sabato 31 maggio 2014

Buon ascolto!!!

Alunni rione Tamburi sbarcano sul web con «Radio Clic»

Si chiama Radio Clic ed è la stazione radiofonica via internet interamente ideata e realizzata dagli alunni dell’XI circolo didattico di Taranto, nel quartiere Tamburi, che si trova a poche centinaia di metri dallo stabilimento Ilva ed è il più esposto all’inquinamento. Il progetto, che ha coinvolto le classi quarte dei plessi scolastici 'Gian Battista Vico' e 'Grazia Deledda', è stato attuato nell’ambito del Pon 'Radio web', finalizzato a migliorare i livelli di competenza e conoscenza di 24 bambini. Gli alunni si sono cimentati in diversi generi radiofonici, producendo 15 podcast, tra cui un contenitore giornalistico, un programma di intrattenimento, pubblicità no profit, talking radio e un radiodramma in cinque puntate.
"Il tutto – si spiega in una nota della scuola Vico – all’insegna di una linea editoriale che gli stessi bambini hanno voluto totalmente improntata alla positività e focalizzata su Taranto, il quartiere Tamburi e il mondo dell’infanzia in genere", con uno "slogan che ne suggella efficacemente la vitalità: 'Tamburi battentì". La radio, costruita su piattaforma Spreaker.com, è raggiungibile all’indirizzo www.radioclic.tk e permette il download dei singoli podcast, la loro condivisione su Facebook, Twitter e Google+, e l’incorporamento di ciascun contenuto su altri spazi web, tramite apposito codice. (GdM)

Ce n'è per tutti. E poi?

Un po' generico ed impreparato. 
Ci si aspettava più lucidità ma... a 87 anni... forse sarebbe troppo.

Rea: anche degli operai Ilva le colpe sul caso Taranto

«Anche gli operai hanno le loro colpe. Come i politici. Come i sindacalisti e gli imprenditori. A Taranto una mostruosità come l’Ilva è stata tollerata da tutti». Ermanno Rea raccontò nel 2002 «La dismissione», lo smontaggio dell’Ilva di Bagnoli. Oggi guarda l’Ilva di Taranto e gli sembra di ritrovarsi ancora lì in mezzo, tra gli operai napoletani con cui andava a mensa. Bagnoli era ormai chiusa quando lui arrivò: gli operai la smantellavano piangendo. Oggi la fabbrica di Taranto, travolta dall’inchiesta giudiziaria sul disastro ambientale e una rete di corruzioni, complicità, silenzi, è strozzata dalla crisi. Rischia di chiudere. E se resta aperta, rischia di inquinare ancora. «Io la chiuderei» dice Rea. «Ma quanti operai ci lavorano?». Quasi dodicimila. «Accidenti. Tanti. Sa, non conosco Taranto, ma seguo questa storia con interesse».
Trova analogie con la sua Bagnoli?«A Taranto la situazione ambientale è più grave di quella del passato a Bagnoli. Bagnoli è separata da Napoli dalla collina di Posillipo. A Taranto le acciaierie sono attaccate alla città. Non che Napoli non abbia subito danni, ma credo in modo infinitamente minore. Un direttore venuto da Taranto introdusse misure di protezione dell’ambiente».
Sensibilità delle Partecipazioni statali. Negli anni Settanta a Taranto costruirono collinette artificiali per separare la vecchia Italsider dal quartiere Tamburi. Non sono servite a molto. Come andò il suo lavoro in fabbrica durante la dismissione?«Vissi un paio di mesi a Bagnoli. Era il 1994. Gli operai diventarono miei amici. Ce n’erano cinquecento per smontare gli impianti. Fui preso dalla storia dell’archivio Ilva: raccoglie parte della storia napoletana dal 1910, con testimonianze di ogni tipo: storie operaie, di sofferenza, di incidenti, lettere di raccomandazione di boss - politici e non politici - per fare assumere questo o quello».
Che cosa le ha lasciato quell’esperienza?«Con il passare degli anni addirittura un senso più accentuato dell’assenza dello Stato. In Italia non c’è una collettività guidata. Tutto avviene in modo occasionale. Al di là delle varie corruzioni, non si prevede, non si pianifica, non si pensa al domani. Si apre o si chiude una fabbrica in base a convenienze del momento. Bagnoli fu chiusa ma nessuno si chiese: che cosa accadrà dopo? Scandaloso. Non dico che non dovesse essere chiusa, dico che doveva esserci una prospettiva. Una capacità di previsione non c’è mai. È questa la causa di tutto. L’Italia non è riuscita a diventare una nazione. Già alcuni anni prima Bagnoli fu sul punto di essere dismessa. Improvvisamente si decise di investirci oltre mille miliardi di lire. Ma poi la fabbrica fu chiusa».
In vent’anni Bagnoli ha chiuso l’Ilva e aspetta ancora le bonifiche. In venti anni la Germania ha bonificato e riconvertito il vecchio bacino minerario della Ruhr abitato da 11 milioni di persone. Che gliene pare?«Nel libro "La fabbrica dell’obbedienza. Il lato oscuro e complice degli italiani", mi sono posto il problema. Ma vediamo il caso Taranto. Io penso che le responsabilità siano anzitutto della classe dirigente. Degli imprenditori. Evidentemente della classe politica. Ma se ci penso bene, anche del sindacato. Ma se vado più a fondo, mi rendo conto che sono pure della cittadinanza. Però anche gli operai hanno le loro responsabilità. È impensabile che si determini una mostruosità gigantesca per anni e anni con il silenzio generale. Ci sono state voci isolate. Le maggiori responsabilità sono di politica e imprenditoria, ma gli altri non sono innocenti».
Quando è stato l’ultima volta a Bagnoli?«Sono tornato recentemente come candidato alle elezioni europee della Lista Tsipras. È triste vedere un’area inerte dove c’era l’Ilva. Un quarto di secolo dopo. E ho saputo che l’archivio sta per essere portato via. Ho lanciato l’allarme proponendo di creare un polo universitario per raccogliere gli archivi di tutte le fabbriche in dismissione nel Mezzogiorno. Sarebbe il centro della memoria industriale del Sud. Un’idea bella, credo, ma irrealizzabile in un Paese in cui non si realizza nulla».
Classe operaia. Che cosa le fanno venire in mente queste due parole pensando a Bagnoli, a Taranto, alle acciaierie?«La domanda rivolta a un vecchio non può prescindere dalla sua storia personale. Io ho militato nel Pci. Oggi il significato di queste parole è cambiato. Se parliamo dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, devo dire che la storia non ha cambiato le cose. Il capitalismo è riuscito ad avere mano libera e può produrre nelle aree di massima povertà del pianeta. Noi indossiamo una maglietta fatta in India e dietro quell’oggetto c’è uno schiavismo più bieco dello schiavismo ottocentesco del padrone delle ferriere. La nostra classe operaia è mutata, però abbiamo isole di perversione come l’industria siderurgica; ci riportano ai primi anni del Novecento. Penso a Taranto e alla vita infame degli operai dell’acciaieria, non diversa da quella degli sfruttati in India o in Bangladesh».
Lei è ancora comunista...«No, la parola è obsoleta. Credo profondamente nella collettività. E penso che il privato non debba prevalere sul pubblico».
L’Ilva nacque a Taranto nel 1960. Quasi tutti concordi, nella Dc e nel Pci, che fosse la cosa giusta. Compreso Napolitano. Escluso Amendola. Chi aveva ragione?«Apprezzabile la posizione di Amendola. Il limite di Amendola è stato di non credere molto all’unità d’Italia. Aveva una visione regionalistica del Mezzogiorno».
Oggi uomini di sinistra pensano che l’Ilva di Taranto vada tolta alla famiglia Riva e statalizzata. La convince il ragionamento?«E quando diventa pubblica cosa cambia? Non si tocca il cuore del problema. E il problema è capire se resta fabbrica o viene smantellata, come si risolve la vicenda di dodicimila lavoratori e come si difende la città dall’inquinamento. I pezzi sulla scacchiera sono questi. Certo un mostro di tali proporzioni non può essere un problema del singolo capitalista. È giusto chiamare in causa lo Stato, perché lo Stato deve difendere i cittadini».
Quale lezione può dare Bagnoli a Taranto?«Francamente non lo so. Certo, bisogna far prevalere gli interessi collettivi».
Ha speranza?«La speranza ce l’ho sempre. Al fondo del mio pessimismo c'è dell’ottimismo... Non voglio fare un volgare gioco di parole, semmai sottolineare quanto io sia realmente speranzoso. Non sulla breve distanza, ma sulla distanza più lunga dico che gli esseri umani hanno superato ostacoli di portata inimmaginabile. Non vedo perché l’Italia non possa risolvere i suoi problemi».
Che cosa dice ai cittadini di Taranto?«Da meridionalista orgoglioso sono vicino a loro. Posso dire, al di là dell’ottimismo e del pessimismo: bisogna essere combattivi, avere coraggio, mai girare la testa dall’altra parte. Quando si è convinti di combattere battaglie giuste bisogna andare avanti».
Se la immagina nel 2050 una fabbrica come quella di Taranto ancora lì?«No, qualcosa accadrà. L’umanità qualcosa farà. Me lo faccia dire dall’alto dei miei 87 anni». CdM

Crisi a pioggia e sprazzi di sole

Ilva, intesa sui debiti con le ditte appaltatrici

Un’intesa è stata trovata. Le ditte dell’indotto potranno rifiatare. Le banche pagheranno le fatture che Ilva riconoscerà. Il vertice di ieri mattina in Prefettura a Taranto è stato dunque positivo. «Le banche - dice Vincenzo Cesareo, presidente di Confindustria Taranto - s’impegnano, attraverso la mediazione di Interfidi, a creare nuova finanza, nuove linee di credito, a condizione che l’Ilva certifichi l’esigibilità del credito e accetti la canalizzazione. È un accordo che ci soddisfa».
La crisi di liquidità dell’Ilva ha generato una situazione insostenibile «con un monte crediti pari a 46 milioni di euro che riguarda le imprese pugliesi e tarantine», ha aggiunto Cesareo.Al vertice, che si è concluso poco dopo mezzogiorno, hanno partecipato non solo banche, Confindustria, Prefetto e Ilva, ma anche Interfidi provinciale, Camera di Commercio e Comune di Taranto. Era stato proprio Cesareo, nelle scorse settimane, ad andare in pressing per tentare un punto d’incontro con le banche, visto l’allarme lanciato dalle ditte dell’indotto, alcune sono impegnate in cantieri Aia, che, a causa della paralisi economica della fabbrica, erano entrate in una spirale d’incertezza e preoccupazione.
Un indotto che a Taranto e provincia, conta circa 6 mila dipendenti. Cesareo aveva parlato di una «situazione esplosiva», poiché i pagamenti da parte di Ilva sono in ritardo di almeno quattro mesi e dunque in arretrato sono anche le retribuzioni dei lavoratori. La crisi dell’Ilva non riguarda solo l’indotto. Se da un lato sono stati assicurati i pagamenti ai lavoratori diretti per il mese di maggio, l’arrivo dei bonifici è previsto il 12 giugno, dall’altro nei reparti si vive un clima di ansia e precarietà.
Il presidente degli industriali ionici, 24 ore prima del vertice in Prefettura, ha partecipato all’assemblea nazionale di Confindustria che si è svolta a Roma. In una riunione privata, ha detto chiaramente ai soci, che «se crolla l’Ilva, crolla l’intera industria manifatturiera italiana». Per questo ha chiesto al presidente Squinzi «la massima attenzione per il Caso-Ilva e per Taranto». E mentre ieri mattina in Prefettura veniva siglata un’intesa per far rifiatare le imprese, un gruppo di lavoratori della Itas srl, ditta dell’indotto che conta una sessantina di operai, ha protestato davanti alla direzione Ilva a causa del mancato stipendio. Il loro obiettivo era fermare l’emorragia dell’arretrato.
Ecco perché ieri mattina hanno deciso di organizzare un sit-in. «La situazione qui è complessa - spiega Francesco Rizzo, coordinatore provinciale Usb, che all’interno della ditta, rappresenta almeno la metà dei dipendenti - La Itas srl è totalmente inaffidabile». E per confermare questa affermazione divulga il contenuto dell’incontro avuto con l’Ilva a margine della protesta. Un incontro chiarificatore. «L’Ilva stamattina ci ha riferito che dal 1° aprile al 28 maggio, ha versato alla Itas srl, 540 mila euro - spiega Rizzo - La ditta ora vuole solo pagare lo stipendio di marzo e non aprile, ma questo vuol dire che 4 lavoratori, ad esempio, avranno una busta paga con “zero” euro, e oltre una ventina solo 500 euro».
Da qui la richiesta dell’Usb, che ha accolto il grido di allarme degli operai. «Ora noi chiediamo alla Itas - conclude Rizzo - a fronte del denaro ricevuto dall’Ilva, che venga corrisposto anche lo stipendio di aprile, per far rifiatare i lavoratori. Intanto stiamo già preparando la lettera di diffida e le ingiunzioni al pagamento immediato. Ad Ilva invece chiediamo, di bloccare il prossimo pagamento alla Itas srl, che dovrebbe arrivare nei prossimi giorni, almeno fino a che non saranno saldati gli arretrati ai dipendenti». (GdM)

Parti civili e querele popolari

Conferenza stampa del 31maggio 2014 del Comitato dei Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti:

OPERAZIONE “AMBIENTE SVENDUTO”
Il Comitato dei Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti il prossimo 19 giugno si costituirà parte civile nel processo penale scaturito dall'operazione denominata “ambiente svenduto”. Dopo aver fornito agli Organi inquirenti un preziosissimo apporto nella fase delle indagini preliminari, culminato con l'applicazione di misure cautelari ai componenti del cosiddetto “governo ombra” grazie alle dichiarazioni illuminanti di un suo componente, il Comitato vuole essere presente anche nel processo e continuare a tenere il fiato sul collo degli imputati al fine di ottenerne la condanna alle pene severe che meritano per i misfatti commessi. Il tutto nella consapevolezza di rappresentare l'unica forma di energia sana operante in fabbrica a tutela della salute e sicurezza dei lavoratori, a differenze delle organizzazioni sindacali, menzionate nel capo A) di imputazione, già facenti parte del sistema “Archinà”.

QUESTIONE AMIANTO
Lo scorso 23 maggio è stata deliberata dal Tribunale di Taranto una sentenza storica. Sono stati condannati ex dirigenti dell'Italsider pubblica e dell'Ilva privata a pene severe per le morti e le malattie professionali contratte da lavoratori dello stabilimento esposti ad una serie di agenti inquinanti, tra cui amianto e polveri di amianto. La sentenza accerta fatti verificatisi fino alla fine degli anni novanta e costituisce per il Comitato solo un punto di partenza perché la presenza di amianto in fabbrica è ancora massiccia. Né dà atto lo stesso commissario Bondi nel piano industriale recentemente presentato ai sindacati, lì dove prevede - tra gli investimenti da realizzarsi entro il 2016 - ben 1300 interventi su amianto del valore di diverse centinaia di milioni di euro. A questo proposito, il Comitato seguirà un percorso civilistico, promuovendo un'azione di risarcimento danni per tutte le persone che, dipendenti o ex dipendenti Italsider o Ilva, hanno vissuto la tragedia di patologie correlate alla esposizione all'amianto o ad altre sostanze cancerogene esistenti nello stabilimento. Il Comitato, inoltre, si rivolgerà alla Magistratura penale affinché per il periodo successivo ai fatti contestati nel processo che si è celebrato verifichi la sussistenza di ipotesi di reato a carico non solo della dirigenza Ilva - sia quella privata che quella commissariale - ma anche degli organismi sindacali (inclusi gli R.L.S.) che, pur avendo la responsabilità di intervenire a tutela della salute dei lavoratori e soprattutto di renderli edotti dei rischi connessi all'esposizione agli agenti inquinanti, si sono colpevolmente astenuti dal farlo.

VICENDA “VACCARELLA”
Qualche giorno fa in un fuorionda captato durante la registrazione di un programma televisivo il deputato di Sel ed ex componente della segreteria nazionale della Fiom Giorgio Airaudo si è lasciato andare a parole pesanti sulle connivenze tra organizzazioni sindacali e Ilva. Con riferimento alla vicenda Vaccarella, che è già stata sottoposta all'attenzione della Magistratura, Airaudo sostiene che “l'alterità sindacale della classe operaia è stata totalmente acquistata, comprata ma a colpi di denaro, di consenso, con infiltrazioni malavitose”. Tali affermazioni confermano quanto da noi in proposito sostenuto nel passato, per cui chiederemo alla Procura jonica di ascoltare l'ex sindacalista affinché fornisca tutte le informazioni di cui è in possesso per chiarire una vicenda dai contorni ancora nebulosi.

QUERELA NEI CONFRONTI DEL SEGRETARIO REGIONALE DELLA UIL
A margine della manifestazione del 26 ottobre 2013, finalizzata a sensibilizzare la classe politica sull'effettivo utilizzo dell'aeroporto di Taranto, uno dei componenti del Comitato è stato aggredito con parole ingiuriose e con sputi dal segretario regionale della Uil, Aldo Pugliese. Delle parole offensive e del deprecabile gesto, provenienti da una persona che per età e funzione svolta dovrebbe essere di esempio a cittadini e lavoratori, sono stati testimoni una moltitudine di persone presenti sul posto. È stata sporta querela contro il Pugliese, il quale, dopo accurate indagini svolte dalla Procura
della Repubblica, è stato rinviato a giudizio per ingiurie aggravate. Nel processo, che avrà inizio il prossimo 25 giugno, la vittima del reato sarà costituita parte civile, ma non per lucrare un risarcimento al quale pure avrebbe diritto. Per scelta di questo componente del Comitato e del suo difensore le somme che il giudice liquiderà a titolo di ristoro dei danni subiti e di pagamento delle spese legali saranno interamente devolute in beneficenza.

venerdì 30 maggio 2014

Il buon latte di mamma Ilva?

Taranto, “nel latte materno diossine fino al 1500%. Pericoloso per la salute”

Nei campioni di latte materno della città dell’Ilva, Taranto, “sono stati rilevati superamenti dei valori di azione di diossine Pcdd e Pcdf (policlorodibenzodiossine e policlorodibenzofurani) e di Pcb Dioxine like (Policlorobifenili, diossine e simili), su materia grassa, a partire dal 700% fino al 1500% stabiliti per latte crudo e prodotti lattiero caseari”. Il presidente del Fondo Antidiossina Fabio Matacchiera introduce così le conclusioni dell’analisi da parte di centri accreditati di una decina di campioni di latte di mamme “con età superiore ai 33 anni”.
Sui dati dell’associazioni e sul metodo con cui l’indagine è stata condotta, però, interviene il presidente della Società italiana di igiene e medicina preventiva nonché direttore del dipartimento di prevenzione della Asl di Taranto, Michele Conversano che giudica “sconvolgente” fare un “confronto tra latte materno, latte crudo e prodotti lattiero-caseari” perché “il latte materno non è un alimento come il latte di capra o il formaggio“. Non solo: “Il latte materno – prosegue – ha un valore per cui l’Oms e tutte le organizzazioni mondiali hanno sempre raccomandato che l’allattamento al seno è sempre da preferire a qualsiasi altra alimentazione, qualunque sia il livello di contaminazione del latte materno”. “Noi – aggiunge – abbiamo proposto all’Istituto superiore della sanità, che lo ha approvato, uno studio scientifico sulla ricerca di diossina nel latte materno di 300 donne per valutare la contaminazione nel tempo”. “Il lavoro fatto dalle associazioni – conclude – è meraviglioso nel denunciare il caso ma bisogna essere molto cauti perché sull’allattamento al seno si va a toccare un tasto molto delicato. Il problema è psicologico: non si può toccare la mamma in quel momento”.
Matacchiera rileva che ”anche i tenori massimi sono stati tutti abbondantemente superati fino al 660%. In tutti i campioni di latte delle neomamme di Taranto fatti analizzare dalla Onlus Fondo Antidiossina, sono state riscontrate significative concentrazioni” delle diossine citate, tutte “con valori molto al di sopra dei 6 picogrammi per grammo“, che è il “limite per il latte per adulti”. La media che riscontriamo, infatti, si attesta su valori superiori ai 20-22 picogrammi e fino a valori di 39,992 picogrammi”. Matacchiera ha poi precisato che “la normativa prevede il divieto di commercializzazione e la distruzione di quell’alimento poiché considerato pericoloso per la salute”. Ma secondo il presidente della Società italiana di igiene e medicina preventiva, che è stato anche consulente della procura di Taranto in indagini sull’Ilva, ”anche a coloro che hanno allattato sotto Chernobyl o dopo l’incidente di Bophal, l’Oms ha detto che si deve sempre allattare al seno qualunque sia la contaminazione. Che ci sia a Taranto una contaminazione lo denunciamo noi da 20 anni e, purtroppo, lo sappiamo tutti, ma che si possano provocare delle reazioni naturali nelle donne tarantine che stanno allattando e che stanno ora pensando di avvelenare i loro bambini non è possibile, nessuno se lo può permettere”.
A una delle mamme di Taranto che si è sottoposta all’indagine pilota, spiega Matacchiera, “alcuni mesi dopo il parto è stata diagnosticata una forma grave di tumore che ha reso necessario un intervento chirurgico invasivo al seno”. Il latte analizzato era di una donna di 42 anni che presentava valori molto prossimi a 40 picogrammi su grammo di policlorodibenzodiossine, policlorodibenzofurani, pcb e diossine. “Anche alla neonata – ha aggiunto Matacchiera – venivano riscontrati problemi di salute molto gravi. Attribuire le cause di quanto sopra descritto alla presenza significativa di quei congeneri nell’organismo umano, può essere sicuramente un po’ azzardato. Rimane tuttavia la certezza che per un adulto consumare del latte con concentrazioni dei congeneri indicati superiori a 6 picogrammi su materia grassa risulta pericoloso per la sua salute”. E’ normale adesso che “ci si chieda – ha concluso l’ambientalista – che pericolo possa rappresentare per una piccola creatura bere il latte della mamma con concentrazioni di 40 picogrammi. Inoltre, è consequenziale che la preoccupazione cresca al pensiero che il latte per il neonato (a differenza dell’adulto che ne consuma molto poco), rappresenta l’unica fonte di alimentazione intensiva per molti mesi”.

Almeno quello!

Ilva condannata a risarcire un condominio di Taranto per inquinamento 


L'Ilva è stata condannata a risarcire un gruppo di residenti che abitano vicino allo stabilimento di Taranto per danni da inquinamento. Per la prima volta un tribunale ha riconosciuto come reato il fatto che alle persone sia impedito di ‘godere’ della propria casa e di considerarla un luogo sicuro per colpa dell’inquinamento industriale.
La causa fu avviata nel 2006 dai cosiddetti ‘ribelli di Tamburi’: un gruppo di cittadini che pur essendo dipendenti o parenti di impiegati nella fabbrica, avevano deciso di schierarsi contro il colosso siderurgico. Nel corso del processo alcuni di loro sono morti per tumore.
La sentenza del giudice civile, Marcello Maggi, è del febbraio scorso ed i condòmini - residenti in via De Vincentis al quartiere Tamburi, il più vicino e più colpito dalle polveri - hanno ricevuto dall`Ilva indennizzi compresi tra gli 11mila ed i 15mila euro a famiglia.
Il processo ha avuto un percorso difficile che ne ha allungato i tempi. Prima di decidere sul caso, il giudice aveva, infatti, affidato una complessa e costosa perizia chimica per accertare che le polveri che negli anni hanno danneggiato l'edificio provenissero davvero dallo stabilimento siderurgico. L'Ilva si era però opposta alla nomina di un consulente residente a Taranto per conflitto di interessi ed il giudice aveva dovuto scegliere un nuovo consulente residente in un altra città.(Rainews)

Il Giudice civile del Tribunale di Taranto ha disposto il risarcimento nei confronti di un gruppo di cittadini residenti in uno stabile del quartiere Tamburi per i danni subiti a causa dell'inquinamento proveniente dall'Ilva. Una prima richiesta stragiudiziale fu avviata sin dal 2006 dagli avvocati Eligio Curci e Massimo Moretti per conto di un condominio del rione, che si trova a poche centinaia di metri dallo stabilimento siderurgico, sulla scorta della sentenza di condanna in sede penale di amministratori e dirigenti Ilva per il reato di 'getto pericoloso di cosè relativa allo sversamento di polveri dei parchi minerali. L'Ilva si oppose ai risarcimento in via bonaria e nel 2008 iniziò la causa civile. Dopo sei anni la sentenza con il riconoscimento del diritto al risarcimento subito a causa dell'inquinamento.
I condomini hanno quindi ricevuto gli assegni relativi ai risarcimenti riconosciuti in sentenza e liquidati da Ilva spa. Somme comprese tra gli undicimila e i quindicimila euro a famiglia, che vanno a risarcire una voce di danno, per la prima volta viene riconosciuto in sede giudiziale, conseguente alla ridotta possibilità di godimento dell'immobile di proprietà a causa dell'inquinamento industriale proveniente dallo stabilimento Ilva. «Una sentenza innovativa - commentano in una nota gli avvocati Curci e Moretti - che costituisce un precedente particolarmente importante in materia, anche perchè il diritto risarcitorio riconosciuto, e mai reclamato da nessun altro, appare difficilmente revocabile in sede di impugnativa, non dipendendo da valutazioni tecniche o da dati che possono essere suscettibili di varia interpretazione». (CdM)

giovedì 29 maggio 2014

Bondi: mummia usa e getta. Avanti un'altro (condannato)?


Aguzza la vista: dov'è Bondi?

Ilva, Renzi fa traballare Bondi: “Così non si va avanti, serve cambio di passo”

La poltrona di Enrico Bondi, commissario straordinario dell’Ilva, è sempre più a rischio. Le parole di Matteo Renzi alla direzione del Pd non sembrano lasciare spazio ad altre ipotesi. “Così non si va avanti – ha detto il premier sullo stabilimento siderurgico di Taranto – c’è bisogno di un cambio di passo nel giro di qualche giorno”. Una dichiarazione alla quale è immediatamente seguita l’affermazione del governatore di Puglia, Nichi Vendola, secondo il quale “se Renzi decide di voltare pagina” e di “chiudere l’esperienza di governo commissariale dell’Ilva, difficilmente gli si può dare torto”. Non solo. Vendola ha aggiunto che “dalle dichiarazioni di agenzia il presidente del Consiglio intende chiudere l’esperienza di governo commissariale per Ilva. Sarebbe utile prendere atto di una gestione che ha avuto sin dall’inizio carattere di contraddittorietà, visto che Bondi era l’uomo scelto dai Riva come amministratore delegato e dal governo come Commissario che doveva estromettere gli stessi Riva nella gestione dell’azienda”, ma “non è stata in grado di portare ad una riqualificazione e a un vero piano industriale”.
Insomma, giorni contati per Bondi? Forse. Tanto più che il suo mandato scade il 4 giugno. Quello che è certo ed emblematico, al momento, è che in una giornata di incontri decisivi tra il ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi, i sindacati, gli imprenditori e le associazioni di industriali sul futuro della fabbrica ionica, il commissario Bondi non c’era. Il commissario, infatti, ha incontrato il sottosegretario alla presidenza del consiglio, Graziano Del Rio, ma non ha partecipato al tavolo della siderurgia e nemmeno a quello tra i gruppi imprenditoriali interessati al salvataggio dell’Ilva. C’era, però, l’attuale commissario della Lucchini, Pietro Nardi, che è il possibile successore di Bondi anche se fresco di condanna a 8 anni e 6 mesi di reclusione per omicidio colposo plurimo da parte del Tribunale di Taranto in quanto insieme ad altri 28 ex dirigenti dell’Ilva come lui. 
Seduti, intorno a quel tavolo, c’erano anche i sindacati, il Gruppo Riva, i rappresentanti del colosso della siderurgia Arcelor Mittal e anche Antonio ed Emma Marcegaglia, presidente e vicepresidente di Marcegaglia spa che già un mese fa aveva dichiarato che sull’ipotesi di un salvataggio dell’Ilva, la società del presidente dell’Eni avrebbe potuto fare la sua parte. Al tavolo per la siderurgia, però, l’unico argomento ufficiale di discussione è stata l’implementazione nazionale dello Steel action plan europeo e il punto sulle principali vertenze aziendali. Fim, Fiom e Uilm hanno consegnato il documento finale dell’Assemblea nazionale delle Rsu svolta a Roma il 23 maggio scorso ribadendo la necessità di “un salto di qualità nelle politiche di settore che oggi è urgente compiere per salvaguardare un’industria strategica per il Paese”.
Insomma sulle ipotesi della “nuova Ilva” niente ufficiale. Ad ufficializzare il delicato momento dell’Ilva e l’oscuro futuro di Bondi, però, ci ha pensato il senatore Pd Massimo Mucchetti, presidente della commissione Industria al Senato, che dal suo blog ha fatto sapere che “sull’Ilva si sta giocando una partita opaca” perché i Riva, concorrenti privati dell’Ilva, non vogliono il rinnovo di Bondi. Proprio loro che lo avevano nominato amministratore delegato della società solo qualche mese prima della chiamata del governo. Proprio loro che “soldi sul tavolo non ne mettono” ha scritto l’ex vice direttore del Corriere della Sera che ha poi delineato il futuro dell’Ilva come uno “spezzatino”: l’Ilva di Novi e quella di Genova a disposizione dei privati e Taranto a Mittal che ne ridurrebbe la produzione a 5 milioni di tonnellate, tagliando l’occupazione”. Una possibilità, quindi, che ancora una volta colpirebbe i lavoratori di Taranto. (FQ)

AHAHAHHAHAHAHAHAHAA!!!

l'Ex-ministro in odore di peculato decide di svestire i panni di clown per prepararsi alla nuova grande impresa: il cantanapoletano spaccalacrime.
L'obiettivo?
Vincere Sanremo (dai domiciliari)!!!


Clini: "Accuse mi spaccano il cuore". E si autosospende da dirigente del ministero

 "Le accuse che mi sono state rivolte mi spaccano il cuore". L'ex ministro dell'Ambiente Corrado Clini, agli arresti domiciliari da lunedì scorso, affida la sua autodifesa a una lettera fatta pervenire ai mezzi di informazione tramite i suoi legali nel giorno dell'interrogatorio di garanzia a Ferrara. "Spero che - aggiunge - ancora una volta i fatti e i risultati del mio lavoro prevalgano sui pregiudizi e sull'ideologia".
La lettera di Clini. Nella missiva, una pagina firmata a penna, l'ex ministro rivendica il lavoro svolto in questi anni, respingendo ogni accusa: "Chiedete alle decine di imprese, dalle più grandi e più note alle più piccole, che hanno realizzato grazie al mio lavoro centinaia di progetti in Italia e nel mondo, con successo. Chiedetelo alle università e agli enti di ricerca in Italia, in Brasile, in Cina, in Iraq, negli Usa, nei Balcani, che hanno collaborato con me in tutti questi anni ed hanno realizzato progetti esemplari che sono un vanto per l'Italia. Chiedetelo anche ai lavoratori dell'Ilva di Taranto, e chiedetelo all'azienda. Chiedetelo ai lavoratori ed alle imprese di Piombino, di Porto Marghera, di Tor Viscosa, di Trieste. Chiedetelo alle centinaia di comuni, alle province, alle regioni con cui ho promosso e realizzato centinaia di progetti locali. Chiedete a tutti questi se sono corrotto".
Tra il 2004 e il 2011 - prosegue l'ex ministro - "ho svolto un'attività di supporto alla formazione" di una Ong impegnata in Iraq: attività per la quale "ho ricevuto la copertura delle spese ed un compenso (non ancora riscosso) finanziati con risorse diverse da quelle del ministero dell'Ambiente". E ancora: "Il mio lavoro è sempre stato finalizzato ad integrare sviluppo economico e protezione dell'ambiente, senza pregiudizi ideologici e vincoli politici, con procedure rapide e trasparenti". Un atteggiamento che "ha suscitato negli anni polemiche e iniziative contro di me, sostenute da chi specula sull'ambiente per convenienza politica con l'appoggio delle burocrazie che vivono di rendita sui ritardi e le opacità delle procedure".
L'autosospensione dal ministero. Il titolare dell'Ambiente Gian Luca Galletti ha reso intanto noto che Clini, accusato di peculato dalla procura di Ferrara e di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione da quella di Roma, ha "anticipato la sua decisione di autosospendersi" dall'incarico di dirigente del ministero dell'Ambiente "con una lettera arrivata ieri". "Quando ci sarà notificato l'atto da parte della magistratura - ha spiegato Galletti - procederemo alla sospensione. Abbiamo fiducia nella magistratura a cui abbiamo dato la massima collaborazione con trasparenza nell'interesse del ministero e dell'indagato, credendo possa aiutare a chiarire la situazione".
L'interrogatorio di garanzia. A Ferrara l'ex ministro dell'Ambiente, accompagnato dal suo avvocato Paolo Dell'Anno, è stato ascoltato dal gip Piera Tassoni nell'ambito dell'inchiesta sulla presunta distrazione di 3,4 milioni di euro, relativa a un finanziamento di 54 milioni destinati dal ministero dell'Ambiente a un progetto denominato New Eden, per la protezione dell'ambiente e delle risorse idriche, da realizzarsi in Iraq e finanziato con il sostegno internazionale.
"Abbiamo offerto al giudice elementi per poter fare valutazioni. Abbiamo prodotto dei documenti che dimostrano l'insussistenza dei reati contestati", ha dichiarato il legale al termine dell'interrogatorio. In aula anche il pm Nicola Proto che col collega Filippo Di Benedetto coordina l'inchiesta. Clini non ha risposto all'interrogatorio ma ha reso dichiarazioni spontanee.
Inchieste parallele. Oltre all'inchiesta di Ferrara, l'ex ministro nei giorni scorsi è stato investito da una nuova bufera giudiziaria a Roma: nel mirino, la gestione ministeriale di una gran massa di milioni utilizzati per finanziare progetti all'estero. E l'inchiesta della capitale, che marcia parallela a quella della procura di Ferrara, si allarga: oltre a presunte provviste realizzate tramite progetti per centinaia di milioni realizzati in Cina e Montenegro, nel mirino del pm Alberto Galanti ci sono anche i finanziamenti elargiti per piani ambientali in Africa e Sudamerica. La Guardia di finanza ha perquisito gli uffici di Clini e a Roma ha trovato documenti utili.
Cina e Montenegro sono al centro di progetti, rispettivamente per 200 e 14 milioni di euro, approvati nell'arco di più di un decennio e riguardano prevalentemente la riqualificazione ambientale di alcune aree. Il sospetto degli inquirenti è che dietro il finanziamento di questi progetti, ottenuti da imprese italiane, ci sia stato un giro di mazzette.
Oltre all'ex titolare del dicastero, nel registro degli indagati sono state iscritte altre 4-5 persone tra cui la moglie di Clini, Martina Hauser, ex moglie del ministro dell'Interno montenegrino Andrjia Jovivevic e assessore comunale a Cosenza. Il movimento 'Rivolta ideale', fondato dall'avvocato Michele Arnoni, ex segretario provinciale di Cosenza de La Destra, ha già chiesto le dimissioni della Hauser che ha le deleghe per la Sostenibilità ambientale e le energie rinnovabili, insieme alla programmazione e l'ottimizzazione dell'uso delle risorse idriche. Oggi a tornare alla carica è la Cgil locale che sollecita il sindaco Mario Occhiuto a valutare l'opportunità politica di ritirare le deleghe alla donna, esponente di giunta. (Rep)

Dacci (e continua a darci) i nostri SLOPPING quotidiani

Luciano Manna, Peacelink:

Slopping Acc1 Ilva Taranto 29.5.14



C'è bisogno ancora di prove?

Ilva, la Cassazione dice "no" al dissequestro di 100milioni di euro. «Riva Fire partecipò a truffa»

Rimangono ancora "bloccati" i 100 milioni di euro sequestrati lo scorso gennaio dalla guardia di Finanza di Milano nell'ambito della vicenda con al centro la presunta truffa ai danni dello stato per cui ora sono sotto processo Fabio Riva, imprenditore e figlio di Emilio, il patron dell'Ilva di Taranto morto di recente, con altre due persone e Riva Fire, la holding che controlla il gruppo siderurgico.
La Cassazione, come è emerso oggi in dibattimento, l'altro ieri ha infatti confermato i sequestri disposti dal gip su richiesta della Procura respingendo i due ricorsi presentati, uno a nome della Riva Fire e l'altro a nome di Emilio Riva, quando era ancora in vita. Il primo è stato ritenuto «infondato, al limite dell'inammisibilità», e il secondo «infondato». La somma sequestrata tramite i due decreti si ipotizza sia l'equivalente dei proventi della presunta truffa che sarebbe stata compiuta per ricevere indebitamente i contributi statali alle esportazioni.
Riva Fire «non solo non esercitò alcun controllo diretto a scongiurare la truffa ma partecipò attivamente al meccanismo fraudolento puntualmente descritto nel pregevole provvedimento» con cui il gip di Milano lo scorso gennaio ha disposto il sequestr
o per equivalente di beni per 100 milioni di euro alla holding della famiglia Riva che controlla l'Ilva di Taranto.
Lo ha scritto la seconda sezione penale della Corte di Cassazione, nella sentenza con cui è stato rigettato il ricorso presentato dai legali della Riva Fire contro il decreto di sequestro eseguito dalla Gdf nell'ambito del procedimento con al centro una presunta truffa ai danni dello Stato che sarebbe avvenuta tramite l'Ilva Sa, società svizzera creata ad hoc per aggirare la normativa (la "legge Ossola") sull'erogazione di contributi pubblici per le aziende che esportano all'estero.
I giudici, nel loro provvedimento, hanno definito il meccanismo «abbastanza raffinato nei suoi vari passaggi e nelle sue articolazioni internazionali, ma inevitabilmente "esposto" nello snodo fondamentale dell'intervento della Ilva Sa, troppo evidentemente identificabile come una costola svizzera della holding italiana, ma soprattutto come una società sostanzialmente "simulata", alla quale Riva Fire forniva però risorse organizzative reali».
E non solo. Per la Suprema Corte «Ilva Sa era indiscutibilmente una società 'fantasmà, un involucro societario costituito ad hoc per simulare un passaggio commerciale intermedio nella vendita dei prodotti Ilva spa all'acquirente finale estero, e per consentire in prima battuta alla Ilva spa, ma in definitiva al'intera holding guidata dalla Fire, di ottenere indebitamente le sovvenzioni pubbliche previste dalla Legge Ossola» (Quotidiano)

mercoledì 28 maggio 2014

La patata bollente

ILVA, SI TIRA FUORI ANCHE LA CDP

FINTECNA (CASSA DEPOSITI E PRESTITI), BASSANINI: “NON PRESO IN CONSIDERAZIONE INGRESSO IN ILVA”

Dopo le banche, è il turno della Cassa Depositi e Prestiti. “Non abbiamo preso in considerazione l’ingresso di Fintecna nel capitale dell’Ilva”. Lo ha precisato ieri il presidente di CDP in persona, Franco Bassanini, aggiungendo inoltre che ora Fintecna è passata sotto il controllo al 100% della Cassa e risponde “alle stesse regole sulla sicurezza degli investimenti: cioè può intervenire solo dove ci siano le condizioni, solo in società in condizioni di stabilità”. Esattamente l’opposto dell’Ilva Spa. Dunque sfuma, almeno per il momento, una delle tante ipotesi di salvataggio del siderurgico tarantino. Era l’autunno del 2012 quando su queste colonne (con un articolo intitolato “Riva, tra Brasile e Cassa Depositi” pubblicato il 21 novembre 2012) avanzammo l’ipotesi di un possibile intervento dello Stato, tramite la Cassa Depositi e Prestiti, per finanziare i lavori di risanamento degli impianti dell’area a caldo dell’Ilva previsti dalla nuova “AIA”, rilasciata nell’ottobre dello stesso anno dall’ex ministro dell’Ambiente di allora Corrado Clini. Un’ipotesi che su queste colonne abbiamo sempre presentato come pericolosissima, oltre che inattuabile, visto che si parla dei soldi dei cittadini italiani (oltre 230 miliardi di euro sono stati depositati da 24 milioni di cittadini italiani su un libretto di risparmio oppure investiti nei Buoni fruttiferi postali) e che porta dritti all’idea della nazionalizzazione del siderurgico, caldeggiata ancora oggi dai sindacati.

Tra l’altro, in molti avranno senz’altro dimenticato (o forse non l’hanno mai saputo) che l’intervento diretto della CDP ha rischiato di essere inserito nel testo della legge 89 del 4 agosto scorso, quella con la quale si stabilì il commissariamento dell’Ilva. Parliamo di un emendamento depositato nel corso della conversione in legge del decreto legge del 4 giugno, poi “stranamente” svanito nel nulla. Si trattava di un articolo aggiuntivo - il 2 bis - con il quale si disponeva che il commissario potesse richiedere al Fondo strategico italiano Spa, istituito presso la Cassa Depositi e Prestiti, “in caso di comprovata impossibilità di disporre delle risorse finanziarie della società proprietaria dello stabilimento di interesse strategico nazionale le somme necessarie all’esecuzione delle disposizioni previste dall’AIA. In cambio, come corrispettivo di queste somme sono conferite al Fondo quote azionarie della società proprietaria dello stabilimento che possono eventualmente essere riacquistate dalla società”. Del resto, anche se in forma diversa, è la stessa operazione che è stata varata con l’ultima legge sull’Ilva, la numero 6 del 6 febbraio 2014: il famoso aumento di capitale (l’unica vera strada per un eventuale, quanto improbabile, salvataggio dell’Ilva Spa) attraverso anche e soprattutto la cessione di quote azionarie della società ad investitori terzi interessati a subentrare alla gestione del siderurgico. Dunque, anche la CDP si sfila dal ginepraio in cui si è infilata la vicenda dell’Ilva. Il ragionamento fatto è lo stesso portato avanti da mesi dalle banche esposte finanziariamente per oltre un miliardo di euro nei confronti della società (Unicredit, Banca Intesa e Banco Popolare), che hanno dichiarato in tempi non sospetti di poter eventualmente finanziare il piano industriale 2014-2020, soltanto dopo aver ricevuto precise garanzie sul futuro della proprietà e sull’applicazione del piano ambientale. Investitori italiani ed esteri, a parte le solite boutade che ogni tanto arrivano dal mondo finanziario italiano, non ce ne sono.
E non ce ne saranno.
(Gianmario Leone TarantoOggi 28 05 2014)

Riva e Renzi, cronaca di un idillio annunciato?

Ilva, Riva: "Piano Bondi poco credibile. Pronti a investire, ma non da soli"

La famiglia Riva si era detta disponibile a discutere con il commissario del piano industriale, ma oggi Claudio Riva, in una intervista al Sole 24 Ore, traccia un quadro più chiaro della situazione, mettendo nero su bianco tutte le perplessità dei proprietari del siderurgico che, dice, perde 80 milioni di euro al mese. "Con noi guadagnava", sottolinea.
Il figlio di Emilio, morto ad aprile scorso, apre però al governo Renzi. "Con il governo Renzi in questi ultimi giorni è stato avviato un dialogo che con il governo Letta era totalmente mancato - spiega - per noi si tratta di un passo in avanti non irrilevante. Il primo obiettivo di questo governo, ci pare, è salvare l'Ilva. Insieme ad altri, sia come azionisti sia come gestori, con un piano industriale credibile, noi ci siamo".
Il piano industriale presentato dal commissario Enrico Bondi "è poco credibile sulle tecnologie e privo di solidità finanziaria", dice Riva. Parlando dell'aumento di capitale, "l'unica cosa sicura è che l'Ilva perde 80 milioni di euro al mese. Con noi, l'Ilva guadagnava. Non credo che nessun investitore metterebbe un euro in una società che brucia così tanta ricchezza. Prima in una impresa si tappa la voragine, e poi si mettono altri soldi. Non importa che sia o no commissariata", dichiara Riva, che sottolinea: "Per chiederci un impegno finanziario considerevole, le regole di ingaggio devono essere chiare. E non può che stabilirle il governo".
Nel frattempo, a Taranto, l'Unione sindacale di base (Usb) ha scritto a Bondi, chiedendo di sottoporre tutti i lavoratori del reparto carpenteria ex Pla1 dell'Ilva, dove una quindicina di lavoratori hanno contratto patologie tumorali e disfunzioni alla tiroide, a "immediati e urgenti accertamenti sanitari in strutture specializzate". La lettera è stata inviata anche al capo del personale e al responsabile delle relazioni istituzionali dell'Ilva, al medico di fabbrica, al direttore dell'Arpa Puglia, allo Spesal, e, per conoscenza, ai ministeri dell'Ambiente e della Salute, al presidente della Regione Puglia, al sindaco di Taranto e alla procura della Repubblica di Taranto.
L'Usb ricorda che "solo pochi giorni fa si è spento all'età di 39 anni Nicola Darcante, lavoratore dello stesso reparto, a cui fu diagnosticato a novembre un carcinoma alla tiroide metastatizzato. In queste ore - aggiunge il coordinatore provinciale Usb, Francesco Rizzo - ci giunge notizia di un altro lavoratore che presenta problemi alla tiroide". Il sindacato di base chiede che "venga immediatamente avviato uno studio epidemiologico trasparente affidato a strutture competenti e, inoltre, nel dubbio e fino ad esclusione del nesso di casualità, l'immediata evacuazione dei lavoratori dal reparto". (Rep)

Ora viene fuori tutto! Quando serviva agli interessi di Stato tutti zitti e sotto!

Il caso unico in Europa del ministro che voleva sabotare l’ambiente

La ricostruzione del consigliere diplomatico di quattro titolari del dicastero, da Rufolo a Spini

Essendo stato consigliere diplomatico di quattro ministri dell’Ambiente (Ruffolo, Ripa di Meana, Rutelli e Spini), ho dovuto accumulare nel tempo una purtroppo voluminosa “cartella clinica”.
La apro a caso ed estraggo un breve passaggio di un memorandum che il ministro d’allora mi chiese di scrivere: “I programmi di risposta ai cambi climatici in atto hanno il loro massimo punto di riferimento nell’IPCC, gruppo intergovernativo composto di centinaia di scienziati e patrocinato dall’Onu, che tenemmo a battesimo nel 1988 a Ginevra dove lavoravo allora (ricordo ancora le fatiche per ottenere i primi modesti fondi da Roma). La partecipazione dell’Italia è ora menomata da un episodio di lottizzazione imposta da Corrado Clini in nome della sua affinità partitica. Vennero accreditati all’IPCC due climatologi contraddistinti dalla dedizione al Psi piuttosto che da chiara fama scientifica: erano notoriamente scettici sulle conclusioni raggiunte dagli oltre 200 scienziati mondiali circa le minacce dell’effetto serra al clima globale. Mi sono dunque trovato a Washington, catapultato ai negoziati della Convenzione mondiale sul Clima, sotto la scorta dei due ‘esperti’, i quali si sono presentati la prima sera nella mia camera d’albergo per chiedermi conto della posizione negoziale italiana, da loro giudicata ‘allarmistica e incompatibile con gli interessi dell’economia italiana’”.
QUESTA SCENA degna del Padrino non era che uno dei tanti episodi di cui è costellata la carriera di Clini. Storiche le sue battaglie per ritardare l’introduzione in Italia della marmitta catalitica, battaglie combattute per conto della Fiat e destinate invece a regalare nuovi mercati alle auto tedesche.
Memorabile il suo tradimento nei riguardi dei quattro ministri progressisti (Ruffolo, Ripa di Meana, Rutelli e Spini) che l’avevano appoggiato malgrè tout: nel 1994, fiutato il vento, il Nostro offrì a Forza Italia un “programma ambientale” a uso degli Attila pronti a insediarsi al governo; e il 7 giugno 1994 sferrò sul Sole 24 Ore la pugnalata finale ai quattro ministri accusandoli di aver “gestito la Convenzione sul Clima solo come patente verde da esibire”.
Nessun ministro successivo è riuscito a disfarsi di Clini: né Edo Ronchi né Willer Bordon né tanto meno Mario Monti, che anzi dovette piegarsi ai voleri di chi glielo impose
addirittura come ministro. Caso unico in Europa di ministro nominato all’Ambiente per sabotarlo.

Giuseppe Cassini - Il fatto quotidiano 28 maggio 2014

lunedì 26 maggio 2014

Clining (finalmente un po' di pulizia!)

Ve lo ricordate il grande mattatore del Circo Clini che a Taranto mise su lo Spettacolo di Stato  per salvare i Riva e l'Ilva dalle responsabilità economiche e penali del disastro ambientale?
Oggi è in manette per miserabile peculato!

 Qualche suo pezzo tarantino di successo?
Beh, da Ministro dell'ambiente (e medico) fece dichiarazioni-macchietta sull'aumento delle patologie tumorali nel capoluogo jonico che strizzavano l'occhio alle tesi degli avvocati dell'acciaieria tarantina (tipo "tutta colpa dell'inquinamento vecchio...").
Fu tra i burocrati che chiusero tutti gli orifizi per consentire l'approvazione della prima AIA Ilva, scritta da dirigenti e ingegneri della stessa fabbrica ai tempi dell'altro grande circo Prestigiacomo e poi miseramente scoperta con tanto di avvisi di garanzia e rinvii a giudizio.
Nell'inchiesta Ambiente svenduto compare nelle intercettazioni telefoniche dell'ex responsabile per le relazioni con il pubblico Ilva, Girolamo Archinà descritto dallo stesso "come un amico".
A Taranto la notizia non stupisce, e ci fa piacere che l'Italia, qualche volta, si desti e scopra per caso quello che altri liberi cittadini (non solo tarantini) gridavano mentre la democrazia e i diritti venivano calpestati.
Godetevi questa caricatura del superClown con la maschera dello scienziato che interpreta i dati dello studio Sentieri in perfetto stile supercazzola (o alla Don abbondio, per i più colti) per avvalorare la seconda AIA, anche questa interpretata "con leggerezza" e tuttora in gran parte inapplicata grazie alle leggi salvailva e alla gestione mummificata di Bondi.
Da notare la "vicinanza" di Renzi a Clini nella trasmissione di Santoro... Che il circo continui!!


Corrado Clini arrestato per peculato. Ex ministro dell’Ambiente ai domiciliari


Corrado Clini, ex ministro dell’Ambiente del governo Monti, è stato arrestato per peculato. Con lui ai domiciliari è finito anche Augusto Calore Pretner, ingegnere padovano. Secondo l’ordinanza, emessa dal gip Piera Tassoni della procura di Ferrara, i due avrebbero sottratto 3 milioni e 400mila euro da un finanziamento ministeriale di 54 milioni destinato al progetto “New Eden”, volto alla protezione e preservazione dell’ambiente e delle risorse idriche, da realizzare in Iraq e finanziato con il sostegno internazionale.
Clini risultava indagato già dall’ottobre 2013 in qualità di direttore generale del ministero dell’Ambiente. Le indagini, condotte dalla Guardia di finanza di Ferrara, erano partite dall’individuazione di un flusso di false fatturazioni provenienti da una società cartiera con sede in Olanda, a favore della Med Ingegneria srl, studio ferrarese i cui vertici risultano indagati per una frode fiscale da un milione e mezzo di euro (per questi fatti a luglio la Procura iscrisse cinque persone nel registro degli indagati e sequestrò beni per 330mila euro).
Le fatture di Med Ingegneria facevano capo a due organizzazioni non governative con sede negli Stati Uniti, la Nature Iraq (cui partecipava lo Studio Galli Ingegneria di Padova di cui è socio Pretner) e Iraq Foundation. Sono le due ong che nel 2003 stipularono un accordo bilaterale con gli uffici del ministero dell’Ambiente, poi rinnovato nel 2008 per altri cinque anni. Obiettivi del programma di cooperazione erano il ripristino ambientale e il controllo dei fenomeni di piena e gestione integrata dei bacini idrografici del Tigri e dell’Eufrate. Di quella attività però il nucleo di polizia tributaria non ha trovato alcun riscontro. Per quel progetto le due ong chiesero 57 milioni all’Ambiente, ottenendone 54.
Tra settembre 2007 e gennaio 2011 parte di quelle somme finiscono in conti “direttamente riconducibili ai due arrestati”. A parlare di “grossi elementi probatori a carico” degli indagati è il procuratore capo di Ferrara, Bruno Cherchi che, assieme al colonnello delle Fiamme gialle Sergio Lancerin ricostruisce i passaggi di denaro attraverso tre continenti. Una parte dei soldi del ministero, incassati da Nature Iraq, venivano accreditati su un conto ad Amman in Giordania, per poi partire in direzione dell’Olanda, verso la società Gbc con fatturazioni per operazioni inesistenti.
Questa tratteneva una commissione del 5% per poi girarli nei paradisi fiscali delle Isole Vergini e dei Caraibi. Da qui il malloppo, decurtato di un altro 2%, ripartiva per la Svizzera per essere depositato “in conti correnti di prestanome direttamente riconducibili agli indagati”. Un vorticoso giro di denaro “provato senza ombra di dubbio” afferma Lancerin, che anticipa come “la Procura di Roma (che sta valutando anche altri fronti con il pm Galanti, ndr) sta operando numerosissime perquisizioni in tutto il Paese”, mentre le indagini della Finanza proseguono anche in altre direzioni. In particolare in Svizzera, dove si batte la pista del riciclaggio internazionale di denaro.
Corrado Clini, medico, è stato per venti anni – dal 1991 al 2011 – direttore generale del ministero ed è stato nominato ministro il 16 novembre 2011 nel governo guidato da Mario Monti. Dopo la guida del dicastero, è tornato a ricoprire l’incarico di direttore generale per lo Sviluppo sostenibile, il clima e l’energia sempre al dicastero di via Cristoforo Colombo. Per anni sempre in prima linea ai vertici internazionali, si è occupato di ambiente e di cambiamenti climatici, è stato anche chairman dell’European Environment and Health Committee, composto dall’Organizzazione mondiale della sanità e dai ministeri della Salute e dell’Ambiente di 51 paesi europei e centro asiatici.
Come ministro ha affrontato alcune questioni spinose come il caso Ilva, il naufragio della Costa Concordia e l’emergenza rifiuti a Roma. Clini è anche noto per le sue posizioni a favore del nucleare e, di un possibile ritorno in Italia ed è sempre stato favorevole agli ogm (organismi geneticamente modificati), due temi caldi, che ha sostenuto in vari ambiti anche appena nominato ministro, a ridosso dell’incidente di Fukushima in Giappone. Ad aprile 2012 ha presentato al Cipe il Piano nazionale di riduzione delle emissioni di anidride carbonica e, insieme con i ministri Corrado Passera e Mario Catania (Politiche Agricole), la riforma degli incentivi alle energie rinnovabili. (FQ)

L'ex ministro dell'Ambiente, Corrado Clini, e l'imprenditore Augusto Calore Pretner sono stati arrestati dalla Guardia di finanza con l'accusa di peculato in concorso: per entrambi sono stati disposti i domiciliari. L'operazione, condotta dal Nucleo di polizia tributaria di Ferrara, e' stata coordinata dalla procura della citta' emiliana. L'accusa nasce dall'ipotesi della distrazione di una somma di 3,4 milioni di euro, su un finanziamento di complessivi 54 milioni destinato dal ministero dell'Ambiente ad un "progetto volto alla protezione e preservazione dell'ambiente e delle risorse idriche, da realizzarsi in Iraq".
  L'inchiesta ha preso le mosse dall'individuazione di un flusso di false fatturazioni provenienti da una societa' olandese a favore di uno studio d'ingegneria ferrarese, Med Ingegneria Srl, aderente ad un consorzio, Nature Iraq - cui partecipavano lo Studio Galli Ingegneria Srl di Padova (di cui Pretner e' socio) e Iraq Foundation, con sede negli Stati Uniti - attivo nel progetto New Eden. Una prima fase delle indagini, che ha visto la collaborazione di Eurojust e della polizia tributaria olandese, si era conclusa lo scorso luglio con la contestazione, da parte delle Fiamme gialle ferraresi, di rilievi connessi all'utilizzo di fatture per operazioni inesistenti per 1,5 milioni di euro, con l'iscrizione di cinque indagati per frode fiscale e con il sequestro per equivalente di beni per 330.000 euro disposto dal gip del Tribunale di Ferrara su richiesta della Gdf.
  Gli investigatori, coordinati dal procuratore di Ferrara Bruno Cherchi, hanno accertato i trasferimenti di denaro sui conti svizzeri dei due arrestati - fra il settembre 2007 e il gennaio 2011 - di parte delle somme messe a disposizione di Nature Iraq dal ministero dell'Ambiente italiano per la realizzazione del progetto New Eden. I pagamenti, secondo le accuse, venivano effettuati in varie tranches tramite false fatturazioni emesse in prima battuta da societa' olandesi e in seguito da societa' caraibiche, che trattenevano una percentuale come loro compenso (tra il 2 e il 5%). I soldi, secondo quanto ricostruito dagli inquirenti - finivano poi nei conti svizzeri per Clini e Pretner. (AGI).

Uno Stato sotto scacco della famiglia Riva (plurinquisita)


Siamo allo scambio di letterine di buoni propositi...
Miseria nazionale.


Ilva, Riva risponde a Bondi: disponibili ad esaminare piano per Taranto



Il gruppo Riva è disponibile ad esaminare e approfondire il piano industriale e ambientale per la riconversione dello stabilimento siderurgico di Taranto predisposto dal commissario straordinario, Enrico Bondi.
"Oggi, come già annunciato da Claudio Riva venerdì scorso, è stata inviata la lettera di risposta del gruppo in cui si sottolinea la disponibilità a proseguire nell'approfondimento e nell'analisi del piano", dice a Reuters una fonte vicina al gruppo.
Venerdì scorso, a Milano, si è svolto un incontro fra Claudio e il cugino Cesare Riva, passati alla guida del gruppo dopo la morte di Emilio Riva, con Bondi proprio per discutere di questo piano particolarmente complesso.
Al termine del faccia a faccia, Claudio Riva disse che: "Il futuro è sicuramente molto complicato. Spero che ci sia un futuro per l'Italia siderurgica. Senza Taranto, senza lo stabilimento, senza un futuro per l'Ilva penso che ci sia poco futuro per l'Italia".
Il piano di Bondi, in scadenza come commissario per l'Ilva di Taranto il prossimo 4 giugno, prevede di riconvertire lo stabilimento tarantino - al centro di un'inchiesta per disastro ambientale che nell'estate 2012 ha portato al sequestro dell'area a caldo dello stabilimento - alla produzione del preridotto, che comporta un maggiore utilizzo del gas naturale rispetto alle cokerie. Per portare avanti questo progetto occorre, però, un impegno finanziario di oltre 4 miliardi di euro.
Il piano - fortemente osteggiato dal presidente di Federacciai, Antonio Gozzi, perché farebbe aumentare notevolmente i costi per il suo massiccio utilizzo del gas - per essere implementato ha bisogno di un aumento di capitale e questa potrebbe essere l'occasione affinché alcuni imprenditori siderurgici si facciano avanti. E i pretendenti sembrano non mancare: dal gruppo Arvedi, alla disponibilità già espressa da Marcegaglia e da Arcelor-Mittal.

venerdì 23 maggio 2014

Collezionisti di condanne!

Morti d'amianto all'Ilva, 27 condanne. "Fibre killer ancora nello stabilimento".

Riva: "Lunedì diremo cosa sarà della fabbrica"

Lunedì si conoscerà il futuro dell'Ilva, dopo l'incontro di Milano tra il commissario Bondi e la famiglia Riva. Ma oggi a Taranto il tribunale ha condannato 27 ex dirigenti dell'Ilva (una assoluzione) per le morti causate dall'amianto e dalle altre sostanze canCcerogene provenienti dallo stabilimento siderurgico. Le pene più alte sono state inflitte agli ex manager della vecchia Italsider pubblica alla quale subentrò il gruppo Riva. Tra questi, Giovanbattista Spallanzani, condannato a 9 anni.
Il giudice della II sezione penale del tribunale di Taranto Simone Orazio ha condannato in primo grado a complessivi 189 anni di carcere gli  imputati per disastro ambientale ed omicidio colposo. Le condanne vanno dai 4 ai 9 anni e mezzo, e hanno colpito gli ex manager e i direttori generali dello stabilimento siderurgico sia dell'era di gestione pubblica sia di quella privata (il gruppo riva acquistò l'acciaieria dallo Stato nel 1995). La pena più alta, 9 anni e mezzo, è andata al manager dell'era pubblica Sergio Noce, 9 anni al suo collega Spallanzani e 9 anni e 2 mesi ad Attilio Angelini, accusati di disastro ambientale e ventuno omicidi colposi, per la morte per mesiotelioma di operai venuti in contatto con fibre di amianto. Ad otto anni e mezzo sono stati condannati Pietro Nardi e Giorgio Zappa, ex dg di Finmeccanica. Fra gli imputati c'era anche il patron Emilio, morto il 30 aprile scorso, suo figlio Fabio Riva e l'ex direttore dello stabilimento di Taranto Luigi Capogrosso, entrambi condannati a sei anni di reclusione (e indagati nel procedimento per disastro ambientale in corso).
Secondo l'accusa l'amianto fu usato in maniera massiccia nello stabilimento siderurgico di Taranto, il più grande d'Europa, ed è ancora oggi la sostanza killer presente in alcuni impianti Ilva. Nel corso degli anni gli operai non furono formati ed informati sui rischi dell'amianto, non ricevettero sufficienti visite mediche e tutele per la loro salute entrando in contatto con la pericolosa sostanza che in molti caso ha causato malattie e morte. Il giudice ha stabilito una provvisionale nei confronti dell'Inail di circa 3,5 milioni di euro. "Un atto d'accusa durissimo anche per la politica - è il commento del leader dei Verdi, Angelo Bonelli - per una classe politica omissiva e silente".
 

La notizia arriva poco dopo il termine dell'incontro milanese nella sede del siderurgico. "Senza un futuro per l'Ilva penso ci sia poco futuro per l'Italia nella siderurgia". Lo dice Claudio Riva, uno dei figli di Emilio Riva il 're dell'acciaio' scomparso di recente. Sul tavolo, il piano industriale e ambientale dello stabilimento. "Lunedì prossimo faremo avere al commissario la nostra posizione - ha detto - sicuramente è molto complicato". Riva ha definito la riunione, "interessante e civile". Ma non nasconde le difficoltà. Con il commissario "ci siamo scambiati le reciproche informazioni" ha aggiunto Riva lasciando la sede milanese dell'azienda insieme al cugino Cesare e a una delegazione di legali e consulenti (poco dopo è stato visto uscire anche l'avvocato Giuseppe Lombardi, che nella vicenda segue il commissario Bondi). "La famiglia è molto unita, ci vogliamo molto bene - ha aggiunto - ma il gruppo Riva è un gruppo industriale e di questa vicenda se ne occupa il gruppo e non la famiglia".
La situazione non è facile. E' "drammatica" e "il tempo è scaduto". Il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini, chiede al governo "di discutere nei prossimi giorni cosa succede nello stabilimento" e di prendere in considerazione l'ipotesi di "forme di esproprio". "Non è una posizione ideologica a favore di un ritorno alla proprietà pubblica - ha precisato Landini, aprendo i lavori dell'assemblea nazionale Rsu Fim, Fiom, Uilm sulla siderurgia - ma possiamo pensare ad un intervento diretto, anche transitorio, dello Stato".
Dopo quelle dei giorni scorsi sollevate dal governatore Nichi Vendola che ha scritto al premier Matteo Renzi, inoltre, una nuova polemica oggi investe il commissario Bondi. Duro il direttore dell'agenzia regionale per l'Ambiente della Regione: "Il commissario mente sui dati dell'Arpa, non abbiamo mai sostenuto che non ci sia un legame tra inquinamento e morti come invece sostiene in una sua relazione". Sotto accusa le parole del commissario che nei giorni scorsi, all'interno di un suo documento aveva negato sia la presenza di veleni a Taranto sia l'esistenza di un nesso causale fra l'inquinamento e l'incidenza dei tumori nello stabilimento.
Assennato in una nota definisce "destituita di fondamento l'affermazione contenuta nel rapporto del dottor Bondi secondo cui Arpa avrebbe escluso ogni nesso causale tra esposizione lavorativa e incidenza di tumori nei lavoratori del reparto officina/carpeteria dell'Ilva. Ciò sia perché Arpa non ha alcuna competenza in merito e non ha avuto comunque richieste specifiche di supporto sul problema, sia perché comunque il monitoraggio ambientale effettuato non può considerarsi adeguato ed esaustivo rispetto al problema". Secondo Assennato, in effetti, rispetto all'incidenza dei tumori sarebbe necessario uno studio epidemiologico rigoroso della durata di almeno un anno e, pertanto, si spinge a ribadire che "le conclusioni del commissario Bondi che escludono  il nesso causale tra esposizione dei lavoratori e incidenza di tumori, essendo basate su evidenze non documentate, devono essere considerate  puramente autoreferenziali". 
(Rep)


Nella fabbrica in cui lavoravano a contatto con l'amianto hanno trovato la morte. Per 28 operai dell'Ilva (31 i casi esaminati) il giudice monocratico di Taranto, Simone Orazio, ha riconosciuto il nesso di causalità tra il decesso e l'esposizione al pericoloso cancerogeno. In un arco temporale che abbraccia quasi quarant'anni, i lavoratori hanno dunque inalato le micidiali fibre dell'asbesto, contraendo il mesotelioma pleurico.
    Sono 27, invece, gli ex dirigenti dell'Italsider pubblica e dell'Ilva privata condannati per disastro ambientale e omicidio colposo plurimo a pene comprese tra i 9 anni e mezzo e i 4 anni di carcere. Nel corso del dibattimento, durato due anni, sono state ascoltate decine di testimoni che hanno descritto le condizioni in cui si svolgevano le attività industriali nel siderurgico tarantino. Sono stati interrogati lavoratori, medici e tecnici, acquisiti fascicoli e atti per decine di migliaia di pagine. La pena più alta, 9 anni e mezzo di reclusione, è stata inflitta a all'ex direttore dell'Italsider Sergio Noce, di San Michele di Pagana (Genova). A seguire 9 anni e due mesi ad Attilio Angelini, 9 anni a Giambattista Spallanzani e Girolamo Morsillo, 8 anni e sei mesi a Giovanni Gambardella, Giovanni Gillerio, Massimo Consolini, Aldo Bolognini e Piero Nardi.
    Quest'ultimo, commissario straordinario di Lucchini Piombino, è indicato tra i manager in lizza per sostituire Enrico Bondi al timone dell'Ilva. Ha avuto 8 anni di reclusione Giorgio Zappa, ex direttore generale di Finmeccanica, mentre è stato dichiarato il non doversi procedere per l'ex patron dell'Ilva Emilio Riva, morto il 30 aprile scorso. Suo figlio Fabio Riva e l'ex direttore dello stabilimento di Taranto Luigi Capogrosso sono stati condannati a 6 anni. La sentenza è arrivata mentre a Milano Claudio Riva incontrava il commissario straordinario dell'Ilva, Enrico Bondi sul piano industriale e ambientale dello stabilimento tarantino.
    ''Lunedì prossimo faremo avere al commissario la nostra posizione'', ha detto Claudio Riva che ha aggiunto: ''senza un futuro per l'Ilva penso ci sia poco futuro per l'Italia nella siderurgia''. E intanto il ministro dell'Ambiente Gian Luca Galletti ha assicurato che il governo "ha le idee chiare e abbiamo già approvato il piano ambientale: faremo di tutto per portarlo a termine". ''Questa - ha intanto commentato il procuratore di Taranto Franco Sebastio - non è una sentenza storica: io non uso slogan giornalistici. Pur ribadendo che è solo una sentenza di primo grado e che in Italia vige la presunzione di non colpevolezza fino a sentenza definitiva, dobbiamo riconoscere che questa sentenza stabilisce quantomeno che la procura non ha commesso errori nella costruzione delle indagini''. ''La magistratura - secondo il presidente di Peacelink Taranto Alessandro Marescotti - ha affermato il principio di legalità in fabbrica. Vincono le ragioni delle tante vittime.
    Perdono gli inquinatori e i loro complici''. I lavoratori, secondo l'accusa, non sarebbero stati adeguatamente informati sui rischi della sostanza cancerogena e non avrebbero ricevuto le necessarie tutele. Ora a Taranto (l'udienza preliminare inizia il 19 giugno) si sta per aprire un altro maxiprocesso per disastro ambientale, omicidi colposi, omissione di cautele contro gli infortuni, concussione e corruzione, che vede coinvolti, oltre ai Riva e ad altri dirigenti, anche rappresentanti politici come il presidente della Regione Puglia Nichi Vendola e il sindaco di Taranto Ippazio Stefàno, assessori e funzionari regionali. Per definire il sistema di potere dell'Ilva, gli inquirenti hanno chiamato l'inchiesta 'Environment Sold Out' (Ambiente svenduto). (ANSA)

giovedì 22 maggio 2014

L'ilva non si può chudere. Taranto si

Federacciai boccia la gestione Bondi all'Ilva. E lancia l'allarme: «L'azienda sta per fallire»

Dopo un anno di gestione commissariale di Ilva, il bilancio di Federacciai sulla cura Bondi è nettamente negativo. «Bastava avere l'umiltà di comprendere una verità semplice - ha detto il presidente Antonio Gozzi davanti alla platea degli associati -: senza una proprietà e una governance normale nessuna impresa è capace di generare le risorse necessarie per gli interventi ambientali e per il rilancio produttivo».
Per Gozzi, Bondi è un «commissario che conosce poco la siderurgia». Federacciai lancia l'allarme: Ilva sta per fallire. In un anno la produzione è crollata, l'azienda «perde tra i 60 e i 70 milioni al mese, la sua condotta commerciale ha distrutto capitale circolante per oltre un miliardo e provocato gravi perturbazioni sul mercato». Secondo il giudizio di Gozzi «invece di proporre improbabili piani industriali su alcuni presupposti economicamente discutibili come quello del preridotto», Bondi «avrebbe dovuto occuparsi di ricostruire rapidamente la normalità della gestione aziendale, cercando di mettere insieme una compagine societaria credibile e capace, a cui affidare la stesura del piano industriale e il reperimento delle risorse finanziarie». Per Federacciai ora occorre voltare pagina. «La ricostruzione di un'ipotesi credibile sia dal punto di vista industriale che finanziario», coinvolgendo la famiglia Riva, «richiederà tempo e nella transizione ci sarà bisogno dello Stato per accompagnare il processo - ha concluso Gozzi -. Le prossime settimane saranno cruciali».
Un appello al mondo della siderurgia, perché contribuisca ad alimentare una nuova fase per Ilva. Il viceministro Claudio De Vincenti ha difeso, ieri durante l'assemblea di Federacciai, la scelta commissariale del Governo Letta per gli impianti di Taranto. Sottolineando però, in parallelo, la necessità di aprire, d'accordo con le sollecitazioni del presidente dei siderurgici Antonio Gozzi, una nuova fase. «Con il Governo Letta siamo partiti da un presupposto - ha detto il viceministro -: impedire che Ilva chiudesse, a tutela dell'acciaio italiano. Se oggi possiamo ragionare su un futuro, su una nuova compagine azionaria, è perché Ilva è stata salvata un anno fa». Per De Vincenti ora bisogna affrontare un piano industriale che garantisca competitività e «lavorare al futuro di Ilva. È essenziale il rapporto con il mondo della siderurgia italiano - ha detto il viceministro -. È giusto, a questo punto, chiedere a voi imprenditori di entrare in campo e di giocare questa partita fino in fondo». (Sole24h)

Secondo round

Ilva, tumori e malattie: la procura di Taranto apre una nuova inchiesta





Alla vigilia della sentenza per i lavoratori dell'Ilva morti per l'esposizione all'amianto - sono 15 i casi al centro del processo e il verdetto è atteso per domani - la Procura della Repubblica di Taranto apre una nuova inchiesta sulle malattie che potrebbero essere state provocate dall'inquinamento del siderurgico.
A finire sotto la lente della Procura, che ha acquisito alcune relazioni dello Spesal, il servizio di prevenzione dell'Asl, è adesso il reparto di carpenteria dello stabilimento. Qui, secondo le segnalazioni fatte da lavoratori e dalla Fiom Cgil, si sarebbero verificati casi di malattie alla tiroide e di tumore con alcuni decessi.
L'ultimo dei quali è avvenuto nei giorni scorsi: si tratta di Nicola Darcante, operaio tarantino, che si era ammalato di tumore a novembre scorso. Per il reparto carpenteria dell'Ilva, al centro della nuova indagine, sono due le relazioni del Servizio prevenzione e sicurezza degli ambienti di lavoro (Spesal) dell'Asl consegnate al procuratore Franco Sebastio. La prima relazione risale a gennaio scorso, la seconda, invece, è di due giorni fa e conterrebbe nuovi elementi che hanno portato all'avvio di indagini della Procura. Si occupa dell'inchiesta sul reparto carpenteria il sostituto procuratore Antonella De Luca della sezione specializzata sugli infortuni sul lavoro. Dovranno essere fatti degli accertamenti medico-scientifici per capire se esista o meno un nesso tra i casi di tumore e di disfunzioni alla tiroide e il lavoro all'interno del reparto carpenteria Ilva.
Una situazione che è anche citata dal commissario dell'Ilva, Enrico Bondi, nella relazione sull'andamento dell'azienda nel primo trimestre 2014 resa nota martedì scorso. Sul punto specifico Bondi afferma che relativamente alla "mansione di carpentiere e vetroresinatore ed il carcinoma tiroideo presso l'area carpenteria, si è immediatamente provveduto ad effettuare - con gli enti sociali competenti, con il Politecnico di Torino e con ditte terze specializzate - i monitoraggi ambientali presso l'area oggetto". Bondi dice che gli "esiti negativi in tal senso sono stati divulgati, da ultimo, anche dagli organismi di controllo (Arpa e Asl) intervenuti sempre su richiesta delle organizzazioni sindacali". Per il commissario dell'Ilva, quindi, "l'esito delle indagini, allo stato attuale, esclude un'esposizione dei lavoratori agli agenti inquinanti". (Rep)

martedì 20 maggio 2014

Cassandra: XXI secolo

Necessari forti investimenti sugli stili di vita dei cittadini: igienisti a confronto


 "L’allungamento della vita media, ma anche la prevalenza delle malattie croniche degenerative su quelle infettive, rende chiara l’esigenza di puntare oggi su forti investimenti che riguardino gli stili di vita dei cittadini. Altrettanto importanti sono poi gli screening precoci che riguardino gruppi a rischio e i cosiddetti screening 'evidence based'. In altre parole, oggi più che mai è cruciale che le politiche sanitarie siano orientate alla prevenzione". La professoressa Maria Triassi, direttore del Dipartimento di Salute Pubblica della Federico II, ha introdotto così le due giornate della Società Italiana di Igiene e Medicina Preventiva (S.It.I). Organizzato a Capri proprio dal Collegio degli Operatori della S.It.I. e dal dipartimento di Sanità Pubblica dell’Università di Napoli Federico II, l’appuntamento è servito a determinare le linee programmatiche necessarie ad adeguare la sanità pubblica al momento storico del paese. I lavori sono stati inaugurati dal presidente nazionale della S.It.I. Michele Conversano. «Uno dei temi cruciali che è stato affrontato a Capri è quello che riguarda il rapporto salute e ambiente - afferma Conversano -. Negli anni passati, a seguito di referendum, si sono separate le competenze in tema ambientale da quelle sulla salute. In quell’occasione, evidentemente, non si pensò troppo agli effetti che una decisione del genere avrebbe potuto produrre; la Campania la Puglia sono due casi lampanti. Noi abbiamo sempre continuato a lavorare su questo stretto legame, abbiamo denunciato ciò che stava accadendo, ma siamo stati poco o nulla. Chi prendeva le decisioni non ha mai ascoltato la parte sanitaria, salvo poi chiamarci in causa quando è scoppiata l’emergenza. Per il futuro sarebbe auspicabile una stretta collaborazione tra le Agenzie di protezione ambientale e i Dipartimenti di prevenzione, servirebbe un flusso costante e bidirezionale di dati; e ovviamente un impegno ancora maggiore per screening oncologici e sistemi di sorveglianza cardiovascolare e respiratoria». "Le politiche ambientali italiane - ha affermato il professor Carlo Signorelli, ordinario di Igiene all'Università di Parma - sono state fallimentari negli ultimi 20 anni: ideologie, pregiudizi, azioni non coordinate tra ambiente, sanità e imprese. E i risultati sono noti a tutti: oltre ai casi eclatanti abbiamo infrastrutture idriche obsolete, molte falde acquifere inquinate, 15mila discariche illegali, obiettivi nella gestione dei rifiuti largamente disattesi. E non a caso l'ultimo rapporto OCSE-ambiente del 2013 boccia l'Italia sottolineando come manchino le sinergie tra obiettivi economici, ambientali e sociali". «L’incontro – aggiunge la Triassi – ha sviluppato un dibattito scientifico e culturale tra gli igienisti a livello nazionale su alcuni importanti focus della sanità del nostro tempo». In particolare si è discusso del nuovo piano nazionale della Prevenzione e dei relativi piani attuativi regionali. Argomento che è stato trattato nel corso di una tavola rotonda in cui si sono confrontati docenti universitari e operatori dei dipartimenti di prevenzione delle direzioni ospedaliere e dei distretti sanitari. E ancora, si è discusso di ambiente e salute. Sono state, infine, analizzate e proposte nuove metodologie per la costruzione di modelli epidemiologici per la valutazione del rischio ambientale, portando come esempi pratici i casi “Terra dei Fuochi” e “Ilva di Taranto”. L’analisi degli esperti si è concentrata anche su piano di formazione per gli igienisti, sull’adeguamento dei controlli ambientali e della la rete di garanzie per la sicurezza alimentare.(Positanonews)

lunedì 19 maggio 2014

Battaglia di perizie

Ilva, donna morta di leucemia. Eredi citano azienda

Il marito e i due figli di Giuseppina Smaltini, una donna tarantina morta di leucemia il 21 dicembre 2012 (del caso si è occupata anche la Corte di Strasburgo) hanno citato l’Ilva a comparire dinnanzi al Tribunale Civile di Taranto.
I familiari della vittima sostengono che la malattia sia stata causata dalle emissioni prodotte dal Siderurgico. Il giudice Pietro Genoviva, titolare della causa nonché presidente della sezione civile del Tribunale, ha nominato come Ctu (Consultente tecnico d'ufficio) il prof. Franco Silvestris, Primario del Reparto di Clinica Oncologica dell’Università di Bari, affinché «verifichi se sussiste il nesso causale fra le immissioni nocive nell’aria di Taranto e il decesso della signora Smaltini».
Gli eredi hanno nominato, quale proprio consulente di parte, il dott. Patrizio Mazza, Primario del Reparto Ematologico del San Giuseppe Moscati di Taranto, mentre l’Ilva ha nominato il Prof. Leonardo Soleo, Ordinario di Medicina del Lavoro, anch’egli dell’Università di Bari.
Le operazioni peritali hanno avuto inizio e il consulente dell’Ilva ha già presentato le proprie conclusioni. In una nota Elisa Delillo, figlia di Giuseppina Smaltini, fa presente che «il prof. Mazza conosce bene la situazione sanitaria a Taranto e ha potuto assistere a centinaia di morti a causa delle leucemie. Solo negli ultimi 3 anni vi sono stati oltre 500 decessi per malattie ematologiche. Un dato agghiacciante che non può escludere un nesso di causalità con le emissioni prodotte dall’Ilva».
La famiglia della signora Smaltini si augura «che il prof. Silvestris possa fare luce su una vicenda che ormai dilania l’esistenza di migliaia di famiglie tarantine». (GdM)

I Riva? Cittadini modello!

Riva: rinvio al 7 luglio inizio processo su frode fiscale 52 mln

L'accusa nei confronti degli imputati e' di aver violato l'articolo 3 della legge 74/2000, che punisce (da 18 mesi a 6 anni) chi, al fine di evadere le imposte sui redditi, sulla base di una falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie e avvalendosi di mezzi fraudolenti idonei a ostacolarne l'accertamento, indica elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo o elementi passivi fittizi. In questo caso, l'accusa e' di aver "creato" elementi passivi fittizi per poter poi pagare meno tasse. Nel dettaglio, per l'accusa, "al fine di evadere le imposte sui redditi, sulla base di una falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie e avvalendosi di mezzi fraudolenti idonei a ostacolarne l'accertamento (consistenti nella contabilizzazione di un'operazione apparentemente aleatoria ma in realta' artatamente programmata per realizzare 'sicure' perdite 'fittizie' in Italia)", gli imputati "ponevano in essere una complessa operazione di finanza strutturata, all'unico scopo di consentire alla consolidata Ilva spa l'abbattimento del reddito (modello UNICO 2008), mediante l'utilizzazione di elementi passivi fittizi per 158.979.433 euro e conseguentemente per la consolidante Riva Fire spa (modello CNM 2008), una pari riduzione della base imponibile e un'evasione di imposta Ires pari a 52.463.213 euro", come riportato nel capo di imputazione. Per la procura di Milano, sarebbe quindi stata "organizzata e pianificata un'articolata serie di contratti, tutti economicamente collegati tra loro, cui partecipavano i seguenti soggetti economici: la societa' consolidata Ilva spa di Milano, la tedesca Ilva FinanzBeteiligungen Gmbh (acquistata solo l'8 maggio 2007, pochi giorni prima del closing dell'operazione) e la portoghese Taggia X Consultadoria economica e partecipacoes, Unipessoal Lda di Madeira (partecipata dal gruppo Deutsche, ma di fatto sottoposta all'influenza dominante della Ilva), che prevedeva nel contempo sia la strutturazione di derivati, sia l'esistenza di investimenti finanziari, all'esito dei quali (i contratti prevedevano una scadenza contestuale a fine esercizio), si realizzata l'effetto di dislocare utili del gruppo Riva sulla societa' portoghese e contabilizzare altrettante perdite nei bilanci della italiana Ilva di Milano". In pratica, secondo la procura di Milano, non si intaccavano gli utili del gruppo, ma utili fatti in Italia venivano spostati all'estero, per sfruttare un regime fiscale piu' favorevole, si creavano cosi' perdite in Italia per pagare meno tasse nel nostro Paese. Il risparmio fiscale per il gruppo, grazie a queste operazioni datate 2007 per essere dichiarate nel 2008, sarebbe stato appunto di poco piu' di 52 milioni di euro. (Borsaitaliana)

Ilva, frode da 100 milioni il Ministero arriva tardi. Il giudice: no parte civile

Il ministero dello Sviluppo economico è parte civile, solo per quanto riguarda le persone fisiche, nel processo milanese a carico di Fabio Riva, di altre due persone e della società Riva Fire, la holding che controlla l'Ilva di Taranto, con al centro una presunta truffa allo Stato da cento milioni di euro.
Lo ha stabilito il giudice della terza sezione penale del Tribunale di Milano, che ha accolto la richiesta dei legali del ministero. Respinta, invece, l’istanza di costituzione come parte civile di Simest, società controllata dalla Cassa depositi e prestiti, e del ministero dello Sviluppo economico per quanto riguarda le società in quanto “le domande sono state presentate in maniera tardiva”. No anche alla citazione della società Riva Fire come responsabile civile.
Secondo l’accusa, sarebbe stata creata una società ad hoc, l’Ilva Sa, per aggirare la normativa sull'erogazione di contributi pubblici per le aziende che esportano all’estero. (GdM)

Rumori nel pollaio

Puglia, Galletti: “Stiamo monitorando situazioni Ilva e rifiuti” 


Il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti, che oggi si trova in Puglia per una serie di incontri, è intervenuto anche sulla questione dei rifiuti interrati in Salento.
“Noi stiamo monitorando il problema dell’interramento dei rifiuti, sappiamo che ci sono cinque siti nelle varie zone già individuati, terremo sotto controllo la situazione, c’è la massima attenzione da parte del governo”. Galletti ha espresso preoccupazione anche per la situazione dell’Ilva. “Fra i primi atti che ho fatto come ministro per l’Ambiente c’è stata l’approvazione del piano ambientale dell’Ilva, che è il primo passo per l’approvazione del piano industriale”, ha detto. “Prima si dice che cosa bisogna fare per la salvaguardia dell’ambiente e quanto costa fare quegli interventi. E su questo si costruisce un piano industriale che tiene conto degli investimenti ambientali e degli investimenti anche dal punto di vista produttivo che bisogna fare per rilanciare l’azienda. E’ quello che stiamo provando a fare e questa è una grande sfida per l’Italia. Se noi dimostriamo che da uno scempio ambientale come quello che è stato l’Ilva, noi riusciamo a ricostruire un’impresa che tiene l’occupazione, credo che daremo un ottimo esempio e faremo scuola con l’Ilva. Certo l’impresa è molto difficile e molto lunga, ma ci stiamo provando”. (Puglia24)

Visti dagli altri

Ve lo ricordate l'articolo-inchiesta sull'Ilva, Taranto e i Tamburi pubblicato dal quotidiano spagnolo su El Pais il 10 maggio? (Lo trovate qui)
A distanza di pochi giorni la rivista italiana Internazionale che traduce lo ha tradotto nella sua sezione dedicata all'Italia "vista dagli altri" paesi.
Eccolo. Ora (per i non ispanofoni), finalmente, buona lettura!!!