domenica 23 dicembre 2012

I Riva, ma che brava gente!

Accidenti che cattivi che siamo!
In tutti questi mesi di inchiesta noi perfidi, in combutta con la magistratura, abbiamo impedito che questi imprenditori illuminati potessero dire quello che in tanti anni avremmo voluto più vedere che sentire: che tengono tanto a Taranto, alle sue sensibilità ambientali e che non perderanno un secondo ad investire tutto quello che possono affinchè dalle ciminiere escano essenze al mughetto e i parchi minerali possano diventare l'ambientazione del prossimo spot dell'acqua Levissima!
Ora, finalmente possono parlare, gli hanno tolto il bavaglio che li soffocava e le catene pesanti che illividivano le loro carni. Gli hanno dato un piatto di minestra calda ed una coperta. E subito pensano a noi.
Grazie per le vostre parole cariche di verità.
Grazie per la vostra bontà e per l'animo delicato...

...delicato come innocenti pecorelle!


Ilva, i Riva pronti a investire

In cinque mesi di bufera giudiziaria, la famiglia Riva, proprietaria dell'Ilva, non aveva mai parlato. Travolta dagli arresti del capostipite Emilio e dei figli Nicola e Fabio (i primi due ai domiciliari e il secondo in carcere), tutti accusati di associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale, la famiglia ha pensato soprattutto a difendersi, anche se Emilio e Nicola restano ancora ai domiciliari da fine luglio e Fabio è inseguito da un mandato europeo di arresto dopo che ha fatto sapere di trovarsi in Inghilterra. Ieri, però, all'indomani del definitivo via libera del Parlamento alla legge sull'Ilva, la famiglia Riva si è espressa ed ha affidato ad una nota il suo pensiero.
«La legge che il Parlamento ha approvato ci fa guardare con fiducia al futuro - scrive la famiglia -. Il Governo e il Parlamento hanno riconosciuto il ruolo strategico dell'Ilva e hanno dato fiducia al management e alla proprietà. Nell'Ilva vediamo il presente e il futuro della siderurgia italiana, una siderurgia che vuole coniugare rispetto dell'ambiente e della salute con il lavoro. In Italia, come in Europa, si deve evitare che l'industria e il lavoro entrino in conflitto con le giuste sensibilità ambientali».
«Non abbiamo mai voluto lasciare Taranto» dicono i Riva e ricordano di aver investito in 17 anni nel sito siderurgico 4,5 miliardi. Sottolineano poi che «lo stabilimento di Taranto sta attuando le prescrizioni della nuova Aia. Gli investimenti richiesti sono ingenti. Stiamo lavorando per assicurare questi investimenti e siamo fiduciosi di riuscirci». «In questi mesi il futuro dell'Ilva è stato in pericolo - affermano i Riva -. Abbiamo sempre e solo chiesto di poter produrre e vendere i nostri prodotti adeguandoci ai tempi previsti dalle nuove norme. Nessun ricatto occupazionale. Nessuna pressione diretta o indiretta - affermano i Riva -. Solo un fatto molto semplice e logico: senza produzione e vendita una fabbrica non può sopravvivere. Siamo fiduciosi che ora in Italia vi sia una nuova strada».
E quella di ieri per l'Ilva di Taranto è stata la prima giornata di tregua dopo un lungo periodo di tensione. Dai lavoratori ai sindacalisti per finire ai dirigenti, tutti ritengono un punto fermo la legge che consente al siderurgico di continuare a produrre, mettere a norma gli impianti (i primi interventi sono già cominciati) e vendere quanto prodotto nelle settimane precedenti e sequestrato dalla magistratura. Da quel punto fermo ora l'Ilva di Taranto vuole ripartire.
Procura e gip, però, non rinunciano alla loro battaglia. Attendono di leggere il testo definitivo della legge, dopodichè solleveranno il conflitto di attribuzione la cui messa a punto sarebbe in fase avanzata. Per l'eccezione di incostituzionalità aspetterebbero invece la sede in cui sollevarla. E magari potrebbe essere l'8 gennaio quando al Tribunale dell'appello si discuterà del ricorso dell'Ilva per il dissequestro dei semilavorati e prodotti finiti. Oppure, se l'Ilva dovesse rinunciare all'appello - ritenendolo superato dopo la legge che consente la commercializzazione dei beni sequestrati - attendere la presentazione, da parte dell'azienda, dell'istanza di dissequestro. Perchè, anche se c'è la legge, comunque la pronuncia di un giudice dovrà togliere i «sigilli» da quei beni (Sole24h)

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