giovedì 28 giugno 2012

Taranto, gli studenti si interrogano sull’ambiente

In Ambient&giovani - Da Pasquale Ricci (referente nazionale  ”Ambiente e Beni comuni” per la Rete della Conoscenza) una nota sull’Assemblea Regionale “Ambienti Comuni: studenti e società civile a confronto per un ambiente ed una società civile più giusti”

A cinquant’anni dall’insediamento della grande industria a , dopo trent’anni di dominio incontrastato del pensiero unico e a vent’anni dalla conferenza di Rio, si è affermata un’esigenza improrogabile per la nostra generazione: ricostruire un rapporto con le proprie città, con il e l’ Un rapporto incardinato sulla , sulla garanzia dei diritti alla salute e al futuro, sulla giustizia ambientale e sociale, dove produrre e consumare non è più imporre ricatti, inquinare, annientare la democrazia e avvelenare il futuro. Come studenti siamo coscienti che è necessario aprire un dibattito costruttivo con obiettivi ben precisi che rimetta al centro della politica e del nostro stile di vita il rispetto dell’ambiente. Una discussione che sia permanente e pluralista mirata ad una conversione ecologica del sistema produttivo dove la conoscenza diffusa a tutti i livelli della società sia il principale strumento di uscita dalla crisi ecologica, che ci sta portando a rendere invivibile il nostro pianeta.
Panoramica di Taranto dal Mar Piccolo
Nel contesto globale come nel locale i diktat delle politiche neo-liberiste e dei mercati hanno determinato un processo molto simile a quello che Calvino descrive rispetto alle città e gli scambi nel libro Le Città Invisibili: si costruiscono fili, relazioni e scambi tra di noi, con lo spazio fisico in cui viviamo e le risorse che utilizziamo, finchè quando gli scambi sono troppi e intricati tali da renderla inivivibile, la città viene abbandonata. Il tipo di scambio che abbiamo adottato però è un non-scambio, dal momento che ci limitiamo soltanto a consumare e consumare. A Taranto la differenza è che viviamo incatenati ad un unico grande filo-catena che s’impone su tutti gli altri, l’ e il complesso industriale che lo circonda; non esiste certamente uno scambio reciproco di benessere e di garanzia del futuro tra la grande industria e chi la vive lavorandoci o semplicemente ospitandola. Bensì si costringe chi si è rassegnato a essere succube delle esternalità della produzione e dell’inquinamento relegando i propri figli ad un avvenire di malattie, mentre chi si oppone è avvolto dalla nebbia della precarietà economica ed esistenziale che costringe a lasciare la città. Riappropriarci della nostra città e dei suoi spazi e delle sue ricchezze, ripensando ad un nuovo rapporto durevole e sostenibile nel tempo è necessario per superare questa condizione di alienazione.

A Taranto, il 28 giugno, Prima Assemblea Regionale “Ambienti Comuni: studenti e società civile a confronto per un ambiente ed una società civile più giusti”
 
L’esigenza di cambiare un velenoso presente è palese, vista anche la risposta dei giovani rispetto ad eventi come l’apertura di un processo storico contro l’establishment dell’Ilva. Queste situazioni rappresentano l’occasione per potere sensibilizzare chi è ancora intorpidito dalle false promesse di benessere e qualità della vita che grandi industrie e politici ci somministrano quotidianamente. Sono momenti per costruire uno spirito di aggregazione, condividere idee e pratiche di lotta, prospettive di cambiamento, alternative che siano inclusive rispetto ad ogni soggetto sociale. Non si può infatti continuare a cadere ingenuamente nella dicotomia del conflitto ambiente-lavoro. E’ un falso costruito ad arte da chi ricatta le nostre vite nascondendosi dietro al motto del pensiero liberale There is No Alternative. Non ci sono alternative se vuoi lavorare, devi inquinare! Ma cosa? L’unico vero conflitto esistente è tra capitalismo e ambiente, tra profitti e garanzia dei diritti e della sicurezza del lavoratore; non è più sostenibile perciò continuare a vivere in questa ipocrisia dove chi parla di difesa del posto di lavoro si dimentica di quanti giovani tarantini sono costretti a vivere nella precarietà e ad andare via da Taranto per colpa di una scelta che condiziona tutte le altre, che ammazza gli altri settori produttivi perchè inconciliabile nelle modalità e nei ritmi con cui produce.
Al tempo stesso recidere quella catena che ci opprime, chiudendo l’industria, senza avere una prospettiva di come ridefinire una società sostenibile e capace di essere inclusiva verso tutte e tutti, non è una soluzione; significa mantenere invariato quello modello di scambi che ci porta ad essere niente. Dobbiamo perciò cogliere un sfida importante in questo momento specie noi studenti: proporre un alternativa basata su una riconversione ecologica delle nostre vite e delle relazioni economia-lavoro. Essere in grado di andare a spiegare a chi difende un posto di lavoro appartenente ad un modello obsoleto e distruttivo, che non uscirà mai fuori dalla crisi e non ci sarà mai un futuro per i suoi figli. Una sfida che si costruisce dal basso perchè tutti dobbiamo essere fautori di un cambiamento, dato che nella comunità risiedono quei saperi diffusi e quei sani interessi collettivi che possono ricalibrare le politiche, i modelli e le relazioni tra noi e l’ambiente sulla frequenza della sostenibilità. Il contesto locale, stando anche ai negativi esiti della Rio+20, ribattezzato dai movimenti che hanno partecipato Rio-20 proprio per l’arretramento rispetto a soluzioni di cambiamento che siano vincolanti verso il rispetto dei limiti del pianeta, resta l’unico terreno su cui lottare.
Taranto: i fumi dell'ILVA
Per questo la Puglia lancia la I Assemblea RegionaleAmbienti Comuni: studenti e società civile a confronto per un ambiente ed una società civile più giusti”, invitando tutti a partecipare e a condividere riflessioni ed esperienze pratiche. Un’assemblea che non sarà solo Ilva, ma anche Beni Comuni, Difesa del Territorio, Eneregie Rinnovabili, Rifiuti, riassunti in un documento scritto dagli studenti per i cittadini. Un testo con cui ci auspichiamo di stimolare l’attuazione di buone pratiche, progetti, campagne di sensibilizzazione per promuovere un nuovo modello di organizzazione economica e sociale, basato su processi di democratizzazione dello sviluppo. L’assemblea regionale “Ambienti Comuni: studenti e società civile a confronto per un ambiente ed una società più giusti” si svolgerà con una sessione mattutina ed una pomeridiana, entrambe aperte ad ospiti esterni ed alla cittadinanza tutta. A questo importante appuntamento parteciperanno studentesse e studenti provenienti da tutta la Regione Puglia ed appartenenti alla Rete della Conoscenza Puglia (network che unisce le associazioni universitarie Link Bari, Link Foggia e Link Taranto e il sindacato studentesco Unione degli Studenti Puglia).
Consapevoli della complessità del tema e di quanto in questi anni si siano acuite le divergenze tra i chi ha animato il dibattito sull’Ilva e l’ambiente, non possiamo perciò rinunciare a discutere di un tema che è in ultima istanza il nostro futuro. Prendersi la responsabilità di promuovere e condividere le idee e le lotte con altri soggetti è un’azione che riteniamo assolutamente necessaria per rilanciare un’alternativa che dovrà vivere di momenti di discussione cittadina, di campagne di sensibilizzazione e di partecipazione ad una vita politica basata su un nuovo senso civico-ecologista. Solo l’unione dei conflitti, che hanno il comune denominatore di voler abbattere un sistema che sacrifica la vita di milioni di persone in nome del profitto di pochi, rappresenta il mezzo per ricostruire un’opposizione sociale che sappia indirizzare le istituzioni e la politica verso una trasformazione all’insegna della sostenibilità e alla difesa dei beni comuni. (Ambiente e ambiente)
Petrolio nel mare di Taranto, blitz dei Verdi contro l’Ilva

Sembra di moda ultimamente, per le grandi aziende italiane, prendersela con gli ambientalisti per le loro denunce e portarli in tribunale. È successo nei giorni scorsi con lo scontro ENEL-Greenpeace, succede di nuovo adesso con l’Ilva di Taranto che minaccia querela contro Fabio Matacchiera, videoblogger e presidente del Fondo Antidiossina di Taranto per un video in cui si mostra l’inquinamento del mare nei pressi dell’acciaieria.
In difesa di Matacchiera, ad una settimana di distanza dai fatti, arriva anche Angelo Bonelli. Il presidente dei Verdi questa mattina si è recato nel mare tarantino replicando l’esperimento fatto dal videoblogger ambientalista e pubblicando su Twitter una foto in cui si vedono le sue mani sporche del fango che inquina il golfo. Scrive Bonelli:
Oggi a bordo di un gommone siamo andati a prelevare dei campioni di acqua marina di fronte l’Ilva di Taranto. Il risultato è quello che vedete in foto: acqua nera, nerissima, sembrava di avere tra le mani petrolio. Una vergogna inaudita, un disastro ambientale di cui nessuno parla che sta uccidendo un’intera città. Ho raccolto un barattolo con l’acqua di Taranto, e lo consegnerò personalmente al ministro dell’Ambiente Clini.
Ma cosa ha fatto di tanto scandaloso Matacchiera per meritarsi una querela (l’ennesima, a dire il vero) dall’Ilva? Il 19 giugno si era avvicinato in barca, con la sua fida telecamera, alle bocche di scarico dell’impianto industriale. Aveva gettato un secchio in fondo al mare che, una volta tirato in barca, ha restituito fanghi e sedimenti palesemente inquinati da quello che sembra proprio catrame. Questo gli è bastato per ricevere l’annuncio di querela:
In relazione al video realizzato il giorno 19 giugno 2012 dal signor Matacchiera Fabio, dal titolo “Davanti all’Ilva di Taranto: come un giacimento di petrolio. Inquietante”, diffuso in internet, l’Ilva di Taranto tiene a smentire categoricamente qualsiasi addebito riferito ad essa.
L’Azienda tiene inoltre a precisare che ha conferito incarico ai propri legali per tutelare la propria immagine nelle sedi giudiziarie competenti. Nei prossimi giorni saranno analogamente intraprese azioni equivalenti anche nei confronti dei giornalisti che, senza alcuna verifica della fondatezza della notizia, hanno divulgato tale video.
Matacchiera, in un secondo video girato il 21 giugno, ha rincarato la dose collegando esplicitamente i fanghi del fondo marino con gli scarichi dell’Ilva. In questo video, infatti, si vedono delle sostanze scure, oleose e galleggianti che escono in grande abbondanza proprio dai tubi di scarico dell’acciaieria. Ieri sera, poi, a dare man forte a Matacchiera è arrivato anche il TG3 nazionale che, incurante dell’annunciata querela da parte dell’Ilva, ha fatto vedere il video agli italiani sposando in gran parte la tesi dell’ambientalista.
La RAI, però, ha dato anche conto della versione ufficiale dell’Ilva sui fanghi raccolti da Matacchiera sul fondo del golfo di Taranto. Altro non sarebbero se non il residuo di decenni di attività industriali precedenti a quelle dell’Ilva:
Tale situazione trova le sue origini nei primi decenni di attività delle realtà industriali insediate nel territorio e già nel passato è stata oggetto di specifici studi condotti in particolare dal CNR – Istituto Talassografico “Cerruti” di Taranto.
Il Gruppo RIVA, sin dal suo insediamento nello stabilimento di Taranto ed al fine di ridurre il proprio impatto sull’ambiente marino, ha avviato un approfondito esame di tutti i sistemi di depurazione delle acque reflue che ha portato ad un investimento di circa 110 milioni di euro per la realizzazione di nuovi impianti e all’ammodernamento tecnologico e al potenziamento di quelli esistenti.
L’Ilva, inoltre, afferma che i suoi scarichi sono costantemente monitorati dall’ARPA pugliese e dotati, dal 2005, di un sistema di campionamento continuo per monitorare i fanghi. Decideranno adesso i giudici se e quanto siano credibili sia Matacchiera che l’Ilva. Prima ancora di ricevere la querela, infatti, l’ambientalista ha presentato un esposto alla magistratura per segnalare quanto ha visto con i suoi occhi nel golfo di Taranto il 19 e 21 giugno.


I campioni vanno in vacanza a Roma

Bonelli analizza le acque davanti all'Ilva "Porterò i campioni al ministro Clini" 

Dopo i video shock dell'attivista di fronte agli scarichi del colosso siderurgico, il leader dei Verdi preleva altro materiale: "Non può esistere il diritto a inquinare". I dati della relazione chiesta all'Arpa sulle concentrazioni di inquinanti nelle acque davanti allo stabilimento siderurgico cariche di idrocarburi, metalli pesanti e Pcb

 Bonelli analizza le acque davanti all'Ilva "Porterò i campioni al ministro Clini" Bonelli durante le operazioni di campionamento "Consegnerò la boccetta con il materiale prelevato davanti agli scarichi Ilva al ministro dell'Ambiente, Corrado Clini, affinché si renda conto dell'emergenza che vive Taranto". Il presidente dei Verdi Angelo Bonelli, come annunciato, ha prelevato alcuni campioni nel tratto di mare antistante agli scarichi dell'Ilva dove verranno fatti carotaggi nei fondali che - secondo il leader dei Verdi - "sono saturi di oli, solventi, petrolio ed inquinanti vari: un vero disastro ambientale". Il consigliere comunale, già candidato sindaco, è voluto tronare sul luogo dove nei giorni scorsi sono stati girati i video denuncia da parte dell'attivista Fabio Matacchiera; filmati già all'attenzione della procura e consegnati alla Digos. GUARDA LE FOTO DEI CAMPIONAMENTI "Il tratto di mare di fronte agli scarichi del polo siderurgico - ha aggiunto Bonelli - risulta estremamente inquinato, come ha reso evidente l'azione di Matacchiera. L'Ilva dice che lo stato dei sedimenti marini davanti agli scarichi sono noti? Interessante questa affermazione. Siccome è inquinato allora dobbiamo accettare che ci sia il diritto naturale a morire per l'ambiente marino. Sono francamente affermazioni incredibili e anche vergognose". "Non c'è nessun diritto - ha aggiunto - a inquinare il mare di Taranto, che è il mare di tutti gli italiani. Le istituzioni devono intervenire perché questo silenzio sta provocando una situazione di disastro ambientale e sanitario che non ha precedenti nel nostro paese e forse in Europa". LA VICENDA LEGGI Battaglia di video: "Nuova chiazza in mare" VIDEO 2 - Il filmato consegnato alla Digos LEGGI - In procura il video shock VIDEO 1 - Il fondale nero come la pece GUARDA LE IMMAGINI Idrocarburi, metalli pesanti e Pcb. Sembra esserci un po' di tutto sul fondale di Mar Grande, nello specchio d’acqua al centro della violenta polemica. E a certificare la criticità di quella zona ad ovest di punta Rondinella, dove si affacciano i canali di scarico dell’Ilva, non sono solo le immagini delle chiazze nerastre indubbiamente di impatto circolate nei giorni scorsi. Lo certifica anche Arpa Puglia. Il direttore di Arpa, l'agenzia regionale per l'Ambiente, Giorgio Assennato, dopo la diffusione del primo video, ha chiesto chiarimenti alla direzione scientifica. Gli è stato assicurato che l’intera zona, che rientra nel Sin (sito di interesse nazionale) Taranto, è stata al centro di una massiccia attività di caratterizzazione. E i risultati di quella campionatura sono giunti sulla scrivania del professor Assennato, sottoscritti dal direttore scientifico Massimo Blonda e dal dirigente Nicola Ungano. Proprio quegli esiti hanno spinto il professor Assennato a battezzare la zona come "sito superinquinato". "I sedimenti caratterizzati in quest’area - si legge nel documento - hanno evidenziato più di una criticità, risultando contaminati da rilevanti concentrazioni di IPA (rappresentati da alti valori di benzo-a-pirene) e Idrocarburi (pesanti e totali), soprattutto tra il Molo V ed il primo scarico Ilva e nella parte interna della Darsena Polisettoriale. Anche i metalli pesanti quali Mercurio, Rame ed Arsenico, nonché Piombo, Cadmio e Zinco hanno sovente superato i valori di intervento e quelli tabellari. La contaminazione è anche attribuibile a composti organici quali Pcb, pesticidi organo clorurati e composti organostannici”. Nella stessa relazione si sottolinea che la capillare attività di screening, tra il 2008 e il 2011, ha riguardato anche i mitili trovati sul fondale, nei quali sono stati riscontrati sforamenti dei livelli di benzoapirene. E si ribadisce che "l’intera area in questione è preclusa alla pesca, a qualsiasi attività di raccolta o allevamento e che tutta la zona è inibita alla balneazione. Le criticità ambientali di questo settore marino costiero - si spiega - sono comunque note agli organi competenti e questa agenzia le ha sempre evidenziate". Sui filmati di Matacchiera, poi, si esprimono riserve sulla campionatura della poltiglia nerastra. "Tale tipo di sedimento - è scritto - è riscontrabile anche in ambienti acquatici non sottoposti a pressioni antropiche, e pertanto non può essere considerato indicatore di contaminazione massiccia da idrocarburi o altro, riscontrabile solo a seguito di accurate analisi chimiche. Da ultimo si ritiene superfluo procedere ad una nuova campagna di rilievi: "Ulteriori controlli - si chiosa - non aggiungerebbero nulla a quanto già noto". Le immagini hanno sollevato un gran clamore, tanto da spingere l'Ilva a minacciare azioni legali contro Matacchiera e giornalisti prima, e a diffondere un comunicato poi. Su Youtube e facebook sono finite sequenze davvero sconcertanti con campioni neri come la pece e grosse chiazze perlomeno sospette. Il Gruppo Riva aveva diffuso una nota in cui, appunto, ribadiva che "tale condizione sia ben nota da tempo a tutta la comunità scientifica e alle Autorità locali e nazionali, e trova origine nei primi decenni di attività delle realtà industriali insediate nel territorio e già nel passato è stata oggetto di specifici studi condotti in particolare dal Cnr, Istituto Talassografico 'Cerruti' di Taranto. Non a caso l'area è stata inserita nella perimetrazione del Sin (Sito di interesse nazionale)". Le precisazioni che Bonelli bolla come "incredibili e anche vergognose". Il gruppo, però, sottolinea anche come "dal suo insediamento nello stabilimento di Taranto ha avviato un approfondito esame di tutti i sistemi di depurazione delle acque reflue che ha portato ad un investimento di circa 110 milioni di euro per la realizzazione di nuovi impianti e l’ammodernamento tecnologico e al potenziamento di quelli esistenti. Questi investimenti hanno consentito di ottenere notevoli riduzioni delle concentrazioni degli inquinanti". (Repubblica Bari)

mercoledì 27 giugno 2012

MAR GRANDE, UN PO’ DI CHIAREZZA
 I dati e i colpevoli dell’inquinamento del nostro mare

Non amiamo essere antipatici. Né autoreferenziali. Ma siamo costretti a diventarlo per vicissitudini a noi contingenti. Termine che in filosofia indica ciò che non è necessario e quindi si contrappone a ciò che è essenziale. Cosa che in questa città avviene oramai a cadenza quotidiana, il che non lascia presagire nulla di buono per il prossimo futuro. Anche perché, ancora oggi, non siamo riusciti a capire bene, ma forse è un nostro limite, quanti siano i giocatori seduti al tavolo dell’ambiente e quali i loro reali obiettivi. E sì, perché tutto ad un tratto, Taranto scopre che la grande industria utilizza degli scarichi in Mar Grande in cui riversa, da sempre, ogni genere di elemento inquinante. Di più, si scopre che “stranamente” i fondali e la qualità dell’acqua di quel tratto di mare antistante gli scarichi, è incredibilmente poco confortante e rassicurante. E così, alla fine dei conti, accade che nella nostra società in cui oramai Facebook regna sovrano, si eleva quasi alle stelle l’indignazione e la protesta generale. Si grida alla scandalo, ogni due parole usate c’è il termine vergogna, s’incolpano politici e organi di controllo assenti dallo svolgere il loro dovere, si giura vendetta e si promette guerra totale alla grande industria. Si creano gruppi, sottogruppi, si condividono foto, video, volantini, si procede con esposti alla magistratura, si annunciano ulteriori prelevi che riveleranno un qualcosa che in realtà tutti sanno da sempre: ovvero che i nostri Due Mari sono profondamente inquinati. Il tutto, mentre la Capitaneria di Porto assicura che la zona è stata bonificata dall’Ecotaras e che le immagini mostrate nei video sono meno preoccupanti di ciò che sembrano: perché non trattasi di idrocarburi, bensì di elementi di origine vegetale. Il che ci lascia quantomeno increduli. Il tutto, mentre ARPA Puglia conferma che nonostante siamo di fronte ad un sito “super inquinato”, tuttavia non bisogna lasciarsi troppo impressionare dalle immagini. Dalle immagini no. Ma dai dati ufficiali, da quelli sì. Anche perché, nonostante più di qualcuno in questi giorni sta indossando come al solito i panni del martire o della bocca della verità, i dati sull’inquinamento prodotto dagli scarichi della grande industria sono ben noti. E questo giornale ne ha scritto e denunciato appena ne è entrato in possesso. Solo che in questa città, a tutti i livelli, sono in troppi quelli che soffrono di protagonismo e primogenitura: se non sono loro i primi a parlarne e a denunciarne, il tutto resta ben nascosto. In questa pagina, infatti, trovate quello che pubblicammo il 14 settembre del 2011. Ovvero ciò che avvenne il 9 maggio del 2008, quando si tenne un convegno indetto dall’Arpa Puglia, in occasione del “Salone Mediterre” presso la “Fiera del Levante” a Bari, dal titolo “Taranto sotto la lente”. L’incontro riunì importanti scienziati e professori universitari, i quali illustrarono le ricerche condotte sullo stato dell'ambiente (acqua, aria e suolo) di Taranto. Quel giorno, il CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) e l’IAMC (l’Istituto per l’Ambiente Marino Costiero di Taranto), presentarono uno studio su “Inquinanti prioritari nel Mar Piccolo e nel golfo di Taranto: analisi di rischio”. Essendo uno studio scientifico, vi risparmiammo i dati puramente tecnici, per andare all’essenziale: e cioè capire chi e quanto ha inquinato la rada di Mar Grande e la rada di Mar Piccolo. Nello studio del CNR e dell’IAMC, vennero analizzati i contaminanti prioritari stabiliti dalla Convenzione di Stoccolma del 2001, tra cui i famosi IPA (Idrocarburi Policiclici Aromatici) e il PCB (policlorodifenili). Lo studio del CNR e dell’IAMC aveva come base di partenza i sedimenti marini, che sono una fase di accumulo di inquinanti e sede di importanti processi chimico-fisici che influenzano la biodisponibilità e la speciazione. Le attività svolte dallo studio sono state tre: la caratterizzazione degli scarichi industriali, la distribuzione degli inquinanti nei sedimenti marini e le valutazioni eco tossicologiche. Solo per chiarezza, vi riproponiamo qualche numero. I principali scarichi industriali sono tre: due appartengono all’Ilva ed uno all’Eni. La portata oraria dei due scarichi Ilva riportata nello studio, è di 3.480.000 metri cubi al giorno (1450.000 ogni ora), mentre quello dell’Eni di 240.000 metri cubi al giorno (10.000 ogni ora). Partendo da questi dati, è stato calcolato che nel Porto di Taranto in totale sono stati mediamente scaricati ogni ora 13,2 kg di idrocarburi alifatici, di cui il 7% proveniente dallo scarico Eni ed il 93% dagli scarichi Ilva. Per quanto riguarda gli IPA, invece, fu calcolato che i reflui Ilva scaricano 3,46 kg/ora di IPA, per un totale di 83 kg al giorno che fanno 30.309 kg all’anno. Per quanto riguarda la distribuzione degli inquinanti nei sedimenti marini, vennero individuate tre aree di studio: Mar Grande, Mar Piccolo e Porto di Taranto. Nello studio del CNR e dell’IAMC, presentato quel 9 maggio del 2008 attraverso la proiezione di 29 slide, la mappa della distribuzione degli IPA nei sedimenti dei Mari di Taranto era inequivocabilmente chiara: le maggiori concentrazioni furono individuate nelle aree prospicienti i tre scarichi industriali. Vi risparmiamo, perché non interessano in questa sede, i dati sull’inquinamento del Mar Piccolo, sull’aria e sul suolo di altri inquinanti. Dunque, gli studi scientifici esistono. Come esistono anche i dati. E i relativi colpevoli. Eppure, ancora oggi, c’è chi finge di non sapere e di scoprire all’improvviso cose abbondantemente conosciute e denunciate da tempo. Questo giornale non vuole nessun premio, sia chiaro. Non parteciperà mai a ridicole gare sul chi “arriva prima”. Ma ci piacerebbe che almeno si facessero le cose in maniera seria, onesta e costruttiva. Gianmario Leone (Taranto oggi)

martedì 26 giugno 2012

Se questo è un operaio

VENERDI' 29 GIUGNO 2012 "SE QUESTO E' UN OPERAIO" DI E CON ALESSANDRA MAGRINI, SUPPORTO TECNICO A CURA DI FRANCESCO MARCHESE

 Torna a Taranto, al teatro Turoldo lo spettacolo "se questo è un operaio" , città che ha visto nascere ed evolversi questa pièce teatrale. Lo spettacolo è ispirato alla condizione degli operai dell'Ilva di Taranto. La performance è incentrata sulla storia di una fabbrica in cui la totale mancanza di sicurezza sul lavoro, l'inquinamento responsabile di morti precoci porta gli operai ad una riflessione sul valore della vita umana, ma purtroppo solo dopo che loro stessi in prima persona saranno rimasti vittime di questo meccanismo infernale. Tutto è avvolto in un'atmosfera surreale, inoltre alcuni dei personaggi arrivano da pianeti lontani e assumono sembianze da protagonisti di una fiaba.nera. Una sperimentazione teatrale che proietta sul palco la dimensione umana degli operai e lecontraddizioni sociali che spingono troppo spesso al silenzio ed alla sopportazione di condizioni di lavoro disumane. "Mi sono avvicinata alla realtà dell'Ilva di Taranto con l'intento di costruire uno spettacolo teatrale, è stato come fare un viaggio all'inferno da cui ne è scaturita questa delirante performance della durata di un'ora circa." I palesi omicidi bianchi e lo scempio provocato alle vite non solo dei lavoratori ma anche alle famiglie che vivono a ridosso delle polveri tossiche non sotterrate sono state intessute in un atto unico suddiviso in 9 scene che gira su se stesso come una giostra di un terrificante lunapark. Spunterà anche il pagliaccio assassino che fiero e senz'anima vomiterà la sua ingordigia sul palco. Scritto, diretto e interpretato da lei stessa, Se questo è un operaio è stato realizzato grazie all'appoggio, in termini di documentazione della situazione in fabbrica, dello Slai Cobas Taranto oltre che dei famigliari di alcuni operai morti per l'amianto o per infortuni suo lavoro. Uno spettacolo asciutto, senza strutture drammaturgiche che segue l'intento di riportare fedelmente "le voci operaie" raccolte durante la preparazione. Un problema sempre attuale, portato in scena prima che scoppiasse il fenomeno mediatico delle morti bianche in passato ignorato dai mezzi d'informazione. Una sperimentazione teatrale che proietta sul palco la dimensione umana degli operai e le contraddizioni sociali che spingono troppo spesso al silenzio ed alla sopportazione di condizioni di lavoro disumane. "Mi sono avvicinata alla realtà dell'Ilva di Taranto con l'intento di costruire uno spettacolo teatrale, è stato come fare un viaggio all'inferno da cui ne è scaturita questa delirante performance della durata di un'ora circa." Alessandra Magrini, alias "AttriceContro", Alessandra Magrini, AttriceContro, ancora una volta si mette in gioco interpretando quello che la sua coscienza sociale le impone di trasmettere, convinta che il teatro sia strumento importante per istigare lo stimolo al cambiamento, sta girando l'Italia con il suo spettacolo Se questo è un operaio. Un monologo sulle morti bianche dell'Ilva di Taranto in cui l'attrice veste i panni di sei personaggi: un giovane operaio, un operaio anziano, la moglie di un operaio che partorisce un bambino nero, la caporeparto ed il padrone. C'è anche il cameo di una catwoman particolare e provocante. Scritto, diretto e scenografato da lei stessa, Se questo è un operaio è stato realizzato grazie all'appoggio, in termini di documentazione della situazione in fabbrica, dello Slai Cobas Taranto oltre che dei famigliari di alcuni operai morti per l'amianto o per infortuni suo lavoro. Un problema sempre attuale e sempre ignorato dai media, una tema di cui non si deve parlare. Ma Alessandra "AttriceContro" lo fa, e ne parla in modo ironico e duro, disincantato e ben documentato. Lo fa in quegli spazi che glielo consentono, di solito centri sociali e sale comunali. La stampa, nonostante ciò, si è accorta di lei, e non solo quella locale, come documentato nella rassegna allegata. Lo spettacolo è a titolo gratuito non è necessaria la prenotazione, si possono ritirare comunque gli inviti all' Ilva o contattando lo slai cobas Taranto

O mare nero mare nero mare nero...



COMUNICATO STAMPA


Oggi, 26 giugno 2012,  alle ore 10,30,  mi sono recato presso gli uffici della Questura di Taranto, sezione DIGOS,  per depositare un esposto per la Procura di Taranto concernente alcuni episodi, da me documentati,  che si sono verificati, a più riprese, a ridosso della rada di Mar Grande, esattamente di fronte agli sbocchi delle acque di raffreddamento dei canali 1 e 2 dell'ILVA di Taranto.

Ho riscontrato, in momenti diversi, dunque,  che nell'area indicata si propagavano  fanghi e sostanze verosimilmente oleose, nonchè schiumose di colore giallo bruno, marrone intenso ed addirittura "nero pece" per diverse centinaia di metri nelle immediate vicinanze degli  sbocchi dei canali sopramenzionati, come si può evincere facilmente dalle foto e dai video effettuati che testimoniano la veridicità di quanto da me asserito; a tale riguardo, questa mattina ho consegnato una corposa ed esaustiva documentazione video e fotografica  alle autorità di polizia giudiziaria per farla giungere in tempi brevissimi nelle mani del magistrato competente.



Ancora scarichi a mare, la Capitaneria conferma Una scia scura e lunga compare in Mar Grande
E tra l'Ilva e gli ambientalisti volano denunce
 
Una scia scura, vischiosa, minacciosa, lunga un centinaio di metri e larga una ventina, che parte dalla zona degli scarichi di raffreddamento dell’Ilva e si dirige al largo, in mar Grande. Sono le nuove immagini che il presidente del «Fondo antidiossina Taranto onlus», Fabio Matacchiera, ha diffuso ieri sulla sua pagina di Facebook preannunciando un «nuovo video e un esposto alla procura della Repubblica» sul presunto ennesimo danno all’ambiente «ad opera dell’acciaieria». «Questa volta non possono negare, escono proprio da lì» scrive Matacchiera sulla sua bacheca. Ma che sia avvenuto qualcosa tra le 8 e le 9,30 di giovedì scorso lo conferma anche il comandante della capitaneria di porto, il capitano di vascello Pietro Ruberto. «Effettivamente — dice — quel giorno abbiamo attivato la squadra della Ecotaras (il nucleo di pronto intervento che si occupa della bonifica degli specchi d’acqua del compartimento marittimo di Taranto, ndr), per la presenza di chiazze non meglio precisate in quell’area». Il comandante Ruberto, spiega anche il tentativo fallito di fare intervenire i tecnici dell’Agenzia provinciale dell’ambiente di Taranto. «Abbiamo invitato il personale dell’Arpa che non è potuto venire poiché impegnato su un altro intervento». A quel punto? «Nel frattempo gli addetti della Ecotaras hanno messo in sicurezza e bonificato lo specchio di mare interessato allo sversamento, per cui l’emergenza è terminata». Risolto così il problema, resta da capire la natura del presunto inquinante. L’alto ufficiale della Marina si è tranquillizzato acquisendo il parere degli specialisti della Ecotaras i quali avrebbero escluso la presenza di idrocarburi in quelle chiazze. «Secondo la loro relazione — fa sapere il numero uno della Capitaneria di porto —, non si tratterebbe di derivati petroliferi quanto piuttosto di origine vegetale». Il dato scientifico l’avrebbero dato le analisi sui campioni che l’Arpa non ha potuto fare. «I nostri prelievi non avrebbero avuto la stessa validità» si giustifica il comandante Ruberto, che ricorda anche come l’allarme di giovedì sia partito proprio dallo stabilimento Ilva. Intanto Matacchiera affina le armi. «Prima l’esposto in procura e poi nuovo video della vergogna», dichiara l’ambientalista già diffidato dal gruppo Riva a non divulgare «notizie infondate» su presunti episodi di inquinamento di cui sarebbe responsabile lo stabilimento. «Negavano ogni coinvolgimento — ribatte Matacchiera — e comunicavano di voler intraprendere azioni legali nei confronti miei e di tutti i giornalisti per aver diffuso il video girato davanti agli scarichi. Quest’ultima volta — spiega il fondatore della onlus Antidiossina Taranto — c’erano come testimoni anche gli uomini della guardia costiera». Il precedente filmato cui si riferisce l’ambientalista è quello da lui girato il 19 giugno che mostra la presenza di poltiglia nerastra sui fondali dello stesso tratto di mare dove sfociano gli scarichi del siderurgico. In relazione a questo documento l’Ilva aveva smentito «categoricamente qualsiasi addebito» riservandosi azioni legali contro gli autori e diffusori del video. (Nazareno Dinoi - CdM)

mercoledì 20 giugno 2012

L'euforia del progresso, questa puttana luccicante!

Quanti ne abbiamo visti o letti nella storia di questo fazzoletto di mondo di proclami e di feste. Ogni volta era il Progresso, sua maestà la regina delle prostitute del capitalismo, che veniva a baciarci e a farci fare un balzo nell'avvenire.
Abbiamo sempre dato tutto per lei, terra, mare, dignità, libertà.
Sta appena cominciando l'agonia della grande industria che porterà lo strascico di lutti e devastazioni ed ecco che già il sindaco, il presidente della provincia, prefetti, politici, sindacati, assessori, ministri sono pronti con il frac a righe, le bretelle e la camicia inamidata sul molo più lungo del porto di Taranto a stappare sciampagni costosissimi per festeggiare!
Intanto i dirigenti delle multinazionali scendono dalle loro grandi navi e vanno verso di loro come fecero gli uomini di Colombo con gli indios: grandi sorrisi e perline di vetro da regalare (i fucili ben nascosti dietro la schiena).
Cosa si festeggia?
Quello che per noi poveri terroni ignoranti e arretrati è presentato come ricchezza e progresso ma che per altre realtà e la quotidianità della lotta contro i giganti: sono i fondali arati e scavati per far passare mostri immensi carichi di ogni bene di consumo e di ogni scarico, che sia per pulire i motori o le stive, per muovere le navi, o che sia il malaugurato incidente che statisticamente segna ciclicamente la storia di giornate fatte di movimenti di centinaia di colossi del mare.
Ora avremo tutto, en plein!
  • l'acciaieria più grande d'europa
  • la raffineria più performante d'italia
  • l'hub portuale più trafficato del mediterraneo
  • la base navale più moderna e nucleare.
Come si fa a rendere tutto questo compatibile con quelle formichine inutili che si chiamano tarantini e con la loro terra ridicolizzata?
Ma è elementare watson!
E' come far salire i famosi quattro elefanti nella cinquecento: due davanti e due dietro!!!

Una volta ci si faceva il segno della croce... Ma noi la Chiesa della Croce, quella che guarda il porto, la stiamo facendo pure crollare! 

Ecco un po' di "rischi da porto"...








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Porto di Taranto ecco 260 milioni

Appena qualche mese fa erano diverse le voci che dal fronte politico e sindacale sollecitavano la revoca della concessione del molo polisettoriale a Taranto container terminal. «Non hanno mantenuto i patti, quel milione di container promesso non s’è visto, e adesso spostano le navi al Pireo e licenziano il personale»: ecco, quindi, la richiesta di revoca che via via si faceva più pressante nei confronti dell’Autorità portuale. E invece oggi a Roma il porto di Taranto centra un altro risultato e aggiunge un nuovo tassello all’operazione rilancio. A mezzogiorno, nella sala polifunzionale della presidenza del Consiglio, si firma infatti un accordo generale che da un lato avvia una serie di opere a Taranto e dall’altro prefigura, da qui a due anni da parte di Tct, un movimento di 700 mila container che, dopo un altro anno, dovranno diventare un milione. L’accordo ha una dote finanziaria di circa 260 milioni: un centinaio verranno da Tct, che fa capo ai colossi del traffico Hutchinson ed Evergreen, e 160 dalla parte pubblica fra Stato e Autorità portuale che ne metterà circa 90. Nel dettaglio, la società pubblica Sogesid effettuerà i dragaggi nella zona di mare antistante il molo polisettoriale e la relativa bonifica, l’Autorità portuale consoliderà la banchina dello stesso molo in modo che i fondali possano avere una profondità maggiore, compresa fra 16,50 e 15 metri, mentre Taranto container terminal sottoporrà a manutenzione le sue attrezzature e soprattutto installerà le nuove gru capaci di lavorare sulle navi da 14mila container, quelle di ultima generazione. In più, l’Autorità portuale darà a Tct altri 500 metri di banchina del molo polisettoriale nel giro di un anno, ammodernerà questo tratto oggi occupato da altre società, realizzerà la diga foranea a protezione dello stesso molo, mentre Tct, oltre a far decollare il traffico, ricorrerà alla cassa integrazione straordinaria per 2 anni per 500 addetti anzichè, come aveva paventato, licenziarne 160 con la mobilità. L’accordo che oggi a Roma firmano i ministri delle Infrastrutture, della Coesione territoriale e dell’Ambiente, insieme a Tct, Authority, Regione, Provincia e Comune di Taranto, è all’interno di un percorso che prima ha visto prima Sergio Prete, presidente dell’Autorità portuale di Taranto, diventare anche commissario per l’accelerazione di un altro gruppo di interventi, poi sbloccare le opere della piastra logistica per 219 milioni di euro. E in mezzo gli accordi che il porto di Taranto ha stretto negli ultimi tempi con Rotterdam, che vuole farne il primo scalo in Italia, e con Shangai. Parla di «giornata storica» Guglielmo Minervini, assessore regionale ai Trasporti, per il quale «Taranto diverrà il porto più infrastrutturato d’Italia. I servizi logistici e la piastra logistica consentiranno infatti di aprire i container, lavorare le merci e quindi generare nuova economia e soprattutto nuova e qualificata occupazione». E Mario Ciaccia, vice ministro delle Infrastrutture, aggiunge: «Quello che stiamo mettendo in cantiere permetterà il rilancio del porto di Taranto, che da qualche mese è tornato tra gli scali strategici dei corridoi europei». Domenico Palmiotti (GdM)

Cronaca di un raccolto annunciato

Cosa si trova sul fondale dello specchio d'acqua antistante gli scarichi ilva?


lunedì 18 giugno 2012

Pirro, una vita per l'Ilva...

Export di Puglia, Ilva protagonista
L'impresa della famiglia Riva detiene il primato nel 2011: i dati di 10 anni di esportazioni nel lavoro di Federico Pirro e del centro studi di Confindustria. Ma gli industriali chiedono alla Regione burocrazia zero

Dieci anni di export pugliese, dal 2001 al 2011, passati al setaccio da Federico Pirro, ordinario di Storia dell’industria presso l’Ateneo di Bari in collaborazione con il centro studi di Confindustria Puglia mettono in luce la validità dei prodotti pugliesi, che nel 2011 hanno registrato un tasso di crescita nell’export del 17,9%, ottenendo così il primato tra le regioni italiane con più di otto miliardi di euro in scambi commerciali. Nel primo trimestre del 2012 secondo i dati Istat il segno positivo registra un incremento del 10% rispetto allo stesso periodo del 2011 ed è la provincia di Taranto a guidare la classifica con il 34,2% dei prodotti esportati. A farla da padrone è l’acciaio dell’Ilva e poi i prodotti farmaceutici, l’agroalimentare, l’industria estrattiva e la componentistica per le auto e per la trazione meccanica. La provincia di Bari registra un segno meno. Sotto di 8 punti percentuali nel 2011, “Perché ancora risente della crisi del tessile-calzaturiero – spiega Pirro – che dal 33% dell’export del 2001 è passato al 12% del 2011 ma è comunque in ripresa, visto che nel 2011 ha raggiunto i 684 milioni di euro di scambi rispetto ai 611 del 2010”. L’Ilva nel 2011 ha venduto acciaio e derivati per 1,348 miliardi di euro all'estero: la segue la Merck Serono, industria farmaceutica che con il suo miliardo e 100 milioni di euro in esportazioni tiene viva la provincia di Bari, ponendola quinta in Italia per export di settore mentre i prodotti agroalimentari su base regionale hanno ottenuto nel 2011 una prestazione pari a 693 milioni di euro in prodotto esportato. “Fra il 2001 e il 2011 le esportazioni pugliesi hanno registrato un più 30,85% rispetto al 37,67% della media nazionale – ha sottolineato Pirro – e non ci sono solo le grandi aziende ma ben 5184 operatori dell’esportazione (dato Istat 2012 ndr)”. Vince il prodotto Puglia, secondo Giancarlo Quaranta, direttore del centro studi di Confindustria regionale “e le esportazioni hanno garantito la sopravvivenza delle aziende a fronte di un calo della domanda interna e hanno permesso alle aziende di mantenere i livelli occupazionali. Ma ora abbiamo bisogno di regole certe per il settore industriale”. Che è quello denominato “bollino blu della burocrazia 0” auspicato da Angelo Bozzetto, presidente di Confindustria Puglia: “Chi programma investimenti ha bisogno di tempi certi – ha ricordato Bozzetto – e il legislatore, in questo caso la Regione Puglia, è chiamata ad assicurarli. C’è ad esempio molta confusione sul tema delle energie rinnovabili, in Puglia siamo arrivati al quinto conto energia, modificare continuamente le normative è un problema. Abbiamo avuto due anni fa la legge sulla semplificazione del posizionamento degli elettrodotti, prima ci volevamo 19 pareri . Il rispetto della legge è necessario, ma la certezza delle regole ancor di più”. A Taranto, come ha ricordato Federico Pirro, un’azienda statunitense di plastiche biodegradabili, la Cereplast, vorrebbe insediarsi nell’ex stabilimento della Sural, ma è in corso un’istanza di fallimento che potrebbe far allontanare l’investitore straniero, che vorrebbe semplicemente utilizzare un manufatto sulla strada per Massafra. “Ci sono delle multinazionali che quasi ci chiedono la raccomandazione – spiega Michele Vinci, presidente di Confidustria Bari e Bat – per insediarsi da noi; la creazione dell’Asi alla zona industriale doveva servire per semplificare le cose e invece si è aggiunto un anello alla catena della burocrazia, anche per fare una variante ad un capannone”. Un no deciso quindi alle lungaggini e alle carte bollate che impediscono all’economia pugliese di essere vincente nei mercati interni: una richiesta alla Regione di snellire la burocrazia che corrode l’impresa. (Gobari)

Tra sconti e velENI

Eni dà un passaggio agli italiani. Ma noi preferiamo restare a piedi

Ha avuto un successo “straordinario”, come del resto era tristemente prevedibile, l’iniziativa “Riparti con Eni” promossa dalla “prima azienda petrolifera del Paese”, che dallo scorso 16 giugno al prossimo 2 settembre, soltanto durante il week end, ridurrà il prezzo della benzina e del gasolio per tutti i consumatori che faranno rifornimento in modalità iperself (ovvero in maniera autonoma).
La riduzione del prezzo prevede all’incirca uno sconto di 20 centesimi al litro rispetto al prezzo praticato in modalità servito, equivalente ad un risparmio di 10 euro su un pieno da 50 litri, con la possibilità di rifornirsi a partire dalle 13 del sabato alla mezzanotte della domenica. Dalle prime proiezioni fornite dall’Eni, in questo primo weekend sono stati venduti 70-80 milioni di litri, circa tre volte il dato normale.
Ma come sempre avviene in questo paese, nessuno si prende la briga di fermarsi a riflettere anche per un solo istante in maniera critica su ciò che gli accade intorno. A maggior ragione poi, se si tratta di risparmiare 20 centesimi di euro sul pieno di benzina e gasolio in tempi di crisi economica. Eppure, nessuno si è posto una semplicissima domanda: ma come è possibile che da un giorno all’altro l’Eni decida di “dare un passaggio agli italiani”?
Non è strano che soltanto un mese fa, quando il prezzo del carburante in Italia era il più alto in Europa, di fronte alle proteste dei consumatori l’amministratore delegato dell’Eni, Paolo Scaroni, allargava sconsolato le braccia affermando che “il calo del prezzo dei carburanti naturalmente ci sarà se i prezzi del greggio e dei prodotti raffinati continueranno a scendere e se l’euro non si indebolirà rispetto al dollaro. Non possiamo essere solo volontaristici bisogna valutare le condizioni del mercato: i margini aziendali sono diminuiti in modo importante per noi e per i nostri concorrenti”?
Niente di tutto questo: gli italiani, come tanti pecoroni, hanno assediato le stazioni di servizio griffate Eni, rievocando l’assalto ai forni di manzoniana memoria. Ma se ciò può essere comprensibile in un paese in cui la coerenza e la dignità sono oramai diventati fenomeni paranormali, lo è in maniera molto, ma molto minore, se ciò avviene anche dove, da decenni, sono presenti le raffinerie Eni, con tutto il loro carico di inquinamento, questo sì del tutto “gratuito”. Come accaduto e accade ancora oggi a Taranto.
Ma i tarantini, si sa, non si fanno mai troppi problemi. Specie poi con l’arrivo dell’estate, dove tutto, ma proprio tutto, passa decisamente in secondo piano. E così, prima di andare tutti al mare, tantissimi tarantini hanno pensato bene di sostare sotto il solleone in lunghe code nelle stazioni Eni, per ringraziare di tanta generosità un’azienda che, da quando ha occupato diversi chilometri di costa della nostra città, ha sempre fatto e continua a fare il bello e il cattivo tempo. Un’azienda che non ha mai avuto alcun contatto con la comunità, con il territorio ionico, che sfrutta a proprio piacimento come una vera e propria colonia.
Sarà anche per questo se negli ultimi anni l’Eni ha avanzato la richiesta di raddoppiare la sua capacità di raffinazione passando dai 6,5 agli 11 milioni di barili all’anno (progetto per ora stoppato dal ministero dell’Ambiente). Sarà per questo, indubbiamente, se ha richiesto ed ottenuto grazie ad un solerte Consiglio Comunale l’ok per la costruzione di un nuovo metanodotto all’interno della stessa raffineria, che in un futuro non si sa quanto lontano, servirà proprio per il raddoppio su citato.
Sarà per questo se ha richiesto e quasi ottenuto la possibilità di costruire una centrale a turbogas nuova di zecca, dalla capacità di 240 MW, al posto dell’obsoleta centrale ad olio combustibile, che però è leggermente inferiore, ovvero di 87 MW. Adducendo come motivazione quella dell’autonomia e autosufficienza energetica della raffineria, onde scongiurare il blocco della stessa, con la conseguente accensione delle grandi torce che riempiono il cielo di Taranto di una sinistra ed inquinante scia di veleni.
Il tutto, senza avere alcuna vergogna nell’affermare che l’energia prodotta in più sarà venduta sul mercato e che tale centrale produrrà un aumento spaventoso di CO2. Il progetto però ha vissuto fasi altalenanti, con la Regione che si è messa di traverso ricorrendo al Tar del Lazio, quando Comune, Provincia, Confindustria e sindacati, oltre alla stessa Eni, avevano già stappato lo spumante. Dopo aver ritirato il progetto iniziale, l’Eni ha dichiarato che presenterà a breve un nuovo investimento, che pare si aggirerà intorno ai 100 milioni di euro, con la produzione di vapore che resterà invariata ma con un calo di quella elettrica: 105 MW anziché 240 MW. Ma il disappunto dell’Eni e di Enipower è palpabile.
La “minaccia” proveniente dagli ambienti dell’azienda del “cane a sei zampe” è stata infatti la seguente: una nuova centrale da 105 Mw non renderà indipendente la raffineria sotto il profilo energetico. Con le torce che torneranno ad accendersi e la raffineria che andrà in blocco “all’improvviso”. Ma i nostri cari amici dell’Eni si possono al momento consolare con il famoso progetto “Tempa Rossa”, che ha da tempo ricevuto tutte le autorizzazioni del caso, oltre che l’ok da parte del Cipe (1,3 miliardi di investimento). L’Eni ha previsto per la raffineria di Taranto un investimento di 300 milioni di euro per stoccare in due serbatoi da 180 mila metri cubi il greggio lucano proveniente dalla Val D’Agri ed ampliare il pontile in dotazione all’Eni nel porto di Taranto per consentire l’attracco di un massimo di 140 navi l’anno, nonostante l’assenza di rischio di incidente rilevante nello Studio di Impatto Ambientale e l’aumento delle emissioni diffuse del 12%.
Ma i tarantini a tutto questo non pensano e non vogliono pensarci. Come si sono dimenticati che la raffineria Eni è la stessa che, da un momento all’altro, è in grado di invadere gran parte della città con una puzza di gas nauseabondo, che crea malori e problemi di salute dai più piccoli ai più anziani. E a certificare che la responsabilità sia dell’azienda del “cane a sei zampe”, è stata proprio l’Arpa, che lo scorso settembre, in occasione dell’ennesima insopportabile fuga di gas, testé dichiarò: “Gli odori nauseabondi segnalati dai cittadini di Taranto lo scorso 17 gennaio 2011 sono legati alla diffusione nell’aria di acido solfidrico (H2S) proveniente dalla Raffineria Eni di Taranto. Nella stessa giornata si è registrato un picco di SO2 (Anidride solforosa, ndr) che ha superato, presso l’Ospedale Testa, il valore limite orario di 350 µg/m3, fissato dal D.Lgs. 155/2010, proveniente verosimilmente dalle torce della Raffineria Eni di Taranto”.
Dunque non uno, ma ben due agenti inquinanti. Entrambi dannosi per l’ambiente e pericolosi per la salute umana. Sempre secondo quanto accertato dall’Arpa “tali eventi sono verosimilmente legati alle attività di riavvio di alcuni impianti da parte di Eni, circostanza preventivamente notificata dalla stessa Raffineria ma a cui non ha fatto seguito alcuna segnalazione di eventi anomali, da parte della stessa Eni”. Che in parole povere vuol dire che l’Eni semplicemente non tiene conto di niente e di nessuno.
Ma nonostante tutto ciò, i tarantini hanno scelto comunque di risparmiare la bellezza di 20 centesimi a litro per rifornire le loro belle automobili. Mostrando ancora una volta di non avere a cuore nemmeno la propria dignità. Perché se è vero che il nostro ecosistema è in gran parte compromesso dall’inquinamento prodotto dalla grande industria negli ultimi 60 anni, è altresì vero che ci sono tanti modi diversi per vivere e morire. Uno di questi, ad esempio, è farlo con coerenza. E dignità.
Sarebbe stato un segnale rivoluzionario lasciare vuote le stazioni di servizio Eni in questo e nei prossimi week end. Non certo per fare un danno economico ad un’azienda che nel 2011 ha messo a bilancio ricavi per oltre 4 miliardi di euro. Ma per affermare a testa alta che non basteranno tutti gli sconti del mondo per comprarsi la nostra dignità. Per dimostrare che Taranto è una città consapevole, che non ha più voglia di soffrire e morire per i veleni della grande industria, che ancora oggi è totalmente spalleggiata sul territorio da istituzioni e sindacati. Per lanciare un concreto segnale ai nostri politici che un’altra Taranto è possibile, non solo a parole, ma anche nei fatti. Che purtroppo ancora oggi danno ragione alla grande industria, che continua a trattarci come una semplice colonia da spremere sino all’ultima goccia.
Ma forse siamo noi che viviamo su un altro pianeta. Forse le nostre sono stupide questioni di principio. Forse sogniamo l’impossibile. Sarà. Ma preferiamo restare cocciutamente dall’altra parte delle barricata. Convinti del fatto che le nostre idee e i nostri principi non avranno mai alcun prezzo contrattabile. Per mandare un messaggio alla grande industria e dir loro che non ci arrenderemo mai, senza prima aver provato in tutti i modi a cambiare in meglio la nostra città. Senza la loro presenza. E senza il loro aiuto. “Dignità è una parola che non ha plurale” (Paul Claudel, Diario, 1904/55 – postumo, 1968/69).
Gianmario Leone (InchiostroVerde)

sabato 16 giugno 2012

Lumbard connection

C'è una strana paesanità bergamasco-veronese-bresciana in questa storia.
Ma di dov'è la famiglia Riva?
Ma perchè si parla di exILVA? 

Gdf Bergamo, scoperta evasione aziende per 50 milioni
Denunciati gli 8 amministratori che hanno guidato nel tempo le 3 societa'

Bergamo - La Guardia di Finanza di Bergamo ha scoperto un’evasione fiscale di 50 milioni di euro e denunciato alla Procura della Repubblica 8 responsabili, facenti a capo a diverse aziende che a più riprese hanno falsificato la dichiarazioni dei redditi. Si tratta di 3 società di meccanica, manutenzione macchine industriali e rottamazione di metalli, operanti nelle province di Bergamo, Brescia, Verona e presso la ex ILVA di Taranto. Queste società, a scadenze ben precise, hanno occultato e distrutto tutta la documentazione aziendale, dopo aver presentato dichiarazioni dei redditi infedeli. Inoltre, mediante la frode fiscale, le aziende potevano praticare prezzi più favorevoli e talmente contenuti da vincere sistematicamente le commesse a discapito dei concorrenti. Le indagini, iniziate a gennaio 2011, hanno consentito di ricostruire integralmente i volumi d’affari delle tre società verificate e di recuperare base imponibile per 50 milioni di euro ed Iva per 12 milioni di euro. Cessioni fittizie di quote societarie, intestazioni di società a “prestanomi” e trasferimenti di sede erano gli altri stratagemmi utilizzati; una delle società, in un anno e mezzo, ha trasferito la sede 4 volte, prima a Milano, poi a Palmi (Rc), poi a Napoli ed infine a Modena, cambiando allo stesso tempo il legale rappresentante. Gli 8 amministratori, sia di fatto che di diritto, succedutisi nel tempo alla guida delle società sono stati denunciati per omessa presentazione della dichiarazione fiscale, presentazione infedele ed occultamento e distruzione di documenti contabili.(voceditalia)

venerdì 15 giugno 2012

Aumenta la collezione di rinvii a giudizio per la famiglia Riva

Taranto: Amianto killer, in 28 finiscono sotto processo

I vertici Ilva e Italsider, in tutto 28 imputati, dovranno rispondere della morte di 15 operai del siderurgico causata dall’esposizione all’amianto. Sono stati rinviati a giudizio per diversi reati, omicidio colposo, violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni e delle malattie nei luoghi di lavoro e mancata adozione delle precauzioni necessarie per tutelare la salute dei lavoratori.
Fra i nomi degli inquisiti spiccano quelli di manager dell’industria di Stato dell’acciaio come Giorgio Zappa, attuale direttore generale di Finmeccanica e i vertici dell’Ilva, Emilio Riva, il figlio Fabio e il direttore dello stabilimento Luigi Capogrosso. Gli operai, deceduti negli anni 2004-2010, hanno lavorato al siderurgico fino al 1975. Le cause della morte sono da attribuire al mesotelioma pleurico, al mesotelioma peritoneale e al carcinoma polmonare, patologie tipiche dall’esposizione all’amianto. Malattie provocate, secondo l’accusa, dalla mancata adozione delle precauzioni minime tese a tutelare la loro incolumità. I lavoratori, è la tesi accusatoria, non sono stati muniti di adeguati strumenti di protezione come maschere per la respirazione e altri dispositivi finalizzati a proteggerli dall’inalazione di polveri di amianto, gas, vapori irrespirabili e soprattutto tossici. Inoltre, non furono sottoposti a visite mediche mirate, in quanto non furono adottati protocolli di sorveglianza stabiliti dalle norme per i rischi derivanti dall’amianto e infine, è sempre la tesi dell’accusa, non furono informati dei rischi che comportavano le operazioni in cui erano impiegati. Ieri hanno concluso la discussione i legali degli indagati, fra cui i difensori dei vertici Ilva, gli avvocati Egidio Albanese e Adriano Raffaeli.
Terminate le arringhe, il gup Giuseppe Tommasino, accogliendo la richiesta dei pm Raffaele Graziano, Franco Sebastio e Pietro Argentino, ha rinviato a giudizio 28 imputati e dichiarato il non luogo a procedere nei confronti di due imputati deceduti nelle more del procedimento. Numerosa la schiera delle parti civili, 30 complessivamente fra familiari delle vittime, Inail, Fiom-Cgil e le associazioni Osservatorio nazionale sull’amianto e Contramianto. Familiari, organizzazioni sindacali e associazioni hanno presentato il conto agli imputati chiedendo maxi risarcimenti danni. Il processo inizierà il 3 ottobre prossimo dinanzi al giudice monocratico del tribunale di Taranto Massimo De Michele. Intanto, martedì, proseguirà l’altro processo sulle morti da amianto che vede alla sbarra 19 imputati, tutti manager e funzionari dell’ex Italsider.(CdG)

martedì 12 giugno 2012

Tutta colpa degli ambientalisti!

La crisi morde anche l'Ilva. Da oggi fermi due impianti
Stop a tempo indeterminato per il treno nastri 1 e l'elettrozincatura. I 300 dipendenti dei reparti saranno distribuiti in altri settori: "Niente cassa integrazione"

La crisi morde anche l'Ilva da oggi fermi due impianti L'Ilva di Taranto Stop a tempo indeterminato. L'Ilva di Taranto ha fermato oggi due impianti importanti, il Treno nastri 1 e l'Elettrozincatura. La fermata, già annunciata nei giorni scorsi dall'azienda ai sindacati metalmeccanici, si rende operativa a causa della crisi di mercato che continua a non dare tregua all'acciaio. Treno nastri 1 ed Elettrozincatura sono due degli impianti sottoposti a fermata che sta interessando, con tempi e modalità diversi, anche altre aree del siderurgico pugliese come i laminatoi a freddo e i tubifici e per i quali la fermata ha un arco temporale già fissato. Nessun contraccolpo serio sull'occupazione. I circa 300 lavoratori - su un totale di 12mila addetti allo stabilimento di Taranto - degli impianti sottoposti a fermata, sia temporanea che prolungata, non andranno in cassa integrazione, ma ridislocati in altri settori e reparti oppure collocati in ferie forzate. L'Ilva parla di "misure gestionali" che dovrebbero consentire di superare questo periodo difficile senza ricorrere alla cassa integrazione, che è stata paventata nelle scorse settimane proprio a fronte della crisi e sulla quale l'azienda del gruppo Riva ha poi preferito soprassedere almeno per il momento.(Rep Ba)

I 100 passi. Indietro.

Quel braccio di ferro sull’Ilva che soffoca Taranto  
TRA REGIONE, AZIENDA E GOVERNO UNA BATTAGLIA SUL TETTO PER L’EMISSIONE DEI VELENI. EPPURE C’ERANO PASSI AVANTI

Bari Appare una guerra burocratica. Ma è soltanto un’illusione. Il nuovo fronte aperto tra Ilva da una parte e Regione e Governo dall’altra è prima di tutto una questione politica, industriale, ambientale e soltanto alla fine tecnica. Venute meno le “garanzie” che il governo Berlusconi aveva dato in questi anni al gruppo Riva, i padroni delle acciaierie hanno rialzato il fronte cercando di riportare Taranto alla vecchia dicotomia tra diritto al lavoro e diritto alla salute: «Se continuate così, ci costringerete a chiudere» hanno spiegato con spot televisivi e al cinema, prima di assistere soddisfatti ai loro operai che sfilavano in piazza contro gli ambientalisti. I primi per difendere un posto e uno stipendio. Gli altri per difendere il diritto a vivere senza ammalarsi. In tutto questo contesto, si sono dimenticati i passi in avanti in questi anni con l’abbattimento delle diossine, grazie alla legge regionale, ma soprattutto alla rivoluzione culturale che aveva portato a far comprendere un’ovvietà: si può fare industria senza inquinare. Basta investire e utilizzare le migliori tecnologie possibili. Un ragionamento che aveva spinto i governi (regionali e in parte quello nazionale) a legiferare in maniera seria. E l’azienda ad avere un atteggiamento assai collaborativo, destinando parte dei ricavi all’investimento nelle tecnologie. Questo tipo di percorso virtuoso sembra però improvvisamente essersi interrotto. Il nuovo ministro dell’ambiente, Corrado Clini, ha annunciato che l’Italia vuole finalmente mettersi in regola con gli standard europei. E per farlo era necessario tra le altre cose riaprire l’Aia, l’Autorizzazione integrativa ambientale, che permette all’Ilva di lavorare. L’obiettivo è «ridurre le cause di inquinamento, quello legato soprattutto alle polveri sottili e agli idrocarburi, attraverso soluzioni compatibili con l’attività produttiva dello stabilimento » aveva spiegato Climi. Un annuncio al quale l’azienda ha risposto alzando le barricate e rivolgendosi al Tar. Presentando un ricorso che, purtroppo, assomiglia a un salto nella macchina del tempo. Passato.Giuliano Foschini Repubblica Bari

La guerra delle cozze

Cozze, Asl ordina la distruzione. I mitilicoltori: “Subito i risarcimenti”

«E’ andata male: è stata una riunione inconcludente. Se entro metà settimana non arriveranno risposte precise sulla questione dei risarcimenti, si rischierà la rivolta dei mitilicoltori». Emilio Palumbo, responsabile locale di Agci Pesca, non nasconde la sua delusione al termine dell’incontro tenuto ieri pomeriggio nella sede del Centro Ittico Tarantino, alla presenza del sindaco Stefàno, dei rappresentanti di categoria e del presidente di Confcommercio Leonardo Giangrande. Un appuntamento che doveva servire a fare il punto dopo la recente e dolorosa decisione assunta dal tavolo tecnico regionale che prevede la distruzione del prodotto adulto allevato nel primo seno di Mar Piccolo. Una condanna dovuta all’accertamento di alti valori di Pcb (policlorobifenili) nei campioni prelevati lo scorso 21 maggio: una media di 7,5 picogrammi al grammo quando il valore limite è 6,5.Il danno stimato dagli operatori ittici è di circa 4 milioni di euro. Una batosta senza precedenti se si considera che l’anno scorso fu distrutta solo una parte della produzione. E proprio ieri il dottor Teodoro Ripa, direttore dei Servizi Veterinari della Asl, ha emesso una nuova ordinanza che dispone la raccolta e la distruzione di tutti i mitili di taglia commerciale del primo seno di Mar Piccolo. «Il provvedimento è stato prontamente notificato al sindaco, al prefetto e al questore – ha spiegato Ripa – non è stato indicato un termine perentorio per consentire al Comune di organizzarsi come ritiene più opportuno». Tornando alla riunione tenutasi nel pomeriggio, il comandante Michele Matichecchia, responsabile del Centro Ittico Tarantino, ha indicato il percorso da seguire. «Il primo passo consiste nella regolarizzazione di tutte le concessioni – ha spiegato al Corriere – solo dopo sarà possibile accedere ai finanziamenti regionali. Il nostro obiettivo è quello di velocizzare al massimo le procedure. Nei prossimi giorni terremo un altro incontro». Le associazioni di categoria hanno chiesto di invitare a Taranto l’assessore regionale alle risorse agroalimentari Dario Stefàno al fine di tracciare un percorso comune. Da parte di Confcommercio sarebbe stata richiesta l’istituzione di un tavolo politico sull’emergenza cozze, aperto anche ai consiglieri regionali. Tra gli operatori ittici, intanto, cresce sempre più l’insofferenza davanti ai tempi lenti delle istituzioni. Sotto accusa ci sono soprattutto Regione e Comune. «Vogliamo avere certezze sui risarcimenti, non possiamo perdere altro tempo: ci devono dire chi, come e quando risarcirà i danni – insiste Palumbo – vogliamo chiarezza anche sulle fonti inquinanti. Il sindaco dice di conoscerle ma non fa nomi. Perché? E poi, chi sosterrà i costi per la distruzione dei mitili? E’ da un anno che gli allevatori del primo seno non guadagnano un euro. A loro non si possono chiedere altri sacrifici». Alessandra Congedo (Corriere del Giorno)

lunedì 11 giugno 2012

Cos'è il social housing?

Questa è una delle più "accattivanti" proposte del nostro sindaco per affrontare il problema della città vecchia e della periferia tarantina... Cerchiamo di capirne di più:

MILANO: LA BUFALA DEL SOCIAL HOUSING


Se da un lato si buttano via miliardi di euro nella speculazione finanziaria e immobiliare, dall’altro a Milano tutto ciò che veramente serve a chi studia o vive del proprio lavoro non funziona. Ne sono una dimostrazione gli ultimi urgenti appelli per mettere in sicurezza le scuole, sempre più a rischio crolli, o il recente ennesimo incidente tramviario verificatosi a Milano, questa volta con quattro feriti, dovuto al problema ormai cronico dell’errato funzionamento di scambi vetusti.

E sono solo due degli innumerevoli esempi che si potrebbero fare. Di fronte a questa situazione di sfascio Palazzo Marino si fa bello lanciando qua e là qualche iniziativa di “social housing” venduta al pubblico come prova della sensibilità dell’amministrazione, degli speculatori e delle banche per gli aspetti sociali. In realtà si tratta di un’operazione che punta a regalare agli speculatori anche il mercato delle abitazioni per i ceti medi (a tutto svantaggio dell’edilizia popolare ed effettivamente sociale), diventato molto appetibile in questo periodo di crisi dopo anni di “sovrapproduzione edilizia” nel settore lusso ed extralusso. Un’operazione che prevede scandalose sovvenzioni pubbliche per gli speculatori, come illustriamo più sotto.

Ma prima vediamo l’ultimo caso, quello della Social Main Street (!), cioè una torre di 14 piani interamente in legno che offrirà posti letto e bilocali in affitto nel quartiere periferico e scarsamente appetibile della Bicocca. I prezzi? 250 euro/mese per uno scarno posto letto, 480 euro per il bilocale in condivisione, cifre ben lontante dall’essere popolari.

Si tratta di un bel business per le cooperative legate a Comunione e Liberazione (ma anche per quelle della Legacoop, con la quale c’è una sempre maggiore sintonia). L’iniziativa infatti parte dalla Compagnia dell’Abitare, che fa parte della ciellina Compagnia delle Opere ed è presieduta da un personaggio ormai storico della galassia Cl, Antonio Intiglietta.

Al progetto ha collaborato lo studio di ingegneria Urbam (sempre galassia Cl) e la torre sarà amministrata dalle cooperative La Ringhiera (Compagnia delle Opere) e Auprema (Legacoop). Il progetto è stato presentato con una conferenza stampa alla quale hanno preso parte, oltre a esponenti dei summenzionati soggetti, anche Roberto Formigoni (Cl) e l’assessore milanese all’urbanistica Carlo Masseroli (Cl). Ma per capire meglio il lucrativo business che c’è dietro queste operazioni bisogna spiegare cosa è il social housing. Lo facciamo riprendendo un pezzo da noi scritto nel novembre 2008, quando Milano Internazionale non era ancora su web:

“Quando in politica si comincia a parlare in inglese c’è sempre di mezzo un inganno. Lo conferma il caso del social housing (i più temerari provano a italianizzarlo a metà parlando di “housing sociale”), un termine che negli ultimi mesi politici, imprenditori e stampa stanno riversando a fiumi nel mare della propaganda che ci assale quotidianamente.

Grazie a un’ingegnosa ingegneria politico-imprenditoriale, ci viene raccontato, verranno messe sul mercato migliaia di abitazioni a prezzo “agevolato”, “calmierato”, “convenzionato”. L’idea può apparire appetibile al comune cittadino, che si trova a dovere affrontare costi esorbitanti e insostenibili per soddisfare il bisogno primario di avere un’abitazione. Ma conoscendo chi propone o sostiene questo progetto (per esempio, il summenzionato assessore Masseroli, oppure le banche) è naturale essere diffidenti. Perché mai chi ha fatto del profitto e della speculazione un motivo di vita dovrebbe all’improvviso gettarsi a capofitto in un’attività a prezzi inferiori a quelli “di mercato” (ma sarebbe meglio dire: a quelli gonfiati dalla bolla immobiliare)?

I motivi in realtà sono semplici: perché permette un ennesimo travaso di valori dal pubblico al privato, perché è un utile strumento propagandistico per nascondere altre enormi operazioni di carattere puramente speculativo e perché comunque è di per se stessa un ottimo affare.

Riguardo all’ultimo motivo, è chiaro che in questo momento di crisi mondiale del settore immobiliare e di aumento dell’incertezza i progetti di social housing sono una vera manna per gli immobiliaristi. Le loro società perdono utili, valore e capitali a tutto spiano (i 22 fondi immobiliari italiani quotati hanno perso il 18% da fine dicembre 2007 a fine agosto 2008, cioè ancora prima dell’inasprirsi della crisi) e il social housing offre rendimenti del 3% più inflazione (di questi giorni un tasso appetibilissimo), con la possibilità di eliminare ogni elemento di rischio grazie a finanziamenti agevolati e garanzie pubbliche sulla solvenza degli affittuari.

Inoltre, pressoché tutti i progetti di social housing prevedono in realtà solo una quota molto piccola di affitti calmierati, la grande maggior parte del costruito è affittabile, o vendibile, a prezzi di mercato. In molti casi si tratta poi solo di uno specchietto per allodole di stampo prettamente populista: si sbandiera il “progetto sociale”, ma in realtà grazie alla perequazione (cioè, nelle politiche attualmente applicate, la licenza di costruire, o di costruire di più, laddove non era possibile, in cambio della realizzazione di opere di utilità pubblica o sociale) si realizzano enormi affari a danno dei cittadini.

In pratica, per spiegare il concetto: l’immobiliarista/banca/fondo costruisce con finanziamenti e regali dei contribuenti 1 in social housing, comunque più che profittevole, e riceve in cambio 4, 5 o addirittura 10 in licenze di costruzione, direttamente tramutabili in profitto mediante attività edilizie o che comunque consentono una rivalutazione astronomica di terreni già posseduti. Basta prendere a esempio il “piano Milano”, citato dal Corriere Economia. Il Comune ha messo a disposizione (gratis!) otto aree per costruire 3.300 alloggi.

Chi vi costruirà, potrà vendere a prezzi di mercato fino al 75% delle case realizzate, appena un quarto invece dovrà essere a prezzo calmierato, cioè in “social housing”. Ma non è tutto. Il Comune mette inoltre a disposizione 20 milioni per abbassare i tassi di finanziamento bancario, mentre la Regione ce ne mette altri 30 per “ridurre il rischio insolvenza affitti”.

Insomma, terreni regalati dagli enti pubblici, soldi pubblici per costruire, soldi pubblici per eliminare ogni rischio di mancato incasso degli affitti e gli “investitori” possono vendere fino al 75% a prezzi di mercato – altroché social housing, questa è una vera e propria cassa di assistenza pubblica per i signori del mattone!

E le cifre in gioco sono da capogiro: secondo le stime di Sergio Urbani, della Fondazione Housing Sociale di Cariplo, il social housing in salsa pubblico-privata vale 3 miliardi all’anno di sviluppo del mercato. Cariplo (la fondazione azionista di Banca Intesa San Paolo) è per l’appunto uno dei principali attori di queste operazioni, insieme ad altre delle numerose e potenti fondazioni bancarie.

Non mancano naturalmente gli immobiliaristi, come per esempio la Pirelli Re guidata da Puri Negri, nonché le cooperative rosse e cielline – anzi, la torta è così appetibile che Legacoop e i ciellini della Compagnia delle Opere hanno superato i vecchi steccati ideologici unendo le forze per dare insieme vita alla Fondazione Abitare (che conta tra le sue fila l’avvocato Guido Bardelli, vicino a Cielle, citato a suo tempo dal Corriere della Sera come una delle possibili scelte di Moratti ad assessore per l’urbanistica).

Oltre agli enti locali, tra i finanziatori vi sarà anche lo stato tramite la Cassa Depositi e Prestiti (Cdp), sempre più coinvolta nel ruolo di crocerossina per i capitalisti a corto di fondi, la quale avrà un ruolo non proprio in armonia con il principio dell’inammissibilità del conflitto di interessi: la Cdp è infatti partecipata al 30% dalle fondazioni bancarie e si ritroverà, attraverso il veicolo di un’appositamente costituita Società di gestione del risparmio, a promuovere progetti di social housing tramite finanziamenti di cui godranno in molti casi… le fondazioni bancarie.

Dietro a tutto questo, naturalmente, l’assenza di ogni politica per la casa che vada a favore di chi lavora, e non di chi arraffa”.

Fonte: http://milanointernazionale.it/2009/10/29/la-bolla-che-deve-ancora-scoppiare-3/

Gli impianti assetati

Stop all'utilizzo di acqua potabile da parte dell'Ilva per il raffreddamento degli impianti


Con l'’arrivo dell’estate, tornano i timori di crisi idriche che, anche se auspicalmente meno gravi di quella che nel 2009 lasciò molti quartieri tarantini senz’acqua per settimane, possano creare disagi ai cittadini in un periodo in cui l’'acqua è necessaria più che mai per difendersi dalla calura.


Orbene in una regione come la nostra, afflitta da sempre dalla carenza di acqua dolce per la mancanza di fiumi nel proprio territorio, e costretta a rivolgersi a Basilicata e Campania per il proprio approviggionamento idrico, 250 litri d'’acqua potabile al secondo vengono utilizzati per il raffreddamento degli impianti dell’Ilva. L’'azienda utilizza allo scopo l’'acqua prelevata dal fiume Sinni, da 32 pozzi , dal fiume Tara, dal fiume Fiumicello, nonché l’'acqua del mar Piccolo.

La questione è davvero paradossale in una regione dove un giorno si e l'’altro pure si paventano crisi idriche e siccità. E si tratta di una incredibile storia di mala amministrazione in cui si è passati dalla lungimiranza di alcuni progetti partiti alla fine degli anni ‘80 alla incredibile situazione di stallo attuale con il ‘corollario’ di un vero e proprio scempio ambientale che non sembra destinato a fermarsi, almeno nel breve periodo.

La normativa in materia prescrive che debba essere privilegiato il riuso di acque reflue depurate per gli usi irrigui e industriali; tale indicazione è pienamente recepita nell’'AIA per l'’Ilva che prescrive all’'azienda l’'uso prioritario delle acque reflue ultraffinate.
Ma perché questo non avviene? La risposta sta nelle opere mai terminate, destinate alla depurazione delle acque, di cui si diceva sopra.

Ad oggi la situazione degli impianti è la seguente: sono funzionanti gli impianti di depurazione di Gennarini e di Bellavista; sono stati realizzati, ma non sono funzionanti e necessitano di opere di rifunzionalizzazione i due impianti di affinamento a servizio dei depuratori di Gennarini e Bellavista; è’ stato appaltato, ma è fermo, il lavoro di costruzione dell’'impianto di superaffinamento nelle vicinanze dell'’impianto di Bellavista e dell'’Ilva; è’ stata realizzata la condotta per portare i reflui sino al costruendo impianto di superaffinamento, ma la stessa è inutilizzata e necessita di lavori di ripristino.

Sono dunque state spese ingenti somme pubbliche e altre ne dovranno essere spese per la rifunzionalizzazione ed il ripristino, nonché la costruzione dell'’impianto di superaffinamento (per il quale la regione ha stanziato14.000.000 di euro) ma non si è ancora in grado di imporre all'’Ilva l'’uso di acque depurate, anche perché se non si terminano gli impianti l'Ilva avrà sempre la possibilità di dire che attende da anni che questi impianti vengano realizzati.

D’'altro canto l'’Ilva stessa sostiene di non poter utilizzare le acque reflue anche se sottoposte ad un processo di ultraffinamento perché inadeguate ai propri impianti. Sappiamo però che tale uso è attestato in altri stabilimenti siderurgici tra cui quello di Piombino e dunque il rifiuto opposto dall'’Ilva è del tutto pretestuoso.

La questione è dunque una e una sola: gli Enti pubblici interessati (Regione, Provincia, Comune e Acquedotto Pugliese) devono porre fine alle lungaggini intollerabili che hanno finora caratterizzato questa vicenda e accelerare, ciascuno per le proprie competenze i vari iter autorizzativi per giungere nel più breve tempo possibile al completamento degli impianti e alla conseguente possibilità di imporre all'’Ilva l'’uso delle acque reflue, impedendole l'’utilizzo di acqua potabile (o consentendoglielo solo nel caso di mancata disponibilità momentanea di acque reflue depurate).

Se questo non sarà fatto a brevissimo, gli stessi enti dovranno rispondere del colpevole e ’intollerabile spreco di una risorsa preziosa come l'’acqua potabile e delle risorse economiche sinora spese per gli impianti mai ultimati.


Legambiente Taranto

L'INGEGNERE ILVA CHE PARLO' DELL'ACQUA PURA

Peppe Carovigno, incuriosito dall'enorme quantita' d'acqua che sparavano sulle strade dell'Ilva il giorno del "PORTE APERTE" , pone una domanda all'ingegnere Cicerone. La risposta, ormai famosa, la sappiamo tutti....mentre la vera l'abbiamo vista la mattina del 9 Giugno.

TarasTV

sabato 9 giugno 2012

La coda dell'Ilva

QUESTA MATTINA (ORE 9.40) DAGLI SCARICHI DELLE ACQUE DI RAFFREDDAMENTO DELL'ILVA DI TARANTO E' FUORISCITA UNA QUANTITA' NOTEVOLE DI FANGHI DI TIPO OLEOSO E SCHIUMOSO. IL TUTTO E' DURATO FINO ALLE ORE 10.30. SI FARANNO APPROFONDIMENTI CON ANALISI CHIMICHE. fabio matacchiera

venerdì 8 giugno 2012

Ma non era impossibile?

L'Ilva dichiarò che non si poteva fare.
Ora annuncia il CAMPIONAMENTO CONTINUO DELLE EMISSIONI TRA 15 SETTIMANE...

Annunciaziò annunciaziò!

Inquinamento Taranto, ass. Nicastro: “Via libera al piano di risananamento dell’aria”

(8 giugno 2012) TARANTO – “Siamo in dirittura d’arrivo per quello che riguarda il piano di risanamento dell’aria per la zona di Taranto. Nei prossimi 15 giorni i tecnici che hanno confermato il lavoro fatto sino ad ora, dovranno integrare il testo perché si arrivi alla presentazione in Giunta per l’adozione’’: a dichiararlo l’assessore alla Qualità dell’Ambiente Lorenzo Nicastro che stamattina ha preso parte al tavolo tecnico con il Comune di Taranto, l’Arpa e l’Asl nel corso del quale si è discusso della questione ambientale della città dei due mari. Il provvedimento, stando a quanto riferito da Nicastro, prevedrà una serie di prescrizioni e indicazioni da seguire che interesseranno tutti i settori, che saranno quindi chiamati ad assumere comportamenti finalizzati alla riduzione del particolato e del benzo(a)pirene. “Le misure di risanamento contenute nel piano richiamano tutti gli attori dell’area tarantina a compartecipare al comune interesse di ridurre i dati relativi a Benzoapirene e PM10 che nell’ultimo anno hanno sforato ben 40 volte i limiti massimi consentiti – ha riferito l’assessore – auspichiamo una presa di coscienza collettiva ed una fattiva collaborazione di tutti nel percorrere la necessaria e non più procrastinabile via del risanamento”. Una risposta chiara e concreta al problema dell’inquinamento: è ciò che auspica e vuole anche il sindaco del capoluogo ionico Ippazio Stefàno con questa serie di soluzioni, alcune attuabili immediatamente ed altre realizzabili a lungo termine. (Quotidianoitaliano)

Faremo il monumento al mitilo ignoto?

Alimenti: da distruggere cozze di parte mar piccolo a Taranto Dovranno essere distrutte entro fine luglio le cozze allevate nel primo seno del Mar Piccolo di Taranto. Lo ha deciso oggi a Bari un vertice del Tavolo tecnico convocato dalla Regione e al quale ha preso parte anche il sindaco di Taranto, Ezio Stefano. Al vertice, che ha visto anche la presenza dei rappresentanti della Asl di Taranto, si è preso atto che i risultati delle analisi fornite lunedi' scorso dall'istituto zooprofiliattico di Teramo hanno evidenziato un aumento dei valori di diossina e di Pcb nelle acque del primo seno del mar Piccolo di Taranto, sino a 7,5 picogrammi per grammo. Le analisi, quindi, rispetto a quelle effettuate nei mesi scorsi che invece avevano dato valori nella norma, hanno fatto emergere dati che impongono la distruzione. Per la seconda volta consecutiva- la prima volta fu nell'estate scorsa- i mitili del primo seno dovranno essere distrutte. Quest'area del mar Piccolo è gia' interdetta alla commercializzazione del prodotto. Nel tavolo tecnico di oggi a Bari e' stato altresi' deciso che il novellame attualmente in allevamento nel primo seno del mar Piccolo, dovra' essere trasferito entro il prossimo 28 febbraio in nuove aree del mar Grande gia' individuate e da sottoporre a classificazione sanitaria. Secondo stime dei mitilicoltori, la produzione che sara' avviata al macero prossimamente e che era già pronta per essere commercializzata, ha un valore di circa quattro milioni di euro. Il primo seno e' solo una delle aree dell'allevamento dei mitili a Taranto. Nessun problema di inquinamento e di commercializzazione per quelli allevati in tutte le altre aree.(AGI)