Come
si evince dal lungo elenco di intenti previsto dall’accordo
(l’ennesimo) siglato ieri per il porto di Taranto, manca qualunque tipo
di riferimento al distripark. Lo stesso dicasi per quanto riguarda le
dichiarazioni dell’assessore regionale ai trasporti, Guglielmo
Minervini, sul molo polisettoriale. Il che fa il gioco,
oltre che di Bari e Brindisi, anche delle due multinazionali cinesi, la
Hutchison Wampoha di Hong Kong e la Evergreen di Taiwan, che negli
ultimi cinque anni hanno investito diversi milioni di euro per
controllare il porto commerciale ed attendono ora il completamento di
alcuni lavori infrastrutturali, come lo scavo di un paio di metri dei
fondali di attracco, per consentire l’arrivo delle nuove super porta
container, e la diga foranea alle spalle che ripari le navi dagli
eventuali marosi. Da mesi, intanto, ci sentiamo ripetere sempre lo
stesso ritornello: tutti gli operatori asiatici (sino a qualche mese
addietro anche gli olandesi di Rotterdam) guardano a Taranto come hub
dei traffici del Mediterraneo e dell’Europa (ma anche Brindisi lavora
per lo stesso identico obiettivo con l’appoggio della Regione), sia come
punto di partenza di smistamento ferroviario sia come transhipment
(carico e scarico merci da una nave all’altra, ovvero ciò che è già oggi
la funzione svolta dallo scalo ionico).
Continua...
La creazione di un nodo navale
ferroviario garantirebbe costi di oltre il 15% inferiori a quelli di
qualunque altro porto europeo. Del resto, non scopriamo certo oggi la
posizione strategica del porto: é l’attracco della sponda nord del
Mediterraneo più vicino a Suez, è a pochi chilometri dalla dorsale
adriatica che permette di risalire la penisola fino alle Alpi senza
ostacoli e soprattutto alle spalle ha una larga pianura, spazio ideale
dove si potrebbe dare vita al famoso distripark. Le potenzialità del
nostro territorio in tal senso, sono giudicate dagli esperti del settore
“senza limiti”. Il distripark, appunto: una enorme piattaforma per la
lavorazione di container, che permetterebbe a Taranto di passare da una
attuale capacità massima di un milione di container all’anno, a 6-7
milioni, guarda caso lo stesso numero di container che passano da
Rotterdam, il primo porto container europeo. Ma tutto questo rischia di
restare una semplice chimera. Visto che lo scorso 3 agosto la Regione
Puglia (non un ente qualsiasi dunque) ha ottenuto la concessione di
definanziare il progetto della realizzazione del distripark, dirottando i
35 milioni di euro previsti a favore della realizzazione del Molo
polisettoriale dello scalo. Rotterdam impiega nel porto circa 40mila
addetti: fatte le proporzioni con il traffico container, il porto di
Taranto già oggi ne dovrebbe impiegare circa 15mila. Ma la differenza
tra Rotterdam e Taranto è che in Olanda i container vengono lavorati,
aperti, re-impaccati, messi sui treni, le merci vengono trasformate. Il
distripark, infatti, altro non è che un complesso logistico
retroportuale, dotato di strutture di stoccaggio e di distribuzione
delle merci, in grado di fungere da elemento di interscambio fra diverse
modalità di trasporto e da anello di congiunzione fra industria e
servizi. Di solito è localizzato in una zona franca. A Taranto, invece, i
container passano da navi grandi a navi piccole (transhipment), senza
mai uscire dal porto e con un impatto minimo sull’economia della città e
dell’intera provincia: per questo motivo gli addetti sono appena poche
centinaia di persone. Un hub, infatti, è per definizione un terminale di
traffico oceanico che non necessita di collegamenti diretti con il
sistema terrestre perché opera il trasbordo (transhipment o traffico
mare-mare) dalle navi portacontainer madre alle navette feeder dirette
verso le varie destinazioni locali. Realizzare il distripark, invece,
vorrebbe dire offrire ai trasportatori la possibilità di mettere i
container sui treni e di lavorare in loco le merci. Ciò comporterebbe un
risparmio per tutti, perché eviterebbe il passaggio alle navi piccole e
concentrerebbe invece nuovo lavoro e opportunità di sviluppo per tutto
il sud Italia. Eppure il progetto del distripark, nato nel lontano 2002,
ha già individuato e pianificato lo sviluppo di un’area alle spalle di
punti di attracco delle navi per la lavorazione dei container e la
localizzazione di aziende che volessero venire a operare a Taranto, con
tanto di terreni espropriati ai rispettivi proprietari. Proprio per
quest’operazione, infatti, è avvenuto l’unico finanziamento del progetto
negli ultimi dieci anni. Per quanto riguarda invece la logistica
ferroviaria, bisognerebbe creare un servizio di trasporto container. E
nello stesso tempo raddoppiare la linea treni fino a Bari, appena 68
chilometri, ancora oggi è a binario unico. E’ ovvio che stiamo parlando
di impegni che prevedono ingenti investimenti economici, a cui però
potrebbero partecipare tutti coloro i quali sono interessati ad
un’ipotesi del genere. I cinesi e gli altri gruppi stranieri,
potrebbero investire, sviluppare e realizzare progetti di finanziamento a
lungo termine, che costerebbero poco o niente allo Stato, creando però
reali e concrete possibilità di crescita. Del resto, i gruppi stranieri
si sentirebbero certamente più tutelati e garantiti se coinvolti in
investimenti industriali e infrastrutturali concreti. Le famose
alternative economiche rispetto alla grande industria che il nostro
territorio possiede già (vedi anche aeroporto di Grottaglie), che gli
enti locali e il governo fanno finta di non conoscere e non vedere. Con
la Regione che gongola. Avendo scelto da tempo di puntare su Bari e
Brindisi, non solo come scali turistici, ma anche commerciali grazie ai
vari corridoi europei. Lo dimostra quanto dichiarato giorni addietro
all’Open Day all’Interporto regionale della Puglia, infrastruttura
d’avanguardia che da Bari fa partire merci per tutta Europa, sempre
dall’assessore regionale ai trasporti, Guglielmo Minervini.
“L’insediamento dell’interporto a Bari consente il pieno scambio modale,
cioè le merci arrivano via mare o via gomma e vengono trasferite sul
treno e viceversa. A seconda delle destinazioni in Puglia saremo in
grado di dispiegare tutte le opportunità di trasferimento delle merci
lungo una rete che va dal porto di Taranto, alla piattaforma logistica
di Brindisi, che sarà presto realizzata, passando per Bari fino al nodo
logistico di Incoronata a Foggia. Questo significa che la nostra regione
diventerà centro di attrazione di quella nuova economia che si muove
lungo le direttrici dei corridoi Baltico-Adriatico e Helsinki-La
Valletta”. L’interporto regionale di Bari è una infrastruttura in piena
attività che ospita circa 40 aziende del settore logistico e ha un
totale di 900 occupati. Dai vari gate della struttura interportuale
transitano quotidianamente circa 1300 mezzi commerciali con destinazione
nazionale e internazionale che ogni anno movimentano circa 1 milione di
tonnellate di merci. E’ sin troppo chiaro, quindi, che la creazione del
distripark a Taranto, ridurrebbe gli altri, Bari in primis, a semplici
comprimari dell’economia pugliese. Cosa che sino ad oggi tutti si sono
ben guardati anche dal solo pensare. Questo dimostra che se da un lato
ci vogliono vittime e succubi della grande industria, dall’altro abbiamo
le potenzialità e le possibilità per liberarci dal gioco che ci
attanagli e ci avvelena da oltre 60 anni. Gianmario Leone TarantoOggi 07 Dicembre 2012 IL DISTRIPARK SI ALLONTANA
Come si evince dal lungo elenco di intenti previsto dall’accordo
(l’ennesimo) siglato ieri per il porto di Taranto, manca qualunque tipo
di riferimento al distripark. Lo stesso dicasi per quanto riguarda le
dichiarazioni dell’assessore regionale ai trasporti, Guglielmo
Minervini, sul molo polisettoriale. Il che fa il gioc
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