venerdì 31 agosto 2012

Più potere sui servizi pubblici?

Regione Puglia

Consiglio regionale della PugliaRafforzamento delle pubbliche funzioni nell'organizzazione e nel governo dei Servizi pubblici locali

Anno: 2012
Numero: 24
Data: 20/08/2012
Materia: Territorio - Ambiente - Inquinamento
Titolo:Rafforzamento delle pubbliche funzioni nell'organizzazione e nel governo dei Servizi pubblici locali
Note: Pubblicata nel B.U.R. Puglia del 24 agosto 2012, n. 123
Allegati:Allegato 2 LR 24-2012.pdf;


Per il testo della Legge qui.

giovedì 30 agosto 2012

10 elevato a millle!

Al quartiere Tamburi le polveri sottili hanno superato per l'ennesima volta i limiti di legge

Pm10 alle stelle, l’Arpa: sono i parchi dell’Ilva

I dati rilevati dalle centraline di monitoraggio sono stati inviati in Procura

“Una situazione di criticità ambientale”  viene definita in una relazione dell’Arpa quella che si è verificata lunedì ai Tamburi, il quartiere più inquinanto di Taranto. Per le statistiche, si è registrato il 36° sforamento dei limiti di legge giornalieri del PM10. Da quanto rilevato dalle centraline di monitoraggio dell’aria di via Archimede e via Machiavelli, il vento di maestrale che ha soffiato forte ha portato nel quartiere più vicino alla zona industriale folate di polveri provenienti, da quanto riscontrato dall’Arpa, dai parchi minerali del siderurgico finiti sotto sequestro per inquinamento con l’intera area a caldo.
Nella relazione tecnica, viene evidenziato che le polveri provengono dalla zona industriale, in particolare dall’Ilva. «Risulta evidente che l’area maggiormente interessata al trasporto operato dal vento è quella dei parchi minerali Ilva ubicata a nord ovest rispetto al quartiere Tamburi ». Per gli altri inquinanti misurati dalle centraline, invece, non si sono registrati valori oltre i limiti di legge.
«L’ARPA conosce perfettamente il fenomeno – si legge sul sito della stessa Agenzia – e lo ha relazionato più volte, a tutti i soggetti interessati e in tutte le sedi. E’ causato dal trasporto delle polveri – stoccate nei parchi minerali Ilva verso la città da parte del vento, che il 27 agosto scorso aveva direzione dal settore nord-ovest e velocità piuttosto sostenuta».
L’Agenzia ricorda di avere «espresso più volte il proprio parere sulle possibili soluzioni, e in passato ha comunicato riserve sulla soluzione proposta da Ilva e inclusa nel pregresso provvedimento di Autorizzazione Integrata Ambientale, ovvero il barrieramento, mentre anche di recente l’Agenzia ha riproposto, nell’ambito dell’attuale procedimento di riesame dell’AIA, la soluzione della copertura dei parchi ritenendo che sia quella più efficace».
Inoltre, l’Arpa fa sapere di aver inoltrato “le opportune comunicazioni ai referenti degli impianti industriali interessati da attività pertinenti la problematica in esame, chiedendo di mettere in atto tutte le misure idonee a limitare la polverosità diffusa dai propri parchi minerali”. L’Agenzia, infine,  «provvederà a trasmettere a tutti i soggetti interessati, oltre che alla Procura, i dati finora raccolti, insieme alle risultanze degli ulteriori accertamenti tecnici che saranno realizzati».
Sul superamento dei limiti delle polveri sottili, interviene il presidente di PeaceLink Alessandro Marescotti. «Il dato smentisce l’ottimistica teoria della Regione in base alla quale la situazione ambientale a Taranto sarebbe in via di miglioramento». Sostiene Marescotti che su quanto accaduto ha scritto all’assessore regionale all’ambiente Lorenzo Nicastro e all’Arpa chiedendo che venga appurata con certezza la fonte inquinante. «L’organo preposto ai controlli ambientali deve certificare quale sia la fonte dei superamenti. Una certificazione di questo tipo dimostrerebbe che esiste un pericolo in atto e che va cessata l’attività pericolosa. Se per le polveri sottili l’Arpa Puglia certificasse che è l’Ilva a porre in atto, giorno dopo giorno, un’attività di propagazione di PM10 sopra i limiti di legge, – prosegue – verrebbe data una importante conferma alla persistenza di pericolo per la salute, come affermato dal gip Patrizia Todisco, la cui ordinanza – nonostante la battaglia legale – è tuttora in vigore». (CdG)
Secondo il massimo esponente di PeaceLink  un’analisi specifica del PM10 «che è vettore di altri inquinanti consentirebbe di capire in che misura gli impianti sequestrati – allo stato attuale  – arrechino un danno alla salute dei cittadini».

Dove la ferita è aperta: tutti insieme ai Tamburi!

PARTECIPIAMO TUTTI INSIEME AL CORTEO DI GIOVEDI’ 30 AGOSTO CHE PARTIRA DA PIAZZA ORSINI (EX MERCATO DELLA FRUTTA) ALLE ORE 19:30 E PROSEGUIRA’ SINO A PIAZZA GESU’ DIVIN LAVORATORE DOVE SI TERRA’ UN’ASSEMBLEA PUBBLICA.
COSA CHIEDIAMO:

  • SALUTE: PERCHÉ IL DIRITTO ALLA VITA NON ACCETTA COMPROMESSI
  • AMBIENTE: PERCHÉ NON PERMETTEREMO PIÙ CHE IL NOSTRO TERRITORIO VENGA SFRUTTATO E DEVASTATO IN NOME DEL PROFITTO
  • OCCUPAZIONE: PERCHE É INACCETTABILE CHE IN UNA CITTA’ COSI’ INDUSTRIALIZZATA CI SIA IL 30% DI DISOCCUPAZIONE
  • REDDITO: PER GARANTIRE UN‘ ESISTENZA DIGNITOSA A LAVORATORI E CITTADINI DI TARANTO DOPO 50 ANNI DI RICATTO E INQUINAMENTO.

AGLI ABITANTI DI VIA ORSINI E PIAZZA GESU’ DIVIN LAVORATORE CHIEDIAMO DI PARTECIPARE ALLA PROTESTA APPENDENDO AI LORO BALCONI LENZUOLA SPORCHE DI MINERALE.
In serata si terrà il collegamento in diretta televisiva con la trasmissione "Piazza Pulita" in onda sul La7 dalle ore 21.10.
"E' importante esserci, è fondamentale farsi sentire"

mercoledì 29 agosto 2012

Quanta polvere, caro Vendola!

Richiesta all'ARPA Puglia e all'assessore all'Ambiente della Regione Puglia

Oggetto: individuazione della fonte del PM10

In data 29 agosto 2012 sul sito di Arpa Puglia si registra il 36° superamento annuo di polveri sottili (PM10) nel quartiere Tamburi. Il dato è fornito dalla centralina di via Machiavelli.
Con questo trentaseiesimo superamento per il PM10 risulta oltrepassato definitivamente il limite massimo dei 35 sforamenti annuali fissati dalla normativa vigente sulle polveri sottili.
Il dato smentisce l'ottimistica teoria della Regione Puglia in base alla quale la situiazione ambientale a Taranto sarebbe in via di miglioramento.
Con questa comunicazione si intende richiedere se tali superamenti per il PM10 vadano attribuiti all'Ilva che continua a produrre nelle vicinanze del quartiere Tamburi, nonostante il sequestro - senza facoltà d'uso - degli impianti dell'area a caldo, provvedimento preso dalla Magistratura a tutela della salute pubblica (obbligo che competerebbe in primo luogo al Sindaco).
Benché nella coscienza generale della popolazione siano in moltissimi a ritenere che tali superamenti vadano attribuiti all'Ilva, con questa comunicazione si richiede che ufficialmente l'organo preposto ai controlli ambientali certifichi quale sia la fonte dei superamenti. Una certificazione di questo tipo dimostrerebbe che esiste un pericolo in atto e che va cessata l'attività pericolosa.
In queste settimane si è più volte letto che l'Ilva sarebbe "migliorata" (in ciò sconfessando la tesi della Procura) e in tale attività "propagandistica" la Regione Puglia si è distinta nel sostenere la teoria sulla base della quale tutto sarebbe ritornato nell'alveo della norma dopo l'AIA, facendo intendere che l'inquinamento riguardava sostanzialmente il passato e non il presente.
Purtroppo il dato del PM10 è molto grave in quanto conferma ulteriormente l'inefficacia dell'autorizzazione AIA per l'Ilva, che venne definita dalla Regione Puglia una "svolta storica".
Se per le polveri sottili l'Arpa Puglia certificasse che è l'Ilva a porre in atto, giorno dopo giorno, un'attività di propagazione di PM10 sopra i limiti di legge, verrebbe data una importante conferma alla persistenza di pericolo per la salute, come affermato dal GIP Patrizia Todisco, la cui ordinanza - nonostante la battaglia legale - è tuttora in vigore.
Una certificazione dell'Arpa nell'attribuire ufficialmente lo sforamento in aria-ambiente alla fonte è importantissima.
In particolare con questa comunicazione si richiede di sapere:

1) in che misura il PM10 riscontrato nel quartiere Tamburi proviene dal parco minerali;
2) in che misura il PM10 proviene dall'area a caldo;
3) quali siano i processi produttivi dell'area a caldo coinvolti nell'attività emissiva del PM10, in modo da attribuire le emissioni di PM10 ad ogni singolo impianto (cokeria, agglomerato, altiforni, acciaieria).
E' nostra convinzione infatti che sia proprio l'attività produttiva (e non solo la dispersione delle polveri dal parco minerali) la fonte dell'inquinamento da PM10. Il PM10 infatti rimane in sospensione nell'aria, in generale è così leggero che non arriva adepositarrsi, è finissimo e non va confuso con la polvere grossolana che si deposita nelle case e sui balconi. E' pertanto ancora più pericoloso e penetrante e rappresenta una potenziale fonte di danno immediato, come le perizie commissionate dalla Magistratura confermano.
Pertanto si richiede ad Arpa un'analisi specifica del PM10 che è vettore di altri inquinanti in modo da capire in che misura gli impianti sequestrati - allo stato attuale, ossia nei giorni in cui viviamo e respiriamo - arrechino un danno alla salute dei cittadini.
Si richiede che dei superamenti dei limiti di legge per il PM10 e della loro provenienza ne vada data comunicazione ufficiale al Sindaco e alla Procura della Repubblica.

Cordiali saluti

Alessandro Marescotti
Presidente di PeaceLink
www.peacelink.it

lunedì 27 agosto 2012

Aprite l'aia, torna il circo Clini!

Ilva: Ministero Ambiente, iniziata missione esperti commissione Aia

(ASCA) - Roma, 27 ago - Ha avuto oggi inizio a Taranto la missione del gruppo di esperti incaricati dal Ministro Clini di acquisire gli elementi tecnici e predisporre entro il 30 settembre lo schema di Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) per l'esercizio dello stabilimento Ilva di Taranto. Lo comunica in una nota il ministero dell'Ambiente.

Il gruppo di esperti, coordinato dalla dottoressa Carla Sepe, e' stato nominato il 24 agosto con un decreto del Ministro Clini.

Nella stessa data il Ministro ha trasmesso il decreto ed il programma di lavoro al Procuratore Capo della Repubblica di Taranto, anche al fine di assicurare la massima collaborazione del Ministero con i custodi dello stabilimento nominati dalla Procura, nel rispetto dei rispettivi ruoli. Il Procuratore Capo Sebastio ha dato un immediata risposta positiva alla richiesta del Ministro.

Il gruppo di lavoro del Ministero, integrato con gli esperti dei Ministeri dello Sviluppo Economico, della Salute, dell'Istituto Superiore per la Ricerca e la Protezione Ambientale, dell'Istituto Superiore di Sanita' e dell'Agenzia Regionale per la Prevenzione e la Protezione dell'Ambiente della Puglia, ha il compito di supportare il gruppo istruttore IPPC - AIA nell'aggiornamento dell'AIA, rilasciata il 4 agosto 2011 sulla base della lista delle migliori tecnologie per gli impianti siderurgici indicata dalla Commissione Europea (BAT) e delle prescrizioni del Gip di Taranto. La nuova AIA dovra' anche tenere conto delle osservazioni del Tar Lecce in merito alla precedente autorizzazione e delle norme regionali in materia di protezione della qualita' dell'aria e della salute. Il gruppo di lavoro ed il gruppo istruttore procederanno attraverso una verifica costante presso la sede dello stabilimento Ilva, sulla base della disponibilita' manifestata dall''azienda a collaborare costruttivamente con il Ministero.

Il prossimo 14 settembre il Ministro Clini sara' a Taranto per fare il punto sullo stato dei lavori ed incontrare le associazioni che hanno richiesto di essere sentite e che potranno essere coinvolte in analogia a quanto avvenuto in passato in sede di Conferenza dei Servizi.

Ignuno tira la sua acqua

Ilva, al Tar 36 ricorsi in 23 anni
«Inquina? Colpa anche dei controllori»

Al Tribunale di Lecce è rimasta pendente solo la controversia relativa all’Autorizzazione integrata

Il Tar di Lecce è stato chiamato a intervenire dall’Ilva di Taranto 36 volte in 23 anni. Ventidue ricorsi sono già stati decisi con sentenza, il più rilevante, ancora pendente, riguarda l’avvio del riesame dell’Aia del 22 maggio scorso. «Salvo il caso del ricorso n. 1224 del 2010, del quale dirò appresso, il Tar di Lecce non è stato mai chiamato a intervenire su provvedimenti sanzionatori adottati su iniziativa dell’Arpa di Puglia nei confronti dello stabilimento siderurgico di Taranto», dice Antonio Cavallari, presidente da circa due anni del Tribunale amministrativo regionale di Lecce.
Presidente, in che misura le sentenze del Tar possono incidere sul futuro dell’Ilva?
«In nessun modo nella situazione attuale, regolata da provvedimenti dell’autorità giudiziaria penale. Parliamo di una vicenda estremamente delicata, che riguarda un settore strategico della produzione a livello nazionale. Il nostro compito è assicurarci che le norme e le prescrizioni adottate dall’Autorità amministrativa siano rispettate».
Adesso, si sollecita l’Ilva a ritirare i ricorsi presentati al Tar. Che cosa ne pensa?
«So, da fonti di stampa, che il presidente dell’Ilva, Bruno Ferrante, avrebbe già manifestato pubblicamente questa volontà».
In che caso il Tar è intervenuto più direttamente sulle questioni ambientali legate all’attività del siderurgico tarantino?
«Faccio una premessa: se violazione delle norme e delle prescrizioni imposte dall’Autorità c’è stata da parte dell’Ilva e se questo sarà accertato al termine del procedimento in corso, è evidente che qualcuno dovrà rispondere per omessi controlli. Per quanto riguarda la nostra attività, ci sono stati in particolare tre provvedimenti impugnati dall’Ilva dinanzi al Tar, nel 2002, nel 2004 e nel 2008. Riguardavano azioni repressive messe in atto dal Comune di Taranto, dalla Provincia e dall’Azienda Sanitaria Locale di Taranto. Due sono stati accolti, quelli contro la Provincia e l’Azienda Sanitaria, per carenza della motivazione del provvedimento impugnato; uno è stato respinto, quello contro il Comune, che con l’atto contestato imponeva una serie di prescrizioni all’attività produttiva nelle operazioni di scarico dei minerali e carbon fossile. I ricorsi di maggior rilievo hanno peró riguardato tutto lo svolgersi del procedimento dell’Aia e l’atto conclusivo dello stesso. Queste vicende si sono concluse con sentenze del 2012 che hanno in gran parte respinto le censure sollevate dall’Ilva, accogliendo solo quelle relative a elementi incongrui degli atti impugnati».
Nel caso di sentenze favorevoli all’Ilva, quali sono stati gli elementi che hanno inciso sulla decisione dei giudici amministrativi?
«Spesso ci siamo trovati di fronte a provvedimenti incoerenti, nel senso che si chiedeva all’Ilva di applicare determinate prescrizioni in materia di emissioni sulla base di parametri stabiliti in tempi successivi. Mi spiego meglio. Il nostro compito è applicare le norme in vigore nel momento in cui il provvedimento viene adottato. Se si stabiliscono dei limiti alle emissioni, e poi quei limiti vengono abbassati, noi dobbiamo basarci sui parametri in vigore nel momento in cui si contesta il superamento di quei limiti; questo é avvenuto, ad esempio, nella vicenda oggetto del ricorso n. 1224 del 2010, che riguardava limiti di emissione del benzo(a)pireneaerodisperso».
Ma le violazioni ci sono sicuramente state.
«Dagli atti dei nostri procedimenti questo non risulta. Se di notte o in altre occasioni lo stabilimento ha superato il livello di emissioni stabilito da norme vigenti al momento della asserita violazione, qualcuno doveva controllare, ma evidentemente non lo ha fatto».
Una dichiarazione forte, la sua.
«Difendo la nostra attività e invito gli interessati, se mai ne avessero voglia, a leggere con attenzione le nostre sentenze». 
Francesca Mandese CdM

sabato 25 agosto 2012

Dal cilindro di Ferrante sorretto dai fili di Riva

Solita storia di sempre. Il nuovo pescivendolo dell'Ilva torna a vendere vecchi surgelati per freschi.
Ogni volta ripropongono gli stessi interventi.
Che sia un segno di mancanza di creatività?

Ilva: al via interventi ambientali, Ferrante "spenderemo 146 mln"


Il consiglio di amministrazione dell'Ilva da' il via libera al presidente Bruno Ferrante e nella seduta odierna svoltasi a Milano ha approvato il piano finanziario relativo ai 146 milioni di euro che una settimana fa, a Taranto, lo stesso Ferrante aveva annunciato in Prefettura ai ministri per l'Ambiente e lo Sviluppo economico.
  In una nota l'Ilva rileva "tempestivita' dell'impegno da parte della societa' con interventi concreti". L'Ilva parla quindi di "piena collaborazione con le autorita'" e di "dialogo costante" e defnisce tutto questo le linee guida che consentono all'azienda di guardare al futuro "con fiducia e speranza". Potenziamento dei monitoraggi nella fabbrica - la cui area a caldo dal 25 luglio e' sotto sequestro per inquinamento su disposizione della Procura -, "campionamento a lungo termine della diossina", innalzamento della barriera frangivento, in funzione antipolveri, lungo la linea di confine tra siderurgico e rione Tamburi, potenziamento dei sistemi di intercettazione delle polveri: su questo si sta concentrando l'impegno immediato dell'Ilva, fermi restando gli altri massicci investimenti, allo stato non ancora quantificati, che l'azienda dovra' effettuare per rispettare le prescrizioni del gip che ha ordinato il sequestro e le disposizioni della nuova Autorizzazione integrata ambientale che il ministero si e' impegnato a rilasciare entro fine settembre. Rispetto ai 146 milioni che oggi il cda ha approvato, una novantina, puntualizza l'azienda, sono in fase di esecuzione. Tra gli interventi del piano c'e' anche la videosorveglianza dell'area a caldo. Si tratta di un sistema di monitoraggio che sara' installato in varie postazioni del siderurgico. Operativo h24, controllera' le "potenziali sorgenti di emissioni convogliate e non convogliate, anche legate a malfunzionamenti e/o anomalie di processo". Un altro sistema di monitoraggio verra' poi installato sulle torce di sicurezza. Per le emissioni diffuse l'Ilva annuncia che entro fine anno sara' pronta la barriera frangivento ai confini dei parchi minerali. Mentre stando al cronoprogramma dell'Aia in vigore, entro il 2013 andranno fatti gli interventi per la copertura dei cumuli di calcare ed entro il 2016 quelli relativi alla chiusura dei nastri trasportatori in modo da "minimizzare i fenomeni di emissione diffusa nella fase di trasporto dei materiali pulvirulenti". Non si puo' escludere, pero', che alcune scadenze temporali dell'Aia in vigore - rilasciata ad agosto 2011 - adesso possano essere riviste e anticipate con la nuova autorizzazione. L'Ilva inoltre annuncia che e' allo studio un intervento di impermeabilizzazione dell'area parchi con intercettazione, trattamento e riutilizzo dell'acqua per bagnare i cumuli.
  Nell'area altiforni l'Ilva, invece, realizzera' la condensazione dei vapori derivanti dalla granulazione della loppa negli altiforni 1, 4 e 5 e rende noto che quest'intervento e' giá in corso sull'altoforno 4. Sara' anche potenziata la captazione delle polveri dei campi di colata degli altiforni 1 e 5 mentre verrá installata la depolverazione per le stock-house degli altiforni 1 e 2 (silos dove vengono depositati i materiali che devono essere caricati negli stessi altiforni). Nel mese prossimo, invece, sara' installato sul camino E312 dell'agglomerazione del sistema di campionamento a lungo termine della diossina. In aggiunta ai 146 milioni, ci sono poi altri due interventi per rispettivi 8 milioni e 15 milioni che prevedono ulteriori sistemi di captazione e aspirazione delle polveri dall'agglomerazione, il primo dei quali sara' in esercizio a fine 2013 mentre per l'altro e' in corso lo studio di fattibilitá e si prevede un anno di tempo per realizzarlo. I sindacati metalmeccanici di Taranto hanno valutato positivamente gli impegni assunti oggi dal cda a Milano ricordando che l'accelerazione della spesa e' una delle richieste fatte al presidente Ferrante.

venerdì 24 agosto 2012

Riflessioni per AIA

UNA NUOVA AIA NON HA SENSO Dopo una breve pausa, ripartiamo da un concetto di base che ci accompagnerà per i prossimi mesi: almeno il 90% delle persone che oggi parlano della vicenda Ilva e dell e drammatiche conseguenze che l’azienda del gruppo Riva ha causato con la sua attività produttiva all’ambiente e alla salute degli abitanti di questa città, sino al 25 luglio scorso erano misteriosamente invisibili, assenti o semplicemente ignoravano volutamente del tutto l’intera vicenda. Improvvisamente, dal 26 luglio, costoro hanno trovato il coraggio di aprire la bocca e alzare la testa. Motivo di tale prodigio sociale, il fatto che oggi tutti hanno le spalle più che coperte dall’azione della magistratura tarantina, che ha finalmente svelato e reso pubblico ciò che in pochi hanno denunciato per anni nell’indifferenza più totale. E’ scontato che stando così le cose, la maggior parte del 90% di cui sopra, parli senza conoscere a fondo la materia in questione. Il problema vero però, è un altro: ed è ancora più drammatico. Perché se in questo insieme di persone figura in prima linea anche il Ministro dell’ambiente, più di qualcosa non quadra. L’ultima moda nella vicenda Ilva, è stata infatti annunciata proprio dallo stesso Ministro Clini, che la scorsa settimana in riva alla città dei Due Mari ha rivelato che l’azienda avrà la nuova AIA entro il prossimo 30 settembre. Un evento “unico”, che ovviamente è stato accolto con giubilo dalle nostre istituzioni e dai sindacati, che sperano così di poter sotterrare per sempre la pessima figura fatta con il rilascio della prima AIA il 4 agosto 2011. Un documento ridicolo, privo di qualunque reale restrizione nei confronti dell’azienda che ebbe anche l’arroganza di ricorrere al TAR contro quelle poche prescrizioni che osavano mettere i bastoni tra le ruote alla logica del profitto del gruppo Riva. Sbugiardata dalla perizia dei periti chimici nello scorso gennaio, il rilascio dell’AIA è anche finito nel mirino dell’inchiesta “Ambiente svenduto” portata avanti dal pm Remo Epifani con l’ausilio della Guardia di Finanza, che ha ipotizzato una serie di reati a carico di diverse personalità atte a favorire il rilascio di un’AIA benevola nei confronti dell’Ilva. D’altronde in pochi ricordano o sanno che nel luglio 2009 l’ex Ministro dell’ambiente Stefania Prestigiacomo azzerò la commissione IPPC-AIA durante un consiglio dei ministri a Napoli durante l’emergenza rifiuti. Per non parlare del fatto che l’Ilva avrebbe dovuto avere l’AIA entro il 2004 e non certamente nell’agosto 2011. Sette lunghi anni per stilare un documento inutile. Il dramma è che non stiamo parlando di una carta qualsiasi: bensì del provvedimento che autorizza l’esercizio di un impianto o di parte di esso a determinate condizioni, che devono garantire la conformità ai requisiti alla parte seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006 n.152, come modificato dal decreto legislativo 29 giugno 2010, n.128, che costituisce l’attuale recepimento della direttiva comunitaria 2008/1/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 15 gennaio 2008 sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento (IPPC). Ai sensi di quanto previsto dall’articolo 29-quattuordecies del citato D.Lgs. 152/06, tale autorizzazione é necessaria per poter esercire le attività specificate nell'allegato VIII alla parte seconda dello stesso decreto. Tanto per dirne una: il 30 marzo scorso la Corte di giustizia di Strasburgo ha condannato l’Italia per inadempienza della direttiva IPPC del 1996. Detto ciò, il ministro Clini ha assicurato che l’iter per il rilascio della nuova AIA all’Ilva (che ha già ingolosito parte dell’ambientalismo tarantino che persevera diabolicamente nei suoi errori), sarà rapidissimo. Addirittura la nuova autorizzazione includerà tutte le prescrizioni richieste dal GIP Todisco, riportate nella perizia degli esperti chimici. Il tutto avverrà in poco più di un mese. La Commissione darà il via ai lavori a Taranto il 27 agosto per arrivare alle conclusioni della relazione istruttoria entro la fine di settembre con una serie di incontri tecnici, e chiudersi il 15 ottobre con la Conferenza dei servizi. Il programma prevede “approfondimento su migliori tecnologie, impianti, gestione ambientale e monitoraggio”. Nel gruppo di supporto alla commissione Aia ci sarà anche una figura per i rapporti con l’Ue. E’ stato anche stilato il crono programma della commissione Aia guidata da Carla Sepe: il 27 agosto analisi delle migliori tecnologie (le Best Available Technologies - Bat), il 28 si passa alle cokerie, il 29 agli impianti dell’agglomerato, il 30 all’acciaieria. Poi, il 3 settembre ancora le Bat, il 4 le analisi regionali del Piano di risanamento, il 5 settembre il parco minerali, il 6 il sistema di gestione ambientale. Infine, il 12 settembre le Bat, il 13 il sistema di monitoraggio; 14, 18, 19, 20 una serie di riunioni tecniche. Per il 15 ottobre é prevista la Conferenza dei servizi. Il gruppo istruttore é formato da otto membri, il referente é Antonio Fardelli. La commissione potrà contare su un gruppo di supporto di 12 componenti, tra cui personale del ministero dell’Ambiente e del ministero dello Sviluppo economico, del Cnr, dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) e dell’Istituto superiore di sanità (ISS). Strabiliante. Ma nella pratica infattibile. Promettere una nuova AIA entro così poco tempo è tecnicamente un bluff. Il sospetto infatti è che si voglia applicare qualche aggiustamento al precedente decreto ministeriale e niente altro: altro che inserire tutte le prescrizioni della Gip. Per aprire una nuova istruttoria, infatti, ci vuole del tempo. Oltre al fatto che poi bisogna anche produrre le linee guida di recepimento delle BAT pubblicate dalla Commissione Ue: soltanto per questo è necessario insediare una commissione interministeriale e produrre un decreto di recepimento della direttiva sull’AIA. D’altronde lo stesso Clini ha sempre parlato di “riesame” dell’autorizzazione rilasciata nel 2011, il che non fa altro che rafforzare la nostra tesi. Inoltre, il lavoro della commissione IPPC-AIA, appare un doppione del lavoro che stanno svolgendo e andranno a svolgere i custodi giudiziari nominati dal GIP Todisco insieme ai carabinieri del NOE. Non si capisce infatti il senso di rilasciare una nuova AIA ad un’azienda che negli anni ha sempre fatto i comodi suoi. Dimostrando di non possedere i requisiti minimi per continuare a produrre, avvelenando in primis i lavoratori della stessa. Né si capisce il perché si debba lanciare all’Ilva l’ennesima ancora di salvezza. L’AIA del 2011 va semplicemente ritirata, lasciando spazio al lavoro dei custodi giudiziari che dovranno indicare tutti i lavori a cui l’azienda dovrà ottemperare se davvero vorrà restare ancora a Taranto. Il problema, dunque, è lo stesso di quello denunciato la scorsa settimana. Ancora una volta siamo di fronte all’evidenza di uno Stato che si lancia in una disperata corsa per salvare l’attività produttiva di un’azienda che ha per anni consapevolmente inquinato, con l’ausilio e l’omertà di tanti, troppo “tarantini”. Perché AIA o non AIA, il gruppo Riva per restare a Taranto ha una sola possibilità: cambiare del tutto la natura di uno stabilimento che in realtà può continuare ad esistere solo per come è stato progettato. Coprire o spostare i parchi minerali, non è nelle intenzioni dell’azienda per via delle spese che ciò comporterebbe. Stesso discorso per i forni delle batterie della cokeria: una volta terminato il loro compito quarantennale, Riva avrebbe semplicemente chiuso i battenti. Chi propone altre strade, ad esempio l’utilizzo dei forni elettrici come avviene altrove, ignora volutamente le caratteristiche e le dimensioni dell’Ilva di Taranto. Sicuramente si potranno fare dei lavori, delle migliorie. Ma il nucleo centrale del problema, resta sempre lo stesso: Riva investirà mai i miliardi di euro che serviranno per cambiare la natura di uno stabilimento la cui competitività nel mondo ha comunque gli anni contati, a prescindere dall’intervento della magistratura? La risposta è facilmente intuibile. Rilasciare una nuova AIA al siderurgico tarantino, sarebbe l’ennesima sciagura. Si vuol accelerare l’iter di un lungo procedimento, quando si sa perfettamente che i lavori durerebbero comunque diversi anni. Quindi, ancora una volta, ai cittadini si sta raccontando una finta verità. Si confondono ancora una volta le acque, sperando di riuscire a farla franca ancora una volta. Il gruppo Riva ha invece soltanto un obbligo, non solo morale, ma soprattutto economico: risarcire a suon di miliardi questo territorio e i suoi cittadini. Punto. Il regno dell’acciaio è già finito, anche se in molti fanno finta di non averlo ancora compreso. La politica, invece, dovrà assolvere ad un solo compito: dare inizio al lungo iter della bonifica, ma soprattutto pretendere un risarcimento immediato da parte dello Stato, visti gli oltre 30 anni di avvelenamento statale della vecchia Italsider. Il doppio risarcimento sarà la base di partenza per progettare e finanziare tutte quelle alternative economiche che questo territorio da sempre offre. Ma che abbiamo sempre tenuto ben nascoste sotto il tappeto. Questo è l’unico percorso se davvero vogliamo creare le basi per un futuro diverso. Senza più fabbriche e veleni. Tutto il resto è solo una minestra riscaldata. E una pia illusione. O una favola. In cui avremo un’Ilva eco-compatibile, un’area a caldo che non inquinerà più, un’AIA nuova di zecca che sarà inflessibile e andrà rispettata in ogni virgola, la scomparsa di emissioni diffuse e convogliate, parchi minerali che diventeranno realmente paesaggi lunari, aria pulita e salute di ferro per tutti. Sì, proprio una bella favola. Ben tornati. Gianmario Leone — con Tiziano Palma e altre 34 persone. Foto: UNA NUOVA AIA NON HA SENSO di Gianmario Leone TarantoOggi 24 agosto2012 Dopo una breve pausa, ripartiamo da un concetto di base che ci accompagnerà per i prossimi mesi: almeno il 90% delle persone che oggi parlano della vicenda Ilva e delle drammatiche conseguenze che l’azienda del gruppo Riva ha causato con la sua attività produttiva all’ambiente e alla salute degli abitanti di questa città, sino al 25 luglio scorso erano misteriosamente invisibili, assenti o semplicemente ignoravano volutamente del tutto l’intera vicenda. Improvvisamente, dal 26 luglio, costoro hanno trovato il coraggio di aprire la bocca e alzare la testa. Motivo di tale prodigio sociale, il fatto che oggi tutti hanno le spalle più che coperte dall’azione della magistratura tarantina, che ha finalmente svelato e reso pubblico ciò che in pochi hanno denunciato per anni nell’indifferenza più totale. E’ scontato che stando così le cose, la maggior parte del 90% di cui sopra, parli senza conoscere a fondo la materia in questione. Il problema vero però, è un altro: ed è ancora più drammatico. Perché se in questo insieme di persone figura in prima linea anche il Ministro dell’ambiente, più di qualcosa non quadra. L’ultima moda nella vicenda Ilva, è stata infatti annunciata proprio dallo stesso Ministro Clini, che la scorsa settimana in riva alla città dei Due Mari ha rivelato che l’azienda avrà la nuova AIA entro il prossimo 30 settembre. Un evento “unico”, che ovviamente è stato accolto con giubilo dalle nostre istituzioni e dai sindacati, che sperano così di poter sotterrare per sempre la pessima figura fatta con il rilascio della prima AIA il 4 agosto 2011. Un documento ridicolo, privo di qualunque reale restrizione nei confronti dell’azienda che ebbe anche l’arroganza di ricorrere al TAR contro quelle poche prescrizioni che osavano mettere i bastoni tra le ruote alla logica del profitto del gruppo Riva. Sbugiardata dalla perizia dei periti chimici nello scorso gennaio, il rilascio dell’AIA è anche finito nel mirino dell’inchiesta “Ambiente svenduto” portata avanti dal pm Remo Epifani con l’ausilio della Guardia di Finanza, che ha ipotizzato una serie di reati a carico di diverse personalità atte a favorire il rilascio di un’AIA benevola nei confronti dell’Ilva. D’altronde in pochi ricordano o sanno che nel luglio 2009 l’ex Ministro dell’ambiente Stefania Prestigiacomo azzerò la commissione IPPC-AIA durante un consiglio dei ministri a Napoli durante l’emergenza rifiuti. Per non parlare del fatto che l’Ilva avrebbe dovuto avere l’AIA entro il 2004 e non certamente nell’agosto 2011. Sette lunghi anni per stilare un documento inutile. Il dramma è che non stiamo parlando di una carta qualsiasi: bensì del provvedimento che autorizza l’esercizio di un impianto o di parte di esso a determinate condizioni, che devono garantire la conformità ai requisiti alla parte seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006 n.152, come modificato dal decreto legislativo 29 giugno 2010, n.128, che costituisce l’attuale recepimento della direttiva comunitaria 2008/1/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 15 gennaio 2008 sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento (IPPC). Ai sensi di quanto previsto dall’articolo 29-quattuordecies del citato D.Lgs. 152/06, tale autorizzazione é necessaria per poter esercire le attività specificate nell'allegato VIII alla parte seconda dello stesso decreto. Tanto per dirne una: il 30 marzo scorso la Corte di giustizia di Strasburgo ha condannato l’Italia per inadempienza della direttiva IPPC del 1996. Detto ciò, il ministro Clini ha assicurato che l’iter per il rilascio della nuova AIA all’Ilva (che ha già ingolosito parte dell’ambientalismo tarantino che persevera diabolicamente nei suoi errori), sarà rapidissimo. Addirittura la nuova autorizzazione includerà tutte le prescrizioni richieste dal GIP Todisco, riportate nella perizia degli esperti chimici. Il tutto avverrà in poco più di un mese. La Commissione darà il via ai lavori a Taranto il 27 agosto per arrivare alle conclusioni della relazione istruttoria entro la fine di settembre con una serie di incontri tecnici, e chiudersi il 15 ottobre con la Conferenza dei servizi. Il programma prevede “approfondimento su migliori tecnologie, impianti, gestione ambientale e monitoraggio”. Nel gruppo di supporto alla commissione Aia ci sarà anche una figura per i rapporti con l’Ue. E’ stato anche stilato il crono programma della commissione Aia guidata da Carla Sepe: il 27 agosto analisi delle migliori tecnologie (le Best Available Technologies - Bat), il 28 si passa alle cokerie, il 29 agli impianti dell’agglomerato, il 30 all’acciaieria. Poi, il 3 settembre ancora le Bat, il 4 le analisi regionali del Piano di risanamento, il 5 settembre il parco minerali, il 6 il sistema di gestione ambientale. Infine, il 12 settembre le Bat, il 13 il sistema di monitoraggio; 14, 18, 19, 20 una serie di riunioni tecniche. Per il 15 ottobre é prevista la Conferenza dei servizi. Il gruppo istruttore é formato da otto membri, il referente é Antonio Fardelli. La commissione potrà contare su un gruppo di supporto di 12 componenti, tra cui personale del ministero dell’Ambiente e del ministero dello Sviluppo economico, del Cnr, dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) e dell’Istituto superiore di sanità (ISS). Strabiliante. Ma nella pratica infattibile. Promettere una nuova AIA entro così poco tempo è tecnicamente un bluff. Il sospetto infatti è che si voglia applicare qualche aggiustamento al precedente decreto ministeriale e niente altro: altro che inserire tutte le prescrizioni della Gip. Per aprire una nuova istruttoria, infatti, ci vuole del tempo. Oltre al fatto che poi bisogna anche produrre le linee guida di recepimento delle BAT pubblicate dalla Commissione Ue: soltanto per questo è necessario insediare una commissione interministeriale e produrre un decreto di recepimento della direttiva sull’AIA. D’altronde lo stesso Clini ha sempre parlato di “riesame” dell’autorizzazione rilasciata nel 2011, il che non fa altro che rafforzare la nostra tesi. Inoltre, il lavoro della commissione IPPC-AIA, appare un doppione del lavoro che stanno svolgendo e andranno a svolgere i custodi giudiziari nominati dal GIP Todisco insieme ai carabinieri del NOE. Non si capisce infatti il senso di rilasciare una nuova AIA ad un’azienda che negli anni ha sempre fatto i comodi suoi. Dimostrando di non possedere i requisiti minimi per continuare a produrre, avvelenando in primis i lavoratori della stessa. Né si capisce il perché si debba lanciare all’Ilva l’ennesima ancora di salvezza. L’AIA del 2011 va semplicemente ritirata, lasciando spazio al lavoro dei custodi giudiziari che dovranno indicare tutti i lavori a cui l’azienda dovrà ottemperare se davvero vorrà restare ancora a Taranto. Il problema, dunque, è lo stesso di quello denunciato la scorsa settimana. Ancora una volta siamo di fronte all’evidenza di uno Stato che si lancia in una disperata corsa per salvare l’attività produttiva di un’azienda che ha per anni consapevolmente inquinato, con l’ausilio e l’omertà di tanti, troppo “tarantini”. Perché AIA o non AIA, il gruppo Riva per restare a Taranto ha una sola possibilità: cambiare del tutto la natura di uno stabilimento che in realtà può continuare ad esistere solo per come è stato progettato. Coprire o spostare i parchi minerali, non è nelle intenzioni dell’azienda per via delle spese che ciò comporterebbe. Stesso discorso per i forni delle batterie della cokeria: una volta terminato il loro compito quarantennale, Riva avrebbe semplicemente chiuso i battenti. Chi propone altre strade, ad esempio l’utilizzo dei forni elettrici come avviene altrove, ignora volutamente le caratteristiche e le dimensioni dell’Ilva di Taranto. Sicuramente si potranno fare dei lavori, delle migliorie. Ma il nucleo centrale del problema, resta sempre lo stesso: Riva investirà mai i miliardi di euro che serviranno per cambiare la natura di uno stabilimento la cui competitività nel mondo ha comunque gli anni contati, a prescindere dall’intervento della magistratura? La risposta è facilmente intuibile. Rilasciare una nuova AIA al siderurgico tarantino, sarebbe l’ennesima sciagura. Si vuol accelerare l’iter di un lungo procedimento, quando si sa perfettamente che i lavori durerebbero comunque diversi anni. Quindi, ancora una volta, ai cittadini si sta raccontando una finta verità. Si confondono ancora una volta le acque, sperando di riuscire a farla franca ancora una volta. Il gruppo Riva ha invece soltanto un obbligo, non solo morale, ma soprattutto economico: risarcire a suon di miliardi questo territorio e i suoi cittadini. Punto. Il regno dell’acciaio è già finito, anche se in molti fanno finta di non averlo ancora compreso. La politica, invece, dovrà assolvere ad un solo compito: dare inizio al lungo iter della bonifica, ma soprattutto pretendere un risarcimento immediato da parte dello Stato, visti gli oltre 30 anni di avvelenamento statale della vecchia Italsider. Il doppio risarcimento sarà la base di partenza per progettare e finanziare tutte quelle alternative economiche che questo territorio da sempre offre. Ma che abbiamo sempre tenuto ben nascoste sotto il tappeto. Questo è l’unico percorso se davvero vogliamo creare le basi per un futuro diverso. Senza più fabbriche e veleni. Tutto il resto è solo una minestra riscaldata. E una pia illusione. O una favola. In cui avremo un’Ilva eco-compatibile, un’area a caldo che non inquinerà più, un’AIA nuova di zecca che sarà inflessibile e andrà rispettata in ogni virgola, la scomparsa di emissioni diffuse e convogliate, parchi minerali che diventeranno realmente paesaggi lunari, aria pulita e salute di ferro per tutti. Sì, proprio una bella favola. Ben tornati. Gianmario Leone TarantoOggi 24 agosto2012

mercoledì 22 agosto 2012

Sarà l'ennesimo clown della compagnia?

Ci preme sottolineare che se continuiamo ad assumere clown c'è il rischio che il Circo Taranto fallisca!

Il dossier epidemiologico del ministero della Salute su Taranto sarà pronto per la metà di settembre.

Lo ha detto il ministro della Salute Renato Balduzzi, intervenuto a 'Prima di tutto' su Radio 1 sulla vicenda dell'Ilva. "Tranto da 12 anni e' inserita nei siti di interesse nazionale che sono monitorati dal ministero - ha spiegato Balduzzi - anzi per Taranto c'e' stato aggiornamento della situazione epidemiologica che sara' presentato a meta' settembre, ed e' in corso un monitoraggio biologico per quanto riguarda gli allevatori del territorio circostante". Si tratta, ha spiegato Balduzzi, "di un campione molto specifico e interessante per verificare le conseguenze della situazione dell'inquinamento ambientale in modo non tale da gettare un generico allarme ma piuttosto capire esattamente qual e' la situazione e poter elaborare una strategia di risposta sanitaria". E ha aggiunto: "Se in queste settimane di Ilva si e' parlato soprattutto per lavoro e ambiente e' per l'indagine della magistratura in corso". Ma il ministero della Salute, ha assicurato Balduzzi, "non e' stato con le mani in mano e ha continuato e approfondito quel che gia' stava facendo. Io gia' a settembre o entro meta' ottobre, quando saranno completati questi studi epidemiologici, saro' in grado di rappresentare quadro piu' certo su cui Governo, istituzioni e opinione pubblica potranno basarsi per una sinergia integrale di risposta al problema per tenere insieme salute, ambiente e occupazione". (AGI).

Ilva, tutto è cominciato da una fetta di pecorino...

Tutto è cominciato, letteralmente, da uno spicchio di pecorino. Fu un pezzo di formaggio, preso a Statte, alle porte di Taranto, e fatto analizzare da Peacelink a nome di un gruppo di cittadini, a far crollare definitivamente la speranza che la città fosse al sicuro dai veleni. Quel cibo contaminato dalla diossina, diede il via - in senso simbolico ma anche pratico - insieme ai rapporti su benzoapirene e Ipa dell’Arpa e a quelli sulle polveri del Tamburi al filone d’inchiesta che, dopo quattro anni di lavoro dei magistrati, è sfociato nei 40 faldoni attualmente in procura col titolo di disastro ambientale doloso e colposo.

Più o meno negli stessi anni, però, si è sviluppato l’iter che ha portato al rilascio dell'Aia, Autorizzazione integrata ambientale, firmata dal ministro Prestigiacomo il 4 agosto 2011. Su questa procedura, e sull'attività della commissione di nomina governativa, pare essersi concentrata l’attenzione degli inquirenti per altri due filoni di inchiesta collaterali a quello su corruzione in atti giudiziari, per il quale sono indagati i vertici dell’Ilva e un ex perito della procura. Le indagini sarebbero mirate a politici e funzionari, per cercare di fare luce sul sistema di complicità e sulla zona grigia tra istituzioni e tecnici che avrebbe permesso all'azienda di “pilotare” la stessa Aia a proprio vantaggio, oltre ad annullare i controlli ed edulcorare i dati sull'impatto ambientale.

Fortissimi sospetti dei magistrati, surrogati in parte da “copiose” intercettazioni telefoniche, si parla di un dossier da 600 pagine, che ruotano in parte proprio sulla lunghissima incubazione dell'Aia che lo scorso marzo, appena 8 mesi dopo il suo varo, è già stata dichiarata inadeguata, tanto è vero che è in corso la procedura di revisione che si concluderà il 30 settembre (domani a Roma si apre il tavolo tecnico). Tra le persone più chiacchierate di questa vicenda, parallela ma non certo meno importante a quella sull'inquinamento, visto che a quanto pare coinvolgerebbe anche esponenti parlamentari e importanti istituzioni locali, c'è sicuramente l'ingegner Dario Ticali, presidente della commissione Aia Ippc.

A lui, a quanto pare, si riferiva il ministro Clini l’altro giorno quando parlava di membri in procinto di dare le dimissioni dall’incarico, per l’evidente incompatibilità del ruolo. Ticali infatti sarebbe finito nelle intercettazioni svolte dalla Guardia di Finanza, in particolare per contatti con l'avvocato Luigi Pelaggi, legale Ilva ma anche ex capo della segreteria tecnica del ministro Prestigiacomo, ossia colei che ha firmato l’Aia da rifare. Il caso Ilva pullula di protagonisti che spesso hanno un doppio ruolo, presente o passato, e collegamenti reciproci non certo entusiasmanti dal punto di vista morale, fatti salvi i profili penali che sono al vaglio della magistratura.

Il 16 febbraio 2009, dopo il disegno legge della regione Puglia che prevedeva il limite di 0,4 nanogrammi a metro cubo per la diossina entro il 2010 (e 2,5 nanogrammi per il 2009), si tenne a Roma un tavolo un tavolo in cui il governo Berlusconi fece di tutto per indurre Vendola a fare marcia indietro. Il ministro Prestigiacomo – due anni prima di firmare l'Aia – fece l'avvocato dell’Ilva dichiarando «il disegno di legge proposto da Vendola sull'Ilva di Taranto, se approvato dal Consiglio regionale implicherebbe la chiusura dello stabilimento entro 4 mesi». Secondo il direttore dello stabilimento, l'ingegner Luigi Capogrosso, attualmente indagato dai magistrati di Taranto «l’Ilva non può rispettare il limite, né 2,5 nanogrammi a metro cubo, né 0,4 nanogrammi a metro cubo anche in presenza dell'impianto urea».

La ciliegina sulla torta fu messa proprio dall'ingegner Ticali, che nell'occasione rappresentava il ministero dell'Ambiente: «Il limite desumibile dalle tre campagne dovrebbe tendere a 3,5 nanogrammi a metro cubo, contemplando quindi valori emissivi fino a 5 nanogrammi a metro cubo». Il presidente della commissione per l’Aia, che doveva mettere all'Ilva una sorta di “museruola” legislativa per contenere le sue emissioni nei limiti di legge, ha insomma proposto per i valori di diossina valori più alti di quelli chiesti dalla stessa fabbrica. Non solo: siccome gli ultimi dati relativi alla diossina dicono che l’Ilva è in grado di scendere sotto lo 0,1 (ancora meno di 0,4), vuol dire che Ticali proponeva un limite 500 volte superiore a quello reale.

Da notare che nel 2011, Ilva ha dichiarato dopo una serie di autocontrolli di essere nell'ambito dei nuovi limiti di legge (0,39 nanogrammi). Peccato che però una verifica fatta dall’Arpa a Roma sullo spettometro di massa ad alta risoluzione utilizzato dagli esperti del Cnr, che nell’occasione ha fatto da consulente all'azienda, abbia evidenziato che il macchinario non funzionasse. Circostanza che, a quanto pare, ha attirato l’attenzione dei magistrati per uno stralcio di indagine. Anche la vicenda del benzoapirene, però, ha avuto un ruolo importante nella genesi dell'Aia e delle inchieste dei magistrati. Il 4 giugno 2010 infatti Arpa rende noto che il 98% del benzoapirene che inquina Taranto (il Tamburi) proviene proprio dalla cokeria dell'Ilva.

Di fronte a questa preoccupante evidenza, la Regione prende una decisione incomprensibile: affida a propri tecnici un monitoraggio diagnostico degli impianti, nonostante il più che eloquente rapporto Arpa che è un'agenzia regionale. L'evidente sovrapposizione viene comunicata al direttore Giorgio Assennato a cose fatte, tanto che dalle intercettazioni risulta che il professore si sia recato a Bari ad un incontro col presidente Vendola e i vertici dell'Ilva, e sia stato fatto accomodare fuori dalla porta in attesa con una scelta che il governatore non ha ancora chiarito. Risale a quel periodo peraltro la conversazione telefonica nella quale Girolamo Archinà, ex pr Ilva, dice «bisogna distruggere Assennato». Due mesi dopo, il 13 agosto 2010, il governo ha emanato il decreto 155/2010 che rinvia al 2013 il limite di un nanogrammo per metro cubo, facendo secondo molti e per ovvi motivi un grande favore all’Ilva. (Salvatore Maria Righi - L'Unità)

L'analisi sociologica che denuda Clini e Riva

Taranto nel Mar grande delle contraddizioni globali di classe

In modo intermittente, cioè in maniera molto diversa rispetto al passato, gli operai italiani ritornano costantemente al centro dello scontro politico di questo paese. Qualche anno fa quelli di Pomigliano e Mirafiori sono stati accusati di mettere a rischio i 20 miliardi di euro di investimenti promessi dalla Fiat e poi mai visti. Corrado Clini, che già si era allenato con gli operai di Porto Marghera, nella sua boutade agostana l’ha sparata ancora più grossa: gli operai dell’Ilva che chiedono ambienti salubri sono i responsabili della fuga degli investitori stranieri. Se nel caso della Fiat, qualche sindacato (la Fiom-Cgil e i Cobas) aveva provato a ridicolizzare Sergio Marchionne, nel caso di Clini il silenzio è piuttosto assordante. D’altra parte le forze politiche governative di ieri e di oggi amplificano il rimbombo, ammonendo che è in gioco niente meno che il futuro dell’Italia industriale. Emilio Riva d’altra parte non è un padrone qualsiasi e i verbali delle intercettazioni dipingono un quadro piuttosto articolato di persone coinvolte direttamente e indirettamente nella gestione ambientale e sanitaria. A quanto pare il buon padrone organizza la produzione, ma anche l’inquinamento e i sistemi destinati a nasconderlo. Vedremo quante notti carabinieri e custodi giudiziari passeranno a registrare che il flusso produttivo continua indisturbato. Intanto è piuttosto chiaro che tra Marchionne e Riva l’Italia industriale ne esce piuttosto male: quando non è sfruttata a pezzi sotto il marchio Chrysler, è sporca da fare schifo.
Forse per difendere tutto questo, Taranto sta diventando il crocevia di strategie sindacali, padronali e politiche. Qui ricadono le contraddizioni e i conflitti che da tempo attraversano la società italiana. Due ministri spediti in fretta e furia a imporre le volontà di un governo industriale non sono una cosa che a Taranto si veda tutti i giorni. Il 17 agosto a contestare la discesa dei «tecnici» Corrado Clini e Corrado Passera, inviati per capire come bloccare tecnicamente la magistratura, c’erano 2000 persone riunite intorno al «Comitato cittadini, e lavoratori liberi e pensanti». Non c’erano le folle ma, per una città fino a poco fa ostaggio di se stessa, questi numeri sono significativi. La composizione trascinata in piazza da «u tre rote», che aveva già reso palese la debolezza sindacale il 2 agosto durante lo sciopero, era piuttosto variegata: ambientalisti della prima ora, abitanti del quartiere Tamburi (adiacente all’acciaieria e il più colpito dall’incidenza dei tumori), centri sociali e attivisti politici di movimento, sindacati di base, la Taranto munita di coscienza civica e una manciata di operai.
In effetti, in questi quindici giorni i sindacati confederali non sono certo stati a guardare. Diventa sempre più chiara l’aziendalizzazione di Fim-Cisl e Uilm-Uil, prone agli interessi del padronato con l’idea che questa mossa possa salvaguardare l’occupazione e il ruolo del sindacato. Una parte degli operai, come a Pomigliano e Mirafiori, è schiacciata su queste posizioni ritenendo impraticabili altre strade. La Fiom-Cgil, dal canto suo, ha cercato di uscire dall’angolo in cui si era cacciata, ma non ha con ciò eliminato le sue difficoltà. A Taranto come in altre parti d’Italia è una Fiom che non ha propriamente le caratteristiche che il suo leader, Maurizio Landini, ha raccontato in questi anni. Commissariata e in una continua emorragia di iscritti, solo nelle ultime due settimane si è smarcata dall’abbraccio mortifero di Fim e Uilm. Il segretario regionale Donato Stefanelli, per esempio, qualche giorno fa ha espresso una chiara opinione sulla Masseria Vaccarella, circolo del dopolavoro di proprietà dell’Ilva, ma gestito dai sindacati. «L’accordo con l’Ilva che trasferì ai sindacati la gestione del circolo Vaccarella va ridiscusso… Il sindacato non deve gestire nulla, deve tornare a fare il sindacato… Noi, dobbiamo stare con i lavoratori». Stefanelli parla «da presidente della Fondazione Vaccarella». Se, quando ha finito di occuparsi del dopolavoro, trova il tempo e lo slancio per occuparsi anche del lavoro e delle sue condizioni dentro e fuori la fabbrica, magari la Fiom a Taranto fa un passo avanti.
La forza del tre ruote è stata quella di scuotere anime rassegnate, di dar voce e carattere a quei lavoratori, precari, studenti annebbiati dai fumi industriali. Senza troppe strategie, è stato lanciato un messaggio di cambiamento che poco timore sembra avere degli orizzonti catastrofici che gli vengono contrapposti dalla stampa, dai politici e dai sindacalisti di turno. Riprendersi il proprio presente e subito, senza farsi schiacciare dal potere del capitale. La mancanza di una base operaia allargata e l’eccessiva apertura di credito alla magistratura sono i più evidenti limiti della mobilitazione del 17 agosto. A risolvere uno dei due limiti immediati probabilmente ci ha già pensato sia il governo – che ha rinunciato a ricorrere contro le decisioni del gip – sia il procuratore di Lecce che si è detto soddisfatto dei risultati dell’incontro tra governo, parti sociali e ILVA, rimandando, guarda caso a una valutazione tecnica, il problema del blocco della produzione a caldo. Insomma, quello che a prima vista sembrava essere il puzzle scomposto della nuova governance economico-territoriale, sta ritrovando un po’ alla volta quella sintesi «statale» che pochi margini lascia alle speranze di chi aveva riposto il timone dell’iniziativa nelle mani della magistratura. I pezzi stanno tornando pian piano a posto, ricomponendo l’ordinato paesaggio «costituzionale» dello sfruttamento capitalistico. Con maggiori sfumature di verde (che non sono da sottovalutare), che lasciano però aperto il problema di trovare una sintonia con la tinta di rosso operaio con la quale il Comitato si era presentato sulla scena.
Il problema della base operaia resta quello più complesso perché attorno a esso si gioca tanto la questione della «forma politica» della lotta aperta dal Comitato quanto la sua capacità di attraversare quelle contraddizioni del lavoro e della rappresentanza sindacale che emergono ogni giorno con sempre maggiore forza. Le due questioni sono legate perché, come ha per esempio mostrato l’eterogenea esperienza americana di Occupy, la forza di incidenza e di innovazione politica si è manifestata in quelle situazioni, come a Oakland, capaci di intrecciare la loro lotta contro il capitalismo finanziario con quella di segmenti consistenti di lavoro migrante, precario e operaio. Non è un’operazione semplice. Lo è forse anche di meno in una situazione come quella di Taranto dove il diffuso, seppur legittimo, sentimento antisindacale anche tra gli stessi operai (sintomo più che evidente della crisi di un sistema) rischia di tramutarsi in un blocco di qualsiasi iniziativa che provi a scompaginare qualcosa anche dentro la fabbrica, nei suoi rapporti gerarchici di sfruttamento e ricatto. Dove le dimensioni e la mole di forza lavoro impiegata lasciano pensare all’impossibilità di ogni iniziativa politica autonoma, non mediata preventivamente dall’istituzione sindacale. D’altra parte non sembra nemmeno possibile risolvere il problema senza tener conto che a Taranto nel panorama di precarietà generalizzata esistono 11.000 eccezioni salariate. Questi 11.000 stanno in fabbrica, pur essendo cittadini, e chiedono reddito a partire dal loro salario e contro di esso. La richiesta di reddito a Taranto come altrove si mostra in tutta la sua complessità e non può essere ridotta a semplice slogan. A Taranto la richiesta di reddito avviene sia contro i limiti evidenti del salario percepito, sia per l’impossibilità di avere un reddito a causa del dispotismo della città industriale.
È per questa complessità che i numeri tarantini spaventano, ma impongono di non contrapporre i 2000 del 17 agosto a una forza lavoro di 16 o 17 mila unità circa (tra impiego diretto e indiretto nella produzione dell’acciaio). I numeri esprimono con forza ed evidenza che il destino di un’intera area si gioca sul nesso tra produzione e riproduzione sociale, tra presenza operaia e il complesso di problemi ambientali, di salute e di sussistenza di un territorio a geometria variabile, che supera di gran lunga i confini della città industriale. Il Comitato si trova di fronte a un bivio. Può accettare il rischio di attraversare questo spazio composito di differenze e contraddizioni, anche dure; oppure può rifiutare la città industriale nella logica della città espropriata della propria vita, delle proprie risorse e dei propri rapporti. Anche questa logica può esprimere il rifiuto della città industriale, ma rischia di restare confinata e quindi immune dalle differenze e dalla possibilità di fare presa su quelle contraddizioni tra gerarchie, potere, erogazione di forza lavoro, riproduzione e crisi della rappresentanza sindacale che paiono significativamente accumunare la presenza «operaia» all’interno della lotta di classe globale, come dimostrano le vicende indiane della Maruti e dei minatori di Soweto. Nella città dei due Mari, più che rinchiudersi nel Mar piccolo di una città che non c’è più, e che non ci sarà mai più, forse vale la pena di tentare la sorte e portare la barca a navigare nel Mar grande delle contraddizioni globali di classe.

Per capire di cosa stiamo parlando

Consigliamo vivamente a tutti di leggere le spiegazioni pubblicate da Fabrizio Bianchi del CNR riguardo ai termini riccorrenti nella "questione Taranto"

Abbecedario minimo per la crisi di Taranto

Bonifica, dal latino bonum facere, o fare il bene
Epidemiologia, dal greco epi-demos-logos, o discorso sul popolo

Nella complessa situazione di Taranto mi sembra che due temi strettamente legati tra loro emergono con sempre maggior forza: da una parte la bonifica da fare per sanare una situazione ambientale e sanitaria che, seppure con dosature ed accezioni diverse, nessuno mette in dubbio che sia deteriorata, dall’altra la produzione e il lavoro, sulla quale si addensano interrogativi di non facile gestione.
Oltre all’esigenza di produrre mettendo a norma gli impianti e le emissioni con l’adozione delle migliori tecnologie disponibili (BAT), il punto più critico è indubbiamente quello della bonifica da fare su aree interne ed esterne all’ILVA, sulla quale il dilemma sembra riguardare se e come ciò possa avvenire in relazione al funzionamento degli impianti a caldo. Una domanda che auspicabilmente dovrebbe trovare risposte avvalendosi della metodologia tecnico-scientifica e dei risultati scientifici oggi disponibili. Molte delle posizioni di questi giorni, chiaramente di tipo politico, oltre a rischiare pericolosi contrasti istituzionali con la magistratura, rischiano anche di semplificare una situazione che dal punto di vista tecnico e tecnologico è indubbiamente molto difficile. Per dare un contributo alla lettura e comprensione di interventi e documenti è di seguito riportato una sorta di glossario di categorie tecniche e scientifiche spesso usate in modo improprio o comunque non facili di per se.
La prima definizione della parola bonificare che si trova sulla maggior parte dei dizionari della lingua italiana mette al primo posto il “prosciugare artificialmente terreni paludosi o malsani per renderli adatti alla coltivazione” e per bonifica si trovano indicate tutte quelle attività con le quali l’uomo, nel corso del tempo, ha reso buoni, vivibili e coltivabili i territori paludosi. Applicando queste definizioni al Sito di Interesse Nazionale delle Bonifiche (SIN) di Taranto, come del resto agli altri 56 SIN, si apprezza immediatamente come questi territori si siano allontanati da quel bene primario di vivibilità e coltivabilità per il quale l’uomo ha lavorato per gran parte della sua storia.
E’ interessante anche richiamare i sinonimi di bonificare: risanare, ripulire, depurare, recuperare, moralizzare, purificare; e i contrari: corrompere, inquinare, contagiare.
D’altra parte proprio basandosi sulla necessità di risanare siti riconosciuti contaminati, i SIN sono stati definiti per legge dello stato in virtù di dati di inquinamento in particolare di acque e suoli (si veda al proposito il primo volume dello studio Sentieri che riporta i dati principali territoriali e ambientali di ciascuno dei 44 SIN considerati).
Per “sito contaminato” si intende un’area nella quale in seguito ad attività umane, svolte o in corso, è stata accertata un'alterazione delle caratteristiche qualitative dei terreni, delle acque superficiali e sotterranee, con presenza documentata di inquinanti con concentrazioni che superano quelle previste dalla normativa. Il D.M. 471/99 “Regolamento recante criteri, procedure e modalità per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale dei siti inquinati”, è stato sostituito dal Titolo V  “Bonifica di siti contaminati” della Parte Quarta del D.Lgs 152/06.
I documenti sono raccolti in tre sezioni:
Caratterizzazione dei siti contaminati
La caratterizzazione rappresenta le indagini (sondaggi, piezometri, analisi chimiche etc.) condotte in un sito contaminato o ritenuto potenzialmente tale, il cui scopo principale è quello di definire l’assetto geologico e idrogeologico, verificare la presenza o meno di contaminazione nei suoli e nelle acque e sviluppare un modello concettuale del sito.
Anagrafe dei siti contaminati
L'anagrafe è uno strumento predisposto dalle regioni e dalle province autonome, previsto dalle norme sui siti contaminati (articolo 17 del D.M. 471/99 e articolo 251 del D.Lgs 152/06), che contiene: l'elenco dei siti sottoposti ad intervento di bonifica e ripristino ambientale nonché degli interventi realizzati nei siti medesimi; l’individuazione dei soggetti cui compete la bonifica; gli enti pubblici di cui la regione intende avvalersi, in caso d’inadempienza dei soggetti obbligati, ai fini dell’esecuzione d’ufficio. I contenuti e la struttura dei dati essenziali dell'Anagrafe dei siti da bonificare, sono stati definiti dall’ISPRA in collaborazione con le Regioni e le ARPA. La prima versione di questi criteri è stata pubblicata nel corso del 2001.
Tecnologie di bonifica
Esistono molte tecnologie di bonifica e al proposito ISPRA ha sviluppato una matrice di screening delle tecnologie di bonifica che prende in considerazione 38 tecnologie in situ e ex situ per la bonifica del suolo e delle acque sotterranee. Le variabili utilizzate includono tempi, necessità di monitoraggi a lungo termine, limiti ed applicabilità e casi studio.
Per riferimento è stato utilizzato il modello sviluppato dalla Federal Remediation Technologies Roundtable.
Analisi di rischio sanitario-ambientale
L'analisi di rischio sanitario-ambientale è proposta a supporto alle decisioni nella gestione dei siti contaminati, quale strumento per valutare quantitativamente i rischi per la salute umana connessi alla presenza di inquinanti nelle matrici ambientali.
Il punto di partenza per l’applicazione dell’analisi di rischio è il Modello Concettuale del Sito (MCS), basato su 3 elementi principali concomitanti:
1) la sorgente di contaminazione;
2) i percorsi di migrazione degli inquinanti attraverso le matrici ambientali;
3) i bersagli o recettori della contaminazione nel sito o nel suo intorno.
Il rischio stimato è confrontato con i criteri di accettabilità definiti dalla normativa.
Il gruppo di lavoro ARPA/APPA, ISS, ISPESL, ICRAM istituito e coordinato dall’ISPRA ha elaborato il documento “Criteri metodologici per l'applicazione dell'analisi assoluta di rischio ai siti contaminati”.
Procedura per la Bonifica dei Siti Contaminati
Prevista dal D.Lgs 152/06 Titolo V Parte Quarta - Bonifica Siti Contaminati
Si tratta di un iter molto articolato e complesso che fino ad oggi ha richiesto tempi lunghi o molto lunghi specie per la composizione dei punti critici tra i diversi portatori di interessi in sede di Conferenze dei Servizi, e che richiama quindi alla necessità di revisione in termini di razionalizzazione e accelerazione. L’iter parte dalla “Individuazione della Contaminazione Storica”, alla quale seguono tre attività in parallelo: “Comunicazione agli Enti Competenti”, “Messa in Sicurezza di Emergenza”, “Analisi di Rischio”; da qui si passa poi alle “Indagini Preliminari” che valutano se ci sono superamenti o meno delle CSC (Concentrazioni Soglia di Contaminazione):
Se No - Autocertificazione che il procedimento è concluso;
Se Si -> Comunicazione agli Enti Competenti -> poi prende il via il “Piano della Caratterizzazione” (1 Mese) che prevede un primo passaggio in Conferenza dei Servizi (1 mese) -> “Analisi di Rischio” (6 Mesi) -> ancora un passaggio in Conferenza dei Servizi (2 mesi) -> a questo punto è prevista la “Valutazione dei superamenti CSR” (Concentrazioni Soglia di Rischio);
Se Si -> “POB-Progetto Operativo di Bonifica” (6 mesi), poi ancora Conferenza Dei Servizi(2 mesi) -> “Bonifica o Messa in sicurezza” (tempo da stabilire) -> “Certificazione di avvenuta bonifica” (1 mese):
Se No -> “Valutazione di Esigenza di Piano di Monitoraggio”; Se No -> “Procedimento Concluso”;
Se Si -> “Piano Di Monitoraggio” -> Conferenza dei Sevizi (2 mesi) -> “Monitoraggio” -> “Relazione del Monitoraggio”: se il Monitoraggio evidenzia superamenti dei valori di CSR si riparte dal “POB-Progetto Operativo di Bonifica”, altrimenti il “Procedimento è concluso”.

martedì 21 agosto 2012

Toh, abbiamo anche un sindaco?

Referendum sul siderurgico, ultimatum al sindaco Stefàno
Se entro giovedì il sindaco di Taranto non provvederà ad emettere il decreto per la fissazione della nuova data del referendum consultivo sulla chiusura totale o parziale dell’Ilva, si apriranno per lui le porte della denuncia per omissione di atti d’ufficio. Lo promette il Comitato referendario “Taranto Futura”, il cui portavoce, l’avvocato Nicola Russo, ha dichiarato che i tempi sono ormai maturi per richiedere l’applicazione di ciò che ha statuito il Consiglio di Stato con la sentenza dello scorso 11 ottobre. Tale provvedimento ha ribaltato la decisione del Tar con la quale Ilva, Confindustria e sindacati erano riusciti ad ottenere uno stop all’iter del referendum grazie all’accoglimento della loro domanda di annullamento del decreto del sindaco di Taranto emesso il 1° settembre 2010, con cui, per la prima volta, veniva indetto il referendum.
Nonostante il sindaco sia stato regolarmente messo in mora con la notifica della sentenza, avvenuta il 29 ottobre, e nonostante l’invio di un ulteriore fax il successivo 17 novembre, questi non ha provveduto nei termini, lasciando trascorrere mesi interi senza più interessarsi della questione. Come si ricorderà, Taranto Futura, comitato promotore del referendum, dopo aver ingaggiato e vinto numerose battaglie giudiziarie, e superato i mille ostacoli che l’Amministrazione Stefàno avrebbe frapposto al regolare svolgimento della consultazione referendaria, ha raccolto ben 12mila firme e presentato tre quesiti: il primo sulla chiusura totale dell’Ilva, il secondo sulla chiusura della sola area a caldo e il terzo sul risarcimento del danno da inquinamento prodotto dalla grande industria. Sulla base di quest’ultimo sono stati incardinati due atti di citazione, il primo contro l’Italcave per l’inquinamento prodotto nella zona del molo polisettoriale, e il secondo contro l’Ilva, a seguito della sentenza di condanna per reati ambientali del 2005.
Il Comitato lamenta anche che il sindaco non si sia attivato per disporre la chiusura degli impianti del siderurgico o per lo meno il loro allontanamento, come stabilito dal Regolamento di igiene e sanità, che prevede queste misure, una volta acquisito il parere del Dipartimento di prevenzione nelle ipotesi di danno o anche solo di molestia ai cittadini, essendo l’Ilva classificata da un decreto ministeriale come “industria che svolge attività insalubre”. Tramite il consigliere comunale Mario Laruccia, poi, sarà chiesta la convocazione di un consiglio comunale d’urgenza affinchè il sindaco riferisca sull’esito dell’incontro con i ministri Clini e Passera. Ma l’attività del Comitato non si ferma qui. Una volta ordinata e raccolta la documentazione necessaria, Taranto Futura intende trasmettere gli atti al Tribunale penale internazionale per accertare le responsabilità politiche e amministrative riguardanti il genocidio commesso contro la popolazione tarantina a causa dell’inquinamento.
E’ stata inoltre già presentata una denuncia alla Procura della Repubblica contro il ministro Clini, perché non si sarebbe attenuto al Codice dell’ambiente in materia di bonifiche, non avendo addossato all’industria inquinatrice l’onere di pagare di tasca propria le bonifiche stesse, ma attingendo a risorse da prelevare dalle tasche dei cittadini. A breve infine sarà avviato l’iter per un nuovo referendum che avrà come “bersaglio” altre due celeberrime inquinatrici: l’Eni e la Cementir.

Sabrina Esposito (GdM) 
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 Ed ecco le chiacchiere del parolaio Stefano, il sindaco che ha scritto più lettere nella storia dei sindaci di Taranto, e ancora scrive... Ma non fa nulla.

Spostare la gente da Tamburi? Il sindaco:«Ma che sciocchezza»
«Un attimo, vorrei precisare una cosa. Ho letto, ho ascoltato un’assurdità colossale ». L'intervista con il sindaco di Taranto, Ezio Stefàno, a dire il vero, era stata sino a quel momento monopolizzata dal referendum consultivo cittadino sulla chiusura dell'Ilva (a proposito, si farà in autunno). O meglio, dalla replica del primo cittadino alla diffida di Nicola Russo, avvocato e presidente di Taranto Futura il comitato promotore dei quesiti referendari, pronto a denunciare Stefàno per omissioni in atti d’ufficio nel caso in cui non proceda subito all'indizione del referendum. Ma prima che il taccuino si chiudesse, Stefàno è ritornato sulle case del rione Tamburi.
Sindaco Stefàno, per alcuni lei era pronto a dare avvio ad un trasloco forzato dei cittadini del rione Tamburi. Qual è la verità? «Sì, purtroppo, forse a causa del gran caldo di questi giorni, non sono stato ben compreso. Secondo alcuni, infatti, io vorrei spostare una parte del quartiere Tamburi. È una sciocchezza! Ed allora, avrei perso tempo nel firmare l’accordo sulle bonifiche? Il mio obiettivo è quello di risanare quel quartiere e non certo di spostarlo. Sarebbe paradossale se invece di rimuovere la causa dell’inquinamento (ovvero, rendendo l’Ilva ecocompatibile), spostassi gli abitanti, non crede?» .
In effetti... Ed allora, a cosa si riferiva? «Alle case parcheggio del rione Tamburi (ubicate in via Machiavelli, ndr). Sono fatiscenti, con fibre e tubature di amianto. Quelle furono costruite trent’anni fa per ospitare quelle famiglie solo per un mese, sapete tutti poi com’è andata a finire. Qualsiasi sindaco d’Italia di fronte ad un o spettacolo così degradato, direbbe di abbattere quelle palazzine anche per dare ai suoi cittadini un segno tangibile del risanamento e della riqualificazione di quell’area. Per queste case, per quelle famiglie, ho chiesto già ottanta volte al governo di avere la disponibilità delle aree della Marina Militare per ristrutturare delle case. La Marina è d’accordo ma da Roma non arriva ancora il via libera».
Sindaco, intanto, se non indice il referendum per la chiusura dell’Ilva, l’avvocato Nicola Russo del comitato “Taranto Futura” ha minacciato di denunciarla per omissioni in atti d’ufficio. «Avevo già richiesto ma non in seguito alle dichiarazioni di Russo alla Ragioneria del Comune di Taranto di farmi sapere se ci sono le risorse finanziarie disponibili per tenere entro quest’an - no il referendum consultivo».
E che risposta ha ricevuto? «I soldi ci sono». È possibile che la somma da stanziare si aggiri sulle 500mila euro? «Sì, è molto probabile». Allora, quando si svolgerà la consultazione? «Un attimo, un attimo. Ho scritto anche alla direzione Decentramento per sapere, in base al nostro Regolamento, in quale periodo è possibile svolgere il referendum consultivo. Ed infine, ho chiesto anche un parere ai nostri uffici per sapere se l’avvocato Russo sia legittimato a diffidarmi, prima ed eventualmente a denunciarmi poi».

Fabio Venere (GdM)

lunedì 20 agosto 2012

TUTTI sapevano TUTTO!

Diossina e ossido di ferro dall'Ilva. "Il ministero sapeva tutto dal 2011"

L’esplosivo rapporto del Noe (Nucleo operativo ecologico) dei carabinieri di Lecce del maggiore Nicola Candido, che documentava il disastro ambientale di Taranto, con le fughe di emissioni «diffuse e fuggitive» dagli impianti di area a caldo dell’Ilva, arrivò a Roma, al ministero dell’Ambiente. Eravamo alla vigilia dell’approvazione, dopo sette anni, dell’AIA, l’Autorizzazione integrata ambientale, e non successe nulla. Nessun intervento, interrogativo, nessuna iniziativa fu presa. Eppure, quel rapporto del Noe con la denuncia di centinaia di «eventi irregolari» è parte integrante delle accuse mosse dalla Procura di Taranto all’Ilva. L’allora ministro per l’Ambiente, Stefania Prestigiacomo, giura che non vi furono pressioni di sorta per l’AIA, che fu approvata il 4 agosto del 2011. Anche se dalle intercettazioni telefoniche e ambientali risulta, invece, che i dirigenti dell’Ilva si mossero con funzionari della Regione Puglia e con la commissione ministeriale per addolcire l’AIA. Ma rimane un mistero come della prova dell’inquinamento in corso a Taranto nessuno tenne conto. Era l’aprile dell’anno scorso. Circolavano in rete video o fotografie che riprendevano «strani» sbuffi dall’acciaieria dell’Ilva e più in generale dall’area a caldo dello stabilimento. Con il via libera della procura, il Noe dei carabinieri di Lecce piazzò alcune telecamere esterne ai perimetri dell’Ilva. Mise sotto intercettazione visiva e sonora per quaranta giorni quello che accadeva, 24 ore su 24, nella acciaieria più grande d’Europa. E registrò il cosiddetto fenomeno di «slopping» in occasione delle colate d’acciaio, la fuoriuscita cioè di ossido di ferro, una nuvola rossastra che posandosi sporca di rosso gard rail e asfalto della provinciale, dall’acciaieria 1 e 2. Dal primo aprile al 10 maggio del 2011 furono segnalati 121 fenomeni di «slopping» all’acciaieria 1 e 65 all’acciaieria 2. Nel secondo caso, la metà di quelle emissioni dell’acciaieria 1. E per gli uomini del Noe che fecero domande e acquisirono documentazione, fu chiara la ragione della differenza: all’acciaieria 2 erano stati montati sistemi di captazione di fumi più moderni. In ogni caso, la dimensione dei fenomeni era tale che non potevano essere giustificati per la eccessiva frequenza. Naturalmente viene spontaneo chiedersi se rispetto a un anno fa la situazione è migliorata o meno. E la risposta (molto informale) che arriva da chi monitora l’inquinamento è che gli «slopping sono ridimensionati ma non eliminati». Ma perché avvengono e cosa si può fare per eliminarli? Intanto è evidente che la differenza tra le due acciaierie indica una possibile soluzione, sull’efficacia dei sistemi di captazione, poi la causa potrebbe trarre origine da «rotture meccaniche», da «errori tecnici», dalle stesse «torce meccaniche». L’attività di monitoraggio del Noe dei carabinieri di Lecce, nella primavera dello scorso anno non si fermò soltanto alle acciaierie. Dalla gestione dei rottami ferrosi, un’area all’aperto dove attraverso piccole colate di materiali incandescenti, ad alta temperatura, viene recuperato il ferro, si notavano, di notte, dei bagliori. Erano emissioni in atmosfera di fumi non captati. E poi le cosiddette torce, collegate all’acciaieria, dove vengono convogliati i gas della colata. Sono dei sistemi d’emergenza che per gli 007 del Noe in realtà servono a smaltire gas, ovvero rifiuti che dovrebbero essere recuperati diversamente. Il rapporto del Noe dei carabinieri di Lecce è parte integrante delle accuse della Procura di Lecce che, tra l’altro, trova conferme nel lavoro dei periti chimici durante l’incidente probatorio. E sempre al Noe toccò verificare alcuni esposti con allegati video su quello che accadeva nel reparto cokerie. Il 28 novembre del 2011, i carabinieri del Nucleo operativo ecologico di Lecce entrarono all’Ilva. Scrive il gip Patrizia Todisco: «L’esito fu sconcertante. Durante la fase di scaricamento i militari notavano personalmente, in sede di sopralluogo, la generazione di emissioni fuggitive provenienti dai forni che, una volta aperti per fare fuoriuscire il coke distillato, lasciavano uscire i gas del processo che invece dovrebbero essere captati da appositi aspiratori/abbattitori». (La Stampa)

C'è poco da scherzare

TARANTO: DIRITTO AL LAVORO O DIRITTO ALLA SALUTE?

I telegiornali hanno trasmesso immagini relative all’ILVA di Taranto che mostrano fatti recentissimi e sconvolgenti di inquinamento ambientale. L’Ordine dei Medici della Provincia di Taranto ha pubblicato un documento dove invita i genitori del quartiere Tamburi a impedire che i loro bambini possano giocare a contatto con la terra e sollecitandoli al ritorno a casa a fare immediatamente una doccia e lavare i vestiti, evitando in ogni circosatanza che corrano sul prato.  Un magistrato serio e rigoroso come Patrizia Todisco ha firmato una ordinanza di sequestro degli impianti dell’ILVA per gravissime violazioni accertate che hanno causato morti. Gli ultimi dati ambientali disponibili (resi noti a inizio 2012) indicano che nel 2010 l’ILVA ha emesso dai propri camini:
  • 4mila tonnellate di polveri
  • 11mila tonnellate di diossido di azoto
  • 11mila e 300 tonnellate di anidride solforosa
  • 1 tonnellata e 300 chili di benzene
  • 338,5 chili di IPA
  • 52,5 grammi di benzo(a)pirene
  • 14,9 grammi di composti organici di benzo-p-diossine e policlorodibenzofurani (PCDD/F)
Parliamo insomma di circa 150 kg di sostanze emesse ogni anno per ciascun residente.
Uno studio (denominato Sentieri), dell’Istituto Superiore di Sanità, pubblicato sulla rivista scientifica “Epidemiologia e Prevenzione” nel dicembre 2011, indica il numero di morti in eccesso nelle popolazioni che vivono nei 44 Siti di Interesse Nazionale per le bonifiche (SIN). I dati dei ricercatori descrivono una media di 1.200 morti in eccesso all’anno nel periodo 1995-2002 (cioè 1.200 decessi in più di quanti statisticamente ne sarebbero stati attesi). Molti di questi decessi sono legati a tumori polmonari, a tumori della pleura e a tumori del fegato.
Tuttavia, i dati resi pubblici in queste ultime settimane non indicano la quantità di sostanze cancerogene presenti attualmente nel suolo, nel sottosuolo, nelle acque sotterranee e nei sedimenti marini di Taranto. Né indicano quanti bimbi, quante donne, quanti operai si sono ammalati e sono morti negli ultimi due-tre anni.
Io credo che il Ministero della Salute ed il Governo debba rendere immediatamente pubbliche tutte le informazioni scientifiche di cui dispone. Solo sulla base di dati scientifici recenti e certi si possono prendere delle decisioni che siano nell’interesse di chi vive e lavora a Taranto.
E comunque non si possono mettere in un conflitto irrisolvibile due diritti fondamentali come il lavoro e la salute. L’articolo 41 della Costituzione parla chiaro: l’iniziativa economica non può svolgersi in modo da recare danno alla sicurezza delle persone. Se qualcuno ha sbagliato deve pagare e farsi carico di riconvertire il sito industriale con percorsi lavorativi che abbiano come protagonisti gli stessi lavoratori dell’ILVA e dell’indotto.

I piatti di lenticchie per gli amici

Chiesa e Politecnico al desco di Riva ...e se tra gli altri vengono fuori anche i nomi dei giornalisti? Scriveranno loro stessi l'articolo? Quanto si saprà delle carte che scoperchiano il calderone Taranto? ----------------------------------------------------

Casse di vino, fiori o contanti
L'elenco dei regali fatti dall'Ilva

L'attività di lobby dell'azienda siderurgica, il ruolo di Girolamo Archinà, capo delle relazioni pubbliche

TARANTO - Due pagine, ottanta righe. Ogni riga una data, un nome e una cifra (GUARDA IL DOCUMENTO). C'è la parrocchia dei Santissimi Angeli Custodi (2.500 euro il 19 ottobre 2010), c'è l'Unione italiana per il trasporto degli ammalati a Lourdes (5.000 euro il 23 luglio 2010), compare la Banda municipale del Comune di Crispiano (2.750 euro, il 31 dicembre del 2010), il Lions Club locale (2.500 euro il 15 giugno del 2011), piccole società sportive come la Okinawa karate (4.000 euro il 31 maggio 2011) o la Triton Taranto che si occupa di football (2.000 euro il 30 giugno 2011) o un'associazione tarantina di pattinatori (2.000 euro il 31 luglio del 2011). E poi società per azioni, aziende informatiche, il Politecnico di Bari, centri culturali, un comitato per un non meglio precisato festeggiamento, anche un omaggio floreale da 50 euro, il 5 aprile del 2011.
Lo stabilimento siderurgico (Ansa/Ingenito)Lo stabilimento siderurgico (Ansa/Ingenito)
GLI OMAGGI - Eccola qui la lista Ilva degli «omaggi e regalie» 2010-2011. Soldi regalati a questo o quello oppure spesi per comprare pacchi dono. Gesti che non comportano alcun reato, ma che secondo la Guardia di finanza indicano quanto elevato fosse il budget a disposizione di Girolamo Archinà, il capo delle relazioni pubbliche dell'azienda accusato di fare pressioni sulle istituzioni per favorire in ogni modo l'acciaieria. E la lista indica anche quanto estesa fosse la rete di contatti «sociali» dell'Ilva nel territorio. LA RETE - L'elenco è stato consegnato agli inquirenti da Francesco Cinieri, dal 1986 responsabile della contabilità dello stabilimento siderurgico. Secondo i magistrati in quella lista di donazioni e acquisti di regali per amici e giornalisti, è stata contabilizzata come «spese di direzione» anche la mazzetta da diecimila euro che Archinà avrebbe pagato al consulente tecnico della procura, Lorenzo Liberti, perché «addolcisse» le sue considerazioni sull'inquinamento. Circostanza che Liberti (filmato mentre ritira una busta da Archinà) nega («conteneva il testo di un accordo-quadro»). Nelle carte contabili dell'Ilva c'è un documento di due righe (anche quello consegnato ai finanzieri da Cinieri) allegato ad una delle informative del caso giudiziario. È un foglio con il quale Archinà chiede a Cinieri di «predisporre 10 mila euro da utilizzare per offerta alla Chiesa di Taranto in occasione della Pasqua». La data è del 25 marzo 2010, lo scambio della presunta mazzetta avviene il giorno dopo e anche se lo stesso arcivescovo conferma la donazione, secondo i finanzieri quelle due righe sono il sotterfugio usato da Archinà per giustificare il prelievo dei soldi e nasconderne il vero motivo.
LE EROGAZIONI - Sentito come testimone, Cinieri dice: «posso pensare che la somma che mi fu richiesta, essendo periodo pasquale, potesse essere consegnata all'Arcivescovato». Per aggiungere poi che «almeno una volta all'anno, o a Natale o a Pasqua, viene fatta una erogazione, anche se per cifre che normalmente non superano i 5.000 euro. Se non erro non è mai avvenuto che ne sia stata fatta una da 10.000 euro». I magistrati lo convocano il 25 novembre scorso. Lui spiega come recuperò frettolosamente i 10.000 euro che Archinà voleva subito (prima di partire per l'incontro con Liberti) e poi dice che in ufficio ha quel che serve per dimostrare come finiscono in bilancio le spese del capitolo «omaggi e regalie». Il verbale viene interrotto e i finanzieri vanno assieme a lui negli uffici della direzione Ilva. Cinieri passa in rassegna i file del computer e stampa le due pagine dell'argomento. «Ecco» spiega. «Se la descrizione del beneficiario è ben specificata è perché da loro stessi è arrivata una richiesta formale. E in quel caso l'erogazione avviene tramite bonifico o assegno circolare non trasferibile». Ma c'è una seconda opzione. «Se la descrizione del beneficiario non è specificata - racconta il contabile - allora si tratta di uscite di cassa per contanti e significa che non c'è una richiesta preventiva ma che la richiesta avviene direttamente dalla direzione, per questo la causale è "spese di direzione"». Proprio come quella spesa di 10 mila euro registrata lo stesso giorno della presunta bustarella. O come un'altra dazione, per la stessa cifra, contabilizzata il 14 aprile 2011 come «erogazione della direzione». Sospetta come la prima, secondo gli inquirenti.
IL CASO - Fra i nomi delle società del capitolo «omaggi e regalie» dell'Ilva ce n'è una, la Semat Spa, che vanta le cifre più alte: da un minimo di 1.286 euro a un massimo di 64.341. Ovviamente le cifre accanto ai nomi non significano sempre che si sia trattato di una donazione. In alcuni casi, per esempio con la «D'Erchie Srl» (un'azienda che produce olio d'oliva) e la «Longo, un mondo di specialità» (vini e prodotti alimentari) le migliaia di euro accanto al nome indicano le spese sostenute per i pacchi-regalo di fine anno, moltissimi ai giornalisti. La cifra più piccola 72.69 euro, la più alta 8.400.



Soldi e casse di champagne per amici, preti e giornalisti
TARANTO - C’è la banda di Crispiano e la parrocchia Santi Angeli Custodi di Taranto. Il Lions club di Taranto e il Politecnico di Bari. Tutti inseriti, insieme a società sportive, comitati festeggiamenti ma anche due note enoteche dalle quali partivano casse di champagne per giornalisti e rappresentanti delle istituzioni ogni fine anno, nelle due pagine della voce «omaggi e regalie» del bilancio dell’Ilva finite nell’inchiesta della Guardia di Finanza per corruzione in atti giudiziari che vede indagati a piede libero il vicepresidente del gruppo, Fabio Riva; l’ex direttore dello stabilimento siderurgico, Luigi Capogrosso; l’ex consulente dell’Ilva per l’ecologia e i rapporti istituzionali, Girolamo Archinà e l’ex consulente della Procura di Taranto, Lorenzo Liberti, già preside del Politecnico.
I documenti sono stati acquisiti dai militari delle Fiamme Gialle per ricostruire il flusso di denaro dall’Ilva all’esterno e dunque capire se i diecimila euro che Archinà chiese all’amministrazione di preparare in fretta e furia il 25 marzo del 2010 erano destinati all’allora vescovo Benigno Luigi Papa per la Pasqua di quell’anno, come l’llva ha sempre sostenuto, oppure se invece erano per il professor Lorenzo Liberti, allora consulente del pm Mariano Buccoliero, incontrato da Archinà il 26 marzo sempre del 2010, nell’area di servizio di Acquaviva delle Fonti, sull’autostrada Taranto-Bari. Liberti, difeso dagli avvocati Francesco Paolo Sisto e Vincenzo Vozza, ha respinto sia nell’interrogatorio tenuto dinanzi al pm Remo Epifani che nella memoria depositata al gip Giuseppe Tommasino, l’accusa, sostenendo di aver sì ricevuto una busta bianca da Archinà - d’altronde le immagini del sistema di videosorveglianza dell’area di servizio sono inequivocabili - ma all’interno c’erano solo documenti riguardanti un protocollo di intesa che Ilva e Politecnico di Bari stavano per sottoscrivere.
Vero o falso? Nelle due pagine degli omaggi e delle regalie quei diecimila euro ci sono, ma stranamente manca il destinatario in quanto il 26 marzo vengono rubricati genericamente, e secondo i finanzieri in maniera eloquentemente sospetta, sotto la voce «spese direzione».
Non è l’unica volta che accade perché anche il 14 aprile del 2011 dalle casse dell’Ilva escono 10mila euro sotto la voce «erogazione direzione». L’interrogatorio del contabile dell’Ilva Francesco Cinieri non risolve il giallo. Cinieri ai finanzieri dice infatti che Archinà non gli disse a chi erano destinati i soldi ma che poteva pensare che, essendo in periodo pasquale, potessero essere consegnati all’arcivescovado di Taranto. «Almeno una volta all’anno davamo all’arcivescovado cifre che non superavano i 5.000 euro», ha sostenuto Cinieri, aggiungendo dubbio ai dubbi, vista l’entità della somma. Archinà, poi, si arrabbiò non poco quando seppe che i contabili dell’Ilva non erano riusciti a trovare banconote di grosso taglio. E appena ebbe i soldi, invece di chiamare in arcivescovado, telefonò a uno stretto collaboratore del professor Liberti, col quale riuscì ad incontrarsi alla stazione di servizio. (Mimmo Mazza - GdM)

Interpretazioni in libertà

I giudici sull'Ilva: "Fermare l'inquinamento
ma gli impianti potranno funzionare"

Il tribunale del Riesame ha ribadito lo stop degli impianti senza facoltà d'uso, imponendo "l'interruzione della catena dei reati": saranno i custodi nominati dal gip e dalla procura ad attuare le prescrizioni. "Le motivazioni confermerebbero che gli impianti vanno chiusi non definitivamente ma solo in funzione degli specifici interventi di bonifica"

TARANTO - Fermare immediatamente le emissioni degli inquinanti. Ma l'impianto dell'Ilva potrà continuare a funzionare. Dovranno essere i custodi, a prendere la gestione dell'impianto e adeguarlo alle migliori tecnologie possibili, come impone l'Unione europea, pensando allo
spegnimento solo come a "una delle scelte tecniche possibili". Lo scrive il tribunale del Riesame nelle 124 pagine depositate stamattina con le quali conferma il sequestro dell'impianto senza facoltà d'uso, nelle quali traccia però una strada per salvaguardare diritto alla
salute e diritto al lavoro".  "Non si tratta certo - scrivono i giudici Antonio Morelli, Rita Romano e Benedetto Ruberto - di operare compromessi fra questi ultimi e i primari interessi alla vita, salute
e integrità ambientali, quanto piuttosto individuare quelle soluzioni che, nel giungere alla cessazione delle emissioni inquinanti, consentano di pregiudicare il meno possibile gli ulteriori interessiin gioco".

Come si può fare? ""Semplificando e schematizzando la questione, va detto che non è compito del tribunale stabilire se e come occorra intervenire nel ciclo produttivo o, semplicemente, se
occorra fermare gli impianti trattandosi di decisione che dovrà necessariamente essere assunta sulla base delle risoluzioni tecniche dei custodi - si legge nell'ordinanza . Al momento lo spegnimento degli impianti rappresenta solo una delle scelte tecniche possibili (...) In nessuna parte della perizia e, del resto, in nessuna parte del provvedimento del gip si legge che l'unica strada perseguibile al fine di raggiungere la cessazione delle emissioni inquinanti, unico obiettivo che il sequestro si prefigge, sia quello della chiusura dello stabilimento e della cessazione dell'attività produttiva. Al contrario si desume la possibilità che l'impianto siderurgico possa funzionare ove siano attuate determinate misure tecniche che abbiano lo scopo di eliminare ogni situazione di pericolo per i lavoratori e la cittadinanza (...) Il sequestro di un enorme e complesso stabilimento industriale quale il siderurgico di Taranto non è meramente tecnica e fine a se stessa visto che dalla sua soluzione discendono importanti ricadute concrete che vanno a intaccare contrapposti interessi, pure costituzionalmente rilevanti, quali quello della tutela dell'impresa produttiva e della tutela dell'occupazione di mano d'opera".

Per questo motivo, quindi, il Riesame ha ordinato di fermare "il blocco delle specifiche lavorazioni e lo spegnimento degli impianti" chiesto dalla Todisco, mentre al contrario "i custodi dovranno valutare e adottare tutte le possibili scelte operative e quelle concretamente idonee a salvaguardare l'integrità e la sicurezza  degli impianti e a consentire, in ipotesi, la ripresa dell'operatività".

Sulla questione è intervenuto il ministro dell'Ambiente Corrado Clini: "Le motivazioni del tribunale del riesame sul sequestro dello stabilimento Ilva di Taranto confermerebbe che gli impianti vanno chiusi non definitivamente ma solo in funzione degli specifici interventi di bonifica". "Da quello che ho letto", ha spiegato Clini, il riesame conferma "l'approccio che anche noi abbiamo sempre suggerito: la fermata degli impianti è in funzione degli interventi di risanamento".

Oggi, inoltre, so riunirà presso la sede del ministero dell'Ambiente, la commissione Ippc-Aia, per definire il piano di lavoro al fine di giungere alla revisione dell'autorizzazione integrata ambientale per l'Ilva di Taranto entro il 30 settembre prossimo. "Alla riunione - si legge in una nota del ministero dell'Ambiente - parteciperanno anche i rappresentanti del ministero dello Sviluppo economico, del ministero della Salute, dell'Ispra, della Regione Puglia oltre che dell'Ilva. La nuova autorizzazione, come ha avuto modo di spiegare Clini nel corso del vertice di Taranto di venerdì, avrà come riferimento anche le prescrizioni formulate dal gip per la riduzione dell'impatto ambientale delle produzioni".