranto.

TARANTO 27 LUGLIO 2012
LE SEGRETERIE NAZIONALI E TERITORIALI FIM-FIOM-UILM CGIL-CISL-UIL TARANTO

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Leggendo un simile prodigio di equilibrismo ci chiediamo e giriamo la nostra domanda ai sindacati:
1. vorremmo sapere su quali prove si afferma che è volontà dell'ilva di coniugare lavoro salute e sicurezza...
2. perchè si sciopera esattamente?
3. quali sono questi risultati che si sono ottenuti fin'ora?
4. dal tribunale del riesame tando plaudito cosa vogliono esattamente i sindacati, oltre al dissequestro?
5. non sarebbe stato meglio in questo clima di generale disordine sociale, programmare una manifestazione unitaria di tutta la cittadinanza insieme agli operai?


In attesa di riscontro... distinti saluti!

domenica 29 luglio 2012

La Tarantomigliore

Ho conosciuto la rabbia di una donna, dal corpo esile e dalle spalle forti.
L'ILVA i suoi polmoni l'hanno respirata ogni giorno.
L'ILVA  i suoi occhi, ogni giorno, dal piano più alto della palazzina in cui abitava, alle Case bianche di Paolo VI, l'hanno osservata inquinare Taranto, il suo mare, la sua aria, la sua terra, la sua gente.
E quegli stessi occhi hanno visto e conosciuto la sofferenza nel corpo e nella mente di sua figlia, che in giovane età si è ammalata di tumore, e di inquinamento e si è spenta, lentamente.
Nessuno sa che questa sua figlia prima di morire ha lottato recandosi fino a Roma per chiedere l'accelleratore lineare. Era il 4 maggio 1999 e davanti al Presidente del Senato Nicola Mancino, al Presidente della Camera Nicola Violante, tenne un discorso, straziante.
Se a Taranto c'è la radioterapia è grazie a Lei.

Ho conosciuto la disperazione e la dignità di uomo, un ex operaio prima dell'Italsider e poi dell'Ilva. Bei ricordi quelli "quando c'era l'Italsider". All'Ilva: "meglio dimenticare". Dimenticare l'umiliazione e il mobbing, gli infortuni e la malattia. Oggi, quei ricordi sono ferite aperte che non si possono rimarginare. Le ferite rimangono ed il dolore per esse le trasforma in sano attivismo a servizio della città, per la ricerca e la denuncia della verità. Un pensionato dell'Ilva, sui generis.

Ho conosciuto i volti e le voci di giovani operai Ilva - i pochi che hanno avuto il coraggio di denunciare le malefatte di un'azienda irresponsabile; hanno avuto la forza di alzare la testa e distinguersi dagli "altri lavoratori"che "ben" ammaestrati  hanno tenuto occupata una città. Non sono automi telecomandati, sono la vera classe operaia che questa città ha il dovere di  difendere.

Ho conosciuto la caparbietà di uomini e donne, instancabili. Mettere ogni giorno la loro intelligenza, tempo, e risorse, al servizio del bene comune, contrapporsi alla massa silente e succube, sfidare i potenti e gradassi inquinatori che a Taranto hanno più nomi e cognomi.

Ho conosciuto mio figlio. Da sette mesi, ho provato a proteggerlo, prendermi cura di lui in questa città inquinata, a due passi dall'Ilva. Leggo ogni giorno nei suoi occhi la gioia di vivere. Vorrei scorgerla negli occhi di tutti i bambini. Ma, soprattutto a Taranto, negli occhi di quei bambini che non possono sorridere. C'è chi è costretto a convivere con le malattie provocate dall'inquinamento, a vivere la loro tenera età nei reparti di ospedale, c'è chi è costretto a giocare dentro casa, perchè fuori c'è il mostro che ha inquinato parchi e aiuole. Là è vietato esplorare, socializzare. 

Ho conosciuto l'impotenza davanti al fatto compiuto: vedere distrutto il lavoro di una vita. Pecore abbattute, mitili distrutti per contaminazione da diossina. E dopo l'impotenza, ho conosciuto l'ottimismo e la voglia di rialzarsi, ripartire, andare avanti e lottare.

Ho conosciuto tutte queste belle realtà, in una sola parola la Tarantomigliore.

La voce degli allevatori tarantini




Costretti da anni a convivere con l'annientamento delle nostre attività lavorative, vogliamo esprimere la nostra piena solidarietà , innanzitutto, a chi oggi si trova nella necessità di difendere il proprio posto di lavoro. Noi da anni, subiamo la sorte che gli operai ILVA temono oggi di dover affrontare, siamo disoccupati. Noi come gli operai paghiamo per colpe non nostre. Comprendiamo, quindi, la rabbia, la disperazione, la smisurata voglia di cercare il colpevole. Purché sia il vero colpevole! Questo, per non dimenticare che, se la magistratura si è ritrovata a dover prendere delle decisioni così gravose, evidentemente , proprio non ha potuto evitarlo. Evidentemente quanto riportato nelle perizie, ha prospettato uno scenario tale da non lasciare alternative ai giudici. Nelle perizie, peraltro mai contestate sui dati in sede di incidente probatorio dagli stessi esperti nominati dall’ILVA, si parla di danni ai bambini, distruzione del territorio, contaminazione di derrate alimentari destinate al consumo, esito di politiche aziendali perpetrate negli anni, e non solo in passato, frutto di un inquinamento attuale come risulta dalle perizie stesse. Abbiamo, tra l'altro, sentito esimii esponenti delle istituzioni esortare la politica, senz’altro finora assente, ad intervenire per risolvere ogni questione in modo da " far riposare gli avvocati ". Ci sembra un modo di tacitare la giustizia. Ma se noi vittime dell’inquinamento nell'ultimo, recentissimo concordato sottoscritto, non siamo neanche nominati, ci chiediamo chi mai se non gli organi della giustizia possono tutelarci per il danno subito, e per quello che ancora può verificarsi? E le vittime sono tutti i cittadini di Taranto, perché è dell’aria di Taranto che parliamo.
E allora, se è vero che il lavoro è un diritto sacrosanto, e come tale va difeso e tutelato, è pur vero che se la moneta di scambio diventa la salute nostra e, soprattutto, dei nostri figli, bisogna necessariamente correggere il tiro. Non possono chiederci ancora il sacrificio della vita contro la miseria, ma ci devono consentire una vita dignitosa, che è fatta di salute e di lavoro. Bisogna cercare alternative, andare oltre quei cancelli dietro cui una intera classe politica, si è trincerata per decenni sentendosi al riparo dallo spauracchio della fame e impedendo lo sviluppo di ogni altra attività. Attività che ci avrebbe consentito di salvarci molto prima, scongiurando probabilmente i tragici accadimenti di oggi che ben conosciamo. La nostra è una terra ricca di potenzialità. Violentata per anni ma ancora certamente recuperabile. Se solo noi tarantini prendessimo realmente coscienza di questo e, sorvegliando molto da vicino i nostri rappresentanti, li spingessimo a decidere nell'interesse nostro, scopriremmo quanto ancora si potrebbe fare. Si possono migliorare le attività esistenti e si possono creare nuove attività. E’ possibile conservare i posti di lavoro, ed è possibile vivere in un ambiente sano. Si tratta di speranze, ma poiché tutti hanno il diritto di pensare a un futuro migliore, auspichiamo che innanzitutto si rispettino le inevitabili decisioni prese senz'altro a fatica ma con coscienza e che chi di dovere, in clima di vera concertazione crei le basi per ripartire e consentire finalmente a noi e all'intera città di rinascere.
Famiglia Fornaro

Medicina Democratica su Ilva di Taranto

LAVORO E SALUTE SONO INSCINDIBILI ANCHE ALL’ILVA DI TARANTO

Di fronte alla gravissima situazione verificatasi all’ILVA di Taranto Medicina Democratica ritiene di dover prendere una posizione chiara e netta di appoggio alla decisione del GIP Patrizia Todisco di procedere al sequestro preventivo degli impianti in alcuni reparti della produzione “a caldo” altamente inquinanti per l’ambiente esterno.
E’ il risultato questo di anni della volontà di profitto da parte delle direzioni aziendali che supera qualsiasi interesse per la salute e la vita dei lavoratori e dei cittadini. I dati sono impressionanti: i morti e i malati si contano a migliaia.
Senza un’imposizione pubblica sia delle amministrazioni statali e regionali, siamo certi che l’azienda non si muove, soprattutto nel momento in cui il ricatto occupazione è fortissimo.
Medicina Democratica  ritiene CHE  SALUTE DEI LAVORATORI E DEI CITTADINI INQUINATI VENGA AL PRIMO POSTO, rispetto alle esigenze produttive e di profitto. Nessun lavoratore deve essere costretto a lavorare sotto ricatto occupazionale in luoghi di lavoro altamente inquinanti. Nello stesso tempo nessun cittadino deve ammalarsi per l’inquinamento prodotto dalla fabbrica.

Le bonifiche dei reparti inquinanti dell’ILVA si devono fare e con i soldi aziendali; chi ha fatto enormi profitti deve ora rimediare, anche in relazione a quanto stabiliscono le direttive comunitarie (chi inquina paga): i soldi di stato e regione dovranno servire solo in via emergenziale, sui territori circostanti la fabbrica e con richiesta di rivalsa nei confronti di chi ha provocato il disastro ambientale doloso.
Medicina Democratica ritiene che debba essere salvaguardata l’occupazione e che  i lavoratori stessi debbano essere  impiegati, IN CONDIZIONI DI SICUREZZA, nelle operazioni di bonifica una volta avvenuto il dissequestro . Non è possibile fare solo piccoli aggiustamenti di facciata, come alcune parole del Ministro Clini lasciano presagire, magari alzando a livello normativo i valori limite delle sostanze.
Medicina Democratica ritiene che le indagini epidemiologiche e ambientali che sono state fatte e che particolarmente hanno prodotto l’intervento della Magistratura sono più che sufficienti per iniziare il grande lavoro di bonifica che deve vedere impiegati per primi i lavoratori dello stabilimento e non meno le associazioni di cittadini che hanno lottato contro l’inquinamento di Taranto.

MEDICINA DEMOCRATICA infine ritiene che la situazione tarantina è spia di una situazione di fondo che mette spesso i lavoratori contro i cittadini ( e in qualche caso le due situazioni coincidono, perché è proprio il lavoratore ad abitare nelle zone più inquinate).
Ecco perché in prospettiva Medicina Democratica ritiene che si debba andare a una riconversione ecologica dell’economia attraverso un progressivo processo di fuoriuscita da tutti i CICLI LAVORATIVI GRAVEMENTE INQUINANTI. L’alternativa è data dall’investimento  in altri settori: agricoltura biologica valorizzando le risorse  locali (KM0), le piccole/grandi opere per  difendere il territorio (rischio alluvioni, sismico etc), difesa dell’industria manifatturiera di qualità, le energie alternative, a partire dal fotovoltaico.
Medicina Democratica ritiene  che tale programma deve essere portato avanti con tutte le forme possibili, anche di autogestione dal basso, pretendendo   anche l’impegno del Governo che si deve occupare dell’improcrastinabile programma proposto, invece di sostenere  gli interessi della speculazione finanziaria e di salvaguardare comunque rendite e patrimoni.

Il direttivo nazionale di MEDICINA DEMOCRATICA

ALTAMAREA E' FIERA DEI MAGISTRATI E DEI LAVORATORI DI TARANTO

Comunicato Stampa di Altamarea

Per la parte che ci compete, rispondiamo subito all’invito rivolto ai tarantini dal dr. Giuseppe Vignola, Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Lecce. Altamarea è fiera dei magistrati tarantini, e segnatamente della silenziosa ed operosa dr.ssa Patrizia Todisco, che stanno facendo il proprio lavoro di servitori della Giustizia nell’interesse della comunità tarantina. E’ fiera dei lavoratori dell’acciaieria, dei mitilicoltori, degli allevatori e di tutti quelli che lottano per il loro presente e il loro futuro. E’ fiera di questi lavoratori che scendono per le strade per difendere il loro diritto al lavoro ma allo stesso tempo per il diritto alla salute e a vivere in un ambiente più pulito
Il lavoro fin qui svolto dalla Magistratura segnerà veramente la svolta epocale per Taranto solo se cittadini, lavoratori dipendenti, lavoratori autonomi, pensionati, disoccupati, studenti, professionisti, artigiani, imprenditori, operatori e volontari della sanità, malati, parenti dei morti, mitilicoltori, allevatori, agricoltori e commercianti si sentiranno “parte di una stessa comunità che mette al primo posto l’interesse comune”. Tutti insieme, così, faranno proprio il concetto espresso all’Ilva e alle Istituzioni da alcuni giovani lavoratori e da alcuni giovani cittadini: “Da oggi in questa città non si decide più nulla senza il nostro consenso”. E il consenso alle decisioni si forma attraverso la conoscenza della "verità", l’esame in itinere degli atti e la partecipazione attiva.
La Magistratura completerà la “verità giuridica” scandita dai propri tempi, ma l’ “emergenza Taranto” non può aspettare ancora e necessita di decisioni strategiche e di azioni immediatamente operative. La “comunità ionica”, finalmente coesa e consapevole, presa coscienza della attuale  “verità giuridica” perfettamente corrispondente all’intimo comune sentire, pretende di conoscere subito, e riconoscere, la “verità economica” e la “verità sociale” entrambe indispensabili per trovare decisioni mediate ed appropriate. Al momento, invece, si è in presenza di un incredibile guazzabuglio di bugie, mezze verità, omissioni, mistificazioni e inganni che vanno spazzati via.
Per sopravvivere oggi e progettare e realizzare il futuro di questa città serve conoscere la "verità" ed avere coraggio, responsabilità e lungimiranza.

Taranto 29 luglio 2012                         
Il Consiglio direttivo di Altamarea

Agrusta Domenico (Impatto zero), Bongiovanni Pino (Italia Nostra), D’Andria Paola (AIL), Marescotti Alessandro (Peacelink), Pollazon Vittorio (MondoMare), Ragusa Antonia C. (Vigiliamo per la discarica), Tarquinio Massimo (Cittadinanzattiva), Valente Lucia (Tribunale dei malati) e Boccuni Luigi, Briganti Cosimo, Carbotti Giovanni, Carone Simona, Cesaria Serena, Corvace Leo, De Marzo Biagio, Fiume Pierpaolo, Gallo Pasquale, Gira Alessia, Girardi Giancarlo, Grossi Giuliana, Lazzaro Michele, Lincesso Francesco, Matichecchia Giovanni, Missiani Roberto, Mottolese Pietro, Nachira Cesare, Pastore Maria Concetta, Raffaelli Giacomo, Saracino Massimiliano.

 

Su Ilva, Taranto racconta un'altra storia di Daniela Patrucco

dal blog
di Daniela Patrucco
Ilva: salute o lavoro? Taranto racconta un'altra storia. 
Quella di Taranto, in onda in questi giorni, è una storia enorme: di diritti violati, di malattia e di morte, di connivenze tra potere politico e potere economico, dell’ennesima richiesta di scegliere tra lavoro e salute. Pur nella sua enormità è anche una storia come molte altre in Italia, in cui i cittadini scontano l’ignavia dei politici e delle istituzioni e la determinazione di certe aziende a compiere crimini. Finchè non interviene la giustizia.
La scorsa settimana il gip Patrizia Todisco ha firmato il provvedimento di sequestro (senza facoltà d'uso) degli impianti dell'area a caldo dell'Ilva di Taranto e disposto misure cautelari per alcuni indagati nell'inchiesta per disastro ambientale. Nel provvedimento, che vale la pena leggere, è scritto che «chi gestiva e gestisce l'Ilva ha continuato in tale attività inquinante con coscienza e volontà per la logica del profitto, calpestando le più elementari regole di sicurezza». Ora quello che ci propinano i media è lo spettacolo degli operai che difendono il posto di lavoro ad ogni costo, bloccando la città. E le dichiarazioni delle donne del quartiere Tamburi, il più toccato dall’inquinamento dell’Ilva e con il più alto tasso di disoccupazione della città: “Se non moriamo di lavoro, moriamo di fame”. Taranto non è solo questo. Taranto è soprattutto altro.
Rossella Balestra è la coordinatrice del Comitato Donne per Taranto e sgombera subito il campo da equivoci, perchè “se la magistratura ha attestato che quell’industria provoca malattie e morte, quell’industria deve chiudere. Sarà il governo a valutare le migliori soluzioni per ricollocare gli operai dell’area a caldo e per eseguire le bonifiche. Ma questo è un secondo problema, il primo problema è che l’area a caldo va chiusa immediatamente. Questo è l’obiettivo del nostro comitato da sempre. “
In un collegamento con Linea Notte del TG3, anche gli operai dell’Ilva hanno fatto chiarezza sullo sciopero dichiarando di essere stati manipolati dai sindacati, che avrebbero fatto credere loro che con i sigilli non potevano più lavorare. Mentre gli operai bloccavano la città, la produzione dell’Ilva continuava a ritmi addirittura superiore a quelli normali (di solito in caso di sciopero è garantita la sola manutenzione in attività degli impianti). Gli operai hanno sostenuto con chiarezza di non essere disposti a difendere il loro posto di lavoro ad ogni costo. All’insidiosa questione posta da Sallusti durante la trasmissione e ribadita (speriamo ingenuamente) dalla conduttrice: “volete che l’azienda chiuda, come chiede la magistratura, o volete che continui ad operare?” gli operai hanno risposto con estrema determinazione “non siamo noi che dobbiamo indicare la soluzione, noi rivendichiamo il nostro diritto a lavorare in sicurezza, in un ambiente sano per noi e per le nostre famiglie”. Vale la pena di ascoltarli quando rifiutano di farsi tagliare a metà, mezzo cittadini, mezzo operai. "Se non è giusto che 11000 operai perdano il lavoro, aggiungono, è allora giusto che 386 persone l’anno muoiano a Taranto a causa dell’Ilva? Come stabilito dalla perizia della Procura?"
Già, la perizia della Procura. “Sono anni che si parla di questa storia, non abbiamo scoperto niente di nuovo, noi queste cose le denunciamo da anni tutti i giorni. Finalmente hanno un valore più forte, riconosciuto a livello nazionale. Le stesse analisi sul latte materno (2010) non erano neppure state prese in considerazione". Rossella Balestra spiega che l’obiettivo primo del Comitato Donne per Taranto non è stato mai l’ambiente, “ci siamo messe insieme come donne per tutelare la salute, soprattutto quella dei nostri figli. I bambini sono i più esposti, insieme agli operai, soprattutto quelli che vivono a ridosso dell’area industriale. Noi non possiamo accettare una cosa del genere, nulla può essere messo in primo piano rispetto alla salute. La salute dei bambini va tutelata anche a scapito e a costo del lavoro…"
Ora però c’è questa richiesta di riesame da parte del Ministro Clini. “Un’ordinanza così forte (quella della Todisco) che difficilmente il Tribunale del riesame non prenderà in considerazione. Noi auspichiamo che il sigillo all’area calda permanga.” Il Comitato si chiede anche come mai tanto interesse per l’Ilva e per Taranto da parte del governo quando “qualche anno fa a Taranto sono rimaste in cassa integrazione 5000 operai per la chiusura della Belleli e nessuno si è preoccupato per loro. Nel 2008 sono stati abbattuti 2000 capi di bestiame, sono rimasti senza lavoro in due anni migliaia di allevatori, mitilicultori, operatori turistici, agricoltori. L’Ilva è un caso di Stato, al governo non interessa nulla degli operai né della città di Taranto, al governo interessa il Pil, in particolare in questo momento di crisi. Legate all’Ilva ci sono la Fiat, le industrie di Cornigliano, le industrie e l’indotto del Nord. Ci si preoccupa delle ripercussioni al livello nazionale, certo non per gli operai di Taranto.”
Video e documenti sono disponibili quihttp://comitatopertaranto.blogspot.it ">
Sull'Ilva ho scritto anche qui e sulla razionalità delle imprese nel compiere crimini, qui. Articoli linkiesta qui
 

sabato 28 luglio 2012

Avvenne ieri sera

Un confronto emblematico?

Bruno Ferrante: ecco il nuovo fantoccio pulito da dare in pasto all'opinione pubblica... Prove tecniche di mediazione retorica.
  Da un lato la dirigenza Ilva, e dall'altro un gruppo di operai, la parte buona e sana di Taranto, che denuncia e con coraggio grida la verità.

venerdì 27 luglio 2012

E' vero o no?

Scagli la prima pietra chi pensa sinceramente che le parole dell'ordinanza della Todisco (estratte qui sotto) siano false!!
Sugli scioperi, invece, approfittiamo della nostra piccola bacheca pubblica per dire che il fronte operaio e sindacale non è assolutamente unito contro l'ordinanza.  Prevalgono però gli aizzatori di folle di lavoratori terrorizzati dal balletto di cifre (5000-15000-20000-30000 e più), sparate ad occhio da politici e faccendieri, rimbalzate da giornalisti sensazionalisti e acritici!
Senza contare che a detta di molti sembrerebbe che i movimenti dei lavoratori siano FORTEMENTE incentivati dalla direzione dello stabilimento che vuole fare il pugno duro per non aprire il portafogli.


L'Ilva di Taranto nel 2011 ha fatturato 9 miliardi e mezzo di euro. Emilio Riva ( famiglia) possiede 39 stabilimenti siderurgici in tutto il mondo, ed è infine il maggiore azionista dell'Alitalia (altra impresa fallimentare e mantenuta dallo Stato). Ora è agli arresti domiciliari con l'accusa di strage e disastro ambientale.

E intanto Clini sventola 336 milioni di euro fantasma non suoi con cui manco lui sa che farci mentre, insieme al suo compagno di merende Passera, attacca gli esiti del più importante processo del XXI secolo europeo chiedendone l'immediato riesame, senza che nessuna delle condizioni che hanno fino ad oggi causato il disastro sanitario di Taranto sia stata messa in discussione! Dovrebbe invece mettersi una mano sulla coscienza e vergognarsi per questa miserabile elemosina posticcia visto che l'Italia ha stanziato più di 4 miliardi di euro per Porto Marghera!!!
Di questo noi cittadini, operai e chiunque viva la propria vita con rispetto e dignità dobbiamo indignarci! Per questo dovremmo scendere uniti in piazza! Basta prenderci per il c...!

Ma purtroppo, viviamo nella città che riesce a far rivoltare sia Machiavelli che Marx nella tomba. Dove la popolazione di uno dei paesi più avanzati di ogni epoca per civiltà, economia e cultura, si comporta come le masse analfabete che nel Medioevo linciavano gli eretici senza sapere che era la Chiesa a farli vivere nella miseria.
Dove gli scioperi sono organizzati e pagati dai proprietari delle ferriere, con i sindacati che ringhiano tenuti ben saldi dal guinzaglio del padrone.
Dove l'informazione si compra con pochi euro e qualche abbonamento allo stadio.
Oggi queste masse di consumatori di benzina e diossina che si chiamano tarantini possono cambiare la loro storia.

Vogliamo crederci, vogliamo sperare fino alla fine che dietro l'esempio di una piccola donna che ha rinunciato alla sua libertà e al suo benessere per dire tutta la verità anche il grande mondo operaio trovi la forza di reagire!


Ilva, il gip: «Sequestro a tutela della vita umana»
Taranto, «per anni inquinamento dettato da una logica di profitto».

L'ordinanza di sequestro dello stabilimento Ilva di Taranto è arrivata il 16 luglio dopo mesi di attesa: l'inchiesta sui danni ambientali causati alla zona dalla fabbrica ha causato molte polemiche e anche la paura per i dipendenti del sito di perdere il lavoro. In 8 mila, non appena hanno saputo dei sigilli, hanno avviato una manifestazione di protesta.

«INQUINAMENTO DETTATO DAL PROFITTO». Il gip Patrizia Todisco, nel testo dell'ordinanza, ha scritto che la situazione dell'Ilva «impone l'immediata adozione, a doverosa tutela di beni di rango costituzionale che non ammettono contemperamenti, compromessi o compressioni di sorta quali la salute e la vita umana, del sequestro preventivo». Todisco ha puntato direttamente il dito sui vertici dell'Ilva, di cui otto finiti agli arresti domiciliari: «Chi gestiva e gestisce l'Ilva ha continuato in tale attività inquinante con coscienza e volontà per la logica del profitto, calpestando le più elementari regole di sicurezza».

GRAVISSIMI DANNI AD AMBIENTE E PERSONE. I livelli di inquinamento, ha sottolineato, sono ancora oltre i limiti proprio a causa delle «emissioni nocive che hanno impatti devastanti» sulla popolazione e sull'ambiente, come ha potuto rilevare l'Arpa. «La gestione del siderurgico di Taranto è sempre stata caratterizzata da una totale noncuranza dei gravissimi danni che il suo ciclo di lavorazione e produzione provoca all'ambiente e alla salute delle persone» ha scritto il gip. Sono state individuate anche tre figure tecniche (due funzionari dell'Arpa Puglia e uno del Dipartimento di prevenzione dell'Asl di Bari) che devono sovrintendere alle operazioni e garantire il rispetto delle norme di sicurezza. Della gestione delle fasi che riguardano il personale è invece stato incaricato un commercialista e revisore contabile. «L'inquinamento ha provocato malattia e morte» «L'imponente dispersione di sostanze nocive nell'ambiente urbanizzato e non» ha aggiunto il gip, «ha cagionato e continua a cagionare non solo un grave pericolo per la salute, ma addirittura un gravissimo danno per le stesse, danno che si è concretizzato in eventi di malattia e di morte». Secondo Todisco, le conclusioni della perizia medica sono sin troppo chiare.

«È STATO UN DISASTRO AMBIENTALE». «Non solo, anche le concentrazioni di diossina rinvenute nei terreni e negli animali abbattuti costituiscono un grave pericolo per la salute pubblica ove si consideri che tutti gli animali abbattuti erano destinati all'alimentazione umana su scala commerciale e non, ovvero alla produzione di formaggi e latte». Il problema che ha causato l'Ilva sul territorio di Tarnato è stato così un vero e proprio «disastro ambientale inteso chiaramente come evento di danno e di pericolo per la pubblica incolumità e idoneo a investire un numero indeterminato di persone». «Non vi sono dubbi sul fatto», ha concluso, «che le sostanze inquinanti erano sia chiaramente cancerogene, ma anche comportanti gravissimi danni cardiovascolari e respiratori. Gli effetti degli Ipa e delle diossine sull'uomo non potevano dirsi sconosciuti» (Lettera43)


Il gip: "Ilva mossa da logica del profitto sequestro per tutelare la vita umana"
Danni gravissimi alla salute provocati dallo stabilimento.
I passaggi più significativi dell'ordinanza con cui sono stati disposti i sigilli a parte degli impianti

Il gip: "Ilva mossa da logica del profitto sequestro per tutelare la vita umana" Patrizia Todisco "Chi gestiva e gestisce l'Ilva ha continuato nell'attività inquinante con coscienza e volontà per la logica del profitto, calpestando le più elementari regole di sicurezza". Sono pesantissime le conclusioni a cui è giunto il gip di Taranto Patrizia Todisco che oggi ha disposto il sequestro di sei reparti a caldo del siderurgico tarantino e ha ordinato l'arresto per otto persone, coloro che per anni hanno gestito lo stabilimento dell'Ilva.

Secondo il giudice la gestione del siderurgico più grande d'Europa è "sempre caratterizzata da una totale noncuranza dei gravissimi danni provocati", ha un impatto "devastante" sull'ambiente e sui cittadini e ha prodotto un inquinamento che "ancora oggi" provoca disastri nelle aree più vicine allo stabilimento. Nelle circa 600 pagine che compongono i due provvedimenti cautelari (di sequestro dello stabilimento e di arresto) il gip fa a pezzi tutti coloro che nei decenni hanno guidato l'impianto siderurgico. E, soprattutto, afferma che lo stop alle acciaierie deve essere immediato "a doverosa tutela di beni di rango costituzionale" come la salute e la vita umana "che non ammettono contemperamenti, compromessi o compressioni di sorta". Gli accertamenti e le risultanze emersi nel corso del procedimento, infatti, hanno "denunciato a chiare lettere l'esistenza, nella zona del tarantino, di una grave e attualissima emergenza ambientale e sanitaria, imputabile alle emissioni inquinanti, convogliate, diffuse e fuggitive, dallo stabilimento Ilva".

E siccome "la salute e la vita umana sono beni primari dell'individuo, la cui salvaguardia va assicurata in tutti i modi possibili", ribadisce il giudice riportando un passaggio della richiesta dei pm, l'impianto va fermato. Anche perchè chi ha diretto lo stabilimento doveva farlo "salvaguardando la salute delle persone", adottando "tutte le misure e utilizzando tutti i mezzi tecnologici che la scienza consente, al fine di fornire un prodotto senza costi a livello umano". Dunque "non si potrà mai parlare di inesigibilità tecnica o economia quando è in gioco la tutela di beni fondamentali di rilevanza costituzionale, quali il diritto alla salute, cui l'art. 41 della Costituzione condiziona la libera attività economica".

Ed invece, dice il giudice, i vertici dell'Ilva hanno fatto tutto il contrario. "L'attuale gruppo dirigente - afferma infatti - si è insediato nel (maggio) 1995, periodo in cui erano assolutamente noti non solo il tipo di emissioni nocive che scaturivano dagli impianti ma anche gli impatti devastanti che tali emissioni avevano sull'ambiente e sulla popolazione". Così come "chiarissimi" erano gli effetti subiti dalle aziende agricole. Ma non solo: "già nel 1997 e poi a seguire fino ad oggi gli accertamenti dell'Arpa evidenziavano i problemi per la salute che determinavano le emissioni del siderurgico". Di fronte a tutto ciò, l'intero gruppo dirigente ha sottoscritto degli "atti d'intesa volti a migliorare le prestazioni ambientali dell'impianto" (il Gip cita il primo del gennaio 2003 seguito da uno del febbraio e uno del dicembre 2004 e l'ultimo dell'ottobre 2006) che vengono definiti come "la più grossolana presa in giro compiuta dai vertici dell'Ilva". Non c'è quindi alcun dubbio che si è di fronte ad un disastro colposo.

"L'imponente dispersione di sostanze nocive nell'ambiente e non...ha cagionato e continua a cagionare non solo un grave pericolo per la salute (pubblica) delle persone esposte a tali sostanze nocive ma, addirittura, un gravissimo danno per le stesse". Danno, conclude il gip che "si è concretizzato in malattie e morte". Morte documentata della popolazione di Taranto - secondo i dati snocciolati dal giudice - dagli "eccessi significativi di mortalità per tutte le cause e per il complesso delle patologie tumorali, per singoli tumori e per importanti patologie non tumorali, quali le malattie del sistema circolatorio, del sistema respiratorio e dell'apparato digerente, prefigurando quindi un quadro di mortalità molto critico". Da 1995 al 2002 è stata inoltre registrata "significativamente in eccesso la mortalità per tutti i tumori in età pediatrica (0-14 anni)". (Repubblica)

I finanziamenti con le banconote del Monopoli

UN PROTOCOLLO CON POCHI SOLDI MA TANTI BLUFF
Ieri il tavolo nella Capitale: nell'accordo sottoscritto tanti progetti che erano già previsti, soprattutto per il porto

Un mare di soldi. Una valanga, o forse no. Man mano che negli scorsi giorni ci si avvicinava alla firma del provvedimento giudiziario da parte del gip Patrizia Todisco, la cifra lievitava. Come spesso capita quando si agisce in emergenza ed in un periodo di profonda crisi economica, però, i numeri celano tante cose. E purtroppo il protocollo d’intesa sottoscritto ieri a Roma dal Governo, dalla Regione e dagli enti locali, non fa eccezione (l’Ilva non l’ha firmato). Quest’ultimo prevede un quadro complessivo di interventi che ammonta a circa 336 milioni così suddivisi: 119 mln di ‘interventi per bonifiche’, 187 mln per ‘interventi portuali’ e 30 mln per ‘interventi per il rilancio e la riqualificazione industriale’. Di essi soli 7,2 mln a carico di un privato. “E’ la partecipazione della grande industria”, diranno i più. Invece no. Quel costo verrà sostenuto dal Tct. “Cosa ci fa la Taranto Container Terminal in un protocollo del quale non è sottoscrittore?”, si chiederà il lettore più attento. Se lo è chiesto anche Taranto Oggi scoprendo che più che parlare di ‘interventi urgenti di bonifica, ambientalizzazione e riqualificazione di Taranto’, sarebbe stato più opportuno definire il protocollo come una rendicontazione dei progetti da anni in itinere per lo sviluppo di Taranto ed una serie di promesse prive di una copertura definita a carico dello Stato. Dal Mar Piccolo ai Tamburi, dai dragaggi al potenziamento delle banchine del molo polisettoriale, sono elencate nelle tabelle di ricognizione degli interventi (che riportiamo in basso) una serie di interventi già annunciati e stanziati precedentemente e compresi nei 336 mln tanto sponsorizzati in queste ore. Nel caso di quelli che interessano il porto era ed è coinvolta la Tct, così come l’Autorità Portuale. Progetti come ‘l’adeguamento della banchina del molo polisettoriale per consentire i dragaggi fina a 16,5 metri, comprensivi di distribuzione elettrica e superamento interferenze’ (51 mln in tutto, 35 dei quali relativi ai fondi FSC della Regione Puglia); la ‘banchina tratto verso radice di 800 m a 14,5, consolidamento banchina, rotaie lato mare 14 m’ (15 mln a carico dell’Autorità Portuale); ‘Riqualificazioe e ammodernamento della banchina e dei piazzali in radice del molo polisettoriale 23,5 ME’ (22 mln a carico dell’Autorità Portuale e 1,5 mln); ‘Ammodernamento vie di corsa lato terra 3,3 ME’ (3 mln a carico dell’Autorithy e 300 mila euro di Tct). Tutti interventi già approvati e frutto di accordi e protocolli sottoscritti nel 2009 e successivi con la stessa Tct. Sempre rimanendo agli interventi portuali come non ricordarsi della nuova diga foranea di protezione del porto annunciata lo scorso mese? Un investimento di 15,4 mln predisposto, escluso un contributo della Tct di 1,4 mln, nel Pon Reti e Mobilità. ‘Spiccano’, poi, gli interventi che nel protocollo i ministeri interessati promettono di prevedere nella prossima delibera Cipe. Ricordiamo semplicemente quanto lungo e incerto sia il percorso di un progetto dalla presentazione all’effettivo stanziamento. Un esempio su tutti: la realizzazione, proprio a Taranto, della Piastra Logistica. Il progetto, che nei prossimi mesi finalmente sarà concreto, è stato ‘rimbalzato’ per anni tra uffici, commissioni ed approfondimenti. E sempre al prossimo Cipe, il protocollo affida lo stanziamento anche dei 21 mln per la ‘bonifica e messa in sicurezza permanente dei sedimi contaminati da Pcb nel Mar Piccolo’. Esatto, la bonifica di quello spicchio di mare che già nel 2006 aveva visto stanziare dal Ministero dell’Ambiente, dalla Regione Puglia e dalla Provincia di Taranto 36 mln. A cosa servono nuove risorse se già sono state spese qualche anno fa? Semplice, perché quei soldi non sono mai arrivati e, dunque, attraverso questo protocollo, vengono riproposte come qualcosa di nuovo con l’aggravante di prevederle con delibera Cipe e, dunque, con tutte le conseguenze temporali di cui sopra. Di nuovo, in realtà, c’è ben poco e anche laddove il Governo predispone risorse dirette ‘fresche’, non indica come verranno reperite da un punto di vista finanziario (nel documento si limitano a scrivere ‘copertura da definirsi a carico dello Stato’). I dubbi, dunque, sono molteplici ed il documento, che dovrebbe risollevare le sorti di Taranto, anche laddove non ‘doppia’ interventi vecchi e/o che già erano in corso di finanziamento, non chiarisce fino infondo la reperibilità e la certezza di una tempistica urgente di gran parte delle risorse pubbliche. C’è poi una dimenticanza, infine, particolarmente grave: nonostante ciò che accadeva a Taranto mentre sottoscrivevano l’accordo, non è stata prevista la predisposizione di una rete sociale per i lavoratori. O forse il Governo non immaginava un possibile sequestro? Stando alle dichiarazioni rilasciate dallo stesso ministro dell’ambiente Corrado Clini, nel tentativo di condizionare la decisione dei magistrati, sarebbe difficile da credere. Non un euro predisposto per far fronte alle difficoltà alle quali tante famiglie di Taranto potrebbero andare incontro. In conclusione è quasi pleonastico evidenziare che l’Ilva non mette un centesimo e come lei anche le altre grandi imprese inquinanti del polo industriale ionico. Ma questo purtroppo non fa più notizia.

Tra i ‘visto’ e ‘considerato’ del protocollo...

Sin qui per quanto concerne i numeri. Ma le prime nove pagine del protocollo d’intesa firmato ieri a Roma, dicono altro. Molto altro. In pratica, la testimonianza chiara e inoppugnabile di come le nostre istituzioni, quelle romane in primis, sapessero da sempre delle criticità del sito di Taranto. Ad esempio, si ricorda ‘’articolo 1 comma 4 della citata Legge 9 dicembre 1998 n. 426, che individuava tra i siti di bonifica di interesse nazionale quello di Taranto, “atteso l’insostenibile livello di inquinamento dell’area e l’elevata compromissione delle diverse matrici ambientali e conseguente pericolo per la salute della collettività”. Insostenibili livello di inquinamento e pericolo per la salute della collettività: eravamo nel 1998. Due anni dopo, viene sempre ricordato nelle premesse del protocollo, arrivava il Decreto del Ministero dell’Ambiente del 10 gennaio 2000 con il quale veniva perimetrato il Sito di Interesse Nazionale di Taranto. Poi, la prima scoperta: ovvero il Decreto Ministeriale del 18 settembre 2001, n. 468: “Programma nazionale di bonifica e ripristino dei siti inquinati che ha assegnato al sito di bonifica di interesse nazionale di Taranto risorse pari a € 20.038.527,67”: e dove sono finiti questi soldi? Come sono stati utilizzati? E da chi? Mistero assoluto. Come i 36 milioni per il Mar Piccolo stanziati nel 2006 spariti nel nulla: e da due anni i mitilicoltori vedono le loro cozze distrutte in discarica perché inquinate oltre i limiti imposti dalla legge. Sono passati sei anni da quei fondi stanziati, ma nulla è stato fatto. E poi ancora. Ma non ci avevano detto in tutti questi anni che gli investimenti operati dalla grande industria avevano migliorato l’impatto sull’ambiente? E allora come mai nel protocollo d’intesa, le istituzioni sono ancora costrette ad affermare che a causa della presenza delle industrie siderurgiche, raffinerie, industrie cementiere, si “rendono necessari interventi di riqualificazione industriale degli impianti e di risanamento ambientale secondo i canoni ed i principi dello sviluppo sostenibile, per il definitivo superamento delle criticità sanitarie e di inquinamento delle matrici ambientali che storicamente hanno interessato il sito”? Gli stessi, poi, sanno che la strada da intraprendere non sarà affatto in discesa: perché “atteso che relativamente al SIN di Taranto si registra una forte connessione e complementarietà tra necessità di sviluppo infrastrutturale, riqualificazione industriale e esigenze di tutela e risanamento ambientale e sanitario”, bisognerà tener conto che “le situazioni di criticità rappresentate in particolare dalla presenza sui fondali portuali di sedimenti inquinati introducono elementi di particolare complessità a fronte delle esigenze di manutenzione ordinaria dei livelli dei fondali e, a maggior ragione, nel caso di sviluppo di nuove iniziative portuali”. Ma le nostre istituzioni, evidentemente, non hanno ben capito cosa sta succedendo in queste ore. O, forse, non hanno avuto il tempo di leggere le 600 pagine del provvedimento del GIP Todisco. O, più semplicemente, non hanno ancora capito che il futuro lo dovranno scrivere con un’altra logica. Per ora, però, insistono cocciutamente sulla solita strada. Si dicono preoccupati “a causa del lungo periodo di crisi internazionale tuttora in corso: il sito di Taranto sta vivendo un periodo di forte criticità che potrebbe rallentare le azioni di risanamento ambientale e aggravare la difficile situazione economico-produttiva dell’area in assenza di azioni”; ma la vera urgenza, non è ambientale o sanitaria: perché “urge realizzare nel sito di Taranto opere infrastrutturali al fine di implementare la rilevanza strategica per l’industria italiana e il rilevante interesse nazionale per le implicazioni occupazionali e i conseguenti riflessi sociali”; nel frattempo, burocrazia e volontà permettendo, “si avvieranno specifiche attività di sperimentazione di tecniche e tecnologie anche di dragaggio e di gestione dei sedimenti”. Ma un’attenuante una gliela vogliamo concedere: tutto questo lo hanno scritto prima di conoscere le parole pesantissime con cui il gip Todisco accusa senz’appello la proprietà dell’Ilva e il non rispetto delle regole, nemmeno dei famosi atti d’intesa firmati proprio da quelle istituzioni che oggi erano a Roma. Da oggi, si spera, tante cose dovranno cambiare.
Gianluca Coviello - Gianmario Leone (Taranto Oggi)

giovedì 26 luglio 2012

Apocalyps sui giornali (e solo là). Non facciamoci gabbare!

Ammesso che la soffiata dell'ANSA sia vera. Dopo anni ed anni che i cittadini, stanchi di seppellire parenti grandi e piccoli e di veder partire figli laureati, denunciano in tutte le lingue e in tutte le sedi che l'Ilva inquina mortalmente. Dopo decenni che i politici, amministratori, sindacati e gruppi di potere sono stati conniventi con il padrone per spremere il territorio in nome del profitto più becero. Dopo mezzo secolo di piatti di lenticchie in cambio di ricchezza del Paese e di pochi imprenditori. Adesso che la magistratura si è trovata nell'obbligo di applicare la legge perchè la corda è stata tirata troppo a lungo, tutti protestano e fanno quadrato attorno a quei padroni che ci hanno considerato fin dall'inizio come utili bestie. Il Comitato per Taranto è con i cittadini e con gli operai. Solo unendoci potremo obbligare quelli che hanno fatto i soldi sulla nostra pelle a lavorare insieme a noi per costruire il nostro nuovo futuro. Non è con la battaglia tra cittadini che si vincerà la guerra per il benessere della città. Il modello del passato, fatto di complicità, corruzione e menefreghismo ha reso troppe persone povere, scontente e dipendenti da pochi potenti sfrontati. Oggi tutti hanno imparato che stare zitti e ubbidire non basta ad assicurarci il benessere. Torniamo a discutere tutti insieme in piazza. Ricominciamo a porci domande, a cercare di rispondere tra noi e a saper chiedere a chi ci rappresenta! Oggi non ha vinto nessuno. Ma questo può essere il "giorno zero" della nuova Taranto. Operai e cittadini: uniamoci!!! 

Ilva, il gip firma ordine di sequestro
Pronti anche arresti, migliaia di operai in strada
Taranto, secondo l'agenzia Ansa la magistratura ha già disposto i sigilli all'acciaieria. Imminenti anche ordini di custodia per alcuni dirigenti. L'indagine è per "disastro ambientale". Settemila i dipendenti pronti a marciare sulla città, dopo lo sciopero di ieri Ilva, il gip firma ordine di sequestro Pronti anche arresti, migliaia di operai in strada

Il gip Patrizia Todisco - secondo quanto apprende l'Ansa - ha firmato il provvedimento di sequestro (senza facoltà d'uso) degli impianti dell'area a caldo dell'Ilva di Taranto e misure cautelari per alcuni indagati nell'inchiesta per disastro ambientale a carico dei vertici Ilva. I provvedimenti non sono stati ancora eseguiti. La notizia arriva da fonti vicine all'inchiesta, anche se non ci sono conferme ufficiali. Intanto, gli operai sono usciti dallo stabilimento e manifestano sulle statali Appia e 106. I sindacati di categoria Fim, Fiom e Uilm stanno preparando la mobilitazione avendo avuto sentore che possa essere ormai imminente la notifica del provvedimento da parte dei carabinieri. Un assembramento di 3-4000 persone si è formato sulla statale 7 Appia, all'altezza della direzione aziendale, pronto a partire in corteo verso il centro della città per manifestare contro il ventilato sequestro degli impianti dato per imminente. Altre 3000 persone, dipendenti del 2° turno, sono attese a breve per dare inizio alla manifestazione.

Un nuovo blitz dopo quello di ieri, chiamato dai lavoratori stessi 'sciopero preventivo'. Il rincorrersi di voci sull'imminente sequestro, la tensione alle stelle, la città blindata: i lavoratori stremati dall'attesa hanno deciso di dare vita a una nuova manifestazione, mentre a Roma il governo, gli enti locali e le parti sociali firmano l'accordo sulle bonifiche e per il risanamento della città jonica. Una manifestazione è in corso anche nella capitale, sotto al ministero dell'Ambiente (per il ministro "lo stabilimento non va chiuso"). Un elicottero dei carabinieri dalla mattina sorvola l'area dello stabilimento e le strade che portano al centro di Taranto sono presidiate dalle forze dell'ordine. I lavoratori sono gli stessi che il 30 marzo invasero la città. Quella volta erano il doppio e sfilarono nel giorno in cui venivano consacrate in incidente probatorio due perizie che accusano Ilva di produrre, oltre all'acciaio, malattia e morte.

"Quella di ieri è stata solo la prima iniziativa - aveva detto Mimmo Panarelli, segretario provinciale della Fim - ma ne seguiranno altre molto più pesanti nei prossimi giorni perché i lavoratori non reggono più questa situazione in cui viene messo in discussione il loro futuro occupazionale". "Rispettiamo i magistrati - dice oggi un lavoratore - ma non capiamo perché intervengono ora che Riva sta spendendo soldi per far sposare ambiente e fabbrica. Noi vogliamo lavorare, perché così difendiamo il futuro dei nostri figli". Il pool di magistrati guidati dal procuratore Franco Sebastio ha messo sotto accusa Emilio e Nicola Riva e tre dirigenti del siderurgico, con una sfilza di contestazioni, tra le quali svetta quella di disastro ambientale. Le accuse trovano conforto in due perizie. Per questo da giorni vivono assediati e camminano seguiti da poliziotti e carabinieri che hanno il compito di proteggerli. "L'azienda ecocompatibile va bene - dice un altro operaio - ma bisogna dare tempo all'azienda. Noi dobbiamo continuare a lavorare, altrimenti dove si va?". "In questa città - gli fa eco un collega - le prospettive sono quasi zero. La chiusura dell'Ilva manderebbe in crisi le nostre famiglie. Sarebbe una decisione traumatica. Ecco perchè stiamo presidiando le portinerie".

MAGISTRATI SOTTO PROTEZIONE I magistrati sono come rinchiusi in un bunker. Non hanno la scorta, ma quella che si chiama sorveglianza speciale, una macchina delle forze di polizia li segue passo dopo passo per paura di qualche esagitato. "Cinque lettere negli ultimi anni, senza mai avere avuto una risposta" ripete il procuratore di Taranto, Franco Sebastio da settimane. L'ultima - alla Regione, alla Prefettura, al ministero eccetera eccetera - diceva così: "Dal contenuto della relazione tecnica depositata si desumono elementi conoscitivi tali da destare particolare allarme. Gli elementi fin qui accertati possono e debbono essere valutati dagli enti diretti destinatari di questa comunicazione, i quali sono titolari di specifici 'poteri-doveri' di intervento in materia di intervento (...) c'è da tutelare il diritto alla salute e quindi alla vita, unico di tali diritti che, oltre ad essere assoluto e valido erga omnes, non tollera alcun contemperamento ".

A ROMA SI FIRMA LA FIRMA DEL 'PATT PER TARANTO' Il presidente della Regione Nichi Vendola è a Roma per la riunione convocata dal ministro dell’Ambiente Corrado Clini. Governatore e rappresentante del governo insieme con il sindaco e il presidente dell’amministrazione provinciale del capoluogo ionico, Ippazio Stefàno e Gianni Florido, sottoscriveranno il protocollo d’intesa per dare il via a "interventi urgenti di bonifica, riqualificazione e infrastrutturazione" nell’ambito dell’area industriale. Area industriale, come ricordava qualche giorno fa il segretario generale della Cgil Gianni Forte, dove numerosi terreni risultano inservibili perché in un modo o nell’altro contaminati. Una situazione, questa, che impedisce la possibilità di programmare nuovi investimenti. Il protocollo d’intesa dovrà stabilire innanzi tutto la quantità di quattrini che lo Stato vuole sborsare. Ad oggi c’è solo la disponibilità della giunta Vendola perché la Puglia tiri fuori qualcosa come 100 milioni di euro. Lo stesso Vendola aveva reclamato nei giorni scorsi che il governo Monti partecipasse a questa “operazione salute” con almeno 200 milioni di euro. Il totale del “tesoretto” non dovrebbe cioè, essere inferiore ai 300 milioni di euro. In contemporanea, anche un sit-in di protesta.

CLINI: 'LO STABILIMENTO NON VA BLOCCATO' "L'Ilva di Taranto non va fermata. Il giudizio sui rischi connessi ai processi industriali dello stabilimento va attualizzato". A dirlo, in un'intervista al Sole 24 Ore, il ministro Clini, secondo cui "è arrivato il momento di lavorare insieme e di fare riposare gli avvocati". "La situazione dell'Ilva di 10-15 anni fa era molto diversa da quella attuale. Oggi si può dire che l'Ilva è uno stabilimento in cui è in atto un processo di trasformazione della produzione per renderla adeguata agli obiettivi nazionali e alle direttive europee", rileva Clini. Per questo, "il giudizio deve tenere conto del lavoro fatto fino ad oggi e dunque della possibilità concreta che esiste di completare il percorso iniziato per rendere l'impianto sostenibile". Da parte del ministero "il primo sforzo è quello di dotarci di tempi certi e rapidi", spiega Clini. "Anche la Regione Puglia, come la Provincia e il Comune di Taranto, stanno facendo la stessa cosa, perché esiste un obiettivo comune: lavorare insieme per avviare le iniziative da prendere per il risanamento ambientale e la riqualificazione industriale dell'intera area". "Se concordiamo un piano di azioni insieme possiamo riprendere il percorso già iniziato. Nella consapevolezza - sottolinea il ministro - che gli interventi devono tenere conto della competitività dell'impresa: non sarebbe un gran risultato costringere le aziende a chiudere e ad abbandonare un sito perché le prescrizioni ambientali non sono sostenibili dal punto di vista economico". In questo processo "anche l'azienda deve fare la sua parte", prosegue Clini. "Il ministero dell'Ambiente è disponibile a rivedere alcune delle sue posizioni per superare il contenzioso. A patto che l'azienda faccia lo stesso". (LaRepubblica)

...in tutta questa apocalisse, lo spot che precede il videodocumento sulle agitazioni pare fatale ironia...


Sequestro Ilva: ultim'ora!

Per una grande e coraggiosa azione ci voleva una grande e coraggiosa donna! Il gip Patrizia Todisco dà disposizione di porre sotto sequestro i parchi minerali e la cockeria.questa l'ultim'ora di rainews24, riportata anche sul Corriere del Giorno e su L'Unità.

Ansa: imminente sequestro degli impianti.

Qui sotto l'articolo:

"Sequestro dei parchi minerali e della cockerie; 5 ordini di custodia cautelare ai domiciliari. Sarebbero questi i principali provvedimenti emessi dal gip del Tribunale di Taranto, Patrizia Todisco, in seguito ai risultati della maxiperizia disposta dallo stesso gip. I reati contestati sono quelli di disastro ambientale colposo. la notizia, ancora ufficiosa, proverrebbe da fonti aziendali. Il provvediemtno sarebbe stato notificato direttamente in Procura all’avvocato Egidio Albanese, legale dell’Ilva. Intanto, appresa la notizia, i lavoratori dello stabilimento starebbero per occupare nuovamente la statale 100. La chiusura di parchi e cockerie significherebbe il blocco del siderurgico e migliaia di posti di lavoro a rischio". corriere del giorno

da L'Unità:

Il gip Patrizia Todisco ha firmato il provvedimento di sequestro (senza facoltà d'uso) degli impianti dell'area a caldo dell'Ilva di Taranto e misure cautelari per alcuni indagati nell'inchiesta per disastro ambientale a carico dei vertici Ilva. I provvedimenti non sono stati ancora eseguiti.

Il gip Patrizia Todisco - secondo quanto apprende l'ANSA - ha firmato il provvedimento di sequestro (senza facoltà d'uso) degli impianti dell'area a caldo dell'Ilva di Taranto e misure cautelari per alcuni indagati nell'inchiesta per disastro ambientale a carico dei vertici Ilva. I provvedimenti non sono stati ancora eseguiti.

La notizia si è appresa da fonti vicine all'inchiesta, anche se non ci sono conferme ufficiali. Intanto, 8mila operai sono pronti a uscire dallo stabilimento e manifestare sulle statali Appia e 106. I sindacati di categoria Fim, Fiom e Uilm stanno preparando la mobilitazione avendo avuto sentore che possa essere ormai imminente la notifica del provvedimento da parte dei carabinieri.


Le parole del Ministro Clini sull'Ilva? parole fritte e rifritte

''E' il momento di lavorare insieme e far riposare gli avvocati'': ''l'Ilva di Taranto non va fermata'' - Le parole del Ministro Clini rilasciate al Sole24 ore sono parole, già sentite, e più e più volte.  Che cosa dovevamo aspettarci?

Mentre un pullman carico di speranza, partito dal capoluogo jonico ha raggiunto Roma dove si attende l'importante incontro sul caso Taranto tra ministri istituzioni sindacati e confindustria, il ministro dell'Ambiente Clini è stato chiaro sul voler dare tutto il suo appoggio all'Ilva, nonostante lo stabilimento siderurgico sia stato messo sotto accusa dalle perizie epidemiologica e ambientale del gip Patrizia Todisco.

Per Clini infatti "“la situazione dell’Ilva di 10-15 anni fa era molto diversa da quella attuale. Oggi si può dire che l’Ilva è uno stabilimento in cui è in atto un processo di trasformazione della produzione per renderla adeguata agli obiettivi nazionali e alle direttive europee. Il giudizio deve tenere conto del lavoro fatto fino a oggi e dunque della possibilità concreta che esiste di completare il percorso iniziato per rendere l’impianto sostenibile”. Parole del ministro che non tengono conto evidentemente della relazione del Gip Patrizia Todisco che delinea una situazione epidemiologica e ambientale preoccupante. Soprattutto nel quartiere Tamburi, a ridosso della fabbrica, si registra un elevato numero di morti per cause derivanti dalle emissioni industriali.
Ma di questo il Ministro Clini - dalle recenti parole - non sembra preoccupato. 
Insomma cambia il ministro, ma le parole e la realtà ambientale e sanitaria qui a Taranto non mutano. Qualcosa però muta dentro di noi: i nostri geni. Grazie ministro!

mercoledì 25 luglio 2012

Non chiamiamola classe operaia!

Oggi la repubblica.it ha pubblicato questa foto: l'immagine del presidio organizzato dai sindacati metalmeccanici Ilva che espongono fuori dallo stabilimento lo striscione: "le aziende sono il motore della nostra economia e il futuro della nostra nazione". 

I sindacati e gli operai dell'Ilva non si domandano Mai quali danni ha arrecato il modo di produrre dell'acciaieria Ilva non solo alla salute ed ambiente, ma all' economia tarantina?

Quando, in maniera egoistica, pensano al mantenimento del loro posto di lavoro, si domandano in quali condizioni vivono le famiglie dei mitilicoltori  e degli allevatori il cui lavoro è stato bruscamente interrotto dagli effetti devastanti della diossina proveniente dall'acciaieria Ilva?

Possono provare un momento a immedesimarsi nella loro precaria condizione? si domandano gli operai "come campano i mitilicoltori oggi a Taranto"?

Questa non è solo la lotta come scrive  nel suo brillante articolo Mario Desiati su Larepubblica.it  dell'ambiente versus lavoro, degli "abitanti esasperati dalle polveri contro operai a rischio povertà". Ci sono abitanti esasperati dalle polveri, è vero, ma anche madri disperate  che soffrono in silenzio la malattia del proprio figlio, l'ennesimo figlio di Taranto malato di Tumore, e poi c'è un'economia messa in ginocchio dall'impatto inquinante di un'industria che non intende "evolversi", rivoluzionare il modo di produzione. 

Domani i ministri dell'Ambiente, dello sviluppo economico e della coesione territoriale incontreranno le istituzioni, sindacati e confindustria per definire un piano di bonifica individuando le fonti di finanziamento. 

La speranza  è che non vengano ascoltate solamente le "ragioni" di chi in acciaieria ci lavora e ci lucra - visto che in quel tavolo saranno rappresentate solamente queste, ma anche quelle del lavoro di chi lo ha sempre svolto dignitosamente e con orgoglio:  i mitilicoltori e gli allevatori. Chi li rappresenterà domani? E poi ci sono  le ragioni dell'ambiente ma soprattutto quelle della salute: una salute minata ogni secondo da un'industria che non arresta il processo di inquinamento dell'aria, dell'acqua, e del suolo. 

La città è stanca. E' stanca di questo modo di produrre insano ed irresponsabile. E lo dimostrano anche le tante scritte sui muri contro Riva, l'inquinamento industriale. Personalmente in città non ho visto scritte contro i giudici, eppure vivendo nel quartiere Paolo Vi e attraversando ogni giorno il quartiere Tamburi , avrei dovuto vederle "secondo quanto scrive Desiati nel suo ultimo articolo. 

Quello che è certo che le scritte contro Riva sono preponderanti. E questo un significato ce l'ha. Non saranno stati certo pagati da nessuno coloro i quali i loro pensieri, il pensiero di una città, li hanno fissati sui muri. 

E non sono stati nemmeno pagati per manifestare davanti alla Procura di Taranto, quella procura che ha mosso nei confronti dell'azienda siderurgica l'accusa di disastro ambientale colposo e doloso per cui si deciderà sul sequestro degli impianti.

Cosa si può dire invece - senza generalizzare - degli operai* dell'Ilva, che sono scesi in piazza a manifestare "accompagnati" dal pullman messo a disposizione dall'Azienda. E chi l'ha scritta la lettera indirizzata a Monti e a Napolitano? dov'è oggi la Classe Operaia? ha una sua dignità?

ha un'identità sua? o si rispecchia in tutto e per tutto con gli interessi di quello che un tempo veniva chiamato il "Padrone"? se questo è allora, l'Ilva c'è riuscita nel suo intento: trasformare l'operaio in "gorilla ammaestrato" incapace di operare con la sua testa, perchè il cervello dell'operaio - gli ultimi fatti lo hanno evidenziato- anzichè liberarsi si è mummificato. 

E a pagare,sempre e solo  la collettività  

 


 

Immagine scaricata da Repubblica.it

martedì 24 luglio 2012

Opinions...

Dalla green economy all'Ilva: il tempo delle scelte sta per scadere

Se come dice il premier Mario Monti siamo in guerra, bisogna subito stabilire quali sono i campi di battaglia, con quali strumenti vogliamo e possiamo affrontarla, e con quale obiettivo la stiamo combattendo. Alla prima domanda sembra chiaro che un fronte sia quello europeo e l'altro quello nazionale. A livello europeo è in gioco la sopravvivenza stessa dell'Euro causata dal bombardamento dei mercati finanziari che hanno individuato nelle deboli strutture comunitarie e nelle divisioni interne la strada per fare profitti sulle macerie del Vecchio Continente. Uno scontro epocale per affrontare il quale bisogna capire quali strumenti si hanno a disposizione. Tecnicamente, ci spiegano gli esperti, è la Banca centrale europea l'unica arma in grado di colpire la speculazione e ripagare la finanza della stessa moneta. Ma se abbiamo capito qualcosa dalle crisi che si sono succedute in Europa e nel mondo, la guerra sarà vinta solo quando i tempi delle decisioni democraticamente prese saranno proporzionati a quelli dei mercati finanziari. Altrimenti non si salva nessuno, come dimostrano gli outlook negativi persino di Germania, Olanda e Lussemburgo. Non può essere come ora: solo un click per spostare ingenti capitali, versus un summit al quale - come l'ultimo, giudicato peraltro un successo - occorrono mesi di fermentazione per una possibile risposta alle bordate del ‘nemico' sottoforma dei colpi di spread. Ma l'Italia, se vuole risollevarsi davvero, deve principalmente stabilire da dove vuol ripartire, e solo l'industria è la risposta. Una politica industriale capace di ridare fiato all'economia nazionale, che non può non essere che ecologica. L'altrimenti detta eco innovazione "made in Italy"; e qui gli strumenti sono quelli di "governo". Sgravi, incentivi, aiuti, accordi internazionali finalizzati alla ri-costruzione di un tessuto manifatturiero da sempre eccellenza del Belpaese, attaccato come le cozze allo scoglio della sostenibilità ambientale e sociale.

Un'industria che riduca l'uso di energia e di materia (come peraltro indica anche la Commissione Ue). Un'economia ecologica vera - ottime in questo senso le prime indicazioni provenienti dall'assemblea programmatica in preparazione degli stati generali della green economy - che punti sul riciclo, sul riuso, sulla produzione di materiali ecologicamente avanzati in grado di essere più resistenti e più facilmente riutilizzabili e riciclabili. Oltre ovviamente all'energia rinnovabile e - sarebbe fondamentale - la manutenzione del territorio, quell'ambiente fragile purtroppo tragicamente famoso.

Tutto questo per un obiettivo finale che non può non essere quello del cambio di modello di sviluppo, non più fondato sulla crescita infinita, ma che scelga cosa deve o non deve crescere. Un nuovo welfare, dentro un nuovo modello di sviluppo che crei posti di lavoro e una qualità della vita migliore socialmente e ambientalmente.

E quanto sta accadendo all'Ilva di Taranto, come con altre problematiche a Piombino, è paradigmatico di quanto andiamo dicendo. Se è vero che l'industria siderurgica ancora oggi dà migliaia di posti di lavoro e al sud l'Ilva è forse l'ultimo avamposto della grande industria, non si può guardare solo all'oggi, ma a cosa accadrà di qui a qualche anno nel resto del mondo per capire come agire. Bisogna dare una risposta alla domanda se il futuro dell'industria italiana può essere ancora la siderurgia e se può essere questa siderurgia. Capire, come ci hanno spiegato quelli bravi, che il rallentamento progressivo della locomotiva cinese con tutta probabilità porterà presto a una loro sovracapacità nella produzione di acciaio che giocoforza sarà riversata anche in Europa. Acciaio di ottima qualità e a buon prezzo prodotto in acciaierie assai più moderne delle nostre. Se non si fanno i conti con questa realtà prossima, non si prevedono riconversioni degli stabilimenti, si pensa magari come negli anni passati che chiusa una fabbrica si bonifica e ci si dà al turismo, si rischia l'ennesimo errore d'analisi che non salverà né i posti di lavoro, né l'ambiente, né migliorerà la salute pubblica. Il mondo è cambiato, o ci si adegua e si tenta di governare questo cambiamento e i partiti politici si caricano sulle spalle l'onere di dare risposte concrete ai livelli a cui queste risposte devono essere date, oppure è il cambiamento degli altri che ci seppellirà. Come dicono i manager in modo schematico o si è parte della soluzione o si è parte del problema. Alessandro Farulli (greenreport)

Il piombo a Taranto

Comunicato stampa
E' stata riscontrata la presenza del piombo nelle urine dei tarantini.
Sono 141 i soggetti analizzati (67 uomini e 74 donne).
I valori di riferimento per il piombo sono fissati, per la popolazione non occupazionalmente esposta, in un intervallo che va da  <0,5 a 3,5 microgrammi per litro (Società Italiana Valori di Riferimento, SIVR).
Il valore medio del piombo urinario riscontrato nelle analisi è stato di 10,8 microgrammi/litro.
Il piombo è neurotossico e cancerogeno.
L'indagine ha riscontrato anche per il cromo un valore medio che supera l'intervallo dei valori di riferimento.
Il valore medio è 0,45 microgrammi per litro quando dovrebbe invece mantenersi nell'intervallo di riferimento di 0,05-0,32 microgrammi per litro.
I dati di questo biomonitoraggio sui metalli pesanti nell'urina degli abitanti di Taranto sono stati presentati a Oxford in un convegno scientifico (22nd International Conference on Epidemiology in Occupational Health, 2011). I dati sono frutto di un lavoro di ricerca condotto da un gruppo di cui hanno fatto parte Luigi Vimercati, Francesco Cuccaro, Maria Serinelli, Lucia Bisceglia, Ida Galise, Michele Conversano, Sante Minerba, Antonella Mincuzzi, Tilde Martino, Maria Antonietta Storelli, Tommaso Gagliardi, Giorgio Assennato.
Il titolo della ricerca è "Exposure assessment to heavy metals in general population in an area at high environmental risk through biological monitoring" (Valutazione dell'esposizione ai metalli pesanti nella popolazione generale in un'area ad alto rischio ambientale attraverso il biomonitoraggio).
L'abstact è su
https://icoh.conference-services.net/reports/template/onetextabstract.xml?xsl=template/onetextabstract.xsl&conferenceID=2501&abstractID=525251
I dati completi (relazione e poster) si possono scaricare da PeaceLink:
http://www.tarantosociale.org/tarantosociale/a/36647.html
Si può andare anche su www.peacelink.it e cliccare sull'immagine di copertina (quella con i bambini).
E' la prima volta che questi dati vengono resi noti in lingua italiana e l'occasione è il Workshop a Taranto
"Valutazione economica degli effetti sanitari dell'inquinamento atmosferico: la metodologia dell’EEA", organizzato da ARPA Puglia, con il patrocinio dell’Università di Bari, del Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente, di AssoArpa e dell’AReS presso l’ex Convento di San Francesco (sede della II Facoltà di Giurisprudenza).
I dati della presenza di metalli pesanti nelle urine della popolazione di Taranto sono stati comunicati nell'ambito della relazione di Alessandro Marescotti dal titolo "Piombo e sostanze neurotossiche: l'impatto economico e sociale". Alessandro Marescotti è stato invitato a parlare in rappresentanza di Altamarea.

Alessandro Marescotti
http://www.peacelink.it