giovedì 31 luglio 2014

I soliti idioti


COMUNICATO STAMPA MOVIMENTO STOP TEMPA ROSSA –IL PORTO AI TARANTINI

IL VERO NAUFRAGIO E’ DI CONFINDUSTRIA TARANTO

Se ci trovassimo nella baia di Sidney, saremmo circondati da coccodrilli in lacrime. Ma siamo a Taranto, la terra dei delfini, dove a piangere sono soltanto i tarantini a causa dei coccodrilli travestiti da operatori virtuosi che si defilano davanti alle reali motivazioni della disfatta industriale.
Una disfatta frutto della errata o mancante progettazione del territorio ionico ad opera di Confindustria.
Confindustria dovrebbe assumersi la responsabilità delle scelte operate in tutti questi anni, nell’ambito della pianificazione industriale e urbana, in regime di quasi totale autonomia, escludendo dalla consultazione le parti più numerose ed impegnate nella ricerca di soluzioni utili a tutti.
Bisogna ricordare agli imprenditori tarantini che i comparti della raffinazione, della produzione del cemento, di alcune tipologie edili e dei servizi navali di Transhipment sono andati in profonda sofferenza, a causa delle scelte incaute e strategicamente errate operate dalla dirigenza degli industriali tarantini, incuranti delle reali esigenze del territorio.
Al contrario, le scelte produttive operate dalle dirigenze di altre città, come nel caso di Confindustria Bari, Lecce e, in alcuni casi, anche Brindisi, mostrano indici positivi e altamente promettenti in controtendenza con le statistiche della provincia di Taranto.
Le scelte effettuate hanno pregiudicato la nascita e lo sviluppo delle attività innovative che sono invece in fase di insediamento nelle altre province, per giunta assai più redditizie di quelle tarantine sia per fatturato che per unità lavorative impiegate.
Non è un caso che le infrastrutture pubbliche, l’aeroporto, il porto turistico per l’utilizzo ibrido di passeggeri e merci, la nuova stazione ferroviaria, il collegamento ai corridoi transeuropei tirrenico ed adriatico, gli interporti completi di tutti i servizi, previsti a Bari, siano sempre stati una priorità per gli imprenditori delle altre province ma mai sostenuti a Taranto, città di mare strategica eppure priva sia di interporto per il trasferimento delle merci da mare a terra sia del corridoio intermodale di collegamento con Grottaglie.
Confindustria Taranto si è sempre preoccupata di assegnare e riservare aree portuali tra le migliori, più ampie e strategiche d’Italia a pochi privilegiati dell’industria pesante e inquinante precludendone l’uso alle grandi navi di linea passeggeri e ai traghetti e, di fatto, alle Piccole e Medie Imprese, a commercianti e artigiani, coltivatori, pescatori, operatori turistici, del terziario di base e avanzato, e persino all’industria edilizia, che sono la vera spina dorsale dell’economia della provincia di Taranto.
Di fatto, dunque, il vantaggio iniziale esclusivo e geografico è stato pregiudicato e non sfruttato dagli stessi pochi imprenditori locali, malgrado Taranto sia sempre stata l’unica a possedere le aree idonee alla concentrazione intermodale di tutte le infrastrutture ed i servizi prima citati.
Auspichiamo pertanto un rapido ravvedimento da parte di Confindustria Taranto.
E’ arrivato il momento che la comunità dell’area ionica, non ancora consapevole del disastro economico e programmatico in atto, venga in possesso di tutti gli elementi necessari per giudicare e trarre le dovute conclusioni.

Primato tarantino

Ilva, bimbo di 5 anni muore di tumore
Il padre lo annuncia su Facebook

È morto Lorenzo, di cinque anni, il bimbo di Taranto a cui fu diagnosticato a soli tre mesi dalla nascita un tumore al cervello. Suo padre, Mauro, il 17 agosto del 2012 partecipò a una manifestazione contro l’inquinamento nel capoluogo ionico mostrando la foto del figlio intubato. L’uomo salì sul palco e raccontò il dramma che stava vivendo. Disse: «Certo, nessuno è in grado di dimostrare il nesso di causalità tra il tumore di Lorenzo e i fumi dell’Ilva, ma la mia famiglia lavorava lì e i miei nonni, mia mamma sono morti di tumore. Mio suocero anche era all’Ilva e mia moglie, durante la gravidanza, lavorava nel quartiere Tamburi. E tutti sappiamo che da quei camini non esce acqua di colonia, ma gas in grado di modificare il dna e provocare errori genetici come quello di mio figlio». «Lorenzo - proseguì dal palco - ha un tumore al cervello dalla nascita e ha perso la vista. Io spero che continui a vivere e sono qui perché condivido la protesta della gente. Voglio però anche dire che i bambini della città devono poter vivere serenamente e in salute: bisogna fermare questo massacro».
IL SOCIAL NETWORK - Su Facebook, Mauro ha annunciato la morte del figlio con queste parole: «Cari amici volevo avvisarvi che Lorenzino ci ha fatto uno scherzetto... ha voluto diventare un angioletto...». Il popolo della Rete ha manifestato vicinanza e solidarietà alla famiglia Zaratta schierandosi anche contro il Siderurgico e la grande industria ritenuta responsabile dell’emergenza sanitaria e ambientale a Taranto. I funerali di Lorenzo si svolgeranno questo pomeriggio, alle 16.30, nella chiesa Regina Pacis, a Lama di Taranto.
DA PEACELINK - Sul sito di peacelink, Alessandro Marescotti invita a proseguire la battaglia per la difesa dell’ambiente ringaziando la tenacia della famiglia di Lorenzo: «Il coraggio di Mauro e Lorenzo - e il dolore di tutta la famiglia - sono stati un esempio per tutti noi. Hanno ambedue continuato a lottare contro il cancro fino all’ultimo. Sono stati una risposta dignitosa e forte all’indifferenza di quanti si voltano ancora dall’altra parte per convenienza, ignoranza o peggio ancora, ignavia. A 3 mesi di vita - prosegue Marescotti - avevano trovato a Lorenzo un tumore alla testa di 5 centimetri».
I COMMENTI DAL WEB - Una serie infinita di reazioni commosse e al tempo stesso sdegnate per la grave situazione dell’inquinamento a Taranto sul web per commentare la morte di Lorenzo. «Lollo - scrive su Facebook Rosella Balestra, del comitato Donne per Taranto - era un guerriero, un piccolo guerriero della nostra terra, una terra che gli aveva regalato appena nato un destino ingiusto. Tristezza e rabbia per non aver protetto i figli di questa nostra terra, diventata matrigna e crudele. Il tempo è limitato e tu ce lo hai dimostrato...Dacci la forza per non arrenderci e proteggere ogni bambino». In un momento come questo, sottolinea Giuseppe sulla bacheca di Mauro, «non bastano mille parole per descrivere tutto il dolore che si prova. Sappiate che Lollo è un campione e da lassù ci guarderà e ci proteggerà». Soltanto «un commento - osserva Marina - tra la commozione: lottare nel vero senso della parola per questi nostri figli».
IL CORTEO - Domani è in programma una manifestazione per dire no alla desertificazione industriale. È stato organizzato da Confindustria Taranto e si terrà per le vie della città con sit-in davanti alla prefettura. Aderiranno imprenditori e lavoratori delle ditte colpite dalla crisi. «Siamo al capolinea. È sparito dall’orizzonte il nostro futuro», ha sottolineato il presidente degli industriali, Vincenzo Cesareo. (CdM)
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Il bambino che ci ha fatto piangere

E' morto Lorenzo, il piccolo malato con un tumore al cervello. Due anni fa il padre salì sul palco per dire STOP all'inquinamento
30 luglio 2014 - Alessandro Marescotti
"Cari amici volevo avvisarvi che Lorenzino ci ha fatto uno scherzetto... ha voluto diventare un angioletto..."
Mauro Zaratta sul palco nel 2012 a Taranto con il cartello
Ce lo ha comunicato in serata su Facebook in questo modo, Mauro Zaratta, padre di Lorenzo, bimbo di 5 anni malato di tumore al cervello.
A 3 mesi di vita avevano trovato a Lorenzo un tumore alla testa di 5 centimetri. «Era più grande il tumore che la sua testolina», diceva il padre Mauro Zaratta.
Mauro era diventato un "papà coraggio" perché oltre che accompagnare il figlio in lunghi viaggi della speranza, ebbe la forza di salire sul palco nel 2012 e di dire a tutti di fermare l'inquinamento, portando con sé su un cartello l'immagine del figlio.
Mauro era andato a Firenze per non fare respirare più l'aria malata di Taranto e per curare il suo bambino dopo pochi mesi dalla nascita.
"Lorenzo - disse Mauro dal palco - ha un tumore al cervello dalla nascita e ha perso la vista. Io spero che continui a vivere e sono qui perchè condivido la protesta della gente. Voglio però anche dire che i bambini della città devono poter vivere serenamente e in salute: bisogna fermare questo massacro".
Aveva con sé un cartello con la foto di Lorenze e la scritta: "Mio figlio, 3 anni, cancro. A quanti ancora?!".
"All'epoca del concepimento e della nascita - raccontò - mia moglie lavorava al rione Tamburi (il più vicino all'Ilva, ndr), anche se nessuno potrà mai dire che ci sia un nesso di causalità tra emissioni inquinanti e malattia".
Mauro sottolineò che la situazione prodotta dall'inquinamento industriale a Taranto è insostenibile e che anche se il figlio fosse guarito non sarebbe tornato più a vivere nella sua città, dove si trovano tutti i suoi parenti.
Un lavoratore dell'ILVA - a poche settimane dalla manifestazione aziendale organizzata nel 2012 per protestare contro l'ordinanza di sequestro del GIP Patrizia Todisco - gli scrisse su Facebook:
"Sono un operaio Ilva e purtroppo capisco quello che stai passando perché a me è successo a mio fratello e a mio padre. Ti sono vicino e spero anche io che questo massacro finisca, anzi ti dico che sono proprio favorevole alla chiusura. Dai un bacio al piccolo e digli che TARANTO, la parte sana di mente, è con tuo figlio. Ciao, ti auguro il meglio per te e per tuo figlio, vedrai che un giorno tornerai in una TARANTO pulita in tutti i sensi".
Mauro è stato accanto al suo bambino durante i pesanti cicli di chemioterapia.
Il coraggio di Mauro e Lorenzo - e il dolore di tutta la famiglia - sono stati un esempio per tutti noi.
Hanno ambedue continuato a lottare contro il cancro fino all'ultimo.
Sono stati una risposta dignitosa e forte all'indifferenza di quanti si voltano ancora dall'altra parte per convenienza, ignoranza o, peggio ancora, ignavia. (Peacelink)

lunedì 28 luglio 2014

Non c'è vero ricatto occupazionale senza l'appoggio dei sindacati. Brava ENI, impara dai Riva!

«Tagli» impianti Eni Taranto sull'altalena di Tempa Rossa

Sciopero domani in tutto il gruppo Eni, raffineria di Taranto compresa, manifestazione a Roma nelle vicinanze di Montecitorio, richiesta di incontro al Governo. Dopo l'annuncio della società di bloccare gli investimenti a Gela e di paventare il ridimensionamento dei siti di Taranto, Marghera, Livorno e del petrolchimico di Priolo, è scontro tra sindacati e gruppo petrolifero.
Per Cgil, Cisl e Uil del settore, «l'annuncio shock dell'Eni di mettere in discussione l'intero impianto strategico della chimica e della raffinazione in Italia comporta pesanti ricadute sull'intero sistema industriale e occupazionale nel nostro Paese, facendo terra bruciata dell'industria italiana. Questo il Governo lo deve sapere». E ancora: «Colpi di spugna su accordi e investimenti Eni già sottoscritti (Marghera, Gela, etc.) sono inammissibili. Al Governo - dicono i sindacati - abbiamo chiesto l'immediata convocazione di un tavolo negoziale. Se, come sostengono al ministero dello Sviluppo economico, la politica industriale richiede anche di rivalutare l'intervento pubblico nell'economia, allora il Governo chiarisca se l'Eni risponde solo al mercato e alla Borsa o deve dar conto delle decisioni anche all'azionista di riferimento. Se l'Italia ha bisogno degli investimenti e della presenza industriale di Eni, non possiamo assistere inerti - concludono i sindacati - ad un grande gruppo che rischia di uscire dall'industria. Ci batteremo con tutte le nostre forze affinchè ciò non avvenga».Il punto più acuto della crisi è Gela. Il ministero dello Sviluppo economico ha promosso due tavoli di confronto: uno per Gela e l'altro per le altre raffinerie che l'Eni vorrebbe sottoporre a tagli.
Eccedenza di raffinazione: così l'Eni motiva le riduzioni. E secondo dati dell'Unione petrolifera, nel 2014 i consumi italiani dovrebbero attestarsi intorno a 56 milioni di tonnellate a fronte di una capacità di raffinazione di 99 milioni di tonnellate. Ci sarebbe quindi un eccesso di oltre 40 milioni di tonnellate, in pratica l'equivalente di 6/7 raffinerie come quella di Gela su un totale di 12, che l'esportazione non riuscirà mai ad assorbire.
Fonti sindacali e industriali evidenziano che uno dei progetti che potrebbe tenere l'Eni ancorato alla realtà di Taranto, è la base logistica del giacimento petrolifero lucano di «Tempa Rossa», ma è fortemente contrastato dal Comune, da diversi movimenti ambientalisti ed associazioni di categoria come ad esempio Confcommercio. Ieri, per esempio, contro «Tempa Rossa» c’è stato un nuovo sit-in lungo la spiaggia di viale del Tramonto, a San Vito. Due domeniche fa iniziativa analoga si era svolta a Lido Azzurro alle porte della città. Con lo stop a «Tempa Rossa» - sul cui progetto da 300 milioni di euro il ministero dello Sviluppo economico ha rinviato ogni decisione da fine luglio a dopo le ferie - sarebbe la seconda volta che l'Eni a Taranto è costretto a fare i conti col fronte del no.
Una prima volta accadde anni fa, quando presentò, attraverso la controllata Enipower, un progetto di nuova centrale a metano. Gli enti locali, tra cui la Regione Puglia, prima dettero il via libera, poi lo stopparono sollevando il problema delle emissioni di anidride carbonica che l'Eni si era comunque impegnato a compensare su scala regionale. Alla fine, l'Eni ha dovuto ritirare quel progetto, nel frattempo anche autorizzato dal ministero dell'Ambiente, e sostituirlo con un altro ridimensionato nella portata, nell'investimento e nell'occupazione di cantiere, che peraltro è ancora in attesa di poter essere avviato. Contrasti e lungaggini che quasi un anno fa hanno poi spinto Enipower ad abbandonare il sito di Taranto lasciando tutto alla raffineria.
A Taranto l’impianto lavora in prevalenza il greggio che l’Eni estrae dalla Val D’Agri e che viene poi trasportato con un oleodotto (lo stesso che servirebbe per far arrivare anche il greggio di «Tempa Rossa» che però a Taranto verrebbe solo stoccato e non lavorato). Cinquecento circa gli occupati di Taranto e nel 2013 lavorate 2,87 milioni di tonnellate di greggio. (GdM)

domenica 27 luglio 2014

Al mare per difendere il mare


«Stop a Tempa rossa»: nuova catena umana in spiaggia a Taranto per dire no al progetto dell'Eni 


Un lungo serpentone di cittadini ha invaso la spiaggia di viale del Tramonto mostrando lo striscione 'Stop Tempa Rossa - Il porto ai tarantini'. Si tratta della seconda iniziativa del genere dopo quella organizzata il 13 luglio scorso a Lido Azzurro. Presenti anche numerosi bambini e donne in stato di gravidanza. Il movimento di cittadini si schiera contro il progetto di cui e' titolare la joint venture Total-Shell-Mitsui, che prevede lo sviluppo di un giacimento situato nell'alta valle del Sauro, nel cuore della Basilicata, con il trasporto del petrolio a Taranto, dove veorrebbero costruire due serbatoi, un sistema di raffreddamento greggio, i collegamenti con il pontile petroli e il prolungamento per circa 350 metri del pontile per l'attracco delle navi.

Gli ambientalisti denunciano che l'arrivo delle petroliere possa aumentare l'inquinamento in un territorio gia' compromesso dalle emissioni dell'Ilva e della raffineria. Piu' di un migliaio di firme e' stato raccolto nei giorni scorsi contro il progetto. (Quot)

sabato 26 luglio 2014

Luigi Abbate, la dignità in mezzo ai servi: Siamo con te!!

Taranto: licenziato Abbate, il giornalista sgradito a Ilva e alla politica

Blustar Tv dà il benservito al cronista protagonista di un celebre scontro con il "pr" del gruppo siderurgico e poi deriso da Vendola in una telefonata pubblicata da ilfatto.it. Ad aprile lo scontro in diretta con il deputato Pd Pelillo: "Parlerò con il suo editore"

Taranto: licenziato Abbate, il giornalista sgradito a Ilva e alla politica
Il video che mostrava quel microfono strappato per fermare la domanda scomoda ha fatto il giro del web in pochi minuti. E così è divenuto famoso anche il nome del giornalista che chiedeva conto al patron dell’Ilva Emilio Riva dell’ottimistica interpretazione dei dati sulla qualità dell’aria di Taranto a fronte di un tasso di mortalità sempre crescente.
Anche perché, quel nome, è finito al centro di una telefonata, intercettata e svelata lo scorso novembre da ilfattoquotidiano.it, tra il governatore Nichi Vendola e il braccio destro della famiglia Riva, Girolamo Archinà, artefice dello “scatto felino” con il quale ha afferrato il microfono.
Oggi, a distanza di otto mesi da quell’episodio, di Luigi Abbate si torna a parlare. L’emittente per la quale lavorava lo ha licenziato. Di punto in bianco. Crisi del settore? Si, ma non solo questo. Perché in città la verità sussurrata, e a volte detta a voce appena più alta di una confidenza, è anche un’altra. Abbate è stato licenziato perché ritenuto scomodo dalla politica.
Questi i fatti: un anno fa la televisione privata Blustar avvia la procedura di mobilità. Motivazione: l’Ilva ha chiuso i rubinetti, cancellando lo stanziamento annuale di 100mila euro in favore dell’emittente. L’effetto immediato è il crollo dell’equilibrio finanziario della tv – già provato dalla crisi che ha investito l’intero settore – e via alla mobilità. Fuori in cinque. Una di questi, però, impugna il licenziamento per mancato rispetto delle quote rosa tra i “superstiti”. E ha ragione, reintegro immediato. A quel punto l’azienda dispone il turn over. Dentro di nuovo la dipendente, fuori Abbate.
“La legge prevede la possibilità di fare questo, ma non è un obbligo. Si può anche non fare – chiarisce il diretto interessato – e poi perché io?”. Appunto, perché lui? “Mi viene il dubbio di essere scomodo a qualcuno. Me lo chiedo. Sono scomodo alla grande industria? Sono scomodo a qualche politico? Voglio la verità”.
Politica e industria. Il presunto patto d’acciaio che a Taranto ha defenestrato la classe dirigente provinciale. Abbate non si sbilancia, per ora non può. Al suo posto, però, intervengono in tanti. A cominciare da Assostampa Puglia, il sindacato dei giornalisti, che annuncia battaglia. “Non ci sono licenziamenti di serie A e di serie B a seconda delle convenienze politiche del momento – scrive il presidente Raffaele Lorusso -, è evidente che i rapporti tra grande industria e informazione a Taranto, sono ancora inquinati”.
Angelo Bonelli, leader dei Verdi, incalza, centrando il cuore del pensiero comune. “A me viene più che un dubbio sul fatto che ci sia una pressione politica dietro questa scelta. Ci sono state pressioni da parte di qualcuno? Era un giornalista scomodo da eliminare? Attendiamo che sia la proprietà di Blustar a rispondere”.
Risposta che è arrivata a stretto giro, rigettando le accuse “infondate e pervase di dietrologia”. “Nessuna persecuzione – chiarisce Blustar – ma solo l’applicazione della sentenza del Tribunale del Lavoro di Taranto che ha reintegrato, nel luglio 2014, un’altra giornalista costringendo al licenziamento di chi aveva i requisiti stabiliti dalla legge 223/91”. E ad averli era proprio Abbate.
Ma tanto non è bastato. La teoria di Bonelli è avvalorata da Alessandro Marescotti, presidente di Peacelink. “Abbate è scomodo alla politica perché mostrava l’esistenza di due verità. Da una parte quella sostenuta da noi che, con le nostre ecosentinelle pronte a fotografare i fumi dei camini, con i nostri analizzatori, pari a quelli dell’Arpa Puglia, dimostravamo che le emissioni, fuori controllo, contengono cancerogeni. Dall’altra quella dei politici che davanti a quei dati non battevano ciglio”.
Nessun nome. Ma negli stessi minuti, l’associazione ambientalista, pubblica un video su Youtube. È la puntata del 30 maggio della trasmissione condotta da Abbate, ospiti in studio i parlamentari Gianfranco Chiarelli e Michele Pelillo. La discussione si incentra, ancora una volta, sul decreto Ilva allo studio del Parlamento e sui dati forniti dalle associazioni e ritenuti poco attendibili. Quando il conduttore decide di far intervenire in diretta telefonica il presidente del Fondo Antidiossina Onlus Fabio Matacchiera, Pelillo sbotta: “L’editore lo sa? Domani parlerò con l’editore. Voglio sapere se anche lui è d’accordo”. La discussione la conclude Abbate: “Siamo una televisione libera. Il Pd nella campagna elettorale ha fatto figli e figliastri, forse non siamo nelle vostre grazie e per questo diamo fastidio”. Il deputato democratico raggiunto dalla redazione de ilfattoquotidiano.it non intende rilasciare dichiarazioni a riguardo.
Stando a voci bene informate, sarebbe arrivato sulle scrivanie dei magistrati tarantini del materiale a sostegno della tesi delle pressioni politiche. Starà a loro, ora, stabilire la verità. Intanto, il telefono di Luigi Abbate scotta. Sono in tanti a manifestargli, in queste ore, solidarietà. Tra questi nessun politico. (FQ)

venerdì 25 luglio 2014

Solo baffi e distintivo

I cittadini sgomberati della via di Mezzo convocano il sindaco.
E Stefano si nasconde dietro la burocrazia di fronte all'ennesimo caso di truffa pubblica che ricade sulle famiglie della Città Vecchia. (clicca qui per conoscere la vicenda)
Neanche un minimo di vergogna...




Propaganda di stato...

Ilva, Renzi: "Strategica non solo per Taranto". I soldi dei Riva per le bonifiche

"Ilva è strategica non solo per Taranto". Così il premier Matteo Renzi in una conversazione su twitter il giorno dopo la svolta per il seiderurgico arrivata nelle commissioni Ambiente e Industria al Senato. Passano due importanti modifiche al sesto "salva-Ilva" varato dal governo il 10 luglio scorso per garantire il prestito ponte delle banche. La commissione del Senato approva a larga maggioranza due subemendamenti che prevedono l'affidamento di maggiori poteri al sub commissario per il risanamento ambientale, rimettendo così in pista un'ipotesi Ronchi- bis e la possibilità di usare per il piano ambientale le somme sequestrate ai Riva, anche per reati diversi da quelli ambientali.
Il nuovo "salva-Ilva" è inserito nel più ampio pacchetto del decreto competitività, all'esame dei senatori da ieri sera, che proseguirà la corsa contro il tempo alla Camera entro la scadenza del 23 agosto. Cantano vittoria i senatori Salvatore Tomaselli e Massimo Caleo, rispettivamente capigruppo del Pd nelle commissioni Industria e Ambiente, che parlano di grande successo sull'Ilva: "Abbiamo approvato due sub-emendamenti che rafforzano l'ultimo decreto Ilva e le condizioni per il risanamento, il rilancio produttivo dell'azienda e la salvaguardia occupazionale dello stabilimento di Taranto. Il primo sub-emendamento conferisce maggiori poteri di decisione e di spesa al sub commissario. Questi, secondo il testo approvato, "coordina ed è responsabile in via esclusiva dell'attuazione degli interventi previsti dal Piano ambientale, definisce, d'intesa con il commissario straordinario, la propria struttura, le relative modalità operative e il programma annuale delle risorse finanziarie necessarie per far fronte agli interventi, ritenuti ora indifferibili, urgenti, di pubblica utilità e da considerare varianti ai piani urbanistici".
Il secondo sub-emendamento prevede la possibilità che il giudice trasferisca all'impresa commissariata le somme sequestrate a proprietari, soci e perfino dirigenti anche in relazione a procedimenti penali diversi da quelli per reati ambientali o connessi all'attuazione dell'autorizzazione integrata ambientale. Le somme sequestrate a società indagate diventano aumenti di capitale dopo essere transitate dal fondo unico giustizia gestito da Equitalia.
Plaude agli emendamenti il segretario del Pd pugliese Michele Emiliano, che in una nota commenta l'operazione di intelligence fra senatori e deputati del Pd, come lo ionico Michele Pelillo, che è riuscita "ad intercettare le contraddizioni del vecchio decreto e trasformare in decreto un legittimo sentimento di giustizia della comunità ionica". Per Emiliano, "grazie all'utilizzo del denaro sequestrato dalla magistratura alla famiglia Riva abbiamo scongiurato la chiusura dello stabilimento e contestualmente abbiamo garantito l'attuazione del Piano ambientale".
A maggio 2013 le fiamme gialle di Milano hanno sequestrato quasi 2 miliardi di euro ai Riva nell'ambito dell'inchiesta su truffa ai danni dello Stato e trasferimento fittizio di beni. I pm ipotizzano che il patron Emilio, scomparso il 29 aprile scorso e il fratello Adriano Riva, assieme ad alcuni professionisti, abbiano sottratto soldi alle casse dell'Ilva, nascondendoli in paradisi fiscali e facendoli poi rientrare in Italia attraverso lo scudo fiscale. La Procura di Milano, inoltre, sta indagando sui rapporti tra la holding Rive Fire e la controllata Ilva con l'ipotesi di appropriazione indebita ai danni dei soci di minoranza del colosso siderurgico.
Ieri intanto all'Ilva del commissario Pieno Gnudi è arrivato un nuovo direttore, Ruggero Cola, trent'anni di esperienza nel siderurgico, che sostituisce Antonio Lupoli ed un nuovo direttore del personale, Raffaele Del Noce. (Rep)

giovedì 24 luglio 2014

Tanto per dire...

Ilva, Arpa Puglia boccia dl del governo: “Va contro il lavoro degli ultimi anni”

Il nuovo decreto sull’Ilva di Taranto approvato dal Governo Renzi è in ‘antitesi’ con il Piano ambientale del comitato di esperti e con alcune disposizioni dei precedenti provvedimenti varati in questi due anni. E’ quanto ha sostenuto in una lettera inviata all’onorevole Alessandro Bratti, membro della commissione Ambiente della Camera, il direttore generale di Arpa Puglia Giorgio Assennato. Nella missiva di quattro pagine, infatti, il capo dell’agenzia ambientale pugliese ha bocciato una serie di aspetti del nuovo provvedimento che, dopo l’approvazione dell’esecutivo è diventato un emendamento al decreto sulla competitività e, nelle prossime ore, dopo le modifiche delle commissioni Ambiente e Industria del Senato, arriverà in aula con la questione d fiducia posta dal Governo.
Per Assennato, intanto, il nuovo decreto “mostra alcune criticità” causate “dall’introduzione di ulteriori genericità” rispetto al piano ambientale. Questo, infatti, “definiva le azioni e, soprattutto, i tempi necessari a garantire il rispetto delle prescrizioni impartite ad Ilva spa” dall’Autorizzazione integrata ambientale rilasciata nell’ottobre 2012. Il nuovo provvedimento, invece, allunga i tempi di alcune misure che invece appaiono necessarie per ambientalizzare gli impianti dello stabilimento ionico. Come nel caso dell’Altoforno 5, il più importante della fabbrica. Fino a poco prima dell’approvazione dell’ultimo decreto la fermata di questo impianto doveva avvenire entro l’8 novembre prossimo, ma ora l’Afo5 “deve essere messo fuori produzione e le procedure per lo spegnimento” dovranno essere avviate entro il 30 giugno 2015. Ma in realtà lo spegnimento è subordinato al ripristino di un altro altoforno.
Un’opzione che secondo Arpa Puglia, come per alcuni impianti del reparto Cokeria, aprirebbe due scenari: il primo riguarda la possibilità che lo spegnimento non avvenga (proprio perché condizionato dall’efficienza di un altro impianto), il secondo, invece, prevedendo solo lo spegnimento dell’Afo5, non vincola l’Ilva a predisporre un “adeguato piano di dismissione, bonifica con deposito delle garanzie di fideiussione nel caso in cui non avvenga il riavvio”. In sostanza una serie di cavilli che potrebbero lasciare immutata la situazione costringendo i tarantini a convivere per anni con le emissioni nocive che ancora si diffondono dall’acciaieria. Non solo.
Il dg Assennato, nel dettaglio, ha spiegato che il nuovo decreto concede alla fabbrica anche la “piena autonomia” sull’80% di prescrizioni da realizzare entro il 31 luglio 2015, “non consentendo al legislatore – spiega il dg Arpa – di aver alcuna consapevolezza degli effetti della norma stessa che si va ad approvare, dato che non si conosce il 20% delle prescrizioni derogate”. Insomma chi controlla le decisioni dell’Ilva? Secondo Arpa Puglia, ancora, l’ultimo provvedimento concederebbe anche “troppa autonomia nel chiedere finanziamenti senza certezza che vengano impiegati per l’esclusivo fine dell’attuazione delle prescrizioni ambientali” e non conterrebbe indicazioni “alla quantificazione economica globale degli interventi e le relative fonti finanziarie”. Infine il dg Assennato ha sottolineato la mancanza di fondi stanziati dall’esecutivo che consentirebbero l’assunzione di nuove unità per garantire lo svolgimento del carico di lavoro sopportato quotidianamente dall’agenzia. Una bocciatura senza appello, quindi, di un decreto salva Ilva, il sesto in meno di 24 mesi, che potrebbe rivelarsi l’ennesimo regalo alla fabbrica a danno degli operai e dei cittadini. (FQ)

mercoledì 23 luglio 2014

La tela di Penelope si ingarbuglia in Procura

Diversi immobili a rischio crollo della città vecchia di Taranto sono stati posti sotto sequestro preventivo d’urgenza da militari del Nucleo di Polizia tributaria della Guardia di finanza, nell’ambito di una indagine condotta dal sostituto procuratore Enrico Bruschi su appalti assegnati per eseguire lavori di ristrutturazione.
Sarebbero nove le persone indagate tra imprenditori, dirigenti e funzionari comunali per ipotesi di reato di omissione di lavori su edifici a rischio crollo e truffa aggravata. Le famiglie che occupavano gli immobili - una ventina in tutto - sono state fatte sgomberare. Il Comune sta procedendo a trovare loro una sistemazione alternativa. A quanto si è saputo, una perizia disposta dal magistrato inquirente avrebbe appurato che diversi lavori di consolidamento risultavano solo sulla carta ma non erano stati mai realizzati. I finanzieri, guidati dal tenente colonnello Giuseppe Micelli, hanno anche proceduto al sequestro per equivalente di beni per 700mila euro. L’indagine nasce da una attività mirata a verificare la regolarità degli appalti per i lavori di ristrutturazione assegnati dal Comune, che ha usufruito di finanziamenti regionali. Si tratta del secondo filone di una indagine che era già sfociata nell’acquisizione di documentazione negli uffici delle imprese Volpe e Geoga, che si erano occupate, tra l’altro, della ristrutturazione del palazzo storico Pantaleo.

GLI IMMOBILI A RISCHIO E GLI INDAGATI - Sono quattro gli edifici ritenuti pericolanti della città vecchia di Taranto, in cui abitano una ventina di famiglie, sottoposti a sequestro preventivo d’urgenza Si tratta di Pietro Galiuto, titolare della ditta ‘Volpe Scavì, che si aggiudicò i lavori; Antonio Liscio (co-progettista), Marcello Traversa (direttore dei lavori), Mario Pepe (progettista), Antonio Mancini (responsabile unico del procedimento), Silvio Rufolo (dirigente Urbanistica), Angelo Catapano (responsabile unico del procedimento), Vincenzo Carbone (collaudatore tecnico-amministrativo) e Vincenzo La Gioia (dirigente pro tempore Ufficio Risanamento Città Vecchia). I finanzieri hanno proceduto al sequestro per equivalente di beni per oltre 700 mila euro riconducibili ad alcuni indagati. Gli edifici a rischio crollo si trovano in Vico Santi Medici.
LE CONNIVENZE - Secondo la procura, le persone coinvolte, avrebbero beneficiato di un ingiusto profitto quantificato in circa 725mila euro grazie all’attestazione di lavori in realtà mai effettuati per il consolidamento di diversi edifici della città vecchia di Taranto. È la truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche uno dei reati contestati ad alcuni imprenditori tarantini, che rispondono in concorso con dirigenti e funzionari comunali anche del reato di omissione di lavoro in edifici a rischio crollo. Il procuratore in una nota stampa sottolinea che l’illecito profitto è stato conseguito dall’impresa aggiudicataria «anche grazie alla connivenza dei funzionari comunali che talvolta, hanno omesso ogni forma di controllo e, in altre circostanze, hanno collaudato opere mai realizzate. Tra gli aspetti tecnici emersi nel corso delle indagini e delle perizie tecniche è da segnalare quello relativo all’assenza di opere di sostegno dette fondazioni degli stabili oggetto dei lavori». In particolare, precisa il procuratore, «la ditta appaltatrice avrebbe dovuto supportare la statica degli edifici con pali radice a livello di circa sedici metri nel sottosuolo. In realtà l’imponente struttura architettonica riguardante aree per circa mille metri quadrati non sarebbe mai stata realizzata, così come altre opere di rilievo, tanto per l’equilibrio statico e dinamico delle costruzioni quanto per la salubrità e qualità della vita delle persone che hanno ricevuto in assegnazione gli immobili dopo la loro presunta riqualificazione». Le indagini hanno riguardato i lavori di ristrutturazione e consolidamento edilizio di alcuni stabili della città vecchia finanziati dalla Regione Puglia, con riferimento all’appalto denominato Vicolo 2-Lotto 3. (CdM)

Stefano, cavaliere senza cavallo

Inquinamento all'Ilva il Tar sospende l’ordinanza del sindaco

Inquinamento Ilva, sarà il Tar a pronunciarsi sull’ordinanza sindacale del 20 giugno. Il Tribunale amministrativo regionale, infatti, in seguito al ricorso presentato dai legali dello stabilimento siderurgico, ha concesso la «sospensiva» fissando al 30 luglio la data dell’udienza per l’esame della controversia tra Ilva e Comune di Taranto. Lo si apprende da fonti vicine ad ambienti comunali.
Ma per quale motivo era scattata l’offensiva di Ezio Stefàno? A non convincere il sindaco di Taranto, e prima ancora di lui Asl ed Arpa, erano stati alcuni dati provenienti dall’area Granulazione ghisa dello stabilimento.
In estrema sintesi, Stefàno aveva invitato l’Ilva, entro trenta giorni (che appunto sono scaduti lunedì scorso), a fare tre cose ben precise. Ovvero: avviare un monitoraggio ambientale degli impianti dispersi in atmosfera nei reparti Afo (altoforni) ed Ome (officine meccaniche) della Colata continua concordando con Arpa Puglia ed Asl tempi e modalità d’intervento; di definire attività per realizzare un idoneo sistema di raccolta e trattamento delle acque meteoriche, di raffreddamento dell’area Granulazione ghisa e, infine, chiede di realizzare un sistema di captazione e trattamento dei vapori derivanti dal raffreddamento della ghisa.
Per la cronaca, l’Ilva, lo scorso 16 maggio, aveva confermato la propria disponibilità a concordare con gli enti di controllo gli interventi ma senza specificare ulteriormente. Ed ancora, per la seconda richiesta del sindaco tutto era stato rimandato al piano delle acque dello stabilimento che, invece, dev’essere presentato entro maggio 2015. Ed infine, sempre l’Ilva aveva assicurato che esiste un ordine d’acquisto per la realizzazione di un sistema «di captazione e trattamento dei vapori derivanti dal raffreddamento della ghisa» ma, secondo il Comune di Taranto, non ci sarebbe alcun cronoprogramma per la progettazione, approvazione e realizzazione degli interventi. Per questo, evidentemente, un mese fa, era scattata l’ordinanza in cui Stefàno aveva peraltro avvertito che in caso di inosservanza da parte dell’Ilva, gli impianti interessati avrebbero dovuto sospendere la loro attività. (GdM)

Tutto come sempre

Video shock - Nuova informativa al Procuratore di Taranto



Quasi giornalmente, operai dell'Ilva continuano a far pervenire al Fondo Antidiossina, foto e video molto eloquenti che mostrano episodi gravissimi di inquinamento. Questa volta, però, l'obiettivo della telecamera è più a fuoco che mai e riprende scene raccapriccianti a pochi metri dall'accaduto. Per questo abbiamo deciso di informare ancora una volta il dott. Franco Sebastio, Procuratore di Taranto,
Sappiamo anche che i custodi giudiziari, guidati dall'ing. Barbara Valenzano, hanno più volte informato il Procuratore circa il ripetersi di eventi simili a questo che continuano a verificarsi all'interno dello stabilimento Ilva, con puntuale e dettagliata documentazione.

Va ricordato che gli impianti inquinanti sono tuttora sottoposti a sequestro preventivo che, per legge, deve servire ad evitare il protrarsi delle conseguenze dannose o pericolose del reato e ad impedire che possano essere commessi ulteriori illeciti. Inoltre, come già più volte sottolineato, la Corte Costituzionale, con sentenza n. 85/2013, ha confermato la persistenza del sequestro, sia pure concedendo all’azienda la facoltà d'uso degli impianti, e ha affermato che la stessa facoltà d’'uso può essere revocata dalla autorità giudiziaria, qualora le prescrizioni non siano puntualmente, scrupolosamente e costantemente osservate.
La stessa Corte Costituzionale ha specificato che, se non vengono osservate le puntuali previsioni del nuovo provvedimento autorizzativo (Aia), l’Autorità Giudiziaria, nell’ambito delle proprie competenze, deve adottare tutte le misure idonee necessarie a sanzionare, anche in itinere, le relative inadempienze”.
Taranto, li, 23 luglio 2014
Prof. Fabio Matacchiera
(resp. Legale Fondo Antidiossina Taranto Onlus)
www.fondoantidiossina.it
Onlus FONDO ANTIDIOSSINA
Registrata presso l’Agenzia delle Entrate ed Anagrafe Tributaria del Ministero delle Finanze (26/01/2010

martedì 22 luglio 2014

Torna in vendita l'ex convento Monteoliveto!

Nell'inerzia del Comune che pure nel 2011 aveva deliberato il proprio interesse, torna in vendita il complesso dell'ex-convento di Monteoliveto in Città Vecchia.
Partecipa alle iniziative di sensibilizzazione che lanceremo dal blog!
Per il dossier sulla vicenda clicca qui.
Ecco la delibera del 2011:

 

Dismissioni, lo Stato mette in vendita palazzi e conventi. Obiettivo 11 milioni di euro


Lo Stato ci riprova. Dall'ex Casa del Fascio di Caravaggio (Bergamo) all'ex Birreria della Caserma Mameli a Bologna sono 15 i beni statali messi in vendita dall'Agenzia del Demanio con il secondo Bando Unico del 2014. Obiettivo è incassare almeno 11 milioni di euro guardando soprattutto al mercato retail
Un bando, questo, considerato all'Agenzia del Demanio una sorta di banco di prova per riavviare le annunciate dismissioni. Lo scorso bando, infatti, non è andato bene come si sperava. L’obiettivo del governo è ora riuscire a raggiungere il target di dismissioni di immobili contenuti nell’ultima legge di Stabilità e cioè per il triennio 2014/16 almeno 500 milioni di euro l’anno. Una cifra ancora molto lontana, ma l'Agenzia, guidata da Stefano Scalera, con questo nuovo bando prova a fare un primo passo per portare a casa quanti più soldi possibili. Sicuramente entro l’anno ci sarà qualche altro bando, fanno sapere a Il Ghirlandaio dall’Agenzia del Demanio ma molto probabilmente non basterà a raggiungere la soglia sperata.
Gli immobili che fanno parte di questo primo lotto, che resterà in offerta fino al 29 settembre,  sono tra i più vari: appartamenti, uffici, palazzetti storici, ex conventi, terreni ed ex aree militari. Il pezzo più a buon mercato è una ex caserma a Mora (Imperia), per un paio di fabbricati e il terreno annesso la base d'asta è 430mila euro. Per poco di più (494mila curo) è possibile presentare un'offerta per un edificio intero (15 appartamenti) in una zona centrale di Trieste. L'immobile più costoso inserito nel bando è nella periferia sud di Verona, vicino alla zona artigianale. Nel dettaglio, si tratta di un'area di 3mila metri e di un capannone con un valore di base d'asta fissato a 1,42 milioni.
In Veneto si trova anche l'ex base missilistica di Ceneselli (Rovigo), chi acquista dovrà farsi carico della bonifica dei terreni e della rimozione dei beni mobili abbandonati dai militari sul terreno. In totale l'area è grande poco più di 8 ettari e comprende 42 fabbricati. Il prezzo di partenza per aggiudicarselo è 1,35 milioni. Al Demanio, vista la taglia e la tipologia degli immobili, confidano molto sul mercato retail puntando sul pregio storico architettonico di alcuni beni. A Firenze e a Spoleto, per esempio, finiscono in asta due palazzine ad uso ufficio.
Destinata ad uso ufficio anche una porzione di un immobile del Comune di Reggio Emilia che precedentemente ospitava la ex Amministrazione di Poste e Telegrafi mentre a Caravaggio (Bergamo) è prevista la vendita all'incanto dell'ex Casa del Fascio (tre piani per un totale di oltre 1.200 metri di superficie). Un capitolo a sé fa l'elenco degli immobili inseriti nel progetto Valore Paese-Dimore. L'intento dell'operazione è valorizzare castelli, conventi e strutture di pregio creando un modello integrato di ospitalità e attività culturali con la collaborazione delle amministrazioni locali. Non a caso il progetto, oltre al Demanio, vede coinvolti Invitalia, Anci (Associazione dei comuni), Ministero dei beni Culturali e Cassa Depositi e Prestiti. In tutto sono circa 200 gli immobili individuati e inseriti nel portafoglio del progetto Valore Paese-Dimore. Il valore aggiunto agli occhi degli investitori dovrebbe essere il corredo di “strumenti tecnici normativi e finanziari” riservato a questo genere di beni.
Tradotto, vuol dire un percorso agevolato per la conversione in strutture turistiche e ricettive. E quanto previsto per il Forte Pianelloni (850 mila euro) a Lerici (La Spezia), un'ex fortificazione con tanto di terreni e antica cinta muraria, , l'edificio storico denominato 'Casa Nappi' vicino al Santuario Mariano di Loreto (Ancona) (511 mila euro), un palazzetto storico nei pressi del santuario mariano di Loreto (Ancona), e l'ex convento seicentesco di San Domenico Maggiore Monteoliveto (921 mila euro) nella città vecchia di Taranto. Nel caso di questi due ultimi immobili, però, qualcosa non ha funzionato. Tornano in asta dopo essere rimasti invenduti in occasione del precedente bando dello scorso marzo.
Tutti i soggetti interessati potranno partecipare alla gara, che prevede offerte segrete e vincolanti, presentando un'offerta economica corredata della documentazione necessaria entro le ore 16 del 29 settembre 2014. Sempre in un'ottica di ottimizzazione del patrimonio immobiliare dello Stato, l'Agenzia del Demanio prosegue con la dismissione dei beni con un valore di base d'asta inferiore ai 400mila euro. (ilghirlandaio)

Solita tecnica di addormentamento...

Tempa Rossa a Taranto: slitta a settembre la decisione

Rinvio per Tempa Rossa a Taranto. La decisione sulla costruzione della base logistica del giacimento petrolifero della Basilicata non arriverà prima di settembre. Era prevista una conferenza al ministero dello Sviluppo economico per fine mese e invece ora se ne parla dopo la pausa estiva. È lo stesso Comune di Taranto a renderlo noto. Comune che in queste settimane ha più volte espresso il suo no al progetto (è un investimento da 300 milioni di euro) in quanto dalla movimentazione del greggio, che verrebbe fatta con le navi, teme un aumento dell'inquinamento nell'area di Taranto.
Intanto le compagnie Total, Shell e Mitsui che in joint venture gestiscono Tempa Rossa hanno avviato una campagna di informazione e comunicazione sul progetto. Prima tappa la sede di Confindustria Puglia, a Bari, insieme al comitato «Grandi imprese».
«Siamo favorevoli alla realizzazione del progetto - afferma Domenico Favuzzi, presidente di Confindustria Puglia - nel pieno rispetto della legislazione ambientale e della salute dei cittadini. Un progetto di sviluppo industriale strategico e vitale per un territorio come quello di Taranto già fortemente colpito da situazioni di crisi aziendali e che rischia di andare incontro ad una inarrestabile deindustrializzazione».
Nell'incontro in Confindustria Puglia, presenti istituzioni a livello locale e centrale, associazioni ambientaliste, Università, mondo produttivo e sindacati, sono stati trattati gli aspetti di compatibilità ambientale degli interventi, i benefici occupazionali e i riflessi positivi sull'economia portuale di Taranto. «Abbiamo voluto quest'incontro per avviare un'opera diretta di informazione sul progetto Tempa Rossa a Taranto - dichiara Roberto Pasolini, direttore commerciale e comunicazione di Total Italia in rappresentanza della joint Tempa Rossa -. Intendiamo continuare il percorso di informazione sul territorio di Taranto perché la comunità abbia tutti gli elementi di necessaria chiarezza sull'opportunità che questo progetto rappresenta nel rispetto dell'ambiente».
Tempa Rossa, nello specifico, prevede lo sviluppo di un giacimento situato nell'alta valle del Sauro in Basilicata. A regime l'impianto avrà una capacità produttiva giornaliera di 50.000 barili di petrolio, 230.000 metri cubi di gas naturale, 240 tonnellate di Gpl e 80 tonnellate di zolfo con un incremento della produzione petrolifera nazionale del 40 cento. Per la sua valenza è stato dichiarato opera strategica nazionale e prevede lo sviluppo dell'omonimo Centro Olio della Basilicata con un volume di investimenti complessivo di 1,6 miliardi di euro (senza alcun contributo pubblico). Per permettere il trasporto del petrolio, si evidenzia da parte della joint venture, sarà necessario potenziare le infrastrutture di stoccaggio e spedizione via nave già esistenti a Taranto nell'area della raffineria Eni, che è partner logistico dell'iniziativa. Nel dettaglio verranno costruiti due nuovi serbatoi, un sistema di raffreddamento greggio, i collegamenti con il pontile petroli, un nuovo sistema di recupero vapori ed il prolungamento per circa 350 metri del pontile per l'attracco delle navi. A Taranto, è stato affermato nell'incontro di Bari, il progetto Tempa Rossa, adottando le migliori tecnologie esistenti ed essendo di fatto un progetto di tipo logistico senza trattamento del greggio, non creerà emissioni aggiuntive rispetto ad oggi grazie al nuovo sistema di recupero e trattamento dei vapori provenienti dal caricamento delle navi.
Trecento milioni di euro la stima dell'investimento, 300 gli occupati di cantiere, 90 infine il movimento di navi atteso. La maggior movimentazione di greggio, rileva la joint, non comprometterà la diversificazione delle attività del porto, dove dal 2008 si è registrato un transito di mille navi in meno all'anno causa la crisi della siderurgia. E non c'è alcuna incompatibilità tra l'arrivo e la partenza delle petroliere per Tempa Rossa e le altre attività dello scalo tarantino in quanto in Italia - è stato rilevato nell'incontro in Confindustria Puglia - i porti che movimentano più greggio sono anche quelli a maggior vocazione merci e passeggeri. (Sole24h)

Un'altra medaglia al valore di famiglia: di padre in figlio!

Ilva: Fabio Riva condannato a 6 anni e 6 mesi


Tutti colpevoli di truffa ai danni dello stato. Nel processo che apre la stagione giudiziaria milanese a carico della famiglia Riva, proprietaria del gruppo siderurgico Ilva, è la procura a segnare il primo punto a favore. Il dispositivo, letto dal presidente Giulia Flores Tanga della terza sezione penale del Tribunale, è arrivato dopo dodici udienze condotte a ritmo serrato per i tempi usuali della giustizia italiana. Sono bastati, infatti, poco più di due mesi e mezzo per giungere a questa decisione, che prevede una condanna a 6 anni e 6 mesi di carcere per Fabio Riva, che si trova ancora a Londra e sui cui pende un mandato di estradizione, cinque anni per Alfredo Lo Monaco, cittadino italo-svizzero proprietario della finanziaria Eufin Trade e tre anni per Agostino Alberti, che al momento dei fatti contestati rivestiva il ruolo di direttore amministrativo della società Riva Fire, la holding del gruppo di proprietà della famiglia di industriali siderurgici. La condanna nei confronti di Fabio Riva è più pesante della richiesta dei pm Mauro Clerici e Stefano Civardi, che avevano proposto una pena di 5 anni e 4 mesi. Agostino Alberti è l'unico degli imputati a cui sono state concesse le attenuanti generiche.

Una penale anche per Riva Fire, ritenuta responsabile ex legge 231 del 2001 e condannata a pagare 1,5 milioni di euro, oltre al divieto di accedere a finanziamenti statali per 12 mesi e alla revoca di tutti quelli già concessi. L’elenco delle decisioni non finisce qui: il tribunale ha rinviato a un ulteriore giudizio – in sede civile - la richiesta del ministero dello Sviluppo economico di condannare la Riva Fire al pagamento di 120 milioni di danni. È stata però stabilita una cosiddetta provvisionale di 15 milioni, che Riva Fire dovrà pagare subito.

COME FUNZIONAVA LA TRUFFA
Che cosa hanno esattamente contestato i giudici agli imputati? Spiegare questa truffa non è semplice. In sostanza è stata loro addebitata la creazione di un meccanismo grazie al quale riuscivano ad ottenere fondi statali senza averne diritto, attraverso l’esportazione di tubi per svariati usi. I soggetti di questo meccanismo sono la capogruppo Ilva spa; la consociata svizzera Ilva Sa, con sede a Manno nel Canton Ticino, che acquistava le merci dalla ditta italiana per poi rivenderle ai clienti finali internazionali (una classica “trading company”); la Eufin Trade, una finanziaria anch’essa elvetica che di mestiere faceva il “forfaiting”, ovvero lo sconto pro soluto di cambiali e infine la Simest, la società pubblica che erogava il contributo in base alla cosiddetta legge Ossola. Ovvero una normativa nata per finanzia parte degli interessi passivi bancari sostenuti dalla imprese esportatrici in determinati settori (macchinari, impianti), quando concedono importanti dilazioni di pagamento ai loro compratori, concretamente fino a cinque anni. Esiste in tutti gli stati Ocse e si può dire che sia l’unica forma di “aiuto di stato” regolare. Ma i Riva creavano fittiziamente queste dilazioni grazie alla svizzera Ilva Sa, che acquistava la merce dall’Italia per poi rivenderla a clienti finali, i quali in realtà pagavano sempre in contanti.

La società elvetica emetteva dunque delle cambiali internazionali (chiamate “promissory note”) della durata di cinque anni sull’85 per cento del debito verso la Spa italiana (il restante 15 per cento doveva essere saldato subito per legge) e le portava subito allo sconto presso Eufin Trade, la quale si era già accordata con la stessa Ilva Sa per il suo riacquisto, in modo da chiudere l’operazione senza che realmente i soldi si muovessero. Ma attivando il contributo Simest per coprire gli interessi passivi nati da questo sconto di cambiale, che venivano veicolati in Svizzera da dove non rientravano più, uscendo dal faro del Fisco italiano. I contributi in realtà non erano dovuti perché con il riacquisto delle cambiali nessun credito era più attivo, ma questo a Simest non veniva comunicato e l’ente erogatore saldava invece il dovuto per i cinque anni. La stessa Eufin Trade, che in teoria avrebbe dovuto svolgere un compito molto rischioso e fino a non molto tempo fa vietato in Italia dalla Banca d'Italia, in realtà come si è visto non aveva di fatto nessun rischio perché rivendeva subito all’emittente le cambiali, finendo per essere solo un ingranaggio di questo disegno truffaldino.


LE INTERCETTAZIONI: “A BONDI I SOLDI PUZZANO?”
L’importanza di questo procedimento non si ferma, però, alla semplice scoperta della truffa, che tra il 2008 e il 2013 aveva permesso di incamerare fondi per circa 100 milioni di euro, l’85 per cento veicolati in Svizzera e divisi tra Ilva sa ed Eufin Trade. È stato utile per cercare fare luce sul complicato rapporto di forze che si è creato tra le procure che indagano sui reati dell’Ilva, la famiglia Riva, i commissari straordinari e il governo, che ha effetti paradossali, come si vedrà.

Il ruolo del commissario Enrico Bondi, ad esempio. Rimosso nel giugno scorso dopo una lunga pressione di Federacciai, guidata dall’industriale Antonio Gozzi (gruppo Duferco), cui il ministro dello Sviluppo Economico Federica Guidi ha alla fine ceduto, nominando al suo posto Piero Gnudi, ex presidente dell'Enel e consigliere “a titolo gratuito” del ministro Guidi. Una scelta che, almeno in un primo momento, non dev'essere per nulla dispiaciuta ai Riva, che nei confronti di Bondi avevano aperto un fuoco di sbarramento che sul governo qualche effetto sembra averlo avuto. Perché tanta ostilità nei confronti di Bondi che, in fondo, era stato lo stesso Emilio Riva a chiamare al capezzale del gruppo Ilva poco prima del commissariamento, con lo scopo di tentare un salvataggio in extremis?
Forse c'entra proprio l'indagine giudiziaria milanese. Una volta insediatosi, infatti, era stato proprio il manager aretino a bloccare l’operatività della società svizzera Ilva Sa, nella convinzione che quello schema operativo fosse truffaldino. Una scelta che aveva consentito proprio al ministero dello Sviluppo Economico – parte civile in questo procedimento – di arrestare la truffa che lo vedeva come parte lesa. La mossa di Bondi, però, era stata accolta con qualche sconcerto fra i manager dell'Ilva più vicini ai Riva: A tal proposito i pm hanno evidenziato una gustosa intercettazione di uno di loro che, parlando con la Eufin Trade, diceva: «Sì, la nuova direzione, qui, gli puzzano i soldi. Facevamo i business finanziari, no, non va bene, non gli piacciono, qui al commissario e a tutta la sua banda... e allora non scontiamo più (le promissory note, ndr), basta». Continuava il manager: «È un business della miseria, gli puzzano i soldi al nuovo commissario? Stanno rivoluzionando più Milano che non Taranto. Era da sanare Taranto, sembra che devono sanare gli uffici di Milano, cacchio, che casino». Per poi concludere con una dichiarazione plateale: «Che strana banda è la banda del Commissario, non ha imparato l’Abc, pecunia non olet».


MA RENZI SALVA IL TESORO DEI RIVA
Già, pecunia che non olet. lo sanno bene i Riva che rivendicano per Ilva ancora un ruolo nonostante i guasti della loro gestione. Lo ha ben evidenziato Claudio Riva in una lunga intervista a “Il Sole 24 Ore”, dove diceva che la famiglia era pronta a investire ancora sulla società, anche se non da sola. Ma sono gli stessi Riva cui la procura di Milano contesta di aver succhiato indebitamente almeno 1,7 miliardi di euro, finiti in trust di Jersey e parzialmente sequestrati in Svizzera? Ecco che tornano le grandi contraddizioni di questa complicata vicenda, sulla quale giovedì 10 luglio è intervenuto il governo di Matteo Renzi, con un decreto che permetterà alle banche di continuare a finanziare la società, ora virtualmente al dissesto. E qui c'è un ulteriore giallo: nelle bozze preliminari del decreto compariva un passaggio che bloccava la possibilità del commissario di utilizzare per il risanamento ambientale i fondi sequestrati ai Riva, uno stop salutato con grande apprezzamento dal fronte degli industriali e della famiglia Riva. Nel testo finale quel passaggio è però sparito. Il governo Renzi ha infatti dato ai legali l'incarico di studiare se questa mossa, che Bondi non ha mai fatto mistero di voler mettere in pratica, è legittima oppure no.

Nel frattempo, però, il governo sembra voler andare oltre. Renzi e il ministro Guidi sembrano preferire un'altra ipotesi: vorrebbero che il piano industriale per il salvataggio dell'Ilva venisse predisposto dai nuovi azionisti, e il neo commissario Gnudi sta tentando di mettere insieme una cordata che comprenda il gruppo anglo-indiano Arcelor-Mittal e alcuni industriali italiani. Stando alle indiscrezioni di stampa, però, la possibile cordata avrebbe fatto sapere di ritenere esagerati i costi stimati per il risanamento ambientale, e di non aver intenzione di farsene carico in toto. Di qui il problema, anche politico, perché annunciare adesso che il risanamento si farà solo in parte è una mossa che può far esplodere le tensioni in città. E bloccare l'utilizzo dei fondi sequestrati ai Riva – previsto esplicitamente dal governo di Enrico Letta – sarebbe un'ulteriore decisione difficile da digerire. Eppure, e la procura di Milano è stata molto chiara su questo punto, il procedimento giunto oggi a sentenza con la condanna di Fabio Riva nasce proprio dalle inchieste tarantine, di cui costituisce una sorta di completamento logico, con la ricostruzione dei passaggi salienti tra l’impoverimento dell’Ilva, anche ai danni di ambiente e salute pubblica, e l’arricchimento della famiglia.

Per il governo, i fronti caldi non finiscono qui. Una prima questione da risolvere riguarda il futuro ruolo dei Riva, che in teoria hanno la possibilità di sottoscrivere l'aumento di capitale dell'Ilva (se mai si farà) e restare azionisti. La seconda è quella dei rapporti con le banche, che hanno messo i bastone fra le ruote a Bondi e che ora, con il decreto del governo Renzi, sono chiamate a anticipare nuova finanza. Nella propria relazione di fine mandato, l'ex commissario Bondi aveva ricostruito con precisione le responsabilità delle banche, spiegando come gli istituti non avessero voluto far fronte alle necessità dell'Ilva «prima di conoscere la consistenza di eventuali apporti a titolo di capitale»: ovvero prima conoscere chi sarebbero stati i nuovi azionisti. Come dire: i soldi dei Riva non si toccano. Era stato un debito molto marginale nei confronti del Banco Popolare guidato da Pier Francesco Saviotti a far finire fuori strada il tentativo di Bondi: «Da ultimo il gruppo Banco Popolare ha sospeso gli affidamenti concessi al gruppo Ilva e, con lettera in data 23 maggio 2014, ha chiesto il rientro dell'esposizione per circa 25 milioni di euro», continua la relazione dell'ex commissario.

Anche qui, però, le evidenze ricostruite dai pm di Milano rivelano come l'esposizione delle banche nei confronti dei Riva fosse enorme. Fra tutti spicca il ruolo di Intesa SanPaolo, che vanta crediti per un miliardo di euro su Ilva e di 300 milioni su Riva Fire, l'azienda di famiglia. Attraverso la partecipata Soditic era Intesa a svolgere il ruolo di “forfaiter” per Ilva. Ed era stata la stessa banca, incredibilmente verrebbe da dire per com’è andato questo processo, a presentare ai Riva il già citato Alfredo Lo Monaco e la sua Eufin Trade, risultati poi parti fondamentali della truffa. Intesa quel lavoro non lo vuol più fare: troppo rischioso dicono i suoi funzionari, ma si riserva per se
il ruolo di banca agente dove Simest deposita i soldi che poi prendono la via della Svizzera. Quanto era conscia la banca di questo meccanismo? La domanda resta sospesa. Lo stesso avvocato Nerio Diodà ,che difende Fabio Riva, si sbilancia sulla banca guidata oggi da Carlo Messina: «Va detto con serenità che Intesa aveva un ruolo assolutamente essenziale, prima con Soditic, che poi si scopre che costa troppo il loro sconto, e quindi è la stessa banca che indica Eufin Trade al gruppo Riva. E abbiamo le prove testimoniali che prima di questo momento non vi erano rapporti o relazioni con Eufin Trade da parte del gruppo Riva».

SI FA AVANTI ANCHE IL FISCO SVIZZERO
Se non bastasse tutto ciò per qualificare questo processo come un caotico e ancora incompleto puzzle di personaggi e situazioni, arriva anche la richiesta del Fisco elvetico di sbloccare parte delle somme sequestrate dai pm alla svizzera Ilva Sa per pagare le imposte, pari a 870 mila franchi su una società che i pm considerano fittizia ed esterovestita, quindi inesistente, tanto che c’è un’indagine in corso. In procura, dicono alcune indiscrezioni, c'è chi ritiene che il modo migliore per fronteggiare una situazione così complessa sia far ricorso alla legge Marzano, come si chiama il dispositivo che permette di dar corso alla riorganizzazione di un'azienda in stato d'insolvenza, utilizzato in passato per Parmalat, ad esempio. Ma fra coloro che hanno voluto silurare Bondi quest'ipotesi è vista come fumo negli occhi. Perché la famiglia Riva e le banche, a quel punto, resterebbero a bocca asciutta. (L'Espresso)

sabato 19 luglio 2014

Aderiamo!

Aperte le adesioni al Movimento Stop Tempa Rossa

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‘Stop Tempa Rossa’ è un movimento creato ed ufficializzato da liberi cittadini. Nasce come movimento apartitico e si pone come obiettivo l’informazione, la partecipazione ai processi decisionali e il confronto con le parti politiche allo scopo di contrastare la realizzazione del progetto ‘Tempa Rossa’.
Il movimento ha inoltre come obiettivo il coinvolgimento di tutte le parti sociali e politiche, nel rispetto della propria apartiticità e trasversalità.
In un’ottica di maggiore forza del messaggio che si vuole divulgare per il raggiungimento dell’unico obiettivo di bloccare il progetto ‘Tempa Rossa’, il Movimento chiede il sostegno di associazioni culturali, associazioni ambientaliste, associazioni animaliste, comitati, associazioni di categoria, commercianti, ordini professionali e movimenti politici, di ogni parte d’Italia.
Perchè bloccare ‘Tempa Rossa’? Le motivazioni sono contenute in questo documento illustrato nella conferenza stampa del 28/06/2014 dai portavoce, in ordine di intervento: Daniela Spera, Marco De Bartolomeo, Mimmo Battista. RELAZIONE STOP TEMPA ROSSA-IL PORTO TORNI AI TARANTINI.

PER LE ADESIONI E’ SUFFICIENTE SCRIVERE AL SEGUENTE INDIRIZZO E-MAIL INSERENDO COME OGGETTO ‘ADERISCO A STOP TEMPA ROSSA’ E INDICANDO LOCALITA’ E NOMINATIVO DELL’ASSOCIAZIONE O DEL MOVIMENTO POLITICO.
N.B.: PER ADERIRE COME LIBERO CITTADINO E’ NECESSARIO INDICARE NELLA MAIL L’AUTORIZZAZIONE A RENDERE NOTO IL PROPRIO NOMINATIVO AI SENSI DEL D.Lgs 196/2003 IN MATERIA DI TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI:

stoptemparossa2014@gmail.com

Aderiscono al Movimento Stop Tempa Rossa:Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti, Legamjonici contro l’inquinamento, Peacelink, Fondo Antidiossina Onlus, Taranto LIDER (Libere Iniziative per la Diversificazione Economica e la Riconversione), AUT (Artisti Uniti per Taranto), Associazione Culturale Pediatri Puglia e Basilicata,AIL TARANTO, Associazione Italiana Leucemie Linfomi e Mielomi sezione di Taranto ONLUS, Comitato Cittadino e Referendario Taranto Futura, WWF Taranto, Legambiente Taranto, NoScorie International, Associazione “Laboratorio per Viggiano”, OLA (Organizzazione lucana ambientalista), Social LAB ONP Grottaglie, Jonian Dolphin Conservation – TARANTO, Associazione culturale “Articolo 9 “(Salerno), Centro Culturale Filonide, ASSO-CONSUM TARANTO, MEDITERRANEO NO TRIV, Associazione Made in Taranto, Associazione “Produrre Salute” sezione di Taranto, Comitato Filovita, Associazione FUTURA (Venosa, PZ), Comitato “Tito No Biomassa”, Associazione Kyrios (Roma), Associazione Culturale Hermes Academy Onlus, Arcigay Taranto, Associazione Puglia Internazionale, Associazione di Salvaguardia dell’ambiente e tutela del territorio LUCANAPA, Associazione Il Teatro degli Amici di Taranto, Associazione culturale ReSet  (Palagiano-TA), Sud Project Camp – Laboratorio Aperto nelle Piazze del Sud, Centro di Educazione Ambientale (CEA)-Mottola (TA), Albina Colella (Professor of Geology, Department of Science, University of Basilicata), Simonetta Zandiri – TGMaddalena – Redazione Indipendente per la  libera Informazione sulla lotta al TAV, Roberto Giurastante (TLT), Vincenzo Pirlo (TA)-(fondatore e amministratore del gruppo Fb “Sei di Taranto se…”), Solfrizzi Francesco (TA)-(Gruppo fb “Sei di Taranto se…”)
Adesioni di liberi cittadini:Piero Piliego (TA), Eleonora Massafra, Crispiano (TA), Incorvaia Salvatore Grottaglie (TA), Paola Lippo (TA),Filomeno Cafagna (Trani-BAT),Alessia Tagliente (TA),Giuseppe Damiano Nuzzo (TA),Gaspare Ressa (TA),Carmela Iosco (TA),Giuseppe Carovigno (TA),Giampiero Lovelli (TA),Umberto Nigro (TA),Nadia Strusi (TA),Gianluca Casamassima (TA),Cristina Pulpo (TA),Leonardo La Porta (TA),Anna Maria Netti (TA),Angelo Colucci Crispiano (TA),Salvatore Uncini (TA),Giuseppe Lopatriello (TA),Tumminia Angela (TA),Sardella Vito, Lama (TA),Nicola Granieri (TA),Renata Campora (TA),Tiziana Rizzo (TA),Marinella Monfredi (TA),Massimiliano Onorato (TA),Alberto Zara (LE),Giuseppe Maldarizzi (TA),Valentina Pastorizia (TA),Domenico Deandri (TA),Giovanna Russo (TA),Nicola Trisolini Palagianello (TA),Simona Sebastio (RG),Adele Labile (TA),Antonio Martire (TA),Patrizia Masella (TA),Oronzo Rinaldi (TA),Fiorentino Pignatelli (TA),Raffaella Basile (TA),Gianfranco Valente Mottola (TA),Donato Ditaranto Montescaglioso (MT),Claudio D’Ingeo (TA),Iolanda Fischetti (TA),Ida Gatto (TA),Serena Battista (TA),Donato Iurlaro (TA),Angelo Sgobio (TA),Marco Caliandro (TA),Lorenzo Morrone (TA),Franco Guarini (TA),Giada Fuggiano Lama (TA),Mary Bruno (TA),Daniele De Cristofaro (TA),Paolo Castronovi (TA),Maria Gatto (LE),Annalisa Conte (TA),Cinzia Zaninelli (TA),Osvaldo Milani (TA),Pietro Caroli (TA),Donatella Convertino (TA),Giuseppe Laviola (TA),Marco Scialpi (TA),Agnese Lincesso (TA),Raffaella Quaranta (TA),Gabriella Titoto (TA),Danilo Panico (TA),Stefania Bellanova (TA),Maria Vivenzio (TA),Maria Fornaro (TA),Antonietta Terribile (TA),Annarita D’Errico (TA),Ruggiero Graziano Crispiano (TA),Massimiliano Fabbrizzi (TA),Loredana Latagliata (TA),Monica Nitti (TA),Domenico Votano (TA),Cosimo Rivizzigno (TA),Gennaro Viesti (TA),Alfonsina Diletto (TA),Mario Corrado (TA),Francesco Gaudio (TA),Carmine Cua (TA),Mario Roberti (TA),Nicola Morgese (TA),Lea Cifarelli (TA),Vandina Stella (TA),Stefano Lanucara (TA),Maria Cristina Chiulli (TA),Tommaso De Roma (TA),Mina Lafratta (TA),Ivan Leone, Oppido Lucano (PZ),Emanuele De Gasperis (TA), Andrea Aurelio (TA), Valentina Monetti (TA), Domenico Deandri (TA),Mauro Santoro (TA),Livianna Annicchiarico (TA), Umberto Celano (TA),Enrica Tessari, Leporano (TA), Adele De Giorgio (TA), Francesco Pugliese (TA),Licia Traetta (TA), Clementina Vivenzio, San Giorgio Jonico (TA),Mimmo Marra (TA), Amelia Quarto, Leporano (TA),Elena Casto (TA), Virginia Mariani, Mottola (TA),Palmisano Maria Rosaria (TA),Simona Pantaleo (TA), Stefania D’Elia (TA), Romano Latagliata (TA), Anna Laura Elefante, Carovigno (BR), Danilo Di Lorenzo, Palagiano (TA)
Movimenti ed esponenti politici che sostengono le motivazioni del movimento ‘Stop Tempa Rossa’: Associazione Radicali Lucani, Bolognetti Maurizio (Associazione Radicali Lucani), Bonelli Angelo (portavoce nazionale dei Verdi), D’Amato Rosa (europarlamentare M5S circoscrizione SUD), Federazione Nazionale dei Verdi, Liberiamo la Basilicata, Meet Up 192-Amici di Beppe Grillo Taranto, Meet Up Amici di Beppe Grillo San Marzano di San Giuseppe, Meet Up Manduria Cinque Stelle, Meet-up “Ginosa marina a 5 stelle”, Meetup “Palagianello in MoVimento” di Palagianello (TA), Meetup Amici di Beppe Grillo Crispiano, Meetup Castellaneta Aperta M5S Beppe Grillo, Meetup Movimento 5 Stelle Francavilla Fontana, Meetup di Mottola, Meetup Putignano in MoVimento, Melchiorri Alceo (Lucani in Europa), Movimento di Insorgenza Civile – delegazione di Bari Partito del Sud – Puglia, Taranto Respira, Verdi Taranto.

Wikipedia, libera e vera!

On. Michele Pelillo su Wikipedia
Bandiera italiana
Parlamento italiano
Camera dei deputati
Michele Pelillo daticamera.jpg
Luogo nascita Taranto
Data nascita 5 maggio 1957
Partito Partito Democratico
Legislatura XVII
Circoscrizione XXI Puglia
Michele Pelillo (Taranto, 5 maggio 1957) è un politico italiano.

Biografia

Alle elezioni politiche del 2013 viene eletto deputato della XVII Legislatura della Repubblica Italiana nella circoscrizione XXI Puglia per il Partito Democratico.
Il 10 gennaio 2014 dichiarava nella trasmissione televisiva "Polifemo" di Blustar, in merito ai presunti inquinanti dell'Ilva di Taranto, quanto segue: “Se quelli sono gli scatti fotografici possiamo stare tranquilli perché anche un non addetto ai lavori capisce che è vapore quindi il fumo bianco, diciamo, non ha mai creato particolare problemi, è il fumo rosso o nero che crea qualche problema, diciamo, questo lo abbiamo imparato in tutti questi anni, anche chi non ha studiato ne chimica ne fisica all'università.”
In merito c'è una prescrizione AIA ILVA la nr49: "(Prescrizione AIA Nr.49) Si prescrive all’Azienda, in accordo con le tempistiche sopra richiamate, che l’emissione di particolato con il flusso di vapore acqueo in uscita dalle torri di spegnimento sia inferiore a 25 g/t coke, in accordo con le prestazioni di cui alla BAT n. 51. Si prescrive, altresì, di presentare, entro 6 mesi dal rilascio del provvedimento di riesame dell’AIA, un progetto esecutivo per il conseguimento di un valore inferiore a 20 mg/Nm3. Si prescrive all’Azienda di eseguire, con frequenza mensile, il monitoraggio delle emissioni diffuse di polveri da tutte le torri di spegnimento con metodo VDI 2303 (Guidelines for sampling and measurement of dust emission from wet quenching)."
L'ente di controllo ISPRA pochi mesi prima, ad ottobre 2013, aveva certificato quanto segue:
"Superamento del valore di 25 g/t coke nell'emissione di particolato con il flusso di vapore acqueo in uscita dalle torri di spegnimento nr 4, 5, 6, 7 asservite alle batterie 7-8 e alle batterie 11-12 attualmente in funzione, contrariamente a quanto previsto dalla prescrizione 49, paragrafo 3.5.9 "spegnimento coke"
E ancora, (Ispra) Violazione notificata a Luglio 2013:  "Superamento del valore di 25 g/t coke nell'emissione di particolato con il flusso di vapore acqueo in uscita dalle torri di spegnimento nr 1 asservita alle batterie 3-6 della cokeria non più in esercizio, nei mesi precedenti le fermate delle batterie prima della chiusura, e nelle torri di spegnimento nr.4, 6, 7 asservite alle batterie 7-8 e alle batterie 11-12 attualmente in funzione, il suddetto superamento comporta la violazione della prescrizione 49 paragrafo 3.5.9, la violazione è stata accertata nel periodo gennaio-aprile 2013 nel quale risultano quattro superamenti del valore limite di particolato (25g/t coke) contenuto nel flusso di vapore acqueo in uscita dalle torri di spegnimento nr 1,4,6,7”

La successione del clan

Claudio Riva è il vero successore di Emilio

Mentre il commissario dell’Ilva Piero Gnudi chiede alle banche un prestito-ponte di almeno 650 milioni di euro per garantire liquidità all’impianto di Taranto, la famiglia proprietaria Riva dimostra di avere ancora ingenti flussi di liquidità intercompany. Lo prova il bilancio 2013 di Stahlbeteiligungen (Stahl), holding lussemburghese con asset per oltre 1,7 miliardi che qualche settimana fa ha deciso di pagare un dividendo di 97 milioni alla controllante Riva Forni Elettrici (Rfe), a sua volta detenuta da Utia, capogruppo dei Riva nel Granducato, che possiede Riva Fire, unica holding italiana. Rfe ha usato 86,8 milioni di quella cedola per rimborsare pare dei debiti che ha verso la controllata Dentro Stahl vi sono il 100% della canadese Industries associes de l’acier, il 99,9% delle belghe Thy Marcinelle e Trefileries de Fontaine, della spagnola Sidurgica Sevillana e della francese Parsider, il 99,1% della belga Centre de coordination siderurgique, il 75% della tedesca Riva Stahl Gmbh e il 25% di Riva Energia.
Intanto Claudio Riva, il terzo dei sei figli avuti dal defunto Emilio Riva, si conferma come il vero successo operativo dell’imprenditore. Nelle scorse settimane, infatti, ha assunto le cariche di presidente di Riva Fire e Rfe, dove è affiancato come amministratore delegato da Cesare Federico Riva (nipote di Emilio), diventando inoltre amministratore unico di Fire al posto del padre scomparso, controllata di Riva Fire. Claudio Riva ha avuto nell’Ilva ruoli importanti, ricoprendo la carica di amministratore delegato ma nel 2010 aveva deciso di dedicarsi unicamente all’attività armatoriale (Società Navali Unite Genova), che nella galassia Riva ha comunque un suo peso. (Italiaoggi)

E io pago!

Il decreto Ilva e l’esposto in procura

C’è stato un faccia a faccia tra il ministro dello Sviluppo economico e i sindacati: il Governo accelera sul fronte Ilva. C’è il via libera al decreto del presidente Giorgio Napolitano.
Di pari passo il Governo, nelle ultime ore, tenta di accelerare sulla delicata vicenda Ilva ed è arrivato il vertice tra il ministro Guidi e i sindacati. La strada della vendita del siderurgico sembra essere la più accreditata. Il ministro dello Sviluppo economico ha incontrato Palombella e Ghini per la Uilm (Unione italiana lavoratori metalmeccanici), Bentivoglio e Farina della Fim (Federazione italiana metalmeccanici), Landini e Rappa della Fiom (Federazione impiegati operai metallurgici). I sindacati prendono atto dell’impegno del Governo a intensificare i confronti, ma non basta.
Secondo quanto appreso, alla richiesta di Gnudi di 850 milioni di euro le banche si sarebbero riservate la decisione. Alcune fonti romane fanno sapere che gli istituti di credito avrebbero già posto precise condizioni e sarebbero pronte ad elargire soltanto un terzo rispetto a quanto chiesto dal commissario straordinario. Una cifra che i sindacati dei metalmeccanici non ritengono affatto congrua, né in grado di poter garantire un futuro allo stabilimento.
Senza dimenticare che tutto questo sarebbe poi vincolato alla presenza di una manifestazione d’interesse anche come semplice lettera d’intenti, da parte di un potenziale partner industriale oltre all’orientamento favorevole delle autorità antitrust in merito a una eventuale posizione dominante. Il riferimento è ovviamente a ArcelorMittal finora unico pretendente per l’ingresso nel capitale Ilva. Da quanto si è appreso al termine dell’incontro, alla richiesta formulata dal commissario straordinario le tre banche creditrici del siderurgico – Intesa San Paolo, Banca Popolare e UniCredit – hanno fatto sapere che potrebbero riunirsi entro la prossima settimana. Il denaro servirà per mettere in pratica le misure imposte dall’Aia (Autorizzazione integrata ambientale, ndr), pagare i fornitori e far fronte alla gestione ordinaria.
E intanto “Taranto Futura” ha presentato un esposto denuncia in procura. L’aiuto di Stato all’Ilva sarebbe fuori legge. Tra i motivi, le difficoltà finanziarie dell’azienda e le sue responsabilità nell’inquinamento ambientale. L’avvocato Nicola Russo, coordinatore del comitato cittadino “Taranto Futura”, ha dichiarato: “Si, non lo affermiamo noi come comitato, ma lo dice l’Unione europea con varie comunicazioni ufficiali. Con una comunicazione del 2008 dice che non è ammissibile un aiuto di Stato sotto forma di garanzia nei confronti dell’impresa siderurgica, se l’impresa è in difficoltà finanziaria. Con altre comunicazioni sottolinea, sempre sulla Gazzetta ufficiale, che non è possibile l’aiuto di Stato per chi è il responsabile d’inquinamento”. Ed è stato accertato, fa notare Russo, che a Taranto il responsabile dell’inquinamento è l’Ilva e quindi per questo non ha diritto a questo aiuto di Stato.
Russo ha poi rimarcato un aspetto: è importante far sapere che se l’Ilva continuerà nella crisi imprenditoriale, saranno i cittadini di fatto a pagare i premi che lo Stato ha permesso nei confronti dell’impresa siderurgica. E l’avvocato ha chiarito il concetto: “Noi abbiamo presentato a tal proposito la denuncia alla procura della Repubblica e presenteremo quanto prima anche un esposto alla Commissione europea per far valere questa anomala situazione del finanziamento tramite garanzia da parte dello Stato nei confronti dell’Ilva”. (opinione)

venerdì 18 luglio 2014

AGGIUDICANDO!!!

Ilva, si stringono i tempi – Arcelor Mittal il più accreditato all’acquisto

Il gruppo siderurgico franco indiano Arcelor Mittal potrebbe effettuare presto un passo più esplicito verso l’acquisizione dell’Ilva. Non si tratterebbe ancora di una lettera di intenti compiuta e definita, ma di una manifestazione di interesse più chiara rispetto a quella avanzata nei mesi scorsi. Lo si apprende da fonti sindacali dopo l’incontro di mercoledì sera al Ministero dello Sviluppo economico tra i vertici dei sindacati metalmeccanici e il ministro Federica Guidi.
Sebbene anche altri gruppi industriali dell’acciaio abbiano manifestato il loro interesse per l’Ilva, Arcelor Mittal è quello che, per ora, sembra essere in una fase più avanzata. Arcelor Mittal, tra l’altro, ha già inviato per due volte, a giugno, i suoi tecnici a Taranto: una prima volta, una decina di persone, per poco più di un giorno; la seconda volta, invece, per tre-quattro giorni ma in quest’ultimo caso la delegazione era formata da una trentina di persone. I sindacati e il ministro si rivedranno probabilmente nella prossima settimana anche se una data non è stata ancora fissata.
Nel vertice al Mise, sempre secondo fonti sindacali, è stato confermato che il commissario Piero Gnudi ha chiesto alle banche con cui l’Ilva sta trattando, un prestito ponte di 650 milioni di euro di cui 200 servirebbero per pagare stipendi sino a fine anno, premio di produzione ai dipendenti – saltato nei giorni scorsi – e fornitori. Il resto, invece, sarebbe dirottato sui lavori dell’Autorizzazione integrata ambientale che hanno cantieri aperti oppure che presentano scadenze entro la fine dell’anno. Dopo l’ultimo incontro con Gnudi di inizio luglio, i sindacati avevano, infatti, denunciato come il cronoprogramma dell’Aia segnasse già un ulteriore ritardo di tre mesi. Quindi la necessità di mettere risorse sui cantieri in corso da un lato serve a non accumulare altro ritardo e dall’altro a cercare di evitare che la magistratura possa di nuovo intervenire nel siderurgico in considerazione del fatto che i lavori previsti non si stanno effettuando.
Fra l’altro proprio nei giorni scorsi, su disposizione del gip Patrizia Todisco – lo stesso giudice che a luglio di due anni fa firmò il sequestro degli impianti dell’area a caldo – i custodi giudiziari sono tornati nel siderurgico per una nuova ispezione. Segno, questo, di come da Palazzo di Giustizia di Taranto si continui a osservare l’Ilva con molta attenzione e non solo perché c’é in piedi un processo per disastro ambientale che vede coinvolte 49 persone fisiche, tra cui Nicola e Fabio Riva della proprietà dell’Ilva, e tre giudiriche (la stessa Ilva, la capogruppo Riva FIRE e la controllata Riva Forni Elettrici).
In quanto al prestito ponte, le banche sarebbero orientate a dare all’Ilva molto meno di quanto Gnudi ha chiesto. Fra le condizioni poste dalle banche, che pure ora verso l’Ilva sono garantiti con la prededuzione introdotta dal nuovo decreto legge, quella di avere visibilità e certezza sull’assetto futuro dell’azienda.
Di qui, appunto, il riferimento ad una lettera di intenti da parte del potenziale compratore e le assicurazioni date in proposito dal ministro. “Se c’é un partner industriale all’orizzonte e quindi se c’é una prospettiva così come per Alitalia di aver un partner e un progetto che porti una redditività futura allora noi siamo disponibili ad analizzare tutte le operazioni sul mercato”: non è un caso quindi se ieri sono state queste le parole del Ceo di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, a proposito dell’ipotesi del prestito ponte.
I sindacati hanno chiesto al ministro Guidi che, oltre a muoversi sul fronte del prestito ponte, ci si muova anche su quello di un “piano ponte” industriale. Uno strumento che assicuri la gestione dell’azienda in attesa della fomalizzazione del passaggio proprietario. “L’Ilva – hanno osservato i sindacalisti – non può giungere alla vendita stremata. Occorre anche ricreare una governance di stabilimento sopperendo ai vuoti e alle carenze che ci sono come dimostra anche il guasto, per mancata manutenzione, alla centrale elettrica”. A tal proposito, il ministro Guidi ha assicurato che il commissario Gnudi sta lavorando per potenziare la struttura di comando dell’Ilva, che sono state fatte nuove nomine in tal senso, e che lo stesso Gnudi dialogherà e si confronterà col territorio.
Sempre nell’incontro romano, è emerso che l’Ilva è ancora in perdita ma meno rispetto agli inizi dell’anno. Nelle scorse settimane Claudio Riva, che ha preso le redini del gruppo dopo la morte del padre Emilio avvenuta a fine aprile, disse che l’Ilva perdeva 80 milioni al mese, cifra sottolineata anche dai vertici di Federacciai. Da ambienti vicini alla gestione commissariale dell’Ilva – allora c’era ancora Enrico Bondi – si smentì il dato degli 80 milioni mensili e si disse che nel primo trimestre del 2014 l’azienda aveva perso in tutto 120 milioni.
Da aprile, però – fu aggiunto – la situazione era un poco migliorata e le perdite ridotte. Ora questo fatto che l’Ilva perda meno è stato anche confermato dal ministro dello Sviluppo economico: la perdita mensile oscillerebbe su circa 20 milioni al mese. Che resta pur sempre un dato negativo ma più contenuto. Va detto, in proposito, che nell’ultima fase della gestione commissariale di Bondi è stato avviato un piano di riduzione dei costi che probabilmente adesso sta entrando a regime dando i suoi frutti. Nella riduzione dei costi rientrano anche il taglio del lavoro straordinario e l’applicazione del contratto di solidarietà per i dipendenti normalisti con la riduzione dell’ultima ora di lavoro.
 Gianmario Leone (dal TarantoOggi del 18.07.2014)

L'avranno sistemata la centralina delle cokerie?

Perché altrimenti rischiamo di avere l'aria più pulita di Cortina d'Ampezzo!
E poi sono cavoli amari, anzi rossi di polvere (come quelli piantati illecitamente accanto alla discarica Mater Gratiae)!

ISPRA Report - Un appuntamento annuale con i dati ambientali

Saranno presentati giovedì 24 luglio, dalle ore 9, presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, in viale Castro Pretorio 105,  l’Annuario dei dati ambientali e il Rapporto Rifiuti, appuntamenti annuali che forniscono un quadro di informazioni oggettivo, puntuale ed aggiornato sulle condizioni ambientali del nostro Paese e sulla produzione e gestione dei rifiuti urbani in Italia.  L’ISPRA garantisce così che le conoscenze e le informazioni ambientali siano trasparenti e disponibili a tutti, ponendosi quale punto di riferimento per cittadini e decisori politici nel panorama degli strumenti informativi ambientali. Un incontro annuale, atteso dagli operatori del settore, dalle istituzioni, dai cittadini.
LINK: http://www.isprambiente.gov.it/it/events/ispra-report-un-appuntamento-annuale-con-i-dati
PROGRAMMA: http://www.isprambiente.gov.it/files/eventi/eventi-2014/annuario-rapporto-rifiuti/programma_ispra_report.pdf
 (Ispra)