La Ragnatela
di Andreina Baccaro tratto dal settimanale "Wemag"
Si
può davvero riassumere in una telefonata del 7 giugno 2010 tra il
sindaco Ezio Stefàno e Girolamo Archinà, il senso profondo del “sistema
Ilva”, quella melma gelatinosa che ha condizionato la vita politica,
economica e sociale di un’intera città negli ultimi venti anni. Perché
la ragnatela di rapporti intessuti dall’ex addetto alle relazioni
esterne del siderurgico della famiglia Riva è anche uno specchio delle
relazioni politiche, economiche e sociali sui cui si regge il sistema
Taranto, i cui
uomini forti, si scopre oggi, hanno bussato tutti alla porta di “mamma
Ilva”.
Il
7 giugno 2010, in piena emergenza benzo(a)pirene, il sindaco di
Taranto, indagato per omissioni in atti d’ufficio in relazione alle
prescrizioni a tutela dell’ambiente cittadino, chiede ad Archinà: «Dopo
tutte queste cose qua, io come faccio a fare l’ordinanza?». Il
riferimento è alla relazione dell’Arpa che certifica emissioni di
benzo(a)pirene superiori ai limiti di legge «da addebitare in larga
misura ai processi produttivi» della cokeria. Le conversazioni tra il
sindaco ed Archinà «testimoniano del fatto che - scrive il gip Patrizia
Todisco -, lungi dall’intervenire nelle vicende che riguardavano le
emissioni tossiche del siderurgico con la fermezza ed
incisività che le esigenze di tutela della salute pubblica imponevano,
il sindaco di Taranto appariva incline ad assumere posizioni ed
iniziative piuttosto accondiscendenti». Ma prima ancora dell’ordinanza,
il 7 giugno 2010, Archinà «ben conscio dello studio da parte dell’Arpa
Puglia si preoccupa degli esiti che punterebbero inequivocabilmente
l’indice verso il settore cokerie dello stabilimento. Per tale ragione,
nei vari colloqui con il sindaco, affronta il problema e si preoccupa di
porre rimedio ad una eventuale richiesta di chiusura delle cokerie e
quindi gli suggerisce di richiedere un parere alla massima autorità
presente sul territorio, rappresentata dal prof. Liberti del Politecnico
di Bari». Effettivamente, il 27 maggio 2010, undici giorni prima della
firma dell’ordinanza con cui il sindaco impone all’Ilva di predisporre
«un piano di ottimizzazione della gestione degli impianti», Stefàno e
Liberti si incontrano a Palazzo di
Città. «Dal tenore delle conversazioni - scrive il gip in riferimento
alle telefonate precedenti l’incontro - si rileva in maniera
inequivocabile che i due, sino a quelle telefonate, non si conoscevano
(ciò costituisce un ulteriore indizio che fa propendere per la
riconducibilità dell’iniziativa del sindaco all’Archinà)».
Lorenzo
Liberti è l’ex preside del Politecnico di Ingegneria di Taranto,
accusato nell’ambito dell’inchiesta “Environment Sold out” di aver
ricevuto una mazzetta da Archinà, proprio nel 2010, per “aggiustare”
alcune consulenza per il Tribunale di Taranto. Si trova agli arresti
domiciliari dal 26 novembre.
Subito
dopo la firma dell’ordinanza e il presunto incontro con il professore,
Stefàno rilasciò ai giornalisti una dichiarazione già all’epoca molto
discussa: «La molecola di benzo(a)pirene viene disintegrata dalla luce
solare e quindi non raggiunge livelli tossici».
Ripercorrendo
la
ragnatela di relazioni di Archinà, dal rapporto con il
professore-consulente dell’Ilva, si arriva ai vertici della Curia. Don
Marco Gerardo, attuale parroco della Chiesa della Madonna del Carmine,
allora segretario dell’ex arcivescovo Benigno Luigi Papa, sarebbe sotto
inchiesta, sebbene non abbia ricevuto alcun avviso di garanzia, per
false dichiarazioni al pm. Il sacerdote ha confermato la versione di
Archinà, il quale, per spiegare il prelevamento di 10mila euro in
contanti dalle casse dell’Ilva, ha dichiarato di averli donati alla
Curia. Ma secondo la Procura quei soldi erano destinati a Liberti. La
versione dell’accusa è supportata da una serie di incongruenze che gli
investigatori hanno riscontrato nelle dichiarazioni sia di monsignor
Papa che di don Marco Gerardo, prima fra tutte l’assenza di un
versamento, nei giorni immediatamente successivi al 26 marzo 2010, sul
conto intestato all’arcivescovo sul quale solitamente venivano
versate le donazioni dell’Ilva. Lo stesso monsignore, infatti, ha
dichiarato ai pm che l’azienda era solita fare donazioni a Pasqua e a
Natale. Somme tra i 3mila e i 5mila euro, non registrate, che venivano
poi versate sul conto personale del vescovo. Dalle verifiche del conto
di monsignor Papa, oltre ai numerosi movimenti a cinque zeri, sarebbe
stata riscontrata anche una singolare passione del prelato per la
compravendita di azioni.
il poliziotto
Secondo
l’accusa Archinà aveva anche la sua talpa nella Questura di Taranto.
Frequenti, infatti, erano i contatti telefonici con l’ispettore della
Digos Aldo De Michele che, nell’aprile del 2010, gli chiede un favore
per il cognato di un collega, lavoratore somministrato Ilva il cui
contratto era in scadenza. «Ma l’episodio che più di tutti desta
particolare inquietudine - si legge nell’ordinanza di custodia cautelare
- è rappresentato dall’informazione che il De Michele forniva ad
Archinà circa un incontro riservato che il Procuratore di Taranto aveva
avuto il 7 giugno 2010, presso la Questura, con il prof. Giorgio
Assennato - direttore Arpa, ndr». De Michele rivela ad Archinà
che durante quell’incontro, riguardante la famosa relazione dell’Arpa
sul benzo(a)pirene, il procuratore Franco Sebastio
aveva richiesto ad Assennato un’ulteriore relazione, in quanto erano
ipotizzabili i reati di disastro ambientale.
Le
conversazioni tra De Michele e Archinà, però, riguardano anche altro.
Il poliziotto informava il suo interlocutore su manifestazioni e
iniziative delle associazioni ambientaliste arrivando a parlare di
pressioni su don Marco Gerardo affinché impedisse alle parrocchie di
concedere agli ambientalisti spazi in cui incontrarsi, e sul sindaco
perché negasse autorizzazioni a manifestazioni. Archinà afferma anche
che un dipendente Ilva dell’ufficio del personale ha assistito ad alcune
riunioni di ambientalisti.
Nella
primavera del 2010, Archinà è preoccupato dell’apparizione in città di
alcuni graffiti contro l’inquinamento e il poliziotto lo informa che è
opera del centro sociale Cloro Rosso - che di lì a poco verrà sgomberato con un’ordinanza del sindaco che lo stesso Archinà segue passo per passo, ndr -
e di rivolgersi «all’amico suo a Palazzo di Città per farli togliere».
L’8 giugno 2010 i due parlano al telefono proprio dello sgombero del
centro sociale.
De
Michele: poi abbiamo sequestrato nella sede del Cloro Rosso il clichè
dello stampo che hanno fatto sui muri e sui marciapiedi.
Archinà: ah! E quindi?
D: abbiamo fatto il sequestro penale a carico dei soggetti perché abbiamo fatto lo sgombero stamattina
A: ah, avete fatto...si perché ho visto l’assessore
D: è arrivato Ciccio Voccoli e company e il sindaco s’è rimangiato tutto
A: l’ha riconsegnato?
D: sì, sì
A:
no, perché ti dico questo? Perché ad un certo punto io stavo dal
sindaco stamattina ed è arrivato veloce veloce da Bari l’assessore
Fratoianni!
D: si, si, si, tutto l’entourage di Rifondazione è arrivata.
A: e quindi si è rimangiato l’ordinanza.
D: si, si, si è rimangiato tutto però abbiamo fatto il sequestro del cliché e di altro materiale che c’era lì.
A:
e però io stamattina sentivo parlare il sindaco con Fratoianni e diceva
vedi che io sono stato denunciato anche dalla Procura.
D:
chi?
A: il sindaco! ...è vero?
D: non è vero! Si voleva creare un alibi
(…)
A: e perché l’hanno messo sotto schiaffo!
D: questa è la situazione! Eh, in mano a chi stiamo!
la stampa
«Di
estremo interesse - scrive il gip - Per comprendere i rapporti che
l’Ilva intratteneva con certa stampa e radiotelevisioni locali,
asservite agli interessi e alla propaganda della
proprietà industriale, risultano alcune conversazioni telefoniche
intercettate». Da queste emerge, secondo gli investigatori, «il fare
estorsivo» di alcune richieste in denaro avanzate da un giornalista e
dal suo editore con le quali, in cambio di sostanziosi contratti
pubblicitari, si prometteva una linea editoriale favorevole all’azienda.
In altri casi, Archinà riusciva addirittura a far pubblicare su un
quotidiano interventi di un fantomatico esperto scientifico, un
inesistente Angelo Battista, che screditavano dati e informazioni
diffusi sull’inquinamento.
la provincia
Il
sistema Archinà, come emerge dalla ricostruzione degli investigatori,
si sarebbe basato essenzialmente su un sistema di pressioni su
amministratori e politici compiacenti «finalizzati alla positiva e
manipolata soluzione di talune problematiche connesse al rilascio di
autorizzazioni in materia ambientale». In tale contesto si iscrivono i
rapporti tra Archinà, Fabio Riva e l’ex assessore all’Ambiente della
Provincia di Taranto, Michele Conserva, ai domiciliari perché accusato
di aver accelerato l’iter di alcune autorizzazioni in cambio di
consulenze affidate a uno studio amico. «I rapporti tra Archinà e
Conserva erano finalizzati ad ottenere con celerità l’autorizzazione
della discarica» in zona Mater
Gratiae, interna all’Ilva, arrivando a fare pressioni su due dirigenti
del Settore Ecologia e Ambiente dell’ente.
la regione
«I
contatti con gli organi politico-istituzionali non erano circoscritti
alla sola realtà locale ma afferivano anche a quella regionale, tant’è
che Archinà faceva continuamente la spola tra Taranto e Bari,
ove aveva numerosi incontri con personaggi di spicco del consesso
regionale». «Gli incontri avevano sempre un unico filo conduttore,
quello di far sì che le iniziative istituzionali in materia ambientale
non nuocessero all’Ilva, nel senso che non fossero d’impatto dal punto
di vista economico in termini di investimenti per apportare modifiche
agli impianti inquinanti e non esponessero l’azienda dal punto di vista
penale». Il gip scrive tra l’altro di «un’attenta regia» del presidente
della Regione Puglia per rendere più “accomodante” Assennato. E Archinà
scrive in una mail del 22 giugno a Fabio Riva: «Vendola si era
fortemente adirato con i vertici dell’Arpa Puglia, cioè il direttore
scientifico dottor Blonda e il direttore generale porf. Assennato,
sostenendo che loro non devono assolutamente attaccare l’Ilva di
Taranto».
«Le
sollecitazioni alle quali veniva sottoposto Assennato non giungevano
solo dai palazzi pugliesi ma anche e direttamente dal Ministero
dell’Ambiente». Gli investigatori parlano di «scenari assolutamente
aberranti circa la capacità di infiltrazione e manipolazione delle
istituzioni. Emerge con chiarezza che l’avvocato Perli - legale dell’azienda, ndr - aveva
contatti diretti con l’avvocato Luigi Pelaggi e con l’ingegner Dario
Ticali, rispettivamente membro e presidente della commissione IPPC».
Pelaggi, «vera e propria testa di ponte tra vertici Ilva e Commissione,
era colui il quale cercava di orientare la Commissione nella direzione
richiesta». Proprio sull’iter autorizzativo della prima Aia, che porta
direttamente agli uomini fidati dell’ex ministro Stefania Prestigiacomo,
sono concentrati ora i riflettori della
Procura. Globalproject
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