Ilva-Taranto: una sfida ai movimenti. Quanto siamo pronti a scardinare un sistema?
di Lucia Varasano
Diffuso senso d’ingiustizia,
rivendicazioni, territorio da difendere, salute e popolazione da
tutelare. Gli ingredienti affinché possa nascere un movimento nazionale a
sostegno della causa dei tarantini, ci sono tutti, eppure, la questione
Ilva-Taranto, pur essendo stata portata in altre città ed in altre
sedi, grazie alle associazioni ambientaliste ed in prima linea al
Comitato cittadini e lavoratori liberi e pensanti, fatica a veder
nascere un movimento nazionale. L’esperienza dell’Ilva di Taranto è
qualcosa di totalmente nuovo, ma è prematuro parlare di un movimento
nazionale? Chi si pone la domanda, sul perché non esista ancora un
movimento nazionale (come il NO TAV, No Dal Molin per citarne qualcuno),
in grado di portare alle istituzioni sorde la questione civile, forse
starà sottovalutando qualche aspetto.
L’IDENTITÀ
COLLETTIVA E I VOLTI DEL CONFLITTO. Verosimilmente fino allo strappo
con i sindacati è stato difficile inquadrare cosa chiedesse questa fetta
di popolo, e si sa quanto l’identità collettiva giochi a favore della
nascita di movimenti locali, poi delocalizzati, e quanto essi fungano da
catalizzatori del mutamento sociale. Il No Ilva, non è stato fin
dall’inizio un secco “no”, ma piuttosto la ricerca di un’alternativa
capace di mettere un punto all’eterno conflitto salute-lavoro.
Probabilmente il conflitto stesso, presentato in altri termini è
adeguarsi all’AIA (Autorizzazione integrata ambientale) rilasciata dal
Ministero bonificando e continuando a produrre o alle direttive europee
che fissano al 2016 il temine per apportare agli impianti le BAT (Best
Available Technologies- le migliori tecnologie a disposizione) e quindi
smantellando e ricostruendo? Una domanda a cui il decreto,
sostanzialmente non risponde.
CRISI DEL MODELLO POLITICO ITALIANO. Il
conflitto presentato dalla città ionica si colloca innanzitutto in un
quadro politico e sociale in totale crisi in cui le nuove regole di
rappresentanza esigono di essere dettate dal basso, dal terreno della
società civile mediante nuovi modelli di governo pubblico-partecipato
cui caratteristica fondante è la lotta ai beni comuni, lontano quindi
dai giochi della gestione dei controlli, dai palazzi di potere e dai
partiti, verso cui si registra una forte disaffezione.
BLOCCARE UN PROGETTO vs ABBATTERE UN
INTERO SISTEMA. NO TAV, NO ILVA A CONFRONTO. Osteggiare un progetto di
opera pubblica è più facile-perquanto arduo- che combattere un intero
sistema industriale – pubblico prima e privato poi – corrotto dalle mani
di un singolo e perpetrato con l’appoggio del bollino di Stato.
Prendiamo ad esempio la nascita del movimento “NO TAV” che ha trovato in
Val di Susa senz’altro un terreno più fertile nel combattere la linea
ferroviaria del Corridoio V, rispetto a quanto ne stiano trovando le
associazioni che lottano contro il mostro Ilva. La differenza tanto
sottile quanto chiara e precisa è che mentre nel progetto non ancora
realizzato le intese “malate” possono essere ipotizzabili, nel caso
dell’Ilva di Taranto la malattia è conclamata da almeno 50 anni (e basta
dare un’occhiata al registro degli indagati nell’inchiesta sul disastro
ambientale per farsene un’idea).
Esistono attualmente in Italia, circa 331 strutture e impianti contestati.
Il problema delle contestazioni di questo tipo, è che restino
agganciate ad un territorio e che lentamente si spengano perché non
riescono a restare nell’occhio del ciclone mediatico e a portare la
questione locale fuori dai confini circoscritti. Al contrario a Taranto,
si prova da parecchio, tra denunce e manifestazioni, a parlare del
dramma delle polveri ignorate fuori e dentro la Puglia. Fatto sta che le
voci di dissenso sono rimaste per anni inascoltate, quasi impotenti
senza che un magistrato cominciasse a far valere la legge.
SUD E MANIFESTAZIONI. C’è anche da
sottolineare che le manifestazioni che hanno luogo al sud faticano a
trovare spazio finanche sui media nazionali. Ricordo l’imponente blocco
della statale 106 nel 2003. in Basilicata si protestava contro il
deposito nazionale di scorie nucleari a Scanzano Jonico, ed era l’ultima
notizia del telegiornale. La prima manifestazione contro l’Ilva,
promossa da ItaliaNostra, fu chiamata “Taranto per una
industrializzazione umana”, e parliamo del gennaio 1971. Il nome scelto
picchiava già duro contro la colonizzazione del sud, avevano promesso
che qui, l’industrializzazione avrebbe migliorato le condizioni di vita,
un nuovo boom economico e benessere garantiti. Si erano dimenticati di
dire i “sor coloni” che lo avrebbero fatto sulla pelle dei meridionali. E
allo stesso modo, oggi possiamo chiederci: quanto si parla del
movimento “NO TAP”?
IL PIANO ASTRATTO DELLE RIVENDICAZIONI.
TARANTO, ATTEGGIAMENTO NIMBY? La nascita e lo sviluppo di un movimento
nazionale d’opinione è possibile, quando le cause della rivendicazione
territoriali riescono ad essere portate su un piano astratto, allora sì
che diventano suscettibili di consenso per tutto il perimetro nazionale.
La lotta dei NO TAV, è suscettibile di consenso per una causa che può
essere abbracciata dall’intero territorio nazionale contro le linee ad
alta velocità ovunque vengano collocate geograficamente. Così come il
movimento d’opinione sorto attorno allo slogan AcquaBeneComune che, con
annessa raccolta firme per il referendum, è diventato oggetto di
confronto in vista delle campagne elettorali, sfociando nella dialettica
dell’opportunità politica.
Esistono però atteggiamenti “Nimby”,
letteralmente “Not In My Back Yard”, cioè “Non nel mio cortile”-con cui
spesso erroneamente vengono tacciati alcuni movimenti – che restano
appunto legati al territorio in cui nascono le rivendicazioni, ma che
potremmo ravvisare nell’atteggiamento tenuto dai genovesi salutando la
firma del decreto Salva-Ilva con le bollicine. A Genova non vollero
l’area a caldo, ma si continua a lavorare proprio grazie all’acciaieria
della città ionica, che conferisce manufatti ad altri stabilimenti che
rischierebbero la chiusura per effetto domino. A fronte di queste
considerazioni ci chiediamo quanto la causa di Taranto può essere
condivisa dagli stessi operai del versante ligure? È possibile veder
nascere un movimento nazionale “No Ilva”, mentre Cornigliano festeggia
la firma del decreto che legalizza ciò che a Genova era ritenuto
inaccettabile? La storia del trasferimento dell’area a caldo dall’Ilva
di Cornigliano a quella di Taranto, non è poi storia così antidiluviana.
IL MECCANISMO DELLA SOLIDARIETÀ. La petizione
online lanciata da Alessandro Marescotti di Peacelink è un buono
strumento per ottenere consenso e solidarietà, così come l’appoggio
delle varie associazioni ambientaliste e comitati a tutela della salute.
Uno dei tasselli mancanti attorno alla questione “Ilva-Taranto”, è una
solidarietà radicata e perdurante (dimostrata dal fatto che non è ancora
sorto un movimento d’opinione nazionale) piuttosto che temporanea,
l’unica capace di offrire un’audace spinta all’azione collettiva, solo
così capace di scardinare il vecchio sistema.
Taranto sta avanzando una sfida, la nostra società è pronta a coglierla? (Mediapolitika)
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