venerdì 1 aprile 2016

Acciaierie Erdemir ovvero i turchi tarantini!


Spulciando in rete sulla situazione ambientale a Karadeniz Eregli, la città dove Erdemir, l'offerente turca per l'Ilva, produce acciai, viene fuori una situazione "molto familiare" di inquinamento diffuso da metalli pesanti e altri cancerogeni, nascosto da una politica nazionale che non approfondisce la questione in nome dell'economia e dello sviluppo.
Quello che nasconde lo Stato lo rivela la... cipolla!!
Una curiosità storica: Karadeniz Eregli è una città che sorge in una pittoresca insenatura naturale dove i Greci fondarono la fiorente colonia di Heraclea Pontica. Città votata ad Ercole, come Taranto. Qui la mitologia racconta che l'eroe greco affrontò ed uccise Cerbeto. Il cane dalle tre teste.
Prima dell'industria l'economia locale era basata sul mare, sulla pesca e sull'agricoltura...
Ricorda qualcosa?

sabato 27 febbraio 2016

A San Giuseppe il Falò della Monnezza. Taranto capitale dell'In-cultura


Si sta avvicinando San Giuseppe. E come ogni anno, a Taranto soprattutto i ragazzi (e per la maggior parte minori), da circa un mesetto fino al giorno fatidico, il 19 marzo, si organizzano per dare vita al tanto atteso Falò. Ma ad essere bruciati, come vuole la tradizione, non rami secchi, ma veri e propri rifiuti da incendiare.
Ecco che, quello che dovrebbe essere un rituale di purificazione, diventa a Taranto rituale del degrado e della monnezza, da bruciare e da respirare!
Ed ecco che, luoghi come Piazzale della Liberazione, nel quartiere Paolo VI di Taranto, contrassegnati durante tutto l'anno dalla pulizia e dalla civiltà degli abitanti che lo vivono, diventano vere e proprie discariche come mostrano le immagini.
La discarica di rifiuti di ogni genere, non solo legna, ma armadi, sedie, divani e porte....  è stata fatta  utlizzando gli stessi cassonetti della spazzatura che sono stati svuotati, e impiegati come mezzo per trasportare quanto raccolto e trovato per strada. I sacchetti della spazzatura sono stati poi bruciati una sera dagli stessi ragazzi. Sembrava di assistere ad una scena surreale: sembrava di stare in una qualsiasi discarica del Sud del mondo, dove i bambini si muovono tra i rifiuti che bruciano.
Questo è avveuto nell'indifferenza del Comune di Taranto e delle forze dell'ordine. Tutti dovrebbero vigilare, ma invece nessuno si muove. Se non uno sparuto gruppo di cittadini indignati.
I vigili urbani sono stati avvisati, e così pure i vigili del fuoco. Infatti i rifiuti in questione sono stati depositati proprio sotto a dei pini.... come potete vedere dalle immagini. Siamo davanti ad un esempio tangibile, evidente di un degrado culturale. Un degrado ambientale e culturale senza precedenti.
Nel giorno di San Giuseppe,a  Taranto,  insieme ai rifiuti brucerà anche la cultura.







 

Record italiano di inquinamento a Taranto. Lo dice il Politecnico di Torino.... per l'Ilva

Quando fondammo il Comitato per Taranto, quando scendevamo nelle piazze per denunciare quanto stava avvenendo in quella fabbrica, quando iniziavamo a parlare di diossina, mercurio, PCB... di camino E312, di AIA, ci  sentivamo spesso rispondere e accusare di fare dell'allarmismo psicologico (!), noi ostinatamente e con convinzione abbiamo proseguito nella nostra strada, e ciò che noi denunciavamo a gran voce è oramai una realtà assodata.

Da Ilfattoquotidiano.it
Relazione del Politecnico di Torino per conto del siderurgico: battuto ogni record italiano di inquinamento nel quartiere Tamburi, adiacente allo stabilimento. Lo studio sul tavolo del Governo, che non lo ha divulgato

Diossina in valori alti, altissimi, al quartiere Tamburi di Taranto. Numeri schizzati anche quaranta volte oltre i limiti, ben superiori al “record storico” registrato in Italia e circa diciotto volte oltre i numeri toccati durante i rilevamenti dell’Arpa tra il 2008 e il 2011. E questa volta, tra l’agosto 2013 e il febbraio 2015, a riscontrare quei picchi fino a 791 picogrammi al metro quadro, sono stati due laboratori per conto della stessa Ilva. I dati sono contenuti in una relazione stilata dal Politecnico di Torino, chiusa lo scorso 23 dicembre, che l’azienda avrebbe inviato al ministero dell’Ambiente, ma che il dicastero guidato da Gianluca Galletti avrebbe omesso di divulgare.
A novembre 2014, la rilevazione del dato più preoccupante: la centralina del quartiere Tamburi, il più vicino all’impianto siderurgico, ha registrato un valore medio giornaliero di 791 picogrammi al metro quadro rispetto a un ‘valore soglia’ che per le “deposizioni” si attesta tra 15 e 20 picogrammi. Anche il dato di febbraio 2015, 212 picogrammi, è allarmante, mentre il valore medio dei 19 mesi in esame è di 56 picogrammi al metro quadrato. Dati che l’Ilva ha dovuto raccogliere come prescritto nell’Autorizzazione integrata ambientale, non resi pubblici, ma che hanno spinto l’associazione ambientalista Peacelink a scrivere al ministro Galletti chiedendo di “conoscere urgentemente i rapporti di prova con le analisi relative ai controlli sulle deposizioni della diossina. Sono analisi che Ilva dovrebbe aver già effettuato e che non sono attualmente pubbliche. Vogliamo che siano resi pubblici perché da essi dipende la salute della popolazione di Taranto”. Al titolare dell’Ambiente si è rivolto anche Angelo Bonelli della Federazione dei Verdi: “Il Ministro dell’Ambiente deve spiegare all’Italia intera, non solo ai tarantini, perché non ha reso pubblici i dati di rilevamento della diossina a Taranto effettuati con i deposimetri che hanno raggiunto valori drammaticamente eccezionali in modo particolare nel quartiere Tamburi”.
Peacelink spiega di aver scoperto che sul sito del ministero “mancano proprio i dati sulla diossina che dovrebbero essere raccolti nel Piano Monitoraggio e Controllo dell’Aia Ilva”. Quindi, continua la lettera scritta a Galletti, “ci siamo attivati nelle scorse settimane per colmare tale vuoto di informazione”. Secondo la ricostruzione dell’associazione ambientalista, il 27 gennaio sarebbero stati richiesti i dati al ministero e all’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, ricevendo una risposta insoddisfacente in data 12 febbraio: “Infatti il ministero dell’Ambiente, tramite Ispra, ha sostanzialmente detto di rivolgerci all’Arpa Puglia”. Un feedback ritenuto “non idoneo” perché venivano richiesti “i dati che l’Ilva raccoglie e che deve trasmettere al ministero dell’Ambiente tramite la sua struttura commissariale”.  L’Arpa avrebbe ricevuto i dati solo lo scorso 24 febbraio, ma la domanda degli ambientalisti resta valida: “La situazione ci sembra inquietante: mancano i dati delle deposizioni della diossina effettuati da Ilva e fino a ora la struttura commissariale non ha reso pubblici tali dati: perché?”.
Inoltre dai dati emerge che all’interno della fabbrica i valori raccolti da altre cinque centraline sono più bassi. In sostanza i Tamburi sono più inquinati dell’Ilva? Nella relazione, firmata lo scorso 23 dicembre dall’ingegner Maurizio Onofrio, sono state indicate come cause “altri fattori di contaminazione” tra cui probabilmente “gas di scarico” e “caldaie industriali” oltre “alla combustione di legno”, una ragione che ricorda la polemica nata attorno alla perizia inviata alla Regione Puglia dall’ex commissario Enrico Bondi sui tarantini e il fumo di sigarette. Per fonti investigative consultate da ilfattoquotidiano.it, invece, il valore del quartiere Tamburi è più alto perché le diossine verrebbero trascinate dal vento all’esterno della fabbrica, fino a numerosi chilometri di distanza.
Secondo il direttore generale di Arpa Puglia, Giorgio Assennato, l’aspetto più preoccupante “è il ritardo con il quale si viene a conoscenza di questi dati”. Ora l’Arpa ha deciso di inviare i propri tecnici presso uno dei laboratori che ha raccolto i dati per capire come sono stati effettuati i campionamenti, ma il numero uno dell’Agenzia regionale per l’ambiente mette un punto fermo: “Il dato di 81 picogrammi registrato nel maggio 2014 appartiene a un tipo di diossine chiaramente riconducibili a impianti industriali”. Oggi Arpa ha informato anche il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, che definisce i valori “di ordini di grandezza pericolosamente superiori ai limiti” e ha quindi scritto al premier Matteo Renzi e alla Procura di Taranto, informandoli delle misure attivate. Emiliano ha chiesto con urgenza ad Arpa di avviare un’indagine diretta nel quartiere Tamburi e all’Asl di Taranto di “verificare le condizioni di igiene e sicurezza in ambienti di lavoro” e “di accertare eventuale presenza di aziende produttrici di generi alimentari e, nel caso, di procedere al campionamento e successive analisi presso i laboratori competenti”.
Preoccupazione esprime anche il medico Annamaria Moschetti, pediatra tarantino che in questi anni si è occupata del ‘caso diossine’: “Innanzitutto è probabile che quei valori, se confermati, siano stati registrati in concomitanza con valori altrettanto alti di altri inquinanti. Un impianto di quel tipo non può mai stare a ridosso di una città – spiega a ilfattoquotodiano.it – L’Aia rivista, ora in vigore, secondo i dati Arpa, vede ancora almeno 12mila persone esposte a quello che si chiama rischio cancerogeno inaccettabile, anche nel caso in cui venga totalmente rispettata – continua la pediatra – E invece mi chiedo: a fronte della dichiarazione di attenzione ai bambini, dove sono i risultati delle analisi sulla diossina nel latte materno imposte dalla prescrizione 93 dell’Autorizzazione integrata ambientale?”.

domenica 3 gennaio 2016

Inflazione...

A Taranto aumentano 
i pazienti malati di cancro»

«C'è una massa di malati oncologici che è aumentata». Lo ha detto il dottor Patrizio Mazza, primario di Ematologia all’ospedale 'Moscatì di Taranto, in occasione della conferenza stampa dell’attore Michele Riondino, della giornalista Valentina Petrini e del Comitato Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti sui disagi che vivono i pazienti del presidio sanitario a causa di problemi organizzativi e logistici.

«Le strutture ci sono - ha sottolineato Mazza - e vengono anche improntate. Le mancanze si rilevano soprattutto sul piano organizzativo-assistenziale. A volte è una mancanza più del territorio, che non fa il filtro e in effetti va detto che c'è una massa di pazienti che è aumentata. Una mole di pazienti seri, soprattutto pazienti oncologici». Il primario ha detto che "c'è un’emergenza che va in diverse direzioni. Una malattia come il mieloma multiplo, che è una malattia che fino a poco tempo fa interessava soprattutto persone anziane, ora la riscontriamo nei 50enni e si sta anche abbassando il livello di età di incidenza».

Secondo il Comitato dei 'Liberi e Pensantì i cittadini di Taranto hanno bisogno di risposte immediate e non possono attendere i tempi tecnici per la costruzione del nuovo ospedale San Cataldo. Andrebbe quindi potenziato l’ospedale Moscati, fino a farlo diventare un polo oncologico d’eccellenza.

E’ stato ricordato che per la costruzione dell’ospedale San Cataldo verranno stanziati 207 milioni di euro, ma non si anno certezze sull'avvio dei lavori e soprattutto sulla loro conclusione. Basterebbe, secondo i 'Liberi e pensantì, spostare alcuni reparti già presenti e acquistare le attrezzature mediche necessarie.

«Dite che è un diritto - hanno osservato Michele Riondino e Valentina Petrini dopo aver visitato i reparti oncologico ed ematologico del Moscati - avere un posto per fare la chemio? Senza liste e attese? Noi diciamo di sì. No allo sperpero di soldi per nuovi ospedali che forse non vedremo mai. E' prioritario invece potenziamento del Moscati». Il 2015, hanno sottolineato gli attivisti del Comitato, si è chiuso per i malati oncologici di Taranto «con la certezza che per avere una diagnosi precoce è necessario superare un percorso ad ostacoli perché mancano gli strumenti più semplici. Nonostante gli sforzi dei medici e di tutto il personale sanitario, le cure oncologiche a Taranto sono un calvario nel calvario, tra situazioni logistiche estreme, mancanza di apparecchiature diagnostiche e personale insufficiente e spremuto al massimo».

«Chiediamo - hanno aggiunto - al governatore della Regione Puglia: che senso ha sprecare milioni di euro per un nuovo ospedale, che finiranno nelle tasche dei soliti palazzinari di questa città e non solo, quando esiste una struttura che se rinforzata e trasformata in polo oncologico con reparti specifici eviterebbe ai Tarantini di curarsi altrove?».
(GdM)

domenica 27 dicembre 2015

Svendere please!

Ilva, preavviso infrazione Ue: «No aiuti di Stato, vendete»

Era prevista da settimane ed è arrivata. L’Unione Europea si appresta ad aprire una procedura di infrazione verso l’Italia a proposito dell’Ilva. A settembre 2013 toccò alle violazioni ambientali, stavolta, invece, finiscono sotto la lente i provvedimenti finanziari che, su proposta del Governo, il Parlamento ha approvato all’interno di varie leggi e che Bruxelles considera aiuti di Stato e quindi incompatibili con le regole dell’Unione. «Mi riferisco all’indagine preliminare in corso riguardante gli aiuti garantiti all’Ilva» scrive in una lettera di una cartella e mezza il commissario europeo Margrethe Vestager al sottosegretario agli Affari europei, Sandro Gozi, annunciando le intenzioni di Bruxelles. «Considerando le lamentele ricevute, come anticipato durante i nostri incontri del 10 settembre 2015, la Commissione dovrà presto decidere formali provvedimenti sulle misure finanziarie già garantite» specifica Vestager, responsabile della Concorrenza.«La lettera? Non costituisce affatto una sorpresa - commentano Piero Gnudi e Corrado Carrubba, commissari straordinari dell’Ilva -. Sapevamo che l’Unione Europea si stava muovendo su questa strada». «Il Governo ha già tenuto delle riunioni sul tema e altre ne convocherà - puntualizza Gnudi -. Alle obiezioni di Bruxelles sarà data risposta».
A quanto pare, se la Commissione ritiene che siano tutti aiuti di Stato i 300 milioni di prestito inseriti nell’ultimo decreto legge, gli 800 di prestito garantito dallo Stato inseriti nella legge di Stabilità 2016 e gli altri 400 di prestito garantito della legge 20 di marzo 2015, il Governo italiano intende far valere il principio che in materia di risanamento ambientale l’azione pubblica non è preclusa dalle norme europee. In sostanza, il messaggio che Roma lancia a Bruxelles è che il Governo è intervenuto intensamente per l’Ilva perchè c’è una questione ambientale grave e complessa. E che senza bonifica, l’azienda non potrà mai tornare a produrre a pieno regime, nè essere competitiva. Lo ha detto mesi fa il ministro dell’Ambiente, Gian Luca Galletti, lo ha sottolineato giorni addietro a Bari il capo di gabinetto del Mef, Roberto Garofoli («l’ambientalizzazione e il risanamento ambientale costituiscono una sfera nella quale la disciplina dell’Unione Europea prevede che il pubblico possa intervenire»), e lo conferma addesso il sottosegretario Gozi.
In verità non è che Bruxelles non sappia che per l’Ilva il problema ambientale è prioritario. Scrive infatti Vestager a Gozi: «Sono consapevole dell’urgente bisogno di disinquinamento sia all’interno dell’Ilva che nell’area adiacente di Taranto. Ecco perchè sono pienamente a favore del supporto pubblico per il disinquinamento del sito e dell’area circostante». Così come «prendo nota dell’impegno dell’Italia a fare tutti i passi necessari per recuperare alla fine il supporto pubblico da coloro che sono i responsabili dell’inquinamento». Tuttavia, dice ancora il commissario, il salvataggio e gli aiuti per le fabbriche in pericolo dell’industria dell’acciaio «rimangono proibiti sotto le regole Ue» e «queste regole vengono applicate constantemente nei confronti di un numero di Stati membri da quando sono state introdotte». Esiste una «capacità produttiva strutturale», rammenta il commissario al Governo, e «le compagnie dell’acciaio non dovrebbero essere tenute nel mercato artificialmente a spese del contribuente se non sono economicamente autosufficienti». Questo non va bene, dice Vestager. Tant’è che il Consiglio dell’Unione del 9 novembre ha ribadito che non devono esserci «deroghe» nella disciplina degli aiuti di Stato. Invece «le parti stanno sostenendo che gli aiuti pubblici in corso stanno consentendo all’Ilva di continuare la sua produzione ed aggiornare i suoi impianti con i soldi del contribuente, così falsando la competizione». E’ vero che l’acciaieria va risanata, ma la strada giusta è coinvolgere i privati, suggerisce Bruxelles, che invita il Governo ad andare avanti con la vendita così come prevede l’ultimo decreto legge (cessione entro giugno 2016). Scrive infatti Vestager: «La migliore garanzia per lo sviluppo a lungo termine della produzione dell’acciaio e i lavori collegati nella regione di Taranto, è, non appena possibile, organizzare la vendita dei beni dell’Ilva agli operatori solvibili che possano aggiornarli per assicurare la compatibilità ambientale» e gestirli ad un uso produttivo. Segue quindi l’incoraggiamento della Ue al Governo: «L’annuncio, la scorsa settimana, dell’intenzione di organizzare il processo di vendita prima rispetto a quanto inizialmente pianificato, è un passo gradito». Basterà questo a disinnescare il conflitto tra Roma e Bruxelles?  (GdM)

Botti di Natale

Ilva: Emiliano, spero che la compri l'Eni

"L'Eni potrebbe essere l'acquirente ideale dell'Ilva di Taranto", perché "si passerebbe dal carbone al gas per l'alimentazione della fabbrica. Così facendo le emissioni di CO2 si abbasserebbero del 60 per cento e quelle della diossina sarebbero abbattute addirittura del 100 per cento". Lo dice a Repubblica il governatore della Puglia, Michele Emiliano.
    "La verità è che lavoro per decarbonizzare la Puglia, dove sbarcherà dall'Azerbaigian il metanodotto di Tap. Ne ho parlato a Parigi, alla conferenza sul clima", spiega. "Occorre cambiare registro. E puntare sul gas per evitare che Ilva chiuda rovinosamente. I nuovi impianti avrebbero un costo accettabile e nel momento in cui entreranno in funzione nel giro di dieci anni, i vecchi altiforni diventerebbero un brutto ricordo. Per l'Eni sarebbe un affare, secondo me". "Il premier Renzi insieme col sottosegretario De Vincenti e il ministro Guidi, devono avere fiducia nel sottoscritto. A mio parere, ci stanno pensando. La mia non è una sfida, ma una proposta di collaborazione". "Non ho avuto contatti con la multinazionale, comunque ho l'impressione che sia favorevole a questo progetto", precisa.
    L'alternativa è che "qualche privato metterà le mani sull'Ilva solo per smontarla e ricavarne vantaggi economici.
    Perché mai nessuno comprerebbe un'azienda che cade a pezzi e che ha bisogno del carbone per funzionare". (ANSA).

Vendere l'Ilva all'Eni? "E' follia pura, vuol dire confondere le pere con le mele. L'idea che l'Eni possa mettersi a fare acciaio è irrealizzabile, con buona pace di Emiliano". Così Davide Crippa, capogruppo M5S alla Camera, commenta all'Adnkronos l'idea del governatore pugliese Michele Emiliano, che oggi, dalle pagine di Repubblica, ha auspicato che sia l'Eni ad acquistare l'Ilva.
"Il problema - secondo Crippa - è che l'Eni figura tra le maggiori creditrici dell'Ilva. C'era un problema di forniture di gas, dall'Ilva non pagavano le fatture. Ma da qui a pensare di poter vendere all'Eni ce ne vuole...". Per i 5 Stelle, dall'empasse dell'Ilva si esce "scordandosi di fare concorrenza sulla produzione primaria, dobbiamo puntare piuttosto su ricerca e innovazione". Bisogna "convertire la produzione in tutt'altro, dimenticare questa produzione obsoleta - suggerisce Crippa - e puntare su un piano rilancio che parta dalla valorizzazione turistica - partendo dalle bonifiche dell'area - e passando poi alle energie rinnovabili".
"Noi, ad esempio - ricorda il grillino - avevamo proposto di locare intere aree a canone zero per le imprese che volevano produrre rinnovabili, a patto che poi rinvestissero parte degli utili sulla bonifica della zona".(ADNKRONOS)

giovedì 24 dicembre 2015

Bancacciacchi

Banche e acciaio, è guerra tra l'Italia e l'Ue: bocciati gli aiuti all'Ilva

Si tratta dunque di uno scontro tra l'Italia e l'Unione europea senza precedenti. E stavolta è Roma all'offensiva. Mai si erano concentrati tanti elementi di conflittualità in uno spazio di tempo così breve. La tensione registrata la scorsa settimana al Consiglio europeo tra il presidente del consiglio e la Cancelliera tedesca Merkel assume adesso tutta un'altra luce. Tutto ha ormai preso la forma e la sostanza di un braccio di ferro che mira a cambiare non tanto - o almeno non ora - gli equilibri all'interno dell'Unione ma a modificare il perimetro dei tre negoziati cui i due contendenti saranno chiamati a discutere nel 2016.
Non è un caso che l'Italia, dinanzi alle lettere spedite in questi giorni da Bruxelles, abbia iniziato a valutare tutte le contromisure. Compresa quella più radicale: il ricorso alla Corte di Giustizia.
Sul caso Ilva, infatti, il governo insiste nel richiamare l'attenzione sulla circostanza che non si tratta di un semplice "salvataggio" ma anche di un'operazione finalizzata al risanamento ambientale. E secondo l'esecutivo italiano, proprio la disciplina europea prevede l'intervento pubblico in questi casi e in modo particolare in riferimento all'intervento siderurgico. La procedura di infrazione, nella fattispecie, non è stata ancora completata. Ma se l'esito dovesse essere negativo, Palazzo Chigi è pronto ad attivare appunto il ricorso alla corte di Giustizia.
Una soluzione che in questi giorni è in corso di valutazione anche per la questione Tercas. Anzi, sulla vicenda della banca teramana la decisione verrà presa in tempi strettissimi. E tutto sta portando verso la linea dello scontro totale: ricorso alla Corte di Lussemburgo. Non solo. Per rendere l'impatto ancora più avvelenato, potrebbe essere accompagnato dalla richiesta di risarcimento danni alla Commissione. Una procedura che, se avesse un esito positivo, porterebbe un cifra considerevole nelle casse dello Stato.
Lo stesso può valere per il cosiddetto decreto salva-banche che - fanno notare i ministri competenti - è stato modificato con un emendamento alla legge di Stabilità nella parte concernente il fondo interbancario. Quel fondo non è più obbligatorio bensì volontario. E chi ha usufruito di quegli stanziamenti - come la Tercas - li restituirà per attingere dal nuovo fondo "volontario". Un percorso accettato alla fine dalle banche con la garanzia che sarebbe stato applicato il medesimo regime fiscale: quello che permette la deducibilità.
Del resto l'attenzione dell'esecutivo sul sistema bancario sta crescendo sempre più. Il timore che le recenti vicende possano compromettere il flusso dei finanziamenti alle attività imprenditoriali e ai privati sta diventando una sorta di incubo per Palazzo Chigi. Soprattutto la paura che il complesso degli istituti di credito nostrani non vengano più percepiti come affidabili. Se questi due fantasmi si trasformassero in realtà, il primo effetto sarebbe una vera e propria mazzata sulle previsioni del governo relativa alla crescita nel prossimo anno. Tant'è che una delle parole d'ordine pronunciate in questi giorni da Renzi tocca le banche e la necessità di rafforzarle attraverso il loro accorpamento.
Ma dietro queste due partite, ossia quella degli istituti di credito e dell'Ilva, se ne gioca una terza. Che Palazzo Chigi considera la più importante. Il via libera al deficit al 2,4 per cento nel 2016. Questa soglia, infatti, non è stata preventivamente concordata con Bruxelles. Il negoziato di settembre- ottobre aveva prodotto per l'Italia l'ampliamento dei margini di spesa fino al 2,2 per cento. Ora, però, c'è questo 0,2 per cento in più che espone l'esecutivo italiano al rischio di un'altra procedura d'infrazione. Renzi è sicuro di poter trattare, come lo scorso anno, una via d'uscita.
Ma le tre battaglie non saranno combattute separatamente. Nel governo italiano, sono certi che anche le due ultime missive spedite dalla Commissione sulle banche e sull'Ilva rientrino nella tattica di Bruxelles di aprire una trattativa sui tre fronti per poi discutere su quale chiudere un occhio.
Il premier è invece convinto di poter vincere contemporaneamente sui tre tavoli. Con una premessa che vale per tutte le tappe da affrontare da qui alla prossima primavera: il vero interlocutore è la Germania di Angela Merkel. Solo se la Cancelliera approverà la linea della flessibilità per l'Italia, allora Bruxelles si adeguerà. Era questo il fulcro della lite che ha segnato l'ultima riunione del consiglio europeo tra "Matteo e Angela". Questo sarà il centro del loro prossimo incontro. (Rep)

lunedì 21 dicembre 2015

I puntini sulle "i" al tempo del telepopulismo PD

"Ambientalismo estremo aiuta i Riva"

Giampiero Marcarelli, dirigente del PD di Taranto, ha dichiarato che "l'ambientalismo estremo aiuta i Riva", facendo esplicito riferimento a me.
Infatti secondo Mancarelli "tutto rischia di naufragare per le affermazioni su un non miglioramento della qualità dell'aria a Taranto". E prosegue: "Si sostiene che nonostante la riduzione della produzione di ILVA, dei cumuli minerari e lo stop prolungato delle cokerie l'aria non migliora ed equivale a sostenere che non c'è nesso di causalità tra le malattie e lo stabilimento. Chi afferma questo rischia di diventare l'arma più potente in mano agli avvocati dei Riva che sosterranno appunto la non connessione tra i livelli di inquinamento e la produzione della fabbrica. Per questo dico a Marescotti di riflettere. Il benzo(a)pirene si è ridotto drasticamente ed è quello il marcatore che individua la pericolosità dell'aria a Taranto. Fermati Alessandro, prima che sia tropopo tardi e prima che i Riva ti citino a loro vantaggio".
Vorrei rispondere a Gianpiero Mancarelli facendo un esempio: se un fumatore passa da due pacchetti di sigarette ad un pacchetto di sigarette al giorno, non per questo è fuori pericolo.
Se va dal medico non può ottenere il consenso di fumare, come se quel "miglioramento" fosse sinonimo di azzeramento del rischio.
La situazione di Taranto registra un miglioramento che tuttavia non garantisce i nostri polmoni.
Per fortuna si è dimezzata la produzione, ma non per questo con una dose dimezzata di fumi possiamo dirci fuori pericolo. Un buon dottore non dirà mai al fumatore che può continuare a fumare dimezzando le sigarette.
La riduzione di alcuni inquinanti è sicuramente un "miglioramento", ma non per questo possiamo dire che a Taranto è venuto meno l'eccesso di mortalità che è stato accertato fino a ora da tutti gli studi epidemiologici. Quando i periti della magistratura hanno calcolato un eccesso di mortalità di 386 decessi correlabili all'inquinamento industriale probabilmente la situazione era "migliorata" rispetto al decennio precedente, ma non per questo la magistratura ha dichiarato accettabile quell'eccesso di mortalità.
Vorrei dire a Mancarelli che l'unico "miglioramento" accettabile a Taranto non è quello del "meno peggio" ma è quello che riporterà Taranto a livelli di ricoveri e decessi allineati con la media regionale. Ed è per questo che da tempo chiediamo un registro della mortalità aggiornato in tempo reale e georeferenziato con cui controllare se si muore di più o di meno rispetto alla media regionale. Quel registro si può realizzare a costo zero. PeaceLink ha già fatto un incontro con i vertici della ASL di Taranto, è tecnicamente fattibile e manca solo il consenso della politica.
Quanto alla situazione attuale, che ha preoccupato per l'innanzamento dei livelli di inquinamento in alcune giornate, vorrei dire a Mancarelli che i legali dei Riva non potranno usare le dichiarazioni di PeaceLink
a loro vantaggio.

Abbiamo infatti bene chiarito che i picchi di inquinamento sono relativi a situazioni meteo avverse che favoriscono l'incremento delle concentrazioni del PM10, ad esempio. Questo è un fatto che accade in questi giorni in tutt'Italia e che sta accadendo anche a Taranto, con l'aggravante che il centro urbano è sottoposto a costante vento da NordOvest, ossia dall'area dell'ILVA. Che i livelli di inquinamento aumentino quando il vento viene dall'ILVA non è certo un argomento che i legali dei Riva potranno usare a loro vantaggio.
Come tutti gli esperti di inquinamento sanno, le concentrazioni di sostanze tossiche che respiriamo non derivano solo dalle emissioni, ma anche dalle condizioni meteo che fanno da tramite fra le emissioni e il nostro naso. A Taranto in particolare ci sono i venti dall'area industriale che influenzano le concentrazioni di sostanze tossiche. Ma vi è anche il PBL (Planetary Boundary Layer), ossia lo strato limite planetario che innalza o abbassa lo strato di aria all'interno del quale i fumi si diluiscono o meno. I cittadini che vedono la striscia orizzontale scura al mattino non sono vittime di allucinazioni ed è bene che il PD ogni tanto guardi il cielo fotografato dalle ecosentinelle e non faccia come i cardinali che per non dispiacere alla dottrina non volevano vedere il cielo con il telescopio di Galileo. Il fatto che ILVA, nonostante la produzione dimezzata, continui a costituire un problema dimostra che non è stata resa ecocompatibile, ammesso e non concesso che ciò sia possibile. ILVA oggi non è ecocompatibile in quanto la copertura dei parchi minerali - nonostante le ripeture assicurazioni di Mancarelli del gennaio 2014 - non è mai avvenuta, benché per legge dovesse essere completata entro il 27 ottobre 2015, sulla base della prima AIA dell'ottobre 2012 e del primo decreto salva-Ilva del dicembre 2012. Sono stati dati ben tre anni di tempo e le coperture non ci sono. Sui balconi la gente trova ancora polvere che si attacca alle calamite.
Mancarelli dichiarò il 25 gennaio 2014 che i parchi sarebbero stati realizzati, e ne anticipò anche le caratteristiche: "La soluzione costruttiva - dichiarò - prevede una struttura in acciaio ad arco spaziale a sezione triangolare con copertura mediante lastre a raggio costante. Il progetto è stato presentato a fine dicembre al ministero dell'Ambiente per la Via e le relative autorizzazioni. L'Ordine è stato assegnato a Cimolai per un importo di 99 milioni di euro".
Mancarelli, chi l'ha visto quel parco minerali che avevi assicurato con tanta dovizia di particolari nel gennaio 2014?
Se manca la copertura dei parchi minerali, non saranno certo le dichiarazioni di PeaceLink a fornire ai Riva un appiglio. L'appiglio lo fornisce semmai il governo alla magistratura stessa, in quanto i commissari del governo - benché definiti "immuni penalmente" - risultano comunque inadempienti rispetto all'opera più importante che avrebbe dovuto garantire il contenimento delle polveri sottili.
Di fronte a questa mancanza, è sicuramente significativo che la ASL si sia cautelata in quanto le polveri sottili possono creare effetti sanitari avversi a breve termine, come ricoveri e decessi per infarti e ictus.
La ASL è intervenuta - su sollecitazione di PeaceLink - dichiarando che i bambini, gli anziani e i cardiopatici vadano tutelati nei giorni in cui si superano i 25 microgrammi a metro cubo di PM10 (polveri sottili). Visto che non coprono i parchi minerali, la ASL ha deciso di adottare il principio di massima precauzione per la criticità delle polveri sottili, non escludendo un incremento del rischio sanitario in alcune giornate e in alcuni orari della giornata.
 Alessandro Marescotti Presidente di PeaceLink