domenica 2 dicembre 2012

La dittatura "illuminata" (dall'Ilva)

Passera caro, i dittatori di una volta avevano più dignità: risparmiaci questa pantomima miserabile.
Impara dal Circo Clini!

 

Ilva, Passera ai magistrati:
"Non fermateci, salviamola insieme"

"Adesso voglio vedere chi avrà ancora il coraggio di dire che non ci mettiamo la faccia...". Il giorno dopo il varo del decreto legge che dispone la riapertura dell'Ilva, e impone all'azienda l'avvio immediato degli investimenti per la bonifica ambientale dell'area e l'introduzione delle "migliori tecnologie produttive", Corrado Passera non ha dubbi: "Abbiamo fatto la cosa giusta, e l'abbiamo fatta in tempi record".
Sei ore di Consiglio dei ministri. E un provvedimento assai poco "ortodosso", per un governo di tecnocrati liberali. Il decreto scavalca i sequestri disposti dalla magistratura, e ordina la riapertura immediata degli impianti. In caso di inottemperanza da parte degli azionisti del colosso siderurgico di Taranto, arriva a ipotizzare persino l'esproprio. Basterà a salvare il più grande polo dell'acciaio europeo?
Il responsabile dello Sviluppo economico ne è convinto: "Siamo partiti da un presupposto fondamentale. Non ci deve mai essere contrapposizione tra salute e lavoro. Siamo sempre stati convinti che anche all'Ilva i due diritti si debbano bilanciare. Il modo migliore per farlo, come dispone il decreto, è recepire le indicazioni dell'Aia, e procedere contestualmente alla riapertura degli impianti e ai lavori di risanamento e di ammodernamento. Vogliamo un'Ilva sostenibile, e vogliamo tutelare, al tempo stesso la salute pubblica e il lavoro di migliaia e migliaia di persone. Questo provvedimento lo rende finalmente possibile". Ma perché
non ci siano ulteriori intralci, il ministro si rivolge ai due interlocutori-chiave di questa crisi: l'azienda, che in questi anni si è macchiata di colpe gravissime. E poi la magistratura, che ha accolto con forti critiche l'intervento del governo.
Il primo requisito per far convivere anche a Taranto diritto al lavoro e diritto alla salute è che l'azienda, cioè i Riva che ne sono azionisti, facciano fino in fondo il proprio dovere.

"Con il decreto - osserva Passera - chiediamo un impegno fortissimo all'azienda, che deve mettere in campo miliardi di investimenti per bonificare la produzione e l'ambiente. Ma non ci accontentiamo di impegni teorici. Quegli investimenti devono essere fatti: ora l'Aia è legge, e l'azienda ha l'obbligo di rispettarla". Per troppi anni questo non è accaduto. E qualche membro della famiglia si è permesso di dire al telefono "due tumori in più all'anno? Una minchiata...". E per troppi anni i Riva hanno goduto di coperture, a livello locale e nazionale. C'è persino chi ipotizza "patti scellerati", cioè autorizzazioni ambientali "facili" in cambio di una partecipazione nel salvataggio dell'Alitalia. Passera non insegue le voci: "In questi anni le responsabilità sono state gravi e diffuse. Ora mi chiede se mi fido dei Riva? Io mi fido del nostro decreto, e mi fido della collaborazione tra il governo, le amministrazioni locali e la magistratura. Ferrante ci ha assicurato l'impegno dell'azienda".

Il salto di qualità delle nuove norme sta nell'impianto sanzionatorio. "Oltre a quelle previste dalla legge ordinaria - chiarisce il ministro - introduciamo sanzioni economiche pesantissime, che possono arrivare fino al 10% del fatturato. In questo modo, togliamo ogni scusa agli azionisti e ai manager. Troppe volte, in passato, le aziende hanno trovato più conveniente pagare le multe, piuttosto che adeguare gli impianti. Ora questo non sarà più possibile. O bonifichi e ammoderni, o devi pagare così tanto che rischi di perdere tutto". Il decreto fa riferimento agli articoli 91 e 94 della Costituzione. Per la prima volta si evoca la figura giuridica dell'esproprio. È una novità assoluta, per il diritto d'impresa. "Nel testo non si parla in modo esplicito di esproprio. Ci spingiamo fino all'ipotesi di commissariamento e di amministrazione straordinaria. Intendiamoci, io non mi aspetto che ci si arrivi, mi aspetto che l'azienda ottemperi. Ma se questo non dovesse accadere, noi la avvisiamo fin d'ora: siamo pronti a intervenire, nella gestione e anche nella proprietà".

Le modalità dell'intervento pubblico restano imprecisate. "Il governo potrà intervenire con vari strumenti molto forti. L'unica cosa che mi sento di escludere è che si arrivi alla nazionalizzazione dell'Ilva, cioè al ritorno dello Stato padrone dell'acciaio". Sarà cruciale la figura del Garante, che avrà il compito di vigilare sugli investimenti di bonifica e di ammodernamento concordati e quindi attuati dall'azienda: "Abbiamo voluto creare una nuova figura "terza" e con le giuste competenze professionali, che segua i lavori di ammodernamento e risanamento dell'acciaieria, e che ci dia garanzie sul rispetto degli impegni, che devono andare avanti con i tempi giusti e le tecnologie giuste". Qualche "forzatura", di fronte all'emergenza, era necessaria.
"Politicamente e psicologicamente - aggiunge Passera - ci ha aiutato il fatto che il giorno prima del Consiglio dei ministri abbiamo avuto l'incoraggiamento da tutte le parti sociali. Ed è fondamentale che non venga meno anche nei prossimi mesi".
Il secondo requisito, perché il salvataggio dell'Ilva possa funzionare, è che la magistratura non fermi il decreto. I giudici di Taranto parlano di incostituzionalità, e ipotizzano persino un conflitto di attribuzione. L'Anm parla di una "grave responsabilità" del governo. "Noi abbiamo un profondo rispetto della magistratura - osserva il ministro dello Sviluppo - e siamo convinti che i giudici finora abbiano fatto al meglio il loro dovere. Ma sulla costituzionalità del testo siamo sereni: ci siamo consultati con i giuristi e gli esperti dei ministeri e della presidenza del Consiglio, correggendo anche qualche parte del provvedimento. Siamo certi che il decreto rispetti in ogni sua parte il dettato costituzionale. Quanto al merito, alcuni magistrati ritengono che non sia possibile fare la bonifica e il risanamento aziendale mentre gli impianti sono in funzione. Noi su questo non siamo d'accordo, perché siamo convinti che se è costretta a spegnere gli impianti per fare la bonifica, l'azienda muore e non può più rinascere, a esclusivo vantaggio dei concorrenti che gli portano via il mercato. E questo non possiamo permetterlo, perché oltre alla tragedia ambientale esploderebbe un enorme dramma sociale: l'Ilva, per il Sistema Paese, "vale" oltre 8 miliardi in termini industriali e 21mila persone in termini occupazionali. Rompere la filiera siderurgica sarebbe un disastro per l'intero settore manifatturiero, per le nostre esportazioni, per la nostra bilancia dei pagamenti".
Passera, a questo punto, si rivolge alle toghe: "Mi auguro che i magistrati capiscano che i loro obiettivi e i nostri non confliggono, ma coincidono. C'è una volontà comune, che è quella di tutelare la salute e di salvare il lavoro per tutti. Noi non vogliamo vanificare le sentenze dei tribunali, né ledere la maestà del potere giudiziario. Vogliamo solo trovare una soluzione condivisa, nel rispetto del diritto". Si capirà qualcosa già giovedì prossimo, quando si riunirà il Tribunale del Riesame di Taranto per decidere sul ricorso contro l'ultimo sequestro.
Nell'attesa, insieme all'Ilva resta sul tappeto la spaventosa strage di posti di lavoro certificata dall'Istat due giorni fa: la disoccupazione è all'11,1%, tra i giovani sale al 36,5%. Una sconfitta per il governo Monti, attento al rigore e molto meno alla crescita e al lavoro.
Passera non ci sta: "I numeri sono preoccupanti, ma purtroppo non distanti dalle previsioni e in linea con le medie europee. Io ho sempre sostenuto che il lavoro era ed è l'emergenza numero uno. Non solo il dramma dei disoccupati, ma anche quello degli inattivi e dei sottoccupati. Un'area di disagio sociale enorme, che riguarda circa 7 milioni di persone. Ma dire che il governo nei pochi mesi e con le poche risorse a disposizione non ha fatto abbastanza è ingeneroso. La nostra politica industriale è stata impostata per creare o ricreare le condizioni dello sviluppo. E poi chiediamoci cosa sarebbe successo in Italia, se un anno fa non avessimo preso in mano la situazione non solo per salvare la finanza pubblica, ma anche per mettere in sicurezza il sistema degli ammortizzatori sociali che certamente i commissari, se avessero preso in gestione il Paese, non avrebbero risparmiato".
Non c'è la controprova. Ed è una fortuna. Ma resta il fatto che i risultati, per la crescita e l'occupazione, non si vedono. E c'è chi continua a ripetere che in tutte le grandi crisi industriali di questa fase, dall'Ilva alla Fiat, dal Sulcis all'Alcoa, il ministro dello Sviluppo arriva in ritardo o non ci mette mai la faccia.
"Trovo non obiettiva questa accusa - risponde Passera - e non c'è solo il caso Ilva a dimostrarlo. Io la faccia ce la metto tutti i giorni. Andando nel Sulcis, dove abbiamo già sbloccato sia il caso di Portovesme che di Eurallumina. Sedendomi al tavolo con i sindacati per Fincantieri, dove abbiamo evitato lo smembramento e la svendita del gruppo. Cercando da mesi uno sbocco per Alcoa, dove scontiano una crisi europea dell'alluminio e incentivi all'energia non più sostenibili. Fermando lo scempio degli incentivi irragionevoli alle fonti rinnovabili. Bloccando la cessione gratuita delle frequenze con il beauty contest. Chiedendo e realizzando la separazione tra Eni e Snam. E gestendo tutti i tavoli di crisi aperti al ministero: su 150 che ne abbiamo trovati, una sessantina hanno già trovato un loro esito. Abbiamo trovato tanti problemi accumulati e abbiamo cominciato a metterci mano con grande determinazione. Oltre a difendere aziende in crisi, tutti insieme dobbiamo favorire la nascita di nuove imprese, e il decreto sulle start up va proprio in questa direzione".
Il problema di fondo è che famiglie e imprese non percepiscono i frutti di questa semina. C'è da chiedersi perché. Passera da la sua spiegazione: "Oggi vengono al pettine nodi antichi di decenni. Chi pensa che si possano sciogliere in pochi mesi si illude. O vuole illudere gli italiani". (Repubblica)

Ilva: Clini, "il sequestro ha rinviato tutte le bonifiche"


(AGI) - Roma, 2 dic. - "Le bonifiche stavano partendo, il sequestro ha rinviato tutto". All'indomani del decreto del governo sull'Ilva, il ministro dell'Ambiente Corrado Clini e' polemico con i giudici, che considerano anticostituzionale il provvedimento.
"Spetta alla Corte Costituzionale pronunciarsi - dice Clini in un'intervista a La Stampa - La situazione e' precipitata lunedi' scorso quando le disposizioni del Gip hanno bloccato nei fatti lo stabilimento. Senza questo provvedimento, il 26 novembre sarebbero partiti i primi interventi previsti dalle prescrizioni dell'Aia. E' un dato di fatto con il rischio che l'azienda abbia un alibi per rimettere in discussione gli impegni presi". Le prescrizioni dell'Aia, spiega Clini, "sono concentrate sul risanamento ambientale per dare piena e rigorosa applicazione alla legge. Abbiamo chiuso i contenziosi con Ilva che bloccavano gli interventi. Non vorrei che ora si aprissero conflitti tra le istituzioni dello Stato con lo stesso effetto di blocco delle misure per il risanamento ambientale".
"Nel decreto legge - spiega il ministro - si fa riferimento all'articolo 43 della Costituzione che stabilisce che per i settori produttivi ritenuti di rilevanza strategica, lo Stato puo' intervenire direttamente nella gestione di queste imprese, ovvero assumere iniziative per far prevalere l'interesse pubblico". Questo "non necessariamente" significa che lo Stato puo' anche finanziare le opere stabilite dall'Aia.
  "Se Ilva - precisa Clini - non da' attuazione alle disposizioni del decreto legge, possono essere adottare misure fino all'amministrazione straordinaria della societa' per garantire insieme la realizzazione degli interventi prescritti dall'Aia e la continuita' produttiva, anche con soggetti diversi dall'attuale proprieta'".(Agi)

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