venerdì 31 gennaio 2014

Bufale vere e bufale false

Taranto: tra cozze, stelle marine e bufale – In dirittura d’arrivo classificazione acque mar Grande

Mutazioni genetiche in mar Grande. Una stella marina con diciannove braccia, un numero abnorme rispetto alla normalità, e persino un fantomatico biologo marino autore della straordinaria scoperta nei fondali tarantini, il cui nome ovviamente non è rintracciabile su internet.
E’ la bufala del giorno, diffusa da un sito satirico, ma presa per vera da tanti creduloni che hanno condiviso il link sui social network portando acqua al mulino di un sito che raccoglie visite sparando cavolate. E così, non solo dobbiamo imbatterci in notizie vere e realmente preoccupanti riguardanti il nostro territorio, ma anche in chi ama giocare sulle disgrazie e sulla superficialità altrui pur di fare “boom”. Ragion pur cui evitiamo accuratamente di citare il sito di questi buontemponi e ci limitiamo a evidenziare che le stelle marine con più braccia esistono in natura e non rappresentano una mostruosità tarantina.
Ma passiamo alle cose serie, quelle con cui InchiostroVerde ha maggiore confidenza. Oggi pomeriggio abbiamo parlato con il dottor Fabrizio Basile, referente dei Servizi Veterinari della Asl, per sapere a che punto è la classificazione delle acque di mar Grande per la mitilicoltura, passaggio fondamentale per consentire la commercializzazione delle cozze cresciute nei nuovi allevamenti dopo l’esilio dal primo seno di mar Piccolo, contaminato da pcb e diossine ed off limits dal luglio del 2011. L’iter per la classificazione preliminare prevede il controllo delle acque per sei mesi con dodici prelievi complessivi. L’Asl ha cominciato nell’aprile 2013 ed avrebbe dovuto terminare ad ottobre, ma per una serie di contrattempi (dal maltempo agli impicci burocratici) non è stato possibile rispettare la tabella di marcia prevista.
«La classificazione delle acque è andata avanti riguardando le tre aziende che finora si sono trasferite in mar Grande, (mentre altre sono ancora in attesa di spostarsi) - spiega il dottor Basileormai siamo in dirittura di arrivo: per due cooperative manca solo un prelievo, per l’Ittica Cielo Azzuro qualcuno in più. Quando avremo concluso con tutte – entro quindici giorni – potremo mandare i risultati alla Regione Puglia che dovrà rilasciare l’ok definitivo. Finora tutti i valori sono risultati conformi sia per quanto riguarda i contaminanti fecali, che per metalli pesanti, diossine e pcb”.
Il dottor Basile spiega che il controllo dei metalli pesanti avviene ogni tre mesi, quello delle diossine e dei pcb ogni sei mesi. Ma sono proprio i contaminanti fecali a preoccupare di più, se si considera la vicinanza (meno di 500 metri) degli impianti di allevamento agli scarichi di emergenza dell’Acquedotto Pugliese che entrano in funzione quando piove.  «Va comunque precisato che avremo una classificazione di tipo “B” – sottolinea il veterinario della Asl – ciò comporta che le cozze allevate in quelle aree debbano passare da un centro di depurazione prima di poter essere vendute ai consumatori».
Domandiamo: il 2014 sarà –  finalmente – l’anno buono per gli allevatori che hanno dovuto ricominciare una nuova vita professionale in mar Grande, dopo una lunga tradizione in mar Piccolo? Il dottor Basile si dice ottimista: “Ho visto il prodotto cresciuto nei nuovi allevamenti: è buono sia per dimensioni che per pienezza. Ci sono tutte le condizioni perché possa essere finalmente venduto durante la prossima stagione estiva».
Tra i mitilicoltori, però, rimane il profondo rammarico, oltre al danno economico, per il prodotto finora andato buttato, in buona parte finito sui fondali, e in parte rimasto invenduto perché ancora privo di quella benedetta classificazione, che avrebbe consentito la vendita già dal 2013. Un breve passaggio, infine, sui sospetti relativi alla presenza di diossina nelle uova di alcune masserie situate tra Crispiano e Martina Franca. Domani mattina, Fabio Matacchiera terrà una conferenza stampa per illustrare gli esiti delle analisi fatte commissionare dal Fondo Antidiossina onlus.
All’annuncio dei risultati, nei primi giorni di gennaio, la Asl ionica aveva gettato acqua sul fuoco dicendo che i valori riscontrati dal Fondo Antidiossina non comportano un rischio sanitario. Stessa posizione confermata oggi dal dottor Teodoro Ripa, responsabile dei Servizi Veterinari della Asl: «I consumatori possono stare tranquilli – ha dichiarato a InchiostroVerde – paradossalmente possono essere più sicuri  nei confronti di quanto prodotto nel raggio di venti chilometri dal polo industriale, proprio perché in quella zona c’è un controllo più assiduo e mirato. Ovvio, però, che la principale preoccupazione dovrebbe essere il blocco di tutte le fonti inquinanti ancora attive». Affermazioni dettate dal buon senso. Ma si sa: il buon senso nei palazzi della politica nazionale e locale non è di casa.
Alessandra Congedo per InchiostroVerde

Ed ecco la "notizia" che ha scatenato il pandemonio sui social forum:


Lido Azzurro (Taranto) – La sensazionale (e triste) scoperta è stata fatta dal Biologo Marino Dott. Vincenzo Golconti.
Lo scienziato, nel corso dell’esplorazione dei fondali del Mar Grande, ha prelevato un’asteroidea (volgarmente chiamata stella marina) dal numero abnorme di braccia, solitamente 5.
In questo caso le braccia erano ben 19, cosa del tutto anomala nell’anatomia di questa specie comune, l’Asteroidea Phylum Echinodermata.
La mutazione genetica sembrerebbe causata da una crescita esponenziale di cellule in fase G1, sotto l’influenza di composti organici eterociclici (diossine), solitamente derivati dalla lavorazione dei metalli.
Erano già noti episodi di cronaca locale in cui erano state rilevate tracce di diossina nei mitili e in alcuni derivati animali (latte, uova), ma per la prima volta ci troviamo di fronte ad una vera e propria mutazione genetica che ricorda i pesci a tre occhi presenti nel cartone animato Simpson, frequentatori del lago adiacente alla centrale nucleare.

3eyes fishIl team del Dott. Golconti ha preferito non pronunciarsi in merito alla causa scatenante della mutazione genetica e il motivo di una così massiccia presenza di diossina nell’organismo dell’animale, ma ovviamente è appurato che un impianto siderurgico sorga a pochi passi dal luogo del ritrovamento.
Ulteriori esami sull’organismo dell’animale dal numero di braccia abnormi fornirà nuovi dettagli sul caso.
Sara Costimaci – Scienze e Tecnologia - Giornale del Corriere

Popolarità riflessa...

Lo scatto sull’Ilva di Taranto vince l’Open Synaps(ee)


Con “Chiedi alla Polvere”, uno scatto sull’Ilva di Taranto, Giuseppe Chiantera vince la seconda edizione del bando Open Synap(see) sul tema del “Caos”. Il progetto di Chiantera, sull’Ilva di Taranto, accompagna dentro ad una realtà attuale e difficile. La sua visione è chiara e puntuale, non lascia spazio a retoriche e il lavoro ha il pregio di essere presentato in una modalità stilisticamente omogenea. Come fotografo, poi, riesce ad affrontare una tematica tanto tragica con molta delicatezza e senza inutili seduzioni estetiche. Queste le maggiori motivazioni che hanno portato la giuria a far vincere a Giuseppe il contest che permetterà al fotografo di farsi conoscere nell’ambito delle attività programmate per l’anno 2014 (tra cui mostre ed esposizioni) oltre alla pubblicazione del progetto sul sito www.synapsee.it. (The Mammoth's reflex)

Riva non vuole pagare, ma lo Stato, lo Stato...

Ilva, 3579 lavoratori ancora in solidarietà ma i sindacati non firmano

Sono circa 3.579 i dipendenti dell’Ilva per i quali dovrebbe essere rinnovato il contratto di solidarietà che scade a marzo, ma nonostante la riduzione di 150 unità rispetto ai primi calcoli, i sindacati dei metalmeccanici Fim, Fiom e Uilm hanno deciso di non firmare l’accordo con l'azienda fino a quando non avranno risposte dalla Regione Puglia sull'integrazione salariale. E' quanto emerso dall’incontro tra i dirigenti dell’azienda Domenico Liurgo ed Enrico Martino e i rappresentanti delle organizzazioni sindacali che si è svolto questo pomeriggio.
Restano le perplessità sulla copertura finanziaria degli ammortizzatori sociali. Con la legge di stabilità l’integrazione salariale da parte dello Stato è stata ridotta, passando dal 20% al 10% per i lavoratori con contratto di solidarietà a cui è riconosciuta una retribuzione pari al 60% dello stipendio. Per questo, nei giorni scorsi, la Fim Cisl di Taranto-Brindisi ha chiesto alla Regione Puglia di promuovere, così come stanno facendo altre Regioni italiane, una legge tale da consentire il recupero del taglio del 10%. Ora sarà presentata una richiesta unitaria da parte di tutti i sindacati.
“Abbiamo contenuto i numeri dei contratti di solidarietà soprattutto nelle aree Manutenzioni e servizi dell’Ilva. L’intesa con l’azienda c'è, ma ora attendiamo risposte dal presidente della Regione Vendola e dall’assessore al Lavoro Caroli per l’integrazione salariale”, ha spiegato il segretario generale della Fim Cisl di Taranto Mimmo Panarelli, che ha partecipato, insieme ai segretari di Fiom (Donato Stefanelli) e Uilm (Antonio Talò) e al coordinatore dell’Usb (Francesco Rizzo), all’incontro con l’azienda per discutere del rinnovo dei contratti di solidarietà (che scade a metà marzo) per i dipendenti dello stabilimento tarantino. E' stato trovato un accordo per il coinvolgimento di un numero massimo di 3579 lavoratori.
“Ma si tratta – aggiunge Panarelli – della peggiore delle ipotesi. Sono numeri, tra virgolette, gonfiati, proprio perchè non vogliamo avere altre sorprese. Voglio ricordare che nel 2013 era stato indicato il numero di 3749 dipendenti, ma contemporaneamente sono stati interessati 1100 lavoratori nel numero massimo. Meglio avere la coperta un pò più larga”. Il segretario della Fim Cisl fa presente, a proposito dei dipendenti dell’area a caldo inseriti nei contratti di solidarietà, che “comunque l’Afo 5 si fermerà a settembre e l'Acciaeria 1 a luglio e c'è l’intenzione di tenere attiva una linea dell’impianto”.
«L'azienda non intende integrare» - E' il governo che «deve farsi carico» dell’integrazione salariale al contratto di solidarietà, ridotta del 10% con la recente Legge di Stabilità restituendo «ciò che ha tolto» attraverso il «rifinanziamento integrale». Lo sottolinea il segretario provinciale di Taranto della Fiom Cgil Donato Stefanelli riferendosi al rinnovo dei contratti di solidarietà, che scadono a metà marzo, per i lavoratori dello stabilimento Ilva di Taranto.
Nel corso dell’incontro di ieri tra azienda e sindacati è stato fissato in 3579 il numero massimo di lavoratori coinvolti, ma non è stato firmato alcun accordo. Quanto all’integrazione salariale, il segretario della Fiom fa presente che «la Direzione Aziendale, in proposito, ha dichiarato che non intende farsene carico per la mancanza di soldi, tacendo su quanto accaduto in Ilva a Taranto dove recentemente, sebbene in gestione commissariale, sono stati discrezionalmente erogati i premi di fine anno spendendo centinaia di migliaia di euro, in continuità con una delle peggiori pratiche del passato».
I sindacati metalmeccanici hanno chiesto alla Regione Puglia di intervenire per garantire l’integrazione del 10% eliminata dalla legge di stabilità. (GdM)

Aiuti allo stato

Demolizione Costa Concordia: Taranto candida il quarto sporgente dell'Ilva

Utilizzare il quarto sporgente portuale dell'Ilva per le operazioni di demolizione della nave Costa Concordia. Ruota attorno a quest'infrastruttura la proposta che nei giorni scorsi Smart Area, la società consortile di Confindustria Taranto, lo studio tecnico dell'ingegner Luigi Severini, e un partner internazionale di cui non è stato ancora rivelato il nome, hanno inviato alla società di Londra incaricata di selezionare le candidature per procedere poi all'affidamento dei lavori. Quella partita da Taranto è una proposta preliminare all'offerta vera e propria.
Taranto, dunque, cerca di rafforzare la sua candidatura per la rottamazione della Costa Concordia - operazione alla quale si sono candidati già diversi porti italiani e stranieri - facendo leva sia sulle caratteristiche del suo scalo, sia sulla specializzazione navalmeccanica e cantieristica acquisita da molte imprese dell'area in tanti anni di lavori sulle unità della Marina Militare (proprio in questi mesi le imprese di Taranto sono impegnate nell'ammodernamento della portaerei Giuseppe Garibaldi ai lavori nell'Arsenale).Severini, a proposito dell'utilizzo del quarto sporgente dell'Ilva, dichiara che a Taranto lo smantellamento della Costa Concordia potrebbe costare meno rispetto gli altri porti italiani in quanto si è nelle condizioni di essere subito operativi e non c'é bisogno di fare particolari lavori. Nello specifico, non c'è bisogno di costruire o di adattare banchine e bacini, né di fare il dragaggio dei fondali in quanto l'area individuata ha una profondità di 24 metri. Nel porto, inoltre, sono già in funzione impianti in grado di trattare grandi quantità di rifiuti liquidi e sono in attività imprese attrezzate per la bonifica di navi simili alla Concordia, operazione, questa, che precede la vera e propria demolizione.
La candidatura di Taranto è stata anche manifestata al premier Enrico Letta con una lettera. «È opinione inconfutata - vi si legge tra l'altro - che lo Stato sia in debito col territorio di Taranto e proprio a Taranto, con l'operazione Concordia, lo Stato può riprendere un cammino virtuoso di recupero della credibilità». Mentre a proposito dell'utilizzo del quarto sporgente dell'Ilva, sempre nella lettera si afferma: «Un'auspicabile manifesta volontà di Ilva di rendere temporaneamente disponibile una piccola parte delle superfici portuali al fine di far realizzare dal tessuto produttivo locale un importante intervento di interesse nazionale, contribuirebbe al miglioramento degli attuali rapporti con l'opinione pubblica tarantina».
Lanciando la candidatura nei giorni scorsi, Confindustria Taranto ha affermato: per la città «si tratterebbe di una scommessa pari a 500 milioni di investimenti che andrebbe ad assicurare per almeno due anni centinaia di posti di lavoro, più o meno 600 secondo le prime stime, ma con un indotto non calcolabile se si tiene conto delle operazioni a valle dello smantellamento». E ancora: il porto di Taranto presenta requisiti «ineguagliabili sia per caratteristiche tecniche sia per la naturale conformazione dello specchio d'acqua che si candida a ospitare la complessa operazione». Smart Area è una società consortile creata un anno fa allo scopo di realizzare l'omonimo progetto voluto da Confindustria Mezzogiorno e costruito nel dettaglio da Confindustria Taranto. La "Smart Area" è una delle azioni previste dalla legge sulla bonifica dell'area di Taranto (la numero 171 del 4 ottobre 2012) e risponde ad una doppia finalità: risanamento ambientale e nuove tecnologie per imprese eco-compatibili. La legge, infatti, non si occupa solo del disinquinamento delle aree esterne all'Ilva, a partire dal quartiere Tamburi di Taranto, dal Mar Piccolo e dal Mar Grande e dal comune di Statte, che è alle porte del capoluogo, ma vuole anche cercare di innescare uno sviluppo diverso. Sette gli assi di intervento prefigurati, alcuni dei quali col coinvolgimento di Politecnico e Università di Bari. Alla "Smart Area" la legge 171 assegna 60 milioni di fondi pubblici che il ministero dell'Ambiente collega al «Piano Città» (24 milioni di euro per Taranto) e al Fondo di rotazione per lo sviluppo giovanile nella green economy (70 milioni). (sole24h)

Aia che male al PD!

Ilva, la magistratura può fermare gli impianti
In un articolo di Lidia Giannotti scritto per PeaceLink trovate i link che rinviano all’elenco di coloro che votarono alla Camera e al Senato a favore della cosiddetta legge Salva-Ilva del dicembre 2012. Come si può notare non vi furono “voti ribelli” nel Pd. Nessuno del Pd votò contro, nessuno si astenne. Gli unici voti ribelli nel Pd furono quelli dei radicali (come ad es. la Zamparutti o Turco) che formalmente facevano parte del gruppo parlamentare Pd. Inoltre un piccolo gruppo di parlamentari del Partito Democratico non partecipò al voto smarcandosi, in tal modo, dalla linea del Pd. Fra questi Della Seta, Bratti e Zampa, con cui PeaceLink erava in contatto per la campagna sul benzo(a)pirene
Complessivamente si è affermata nel Pd una obbedienza in stile Partito Comunista nordcoreano su questioni che attengono alla salute dei cittadini, per cui la linea scelta, per riprendere le parole di Lidia Giannotti, sembra essere quella di continuare a produrre “ad ogni costo”, mentre logica e umanità vorrebbe che fossero le persone a dover essere protette “ad ogni costo”.
Qualcuno del Pd potrebbe obiettare che quanto si sta facendo è stato tuttavia consentito dalla sentenza della Corte Costituzionale sulla prima legge Salva-Ilva e che se non è stato bocciato allora l’operato del governo allora quello che si fa oggi è di conseguenza lecito.
Non è così.
La Corte Costituzionale ritenne infatti di dare un parere di costituzionalità a condizione che l’Aia venisse applicata scrupolosamente e integralmente. L’Aia è l’autorizzazione integrata ambientale che, come è noto, l’Ilva non sta rispettando. Quindi la Corte Costituzionale – per quanto la sentenza abbia fatto discutere – non salvava l’Ilva sollevandola dalle sue responsabilità ma la gravava di nuove responsabilità, come si evince da questo passaggio della sentenza della Corte: “I motivi di tale aggravamento di responsabilità si possono rinvenire nell’esigenza di prevedere una reazione adeguata delle autorità preposte alla vigilanza ed ai controlli rispetto alle eventuali violazioni in itinere delle prescrizioni Aia da parte di una impresa, già responsabile di gravi irregolarità, cui è stata concessa la prosecuzione dell’attività produttiva e commerciale a condizione che la stessa si adegui scrupolosamente alle suddette prescrizioni”. La Corte Costituzionale condizionava cioè il parere di costituzionalità all’applicazione scrupolosa dell’Aia e richiamava l’attenzione sul fatto che la magistratura può intervenire nel caso la non applicazione dell’Aia possa generare situazioni di pericolo. Si legge nella sentenza della Corte: “La deviazione da tale percorso, non dovuta a cause di forza maggiore, implica l’insorgenza di precise responsabilità penali, civili e amministrative, che le autorità competenti sono chiamate a far valere secondo le procedure ordinarie“.
  
Quindi, chiarita la natura dell’Aia riesaminata, che è atto amministrativo e che  “tale rimane … anche secondo la disciplina dettata per l’Ilva di Taranto” (Corte Cost. sent. 85/2013, punto 10.3, pag. 60), i giudici della Corte Costituzionale hanno affermato (punto 10.1, pag. 59): “Il richiamo operato in generale dalla legge [all’AIA riesaminata, n.d.r.]  ha il valore di costante condizionamento della prosecuzione dell’attività produttiva alla puntuale osservanza delle prescrizioni contenute nel provvedimento autorizzatorio, che costituisce l’esito della confluenza di plurimi contributi tecnici ed amministrativi in un unico procedimento, nel quale, in conformità alla direttiva n. 2008/1/CE, devono trovare simultanea applicazione i princìpi di prevenzione, precauzione, correzione alla fonte, informazione e partecipazione, che caratterizzano l’intero sistema normativo ambientale”. Perché richiamiamo questi passaggi della Corte Costituzionale?
Perché l’ultimo provvedimento Salva Ilva (parliamo della conversione in legge non ancora avvenuta del decreto sulla Terra dei fuochi e sull’Ilva) dichiarerà che l’Ilva è a norma anche se l’Aia non viene applicata per intero e anche se non viene rispettato il cronoprogramma. Per il subcommissario Ilva Edo Ronchi basta che siano fatte settanta prescrizioni su cento per essere a norma. Che trenta importanti prescrizioni rimangano inattuate, non fa nulla, si chiude un occhio. Come a dire: che volete, non pretendete troppo da noi, anche noi non ce la facciamo a fare quello che non ha fatto Riva, apprezzate almento la buona volontà, non ci sono i soldi per fare tutto quello che si dovrebbe fare.
Ossia l’ultimo provvedimento consente di fare proprio ciò che la Corte Costituzionale si era raccomandata di non fare.
Siamo all’Aia all’italiana, realizzata solo in parte, come a dire che le auto italiane sono autorizzate a circolare con le gomme lisce e senza le luci posteriori funzionanti. Una cosa che la Commissione Europea ritiene abnorme e assurda, tanto da aver aperto una procedura di infrazione. Procedura che qualche europarlamentare chiede che vada accelerata al massimo.
Ma siamo anche fuori dal binario fissato dalla Corte Costituzionale.
Il nuovo provvedimento per l’Ilva è – va ribadito – uno strappo alle raccomandazioni della Corte Costituzionale che non forniva un disco verde senza condizioni.
Ciò nonostante l’on. Michele Pelillo, parlamentare tarantino del Pd, ha dichiarato con soddisfazione: “Non sembra vero, ma quello che non è stato fatto in cinquant’anni sta accadendo in questi mesi – e in questi giorni in particolare”.
      
Adesso ci sono le condizioni perché a difendere i tarantini scenda di nuovo in campo la magistratura. (A. Marescotti - FQ)

mercoledì 29 gennaio 2014

Nelle sale e nell'aria

La prima documentarista italiana in viaggio tra gli operai Ilva | VD

«Una donna di 86 anni che continua a prendere di petto i problemi. Che non sa cosa sia la sconfitta, che continua ad indignarsi e a ribellarsi... Beh direi che questa è stata la grande lezione che ho avuto da Cecilia». E Cecilia è Cecilia Mangini, ovviamente. Come la racconta Mariangela Barbanente, classe ‘68, documentarista, che ha avuto il merito di averla «spinta» nuovamente alla regia dopo quasi quarant’anni. E come sa bene chi ha la fortuna di conoscerla di persona, Cecilia. La «signora del documentario», la decana italiana del cinema del reale, fotografa, sceneggiatrice, intellettuale.
Prima donna ad aver «imbracciato» la macchina da presa - in coppia con Lino Del Fra, compagno di una vita - per esercitare la riflessione critica sul mondo. Quello degli ultimi, dei sopraffatti. Da dove partì, sul finire dei Cinquanta, coinvolgendo Pasolini tra i ragazzi di vita (Ignoti alla città, La canta delle marane), proseguendo nella lezione dell'antropologo Ernesto De Martino (Stendalì) e indagando sulle trasformazioni sociali dell'Italia del boom, la nascita della classe operaia, soprattutto al Sud (Brindisi ‘65, Tommaso, Essere donne), fino ai temi dell'aborto, della sessualità e dell'amore tra gli operai dell'Italsider di Taranto (Comizi d'amore 80).
Complici le comuni origini pugliesi (Mola di Bari) le due registe si sono messe in cammino. È nato così In viaggio con Cecilia, presentato in anteprima al Festival dei popoli di Firenze e da domani in sala (si parte dall’Eden di Roma, ore 20.30) accompagnato dalle stesse autrici che, dopo il tour italiano, lo porteranno fino a Londra (il 18 marzo). Un ritorno alle «origini», ai luoghi dei film di Cecilia, per un racconto sulla post industrializzazione del Sud, visto attraverso lo sguardo di due diverse generazioni. A partire da Taranto. «È da lì che ho voluto iniziare - racconta Cecilia -. Da dove con la nascita dell'Italsider, nei Sessanta, abbiamo assistito alla grande affermazione della classe operaia. Trasformandosi in uno dei simboli dell'industrializzazione, l'inizio della rinascita del Sud. Così come allora sembrava». Sembrava, perché il presente ha portato altro: la chiusura dell’Ilva, i tumori, le morti e i movimenti di protesta. «La magistratura - commenta Mangini - ha sopperito al vuoto della politica. E meno male. Alla fine i vuoti vengono sempre a colmarsi».
Come quel «Comitato dei lavoratori liberi e pensanti» che ha incarnato la protesta della cittadinanza tutta, decisa a non accettare più il ricatto del lavoro in cambio della salute. «Fino a luglio 2012 - aggiunge Mariangela - andavamo incontro ad una città sfiduciata, invece con l’ordinanza della magistratura qualcosa è cambiato». E lo conferma anche Cecilia, nonostante i suoi scontri frontali con i ragazzi «muti» della movida brindisina. Quelli che davanti al suo incalzare rispondono di non essere informati perché «non abbiamo avuto voglia». «Quei ragazzi lì - prosegue la regista - sono l’Italia stessa con la sua impossibilità di avere la parola. Del resto solo a film finito mi sono accorta di due cose fondamentali. Dal governo Monti a quello Letta l’Ilva non è stata ancora bonificata e Clini e Passera sono tutti dei cloni. Mentre Renzi che si mette d’accordo con Berlusconi per togliere agli italiani la possibilità di eleggere i suoi rappresentanti è l’ultimo atto».
Eppure In viaggio con Cecilia ha comunque il suo finale di speranza. Facendo appello a Gramsci: «Tutti i semi sono falliti eccettuato uno, che non so cosa sia, ma che probabilmente è un fiore e non un’erbaccia», si legge nel cartello finale. «Ci appelliamo ad Antonio Gramsci - conclude Cecilia - scommettendo che Taranto, con tutto quello che vi è accaduto e che sta ancora succedendo, non sia un’erbaccia ma un fiore. Quello della società civile rappresentata dagli operai che vogliono di nuovo essere una classe». Riprendersi spazi e dignità, insomma. Dopo che il «padrone» dell’Ilva, Riva - ricorda Cecilia - disse quasi infastidito: «Quanto chiasso per due operai morti di tumore..». Anche per questo Cecilia Mangini si è rimessa on the road, dopo tanti anni. «Perché la vita degli operai è zero?». Per questo è tornata «in fabbrica», non solo l’Ilva o il petrolchimico, ma la fabbrica dei movimenti, della società civile, ritrovando anche i suoi protagonisti di allora, ai quali nuovamente offre la parola. A loro come a tanti altri cittadini che, invece, la parola non se la fanno togliere così facilmente. «Un fiore non un’erbaccia», perché il finale le due registe l’hanno voluto «ottimista», «lasciando lo spettatore - conclude Cecilia - davanti ad un grande avvocato come Gramsci».(Unità)

Siamo alle pezze...

Ora gli operai dell’Ilva ricorrono a filtri faidate

L’ingegno non manca agli operai dell’Ilva che lavorano all’acciaieria 2. Così, per evitare di respirare la polvere di minerale anche lì dove dovrebbero essere al riparo - nei pulpiti come nelle mense - dopo numerose denunce anche attraverso gli organi sindacali, hanno ovviato al problema con dei «filtri fai da te». Simili a spugne, i «filtri» sono attaccati alla superficie degli impianti d’aria condizionata per arginare il più possibile la diffusione della polvere, purtroppo copiosa stando al loro racconto. «Sai quando si dice mangi pane e polvere? Cerchiamo di difenderci».
Non è l’unica segnalazione che i dipendenti Ilva dell’acciaieria 2 fanno chiedendo di rilevare difficoltà o disagi. Successe il 31 dicembre e, ieri, di nuovo: un altro lavoratore ha segnalato la presenza di un forte odore di rifiuti nel reparto. A dicembre fu chiesto l’intervento dell’Arpa per capire da dove provenisse la puzza.
«In acciaieria abbiamo chiesto anche una pulizia generale dell’area. Siamo costretti - dice un altro lavoratore - a preparare trappole per catturare i topi. È urgente la derattizzazione».
Insomma, le voci della fabbrica tornano a chiedere più attenzione e vigilanza lì dove si svolge la già non lieve fatica siderurgica. Ambiente e sicurezza, vecchi e nuovi crucci.(Colucci - GdM)

martedì 28 gennaio 2014

Per non dimenticare

Operazione Salva Ilva. Cominciò con uno scudo penale

Il D.L. 207/2012 (il Salva-Ilva che fece scudo agli impianti dell'Ilva di Taranto, ma non li isolò certo dalla città e tanto meno protesse i cittadini) fu convertito in legge dopo il voto della Camera (la legge n. 231 del 24 dicembre 2012).
Qualcuno era assente, pochi votarono in contrasto con le indicazioni del proprio gruppo, i leghisti si astennero. Chi vuole può consultare gli atti parlamentari e leggere le proposte di modifica di chi, tra i parlamentari, è intervenuto in Aula e nelle commissioni:
http://leg16.camera.it/126?tab=1&leg=16&idDocumento=5617&sede=&tipo=
Ecco in particolare il voto dei parlamentari:
http://parlamento16.openpolis.it/votazione/camera/decreto-ilva-ddl-5617-ar-voto-finale/40716
http://parlamento16.openpolis.it/votazione/senato/decreto-ilva-ddl-n-3627-votazione-finale/40731

Imprese di interesse strategico nazionale

Questa legge creò uno statuto speciale per le imprese di interesse strategico nazionale, di cui fornisce una definizione no particolarmente rigorosa. Buona parte della legge fa poi riferimento diretto allo stabilimento Ilva di Taranto. Pur essendo insicuri e fonte di inquinamento illecito, a impianti che non presentano i requisiti previsti dalle leggi e dalle autorizzazioni amministrative viene concesso di funzionare per un periodo che può arrivare a 36 mesi, durante i quali ha luogo l'adeguamento degli impianti.
Nel caso di indagini penali, anche gli eventuali sequestri in corso a tutela di diritti fondamentali (la norma dice "gli effetti" dei sequestri) vengono sospesi. Gli impianti insomma devono continuare a produrre "ad ogni costo".
Si difese la legge affermando che non avrebbe determinato alcuna immunità penale e che non avrebbe influenzato le indagini e l'accertamento delle responsabilità. E' difficile da comprendere come non si determini un'immunità penale se per un certo intervallo di tempo, a un guidatore ubriaco, venga concesso ad esempio di condurre un bolide, sia pure inserendo il pilota automatico ...
Nel paese che vogliamo sono le persone a dover essere protette "ad ogni costo".
Note: Le disposizioni di questa prima legge sono state modificate più volte e il quadro normativo si è ulteriormente complicato.
Attualmente la gestione dell'Ilva di Taranto è affidata a un Commissario nominato dal Governo e i 36 mesi di "deroga" sembrano destinati ad aumentare. Naturalmente si aggiungerebbero ai precedenti decenni di inquinamento, con effetti sempre più devastanti sull'ambiente e sulla salute umana e degli esseri viventi in generale.(Peacelink)

Chiacchiere e distintivo

“Stiamo sperimentando una rivoluzione tecnologica per l’acciaio italiano”, intervista ad Edo Ronchi sull'Ilva


La prima domanda che sembra banale, ma non è affatto scontata, è: “Chi te l’ha fatto fare?”
In effetti accettare un incarico del genere non è stato facile. Questa stessa domanda me l’hanno fatta diverse persone e qualcuno mi ha addirittura detto che il risanamento ambientale dell’Ilva è il lavoro più difficile che mi sia capitato nella vita. Comunque, in un primo momento, avevo deciso di non accettare ma poi ho riflettuto e, anche sulla scorta di alcuni casi che ho avuto modo di valutare, in particolare gli stabilimenti di Duisburg della Tyssen Krupp, ho considerato che pur nella grande difficoltà della situazione era possibile e necessario accettare la sfida di riuscire a produrre acciaio in maniera pulita in Italia per tre ragioni sostanziali: anche nell’attuale transizione da brown a green economy l’acciaio è necessario e insostituibile; non è come il carbone o il nucleare per la produzione di energia che hanno valide alternative. In secondo luogo perché ci sono casi nel mondo in cui si è realizzata una trasformazione significativa nelle tecnologie di produzione dell’acciaio, che consente di produrre a condizioni accettabili di compatibilità e sicurezza ambientale neanche minimamente paragonabili a quelle attuali, e totalmente corrispondenti alle prescrizioni dell’AIA. La terza considerazione è che la chiusura dell’industria siderurgica italiana determinerebbe, oltre alla perdita di migliaia di posti di lavoro, la necessità di importare acciaio da altri paesi e ciò da un lato scaricherebbe i costi ambientali sulle popolazioni dei paesi dai quali importeremmo acciaio non pulito e penso che i cittadini e le generazioni future di indiani, cinesi, coreani e nordafricani debbano avere gli stessi diritti degli italiani e degli europei. Dall’altro comporterebbe una forte dipendenza dell’industria nazionale dall’andamento e dalle fluttuazioni del mercato internazionale.
Pur considerando tutte le difficoltà del percorso che dobbiamo fare e l’esito non scontato, penso che la crisi prodotta dagli impatti ambientali possa diventare l’occasione per un’innovazione che faccia dell’ILVA uno stabilimento modello, il più avanzato in Europa. Un strumento così straordinario, come un Commissariamento di governo, con un adeguato supporto normativo, può trasformare un caso negativo in un esempio di green economy.

lunedì 27 gennaio 2014

E' l'ora dello scambio delle figurine

L’Ilva e i conti della serva – Giovedì incontro azienda-sindacati su esuberi

“Ricordo che nel 2014 dovremo rinegoziare la cassa integrazione e la solidarietà per diversi stabilimenti, non solo per Taranto. A Genova si tratta di 700 lavoratori e a Taranto di 2.400 persone in solidarietà: ma servono ammortizzatori anche per altri interventi minori”. Dopo che il commissario straordinario dell’Ilva Enrico Bondi pronunciò questa frase durante l’audizione in commissione Ambiente alla Camera lo scorso 27 dicembre, non ci furono grandi reazioni tra i sindacati metalmeccanici. Poi, lo scorso 20 gennaio, nella sede di Confindustria a Genova si svolse un incontro programmato tra RSU e azienda per verificare l’esistenza di strumenti alternativi al fine di compensare l’integrazione salariale che con l’ultimo dispositivo di legge scende dall’ 80 al 70%. Le RSU chiesero nell’occasione ai dirigenti Ilva una integrazione salariale o un incremento delle giornate lavorative (almeno di una settimana) per garantire la continuità salariale prevista dall’Accordo di Programma sottoscritto ad ottobre del 2005, a Villa Bombrini, con l’allora ministro Claudio Scajola.
Ma per tutta risposta, l’azienda comunicò alle RSU l’impossibilità di rispettare quanto previsto dall’Accordo di Programma, in merito alla totale garanzia occupazionale del sito produttivo di Genova. Immediato scatto l’allarme tra i lavoratori pronti a scendere di nuovo in strada. Poi, venerdì scorso, si è svolto un incontro in Prefettura, con il Prefetto che ha convocato per martedì 4 febbraio il Collegio di Vigilanza Ilva, al quale parteciperà anche il Commissario Straordinario Enrico Bondi, per la verifica dello stato di attuazione dell’accordo di Programma e lo stato del sito produttivo di Genova prima che la situazione occupazionale precipiti nuovamente.
Probabilmente quel giorno, a seconda di ciò che dirà Bondi, capiremo qualcosa in più anche sul futuro prossimo del siderurgico tarantino. Proprio la scorsa settimana infatti, Ilva e sindacati hanno iniziato a ricalcolare il numero dei potenziali lavoratori in esubero in fabbrica, procedendo reparto per reparto. Venerdì scorso, dopo la radiografia delle officine centrali, il conto è arrivato a 1679. Comprende l’acciaieria, con 795, l’area ghisa, con 400, e le officine dove sono 484. Oggi invece, sarà effettuata la ricognizione sull’area laminazione, domani su Energia e staff e poi saranno tirate le somme. Giovedì 30 infatti è in programma l’incontro tra i dirigenti dell’azienda e i rappresentanti delle segreterie territoriali di Fim, Fiom, Uilm e Usb per trovare un accordo sui dati definitivi.
Ricordiamo che a metà marzo scadrà la prima intesa, siglata a Roma l’anno scorso, sui contratti di solidarietà applicati nello stabilimento tarantino per evitare la cassa integrazione straordinaria che fu annunciata e poi ritirata dall’azienda per 6.500 lavoratori. Gli addetti coinvolti in quell’accordo furono formalmente 3749, ma in realtà a finire in solidarietà furono molti di meno. Quest’anno bisognerà vedere cosa accadrà: ma le premesse non sono delle migliori.
Dodici mesi fa furono scelti i contratti di solidarietà con il taglio medio del salario del 20% con una riduzione media dell’orario di lavoro prossima al 35%. Ma dal 1 gennaio di quest’anno, le buste paga degli operai in contratto di solidarietà sono purtroppo diventare più leggere: la Legge di Stabilità approvata dal governo ha infatti stabilito che l’integrazione salariale da parte dello Stato venisse ridotta dal 20% al 10%. Ai lavoratori in Cds è sempre stata riconosciuta una retribuzione pari al 60% dello stipendio. Grazie all’integrazione statale, fino al 2013 pari al 20%, si riusciva a salvare di fatto l’80% dello stipendio; ora, per effetto del provvedimento governativo, si raggiungerà il 70%. Una decurtazione importante che nel tempo inciderà non poco sulla vita degli operai e delle loro famiglie.
Gianmario Leone (TarantoOggi, 27.01.2014)

domenica 26 gennaio 2014

Manco cattedrali, solo deserto!

Un altro bel "dono" dell'accoppiata Comune-Studio START di Tonti e Tomassi.
Le mani sulla città! (...o nelle sue tasche)

 

Cimino: un monumento al nulla?

L'incredibile storia di cento alberi in meno, delle "linee veloci" scomparse, di un parcheggio (che nessuno voleva più gestire) cui si cerca di dare un senso ....
.... e di un'Amministrazione Comunale che non risponde più ...

foto passionerossoblu

I lavori di costruzione del parcheggio a Cimino sono – da tempo- praticamente terminati.
Quello che pochi ricordano è che nell'area dove è stato realizzato il parcheggio erano presenti, oltre agli olivi che ci sono ancora, i 100 pini piantati dai volontari di Legambiente e dai ragazzi degli istituti superiori tarantini Cabrini, Lisippo, Righi e Vittorino da Feltre che celebrarono con Legambiente proprio a Cimino la Festa dell'Albero dell'ormai lontano 22 novembre 2008.
L'area dove mettere a dimora i pini era stata indicata come disponibile dal Comune di Taranto e l'intervento di piantumazione regolarmente autorizzato. Nel novembre 2009 i pini che non avevano attecchito furono sostituiti da Legambiente e dai ragazzi del Liceo Ferraris durante un'altra Festa dell'Albero e anche questo intervento fu portato a conoscenza dell' Amministrazione Comunale.
Il 28 dicembre 2009 la Regione Puglia finanziò la "Creazione di un sistema integrato di linee veloci riservate al trasporto pubblico urbano e di parcheggi di scambio ad essi connessi. Primo stralcio funzionale: parcheggi in località Cimino – Croce", uno dei progetti della Area Vasta Tarantina.
Quando venimmo a sapere che l'area del parcheggio coincideva con quella utilizzata per piantare i pini rimanemmo perciò esterrefatti: era un classico esempio, per noi, di mano destra (quella che autorizzava la piantumazione dei pini) che evidentemente ignorava quello che nel frattempo stava facendo la sinistra (che nella stessa area pensava di realizzare un parcheggio).
Le Feste dell'Albero erano infatti entrambe successive al Forum svoltosi nel luglio del 2008, argomento "Logistica e Sistemi della Mobilità", in cui l'AMAT presentava il documento "Progettualità per la mobilità sostenibile" al cui interno era contenuto anche un progetto di parcheggio di scambio a Cimino; Forum organizzato da Area Vasta Tarantina di cui proprio il Comune di Taranto era Comune Capofila, nell'ambito delle attività volte a redigere il Piano Urbano della Mobilità ed il Piano Strategico.
Ovviamente non rimanemmo "fermi a guardare" e dopo una serie di incontri svolti nei primi mesi del 2010, di fronte alla prospettata riduzione dell'inquinamento conseguente all'istituzione delle linee veloci ed alla costruzione del parcheggio, accettammo a malincuore il progetto del Comune ottenendo l'assicurazione che, oltre a "salvare" gli olivi esistenti nell'area, i pini (che nel frattempo avevano attecchito, erano cresciuti e davano già l'idea della bella pineta che di lì a pochi anni avrebbero potuto costituire) sarebbero stati ricollocati in buona parte sempre a Cimino e per la parte restante in altre aree della città.
Ad oggi dei pini non c'è traccia. Né c'è più traccia delle "linee veloci". ...

sabato 25 gennaio 2014

Chissà quali fonti. Ancora...

Cnr di Taranto «L’inquinamento c’è Bisogna capire le fonti»

 «I soldi devono essere impiegati per eliminare le fonti inquinanti, una volta individuate con certezza». In pratica spendere denaro in altra maniera è superfluo. «Se verrà accertato che l’inquinamento è dovuto alle discariche ad esempio, allora bisognerà spendere il denaro per chiudere le discariche che contaminano terreni e acqua». Nicola Cardellicchio, a capo del Cnr provinciale, Istituto per l’Ambiente Marino Costiero di Taranto (ex Istituto Talassografico) è perentorio. E’ lui a guidare le ricerche in Mar Piccolo per il progetto Ritmare lanciato dal Consiglio Nazionale delle Ricerche e dal Ministero dell’Università e della Ricerca. Ieri mattina presso la sede del Polo Universitario Jonico, in città vecchia, si è tenuto un seminario di studio. Presentati i primi risultati degli approfondimenti sul Mar Piccolo, ottenuti dalle varie Unità Operativa del progetto dopo sopralluoghi sul posto. Uno studio a 360 gradi su sorgenti, citri, fiumi sottomarini, correnti.
«Mi pare chiaro – dice Cardellicchio - anche se il nostro lavoro dovrà andare ancora avanti per avere la certezza delle nostre intuizioni, che la falda superiore, quella interessata da Pcb e metalli pesanti, ha contaminato quella sottostante. Il progetto Ritmare sul bacino del Mar Piccolo ha questo obiettivo come fine ultimo: dimostrare con dati, numeri, indagini, quanto sta emergendo. Il lavoro è complesso. Ma questa ricerca sarà alla base di qualsiasi intervento futuro». Ad ottobre ci sarà un altro momento pubblico di approfondimento «e sono convinto che riusciremo a portare dei risultati definitivi» aggiunge il responsabile del Cnr provinciale.
Taranto è stata scelta come “area di studio” dal progetto Ritmare, che vede coinvolti diversi ricercatori di Università ed Enti di Ricerca Nazionali, proprio per le problematiche ambientali rilevanti anche dal punto di vista socio-economico. Scopo del progetto è contribuire alla comprensione dei fenomeni di contaminazione specie in Mar Piccolo, per individuare, dopo, “idonee strategie di recupero”. Durante il seminario sono intervenuti anche i ricercatori del Cinfai, Consorzio Interuniversitario per la Fisica delle Atmosfere e delle Idrosfere, che lavora nell’orbita di Ritmare. In una loro relazione, che sostiene le tesi del professor Cardellicchio, si legge che nella zona interessata dai rilievi “sono state individuate anche discariche, rifiuti urbani e numerosi siti di smaltimento abusivo di rifiuti di varia provenienza, che possono provocare un ovvio inquinamento delle acque superficiali e sotterranee”. Acque sotterranee che, ma è un dato acquisito, hanno uno stretto legame con le acque marine.
Per portare avanti il progetto, i tecnici di enti e consorzi, hanno avuto, bisogno di collaborare con il territorio e non solo, per reperire notizie, carte, documenti, sui luoghi di studio. Sono state fatte richieste al Ministero competente e alle due aziende che occupano l’area più vasta della zona industriale: Eni e Ilva. L’Eni si è subito aperta al dialogo. «Dall’Ilva invece - ha concluso il suo intervento Mauro Giudici del Cinfai - non ci hanno mai risposto». (Cavallaro A. - GdM)

All'ordine del giorno (e della notte!)

Anno giudiziario: Lecce, su Ilva a magistratura compito improprio

L’Ilva, i parchi fotovoltaici, i rifiuti interrati e poi le colate di cemento sulle aree protette, vittime di “reati perpetrati oltre che da privati spesso anche dal pubblico”. È stato l’ambiente uno dei settori più impegnativi per la magistratura salentina, come emerge dalla relazione fatta per l’inaugurazione dell’anno giudiziario dal presidente vicario della Corte d’appello di Lecce, Mario Fiorella: “In tutto il Salento è grave la situazione del traffico di rifiuti pericolosi di varia provenienza, spesso sparsi in discariche abusive o anche interrati con danni per i terreni e le falde acquifere”.  Relazione sintetica, quest’anno, perché racconta il lavoro fatto sotto la presidenza di Mario Buffa, da due settimane in pensione, al quale è stato rivolto un plauso unanime.(Rep)

“Il disastro ambientale causato a Taranto dall’Ilva è di inaudita gravità per le ricadute sulla salute dei lavoratori e degli abitanti e accolla impropriamente alla magistratura il contrasto, apparente e pretestuoso, tra diritto alla salute e diritto al lavoro, entrambi costituzionalmente tutelati”. Riferisce il presidente vicario della Corte d’appello di Lecce Mario Fiorella aprendo, il capitolo dedicato ai reati ambientali. “Il conflitto tra questi beni fondamentali e la minaccia di licenziamenti di massa – ha aggiunto – vengono artatamente riproposti all’unico scopo di risparmiare sugli investimenti necessari per consentire il lavoro in un ambiente salubre”. Dell’Ilva Fiorella ha parlato anche in relazione agli infortuni sul lavoro, ricordando i tre episodi di infortuni mortali, e al “problema irrisolto delle malattie professionali”.  
“Il caso Ilva e’ stato esemplare della progressiva lesione dell’ordinamento costituzionale”. Continua il procuratore generale presso la Corte d’Appello di Lecce. “L’attivita’ giudiziaria e’ stata costretta a farsi carico di problemi che dovrebbero trovare soluzione in sedi diverse – ha aggiunto Vignola – alla magistratura e’ stata invece addebitata un’attivita’ di supplenza non voluta ne’ cercata, che ha determinato a volte sostegno a volte accuse, a momenti alterni”. “La magistratura – ha proseguito Vignola – e’ stata chiamata a supplire al ruolo della politica, per tutelare diritti costituzionalmente protetti. Il caso Ilva e’ stato esemplare dell’ingresso dell’economia nel rapporto tra politica e magistratura in una situazione in cui i diritti sono diventati una variabile dipendente dell’economia”. (PaeseNuovo)

Ogni scarrafone (industriale) è bello al Sole 24 ore!

Confindustria all’amatriciana su ILVA e ambiente

Il prevedibile entusiasmo con cui Confindustria applaude all’ultimo Decreto Legge sull’ILVA di Taranto traspare dal giornale di famiglia: il Sole 24 Ore del 21 Gennaio dedica all’argomento l’intera pagina 39 con richiamo dalla prima. Nell’analisi di Jacopo Giliberto si legge testualmente: ‹‹Sull’ILVA di Taranto ci sono molti luoghi comuni e molte incertezze. Il luogo comune dice che la città è inquinatissima da una delle acciaierie più sporche del mondo, e non è vero. Le emissioni dello stabilimento di oggi sono molto migliori di molte delle più ammirate e moderne acciaierie modello d’Europa e, al contrario di quello che pensano molti, la qualità dell’aria di Taranto è assai meglio dell’aria respirata dai cittadini di una qualunque città padana. Esempio: ieri nell’aria di Milano sono stati rilevati 143 microgrammi di azoto, a Taranto 22 microgrami››. Forse Giliberto non ha mai visto le graziose nuvolette rosse che ogni tanto colorano il cielo della città – lì non c’è solo azoto – né il “vapore acqueo” (definizione dell’On. Perillo) che imbianca i tramonti del Rione Tamburi. In merito alla presunta salubrità degli vecchi impianti tarantini, alcuni delegati e dirigenti sindacali FIOM hanno visionato la fabbrica Thyssen Krupp di Duisburg in Germania, così simile a quella di Taranto per capacità produttiva, tecnologia (a ciclo continuo con cockeria) e vicinanza al centro abitato, e riferiscono di non aver notato fumi e di aver visto operai entrare ed uscire “puliti” in una fabbrica circondata da alberi in piena salute – a chi vive a Taranto è ben nota, invece, l’immagine degli asfittici alberi  sulle collinette ecologiche. Cosa dire poi dell’acciaieria VoestAlpine di Linz, in Austria, la cui ecocompatibilità è acclarata sia da Peacelink  che da  FIOM CGIL ?
Sulla stessa pagina del Sole, Paolo Bricco descrive quello che dovrebbe essere il progetto di Bondi – se e quando il commissario si degnerà di rendere noto un piano industriale – : riconvertire la fabbrica passando alla produzione di acciao con gas – adoperando la tecnologia del preridotto – e chiudendo così definitivamente le cockerie che, finalmente, azzererebbero i famigerati Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA) altamente cangerogeni e ridurrebbero del 63% l’emissione di CO2. La riconversione avverrebbe grazie ad un aumento di capitale dal 3 mld di Euro richiesto, in prima battuta, alla famiglia Riva, e, in caso di rifiuto, a Unicredit, Intesasanpaolo e Cassa Depositi e Prestiti (cioè lo Stato). Domenico Palmiotti, sempre sul Sole 24 Ore, chiarisce che questa operazione ‹‹ dovrà essere espressamente finalizzata al risanamento›› e Confindustria Taranto parla di ‹‹interesse di notevoli proporzioni che, allontanando definitivamente tentazioni di tipo disfattista e ostruzionista, dovrà meritare da parte nostra [….] un’ampia condivisione›.
Abbiamo chiesto qualche commento in merito ad Alessandro Marescotti, presidente di Peacelink e decano dell’ambientalismo tarantino.
Alessandro, come commenti l’annuncio di un’eventuale modifica del processo di produzione d’acciaio con conseguente riduzione dell’impatto ambientale?
Si tratta di operazioni di pubbliche relazioni messe in atto da Confindustria. L’ Autorizzazione Integrata Ambientale prevede un iter dimensionato su tecnologie che hanno poco a che vedere con il tipo di riconversione annunciata sul Sole 24 Ore e che non sono compatibili con un taglio della CO2 annunciato per far vedere che anche il nostro sistema industriale ha a cuore la riduzione dei gas serra proposta dalla UE. Fin quando una modifica strutturale di tal portata non è prevista in una nuova A.I.A. (che è un vero e proprio contratto con un cronoprogramma da seguire) si parla di aria fritta.
Quando Palmiotti scrive che l’aumento di capitale dovrà essere finalizzato al risanamento (come tutte le somme spese dal commissario), cosa vuol dire?
Anche qui c’è una bella operazione di depistaggio che va chiarita: la normativa dice testualmente che va evitato qualsiasi rischio di inquinamento al momento della cessazione definitiva delle attività ed il sito deve essere ripristinanto ai sensi della normativa vigente in materie di bonifiche e ripristino ambientale. Ciò significa che l’AIA, oltre ad una “bonifica” delle tecnologie – termine che, per le teconologie non esiste ma che viene confuso apposta con il risanamento citato da Palmiotti – dovrebbe prevedere un’accantonamento periodico delle somme necessarie ad ammodernare gli impianti e a bonificare (questa si sarebbe la vera bonifica) terreno e falda inquinate una volta cessata l’attività di produzione. Ci vorrebbe una caratterizzazione veritiera di suolo e falda per quantificare gli investimenti da effettuare al fine di permettere l’utilizzo del nuovo proprietario finanche a fini agricoli.
E questo ripristino è previsto nell’AIA?
Certo, anche se non c’è pubblicità in merito. Da quello che so io non è stata quantificata la somma da accantonare anno per anno e, comunque, ci vorrebbero fidejussioni bancarie vista la presumibile entità delle cifre. Comunque, secondo l’ultima AIA, ILVA non potrebbe investire tutto in ammodernamento degli impianti senza creare fondi per il ripristino a nuovo.
Vuoi commentare le dichiarazioni di Confindustria?
Chi lotta e si impegna per la tutela di ambiente e salute non può essere disfattista, e comunque quando si utilizza un termine così forte bisognerebbe avere il coraggio di fare nomi e cognomi. A questo punto io potrei chiedere: cosa significa non essere disfattisti?
E vuoi commentare l’analisi di Jacopo Giliberto sulla qualità dell’aria di Taranto?
Bisognerebbe avere il buon senso di fare confronti sull’intero spettro di inquinanti, non su uno solo. Se anche fossimo a norma con riferimento al singolo inquinante, il cocktail complessivo è micidiale. A tal proposito la perizia sulle emissioni inquinanti dei consulenti incaricati dalla magistratura è stata molto chiara: partiamo da 4000 tonnellate annue di polveri dalle sole emissioni controllate fino ad arrivare ad una serie di altre emissioni – ben quantificate nella perizia – che non hanno pari in Italia. Peacelink ha analizzato l’archivio INES (ora confluito nell’archivio europeo EPRTR): Taranto è un’enciclopedia a cielo aperto di inquinanti di tutti i tipi. Poi, per fortuna, non tutte le emissioni si tramutano in immissioni: i venti ed i fenomeni atmosferici possono diluire le emissioni inquinanti, ma anche farle ristagnare per ore sul nostro cielo. Per questo motivo talvolta, in presenza di correnti ascensionali, le centraline rilevano poco inquinamento anche in presenza di spettacolari colonne di fumo, salvo poi misurare con il nostro analizzatore portatile di IPA picchi rilevantissimi di immissioni dopo diverse ore.(Siderlandia)

Lu ientu che fa male allu Salentu

La Provincia di Lecce: «La Regione difenda il Salento da Ilva e Cerano»

Una diffida nei confronti di Ilva, Enel e Regione Puglia poiché i fumi tossici prodotti da Taranto e Cerano vanno a finire nei polmoni dei salentini e mettono a serio rischio la loro salute. Nonostante ciò, nessun provvedimento è stato ancora assunto dagli organi competenti. E’ questa, in sintesi, la linea dell’avvocato Francesca Conte che, per conto della Provincia di Lecce, punta il dito contro il ritardo con cui la Regione Puglia e i suoi organi tecnici, Arpa e Ares, si sono attivati o, forse, non si sono attivati affatto per prevenire, controllare e ridurre le emissioni industriali dei due eco-mostri. E ciò che esperti, medici e associazioni da tempo vanno sostenendo ora trova conferma, nero su bianco, nella relazione che l’avvocato ha presentato in sede di Commissione Ambiente a Palazzo dei Celestini. L’ente guidato da Antonio Gabellone, infatti, lo scorso giugno con una delibera votata all’unanimità aveva incaricato la Conte di individuare l’eventuale sussistenza di veri e propri reati nella gestione della “Federico II” di Brindisi così come dell’Ilva di Taranto.
E l’avvocato, insieme al suo staff legale, si è attivato per valutare l’impatto ambientale di Cerano e del polo siderurgico jonico su tutto il territorio salentino, considerando l’opportunità di diffidare tutti gli “attori” coinvolti nella questione. La Conte, infatti, ha provveduto all’acquisizione dei dati che, però, non restituiscono ancora un quadro completo della situazione. I numeri raccolti dal Registro dei Tumori della Provincia di Lecce si fermano al 2010: da qui la necessità di “sollecitare” la Regione Puglia a completare il quadro sanitario e avviare un monitoraggio puntuale della situazione ambientale ed epidemiologica, così come era stato stabilito da un ordine del giorno approvato in Consiglio regionale a maggio 2007. E nulla, ancora, sembra essere stato fatto in relazione a quella Valutazione di Danno sanitario per Enel e Ilva la cui necessità era stata ribadita a luglio scorso proprio dal governatore Nichi Vendola. Ecco perché l’amministrazione Gabellone ora ha deciso di procedere con le diffide. «Diffideremo la Regione e gli impianti Enel e Ilva ma non ci limiteremo solo a fare un’azione di pressing sulle istituzioni esterne alla Provincia – ha commentato ieri il presidente a mergine della riunione di commissione Ambiente -. Continueremo, infatti, a lavorare con Repol, la rete per la prevenzione oncologica leccese, per fare in modo che si attivino tutti quei processi di controllo e di verifica dell’aria, del suolo e dell’acqua sul nostro territorio. Già il prossimo 18 febbraio è stata fissata la prima conferenza della Repol e in quell’occasione metteremo a profitto il lavoro tecnico messo a punto dall’avvocato Conte e dal suo staff».
Lo stesso legale, infine, ha ribadito l’urgenza di intervenire poiché «le emissioni che ci sono state e il mancato aggiornamento dei dati epidemiologici e ambientali impediscono al registro tumori di svolgere quella funzione di prevenzione propria delle amministrazioni locali». «Siamo pronti a presentare queste diffide che non costituiscono solo un freddo atto giudiziario ma costituiscono la volontà di un territorio che si è stancato di essere colonizzato e danneggiato e soprattutto dei cittadini del Salento che vogliono poter crescere i propri figlie e invecchiare serenamente in un territorio meraviglioso», ha aggiunto. «Il Salento è stato più volte e senza criterio scempiato da un’industrializzazione selvaggia. Affiancheremo la magistratura sulle questioni più scottanti e, per conto della Provincia di Lecce, faremo passare il messaggio che l’ente ha il coraggio di assumersi la responsabilità di essere accanto ai giudici». (quotidiano)

venerdì 24 gennaio 2014

Di inquinamento si muore. C'è ancora bisogno di studi?

L’industria uccide. Lo dicono gli studi da 30 anni – Nel decreto su Ilva previsti altri approfondimenti

Nel decreto 136 sulla Terra dei Fuochi e l’Ilva di Taranto in questi giorni alla Camera per la sua approvazione e definitiva conversione in legge, nella discussione in Commissione Ambiente della Camera “sono state inserite specifiche disposizioni in materia di tutela della salute e di azioni di monitoraggio sanitario nei territori delle regioni Campania e Puglia”. In primo luogo, è stato previsto che le due regioni, per il biennio 2014 e 2015, definiscano la tipologia e le modalità di offerta degli esami per il controllo dello stato di salute della popolazione residente in taluni comuni localizzati nelle due regioni e specificati nella norma.
Gli esami saranno effettuati senza alcuna compartecipazione della spesa da parte dei pazienti. In secondo luogo, sono state inserite due previsioni analoghe per la Campania e la Puglia, al fine di analizzare e pubblicare i dati dello studio epidemiologico SENTIERI relativo ai Siti di interesse nazionale (SIN) delle due regioni, nonché aggiornarlo stabilendo potenziamenti degli studi epidemiologici. Azioni che noi definiremmo di giustizia sociale e che in uno Stato civile dovrebbero essere la regola, e non l’eccezione.
Ciò detto, ci appare ben strano notare che nel 2014 siamo ancora alle manifestazioni d’intento e al voler continuare a ricercare una verità che oramai tutti conoscono da decenni. Agli inizi degli anni ‘90, il Ministero dell’Ambiente affidò al Centro Europeo Ambiente e Salute dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) il compito di effettuare una serie di valutazioni dello stato di salute delle popolazioni residenti nelle Aree ad elevato rischio di crisi ambientale (Legge 8 Luglio 1986 n. 349), tra le quali è compresa quella di Taranto.
Ed allora riteniamo opportuno, anche per rendere merito a quei medici che hanno dato il loro prezioso contributo, ripercorrere tutti gli studi sin qui realizzati su Taranto e le evidenze scientifiche inoppugnabili che da anni e anni sono a disposizione di tutte le istituzioni di ogni ordine e grado, oltre che di sindacati e Confindustria.

giovedì 23 gennaio 2014

Buonanotte sloppante!

Tanto rumore per nulla?
Assolutamente si!
Ora si muore a norma di legge (ad hoc)

foto di Alex Orange - h.18.00

Comunicato Stampa
Con questo nuovo video scioccante si può valutare bene la differenza tra le nubi formate dai vapori e quelle che si formano a causa delle emissioni di polveri e dei fumi che provengono dall'Ilva di Taranto. Le emissioni, come si vede, fuoriescono incontrollate dalle aree basse (non dai camini!), soprattutto durante la notte, anche con ripetuti fenomeni di "slopping".
Il Fondo Antidiossina consegnerà il video alla Procura di Taranto e alla Commissione Europea, a testimonianza che nulla è cambiato e che la situazione sanitaria ed ambientale di Taranto e della intera Provincia permane molto critica.

Il Nicastero di Nicastro

Ilva si adegua alle norme? Il resoconto giuridico dell'Assessore Lorenzo Nicastro






E’ evidente che le criticità che oggi siamo chiamati ad affrontare in termini ambientali, sanitari e di occupazione altro non sono se non l’effetto di una cronicizzazione di mali del passato.
Nel 1965, al momento della sua inaugurazione, l’Italsider non aveva praticamente alcun presidio di tutela ambientale: solo alla fine degli anni ’60 i primi sintomi della crisi ambientale ed una nuova sensibilità ecologica nell’opinione pubblica, hanno portato a sviluppare in modo coordinato gli sforzi per la difesa ambientale, in precedenza affidati a normative ed azioni frammentarie, soprattutto in materia igienico-sanitaria, di difesa del suolo, del paesaggio e della natura.
Di fatto, le prime disposizioni organiche in materia di protezione dell’aria e dell’acqua e di gestione dei rifiuti sono state emanate a partire dagli anni ’70, quando la politica ambientale venne integrata tra i compiti delle istituzioni comunitarie. La stessa istituzione del Ministero dell’Ambiente risale al 1986 (Lex 349/1986). Solo in epoca relativamente recente sono poi state varate normative in tema di valutazione preventiva degli impatti ambientali (Valutazione di Impatto Ambientale e Valutazione Ambientale Strategica) e di allineamento degli impianti industriali alle migliori tecniche disponibili (Autorizzazione Integrata Ambientale).
Dunque, la progettazione, la realizzazione e la successiva gestione dell’impianto ITALSIDER sono state operate in assenza di particolari accorgimenti per la mitigazione degli impatti ambientali e sanitari. Per lunghissimo tempo non è stata eseguita alcuna attività di monitoraggio e controllo delle emissioni in atmosfera, i primi dati disponibili risalgono agli inizi del 2000 e sono quelli desumibili dal Registro INES – Inventario Nazionale delle Emissioni e delle loro Sorgenti, desunti da autodichiarazioni dell’impresa. Al momento della privatizzazione dell’Italsider, nel 1995, nonostante la dichiarazione di stato di crisi ambientale per l’area di Taranto del 1990, le questioni erano tutte ampiamente aperte: e sono rimaste praticamente inalterate fino ai primi anni del nuovo millennio.

mercoledì 22 gennaio 2014

Ilva "trucca" la centralina

L’area della centralina piazzata nella cokeria Ilva viene trattata con una assidua bagnatura. E questo va ad inficiare la tenuta del monitoraggio della qualità dell’aria interna all’Ilva, al punto che l’Arpa continua a non convalidare gli esiti di quei controlli.

Così la centralina della discordia finisce pure nel mirino dell’Ispra, dopo le vibranti censure del direttore di Arpa Giorgio Assennato. Proprio a quella postazione, che rientra nel sistema di monitoraggio della qualità dell’aria all’interno dello stabilimento, è dedicata una delle numerose osservazioni in cui si dilunga la relazione stilata dopo l’ispezione effettuata ai primi di dicembre per verificare il cammino degli interventi stabiliti dal cronoprogramma dell’Autorizzazione integrata ambientale.
Nel rapporto si stigmatizzano i ritardi, ma si fa anche la radiografia di quanto avviene nella zona della centralina, sulla quale l’Arpa ha una posizione critica al punto da non accendere il semaforo verde ai dati partoriti dal sistema di monitoraggio. “E’ stata visionata la centralina nell’area cokeria” – si legge nel documento che porta la firma di Alfredo Pini. “Si è osservato – continua la nota – che il gestore (Ilva) ha autonomamente provveduto all’installazione di un sistema permanente di bagnatura del tratto stradale immediatamente prospiciente la cabina di misura, tramite il posizionamento di ugelli e relativa tubazione di distribuzione di acqua al livello del piano stradale. Tale installazione – si rileva nel rapporto – non appare omogenea con tutte le altre installazioni delle cabine di monitoraggio”.
Insomma per quella centralina è in atto proprio la “politica di protezione” di cui aveva parlato Assennato nei mesi scorsi, con una bagnatura che finisce per alterare i risultati del rilevamento nei pressi di quel reparto. In realtà Ilva ha spiegato l’accorgimento con la volontà di “distinguere il contributo proveniente dal traffico di veicoli di servizio interno nei pressi della centralina”.
Argomenti che si scontrano con le valutazioni del numero uno di Arpa. “Ho spiegato anche al subcommissario Ronchi che questa politica non porta da nessuna parte e che noi continueremo a non convalidare quei risultati. E’ necessario – spiega Assennato – che tutte le centraline operino nelle medesime condizioni. Alterare gli esiti di quella postazione, significa far saltare il sistema e soprattutto non rispettare la prescrizione Aia.
Quei dati non servono e si ottiene solo il risultato di seminare altra diffidenza verso un cammino e una gestione che deve risanare e abbattere l’impatto ambientale”. In pratica il sistema fotografato dall’ispezione Ispra conferma le osservazioni fatte da Arpa sul funzionamento “corretto” della centralina della cokeria. “E’ ridicolo quello che sta avvenendo – insiste Assennato – perché con il sistema della bagnatura si realizza una specie di isola felice proprio nei pressi della cokeria. A guardare i dati, lì la presenza di Ipa, idrocarburi policiclici aromatici, risulta essere inferiore rispetto a qualsiasi altra zona della fabbrica. Una cosa incredibile visto che la cokeria è la fonte delle emissioni inquinanti”. (Diliberto- Quotidiano)

Il punto su Fabio riva

Era da un pò che non si faceva più il suo nome. Oggi è rispuntato fuori, come un corpo riesumato. Ma lui è vivo e vegeto.
E parliamo ancora una volta di lui: Fabio Riva che si troverebbe sempre in Inghilterra. Ricordate la lettera con cui comunicava che si sarebbe messo a disposizione delle autorità inglesi? Era del lontano 27 novembre 2012! Quanto è lunga questa vacanza!
Per questo personaggio che Taranto conosce bene,  è stato emesso un mandato d'arresto, nell'ambito di una inchiesta della procura di Milano,  già coinvolto nell'inchiesta della Procura di Taranto sull'Ilva.
Non solo evasione fiscale quindi, ma Fabio Riva è accusato di molteplici reati compresi quelli ambientali. Non si fa mancare nulla.
Peccato per noi! Ancora Fabio Riva è un uomo libero, a tutti gli effetti.
Uomo libero che ha comprato e "compra" tuttora la sua libertà. Lui può!
E lo fa sicuramente con i soldi accumulati a danno dello Stato Italiano e della salute dei tarantini!
La legge qui in Europa non è uguale per tutti evidentemente.
Ce n'eravamo accorti. Eccome!

Ne parlano:

La Repubblica.it 
inchiostroverde
il messaggero 

Un altro mandato d’arresto europeo ha raggiunto a Londra Fabio Riva, imprenditore e figlio del patron dell’Ilva di Taranto, Emilio, dopo quello della fine del 2012 nell’ambito dell’inchiesta per disastro ambientale con al centro l’attività del colosso siderurgico. Stavolta, a emettere il provvedimento di carcerazione non sono stati, però, i magistrati tarantini ma quelli milanesi in una tranche di un’inchiesta aperta da tempo sulla “galassia” societaria dei Riva.

Anche in questo caso, però, bisognerà aspettare le decisioni della magistratura britannica sulla richiesta di estradizione inoltrata oggi da Milano. Una risposta dalle autorità londinesi non è ancora arrivata, dopo un anno, in relazione al primo mandato d’arresto (il manager, dopo qualche mese di latitanza, si era costituito a Londra nel gennaio 2013 ed è in stato di libertà vigilata). Nell’inchiesta del procuratore aggiunto di Milano Francesco Greco e dei pm Stefano Civardi e Mauro Clerici, Fabio Riva, vicepresidente di Rive Fire, la holding del Gruppo Ilva, è accusato di associazione per delinquere e truffa aggravata ai danni dello Stato. Secondo l’ordinanza di custodia cautelare in carcere firmata dal gip Fabrizio D’Arcangelo, l’imprenditore e manager di 59 anni avrebbe messo in piedi, assieme ad altri dirigenti del gruppo, un sistema per ottenere illecitamente, tra il 2007 e il 2013, circa 100 milioni di euro di stanziamenti pubblici. Il Nucleo di polizia tributaria della Gdf di Milano, infatti, ha eseguito stamattina sequestri per equivalente a carico di Fabio Riva e altri indagati proprio per 100 milioni di euro. E altri 100 milioni della Riva Fire, indagata per la legge sulla responsabilità amministrativa degli enti, sono stati “bloccati” dagli investigatori.

Secondo le indagini, Fabio Riva e altri manager avrebbero creato una società ad hoc con sede in Svizzera, l’Ilva Sa, per aggirare la normativa (la `legge Ossola´) sull’erogazione di contributi pubblici per le aziende che esportano all’estero. In sostanza, la normativa prevede che le società, che hanno commesse estere e ricevono però i pagamenti in modo dilazionato nel tempo (dai 2 ai 5 anni), possano ricevere stanziamenti da una società, la Simest, controllata dalla Cassa Depositi e Prestiti. L’Ilva, secondo l’accusa, non avrebbe potuto avere questi fondi, perché veniva pagata per le sue commesse con dilazioni a non più di 90 giorni. E così, sempre secondo le indagini, sarebbe stata costituita la società svizzera che prendeva le commesse all’estero e poi si interfacciava con l’Ilva spa. A quel punto, i pagamenti dalla società svizzera all’Ilva venivano dilazionati nel tempo in modo da poter rientrare nella normativa sulle erogazioni pubbliche. Altri quattro sono i destinatari dell’ordinanza di custodia cautelare: Agostino Alberti, dirigente di Riva Fire, Alfredo Lomonaco e Barbara Lomonaco di Ilva Sa e Adriana Lamsweerde di Eufintrade, una finanziaria elvetica.
Questa è solo la terza tranche di una più ampia inchiesta della Procura di Milano sul gruppo Ilva: lo scorso maggio, un primo troncone d’indagine aveva portato al sequestro di 1,9 miliardi di euro per i reati di truffa ai danni dello Stato e trasferimento fittizio di beni. I pm hanno ipotizzato in quel caso che il patron Emilio e il fratello Adriano Riva assieme ad alcuni professionisti avessero sottratto soldi alle casse dell’Ilva, nascondendoli in paradisi fiscali e facendoli poi rientrare in Italia attraverso lo scudo fiscale. Gli inquirenti, inoltre, stanno indagando anche sui rapporti tra la holding Rive Fire di Emilio Riva e la controllata Ilva con l’ipotesi di appropriazione indebita ai danni dei soci di minoranza del colosso siderurgico.  (LaStampa)






lunedì 20 gennaio 2014

Ecco. Finalmente!

"Ilva, diossina concausa del tumore di un operaio"

Anche l'esposizione alla diossina può provocare tumori. Lo ha riconosciuto ad un lavoratore di Brindisi, dipendente dell'Ilva di Taranto, la corte d'Appello di Lecce. I giudici d'appello hanno ribaltato una sentenza di primo grado che invece aveva escluso la correlazione diossina-cancro affermando invece che quest'ultimo era insorto nel lavoratore, addetto ai forni a pozzo dell'Ilva, per problemi genetici. All'operaio è stata riconosciuta un'invalidità permanente del 30% e l'Inail adesso dovrà risarcirlo con la corresponsione della relativa indennità.
I giudici di Appello ritengono che sia provato come "l'attività lavorativa svolta dall'appellante ha esposto quest'ultimo all'azione di sostanze irritanti (in particolare la diossina) che hanno avuto un ruolo concausale nell'insorgenza e nella cronicizzazione della patologia denunciata". All'operaio è stata riconosciuta "una rendita per danno biologico corrispondente al 30% di invalidità permanente" secondo legge. L'Inail viene "condannata al pagamento delle prestazioni previdenziali".
"La sentenza - commenta l'avvocato Massimiliano Del Vecchio, legale della Fiom Cgil di Taranto - va inanellata in una serie di giudizi sul riconoscimento di malattie professionali all'Ilva, dal tumore al polmone al tumore alla prostata, in cui è stato riconosciuto che le sostanze inquinanti  hanno più fattori oncogenici, causano cioè più tumori negli operai. Per esempio, l'amianto provoca il tumore al polmone e il tumore alla prostata".
"Tutto ciò è importante dal punto di vista del diritto e il fatto che sia riconosciuto un ruolo specifico alla diossina è decisivo. Qualche giorno fa - prosegue il legale della Fiom di Taranto -, per un lavoratore dello stabilimento siderurgico morto a causa di un tumore, la Corte di Cassazione ha riconosciuto alla vedova la rendita per il decesso legandola alle emissioni inquinanti". Per l'avvocato Del Vecchio, "le fibre di amianto sono così piccole da diventare vettori di altre sostanze pericolosissime come le polveri sottili. Non ci sono dosi minime di agenti inquinanti per cui possiamo ritenerci al riparo da conseguenze dannose per la salute. Più sono gli inquinanti e più la salute è a rischio".
Il responsabile nazionale dei problemi della salute e della sicurezza della Fiom Cgil, Maurizio Marcelli, parla infine di "conclusione positiva", a proposito della sentenza della Corte d'Appello, e di "strada da perseguire all'Ilva e in altri territori per tutelare i lavoratori con patologie di cui si può e si deve dimostrare la correlazione". (Rep)

Ronchi sempre più supereroe!

Tre miliardi per creare un modello di produzione pulita dell’acciaio

La «testa del drago», la ciminiera da 220 metri che per mezzo secolo ha infettato Taranto, resa inoffensiva. L’Ilva, emblema dell’arroganza dell’inquinamento, trasformata nell’acciaieria più avanzata d’Europa, un modello di produzione pulita. E’ un progetto che vale 3 miliardi di euro: sarà rilanciato nei prossimi mesi per decollare nel 2015. Ma si riuscirà veramente a mutare il rospo in principe azzurro? A convertire con un colpo di bacchetta magica uno dei luoghi più inquinati d’Italia in un modello di green economy? «Con un colpo di bacchetta magica no, con un lavoro di anni sostenuto dalle migliori tecnologie che abbiamo a disposizione e da un piano finanziario adeguato sì», risponde Edo Ronchi, il presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile che l’estate scorsa ha affiancato il commissario Enrico Bondi per mettere a punto la riconversione ecologica di questa città d’acciaio più grande della città di pietra: 1.500 ettari di fabbrica che nel 1961 si sono fatti largo spazzando via antiche masserie e greggi, stravolgendo il profilo di questo angolo di Puglia. Il risultato dei primi sei mesi di cura è stato incoraggiante. Dopo oltre mezzo secolo di disastri ecologici, le emissioni dell’Ilva sono ritornate nei limiti di legge, come ha certificato l’Arpa. Il bilancio però ha risentito delle misure decise per tamponare l’aggressione all’ambiente: 2 altoforni e 6 batterie
di forni a coke sono stati chiusi, in parte in maniera provvisoria; la produzione è scesa dagli 8,2 milioni di tonnellate di acciaio del 2012 ai 5,8 milioni del 2013; il fatturato si è ridotto dai 4 miliardi di euro del 2012 a una stima per il 2013 che si aggira sui 3,6 - 3,8 miliardi. «Questa è solo la prima parte dell’intervento: dovevamo agire in fretta per evitare l’aumento dei danni. E abbiamo raggiunto l’obiettivo portando le emissioni di diossina a livelli cinque volte inferiori ai picchi storici dell’impianto e due o tre volte inferiori a quelli degli ultimi 3 anni», continua Ronchi. «La parte più interessante del progetto comincerà nel 2014 con la copertura delle grandi aree di stoccaggio dei minerali e con il progressivo aumento della quota di ferro preridotto con l’utilizzo di gas, anche se per il momento questo ferro non viene ancora prodotto nell’impianto ma acquistato. Con la progressiva sostituzione del gas al carbone sarà possibile abbattere l’impatto ambientale portandolo molto al di sotto dei limiti di legge e far diventare l’Ilva l’acciaieria tecnologicamente più avanzata d’Europa salvando gli 11.500 posti di lavoro e i 10 mila dell’indotto. E’ un progetto che si può realizzare a condizione di seguire un rigoroso piano economico, tenendo presente che ci vuole gradualità nell’ulteriore miglioramento delle condizioni ambientali ». Per ora, nei sei mesi del commissariamento, sono stati investiti 337 milioni di euro, a cui vanno aggiunti altri 156 milioni spesi nei 21 mesi precedenti. Fondi utilizzati per coprire 17 dei 58 chilometri di nastro che trasporta i minerali, per iniziare la protezione delle 8 montagne di minerali accumulati e per acquistare le migliori tecnologie disponibili, che per un impianto di questo tipo spesso vuol dire disponibili in un unico luogo nel mondo: i filtri a tessuto per le cokerie sono stati comprati dalla giapponese Shinwa Company; i filtri a manica anti diossine dalla Siemens; le valvole per le cokerie dalla Uhde della Thyssenkrupp; una sorta di betoniera che serve a mischiare le scorie di lavorazione evitando la formazione di pericolose bolle di vapore dalla Bao Steel Tecnology di Shanghai. Ma il salto vero deve ancora arrivare. «Con gli ultimi interventi abbiamo anticipato i tempi allineandoci alla normativa sulle Bat, Best Available Technologies, che entrerà in vigore in Europa nel 2016», aggiunge Ronchi. «Ora però si tratta di gettare le basi per fare dell’Ilva un modello per l’Europa. Mentre i tedeschi hanno scommesso sul carbone avanzato, noi siamo andati oltre, sperimentando la produzione di acciaio con l’impiego del gas in sostituzione del carbone. Questo modello comporta l’abbattimento delle emissioni di CO2 del 63%, degli ossidi di zolfo dell’88%, degli ossidi di azoto dell’81% e l’azzeramento di diossine e benzopirene ». Se la sperimentazione avrà successo (entro il 2014 si punta ad arrivare a 2 milioni di tonnellate di acciaio prodotti usando il gas), la successiva riduzione dell’uso del carbone avverrà utilizzando il metano direttamente nell’Ilva. Una prospettiva da verificare in base all’evoluzione dei prezzi: il costo del gas necessario a rendere competitiva l’operazione è giudicato al momento disponibile sul mercato internazionale. Anche perché è stato studiato l’approvvigionamento attraverso una nave rigassificatrice alimentata dalle gasiere: un sistema che aumenta la sicurezza e rende più flessibile, e dunque meno costoso, l’arrivo del combustibile. Per realizzare l’intero pacchetto delle misure di protezione ambientale serviranno però 1,8 miliardi di euro tra il giugno 2013 e il giugno 2016, più 1,2 miliardi per la parte industriale di innovazione tecnologica. Da dove arriveranno queste risorse economiche? Nel piano messo a punto da Enrico Bondi e da Edo Ronchi la risposta viene da tre componenti. L’autofinanziamento, che si calcola possa fornire 1,7 miliardi. Il ricorso al mercato (un aumento di capitale è previsto da un nuovo decreto all’esame del Parlamento). E, per la parte rimanente, una quota del fondo (1,9 miliardi di euro in banche estere) confiscato alla famiglia Riva, proprietaria dell’Ilva, dalla magistratura milanese nel corso di un’inchiesta su reati fiscali.   (Rep)

domenica 19 gennaio 2014

Oggi!

REPORT RAI TRE / Domenica 19 gennaio alle 22.40 su Rai3 nuova puntata Report

Domenica 19 gennaio, nuova puntata di Report su Rai Tre, ultime notizie - Sulla vicenda Ilva è necessario non far calare l'attenzione perché il commissario Bondi da sette mesi al timone dell'Ilva non ha ancora iniziato il risanamento, un decreto poco chiaro dovrebbe sbloccare i fondi ma forse a beneficio dei proprietari, infine due giorni fa c'è stata l'ultima udienza londinese del processo per estradizione di Fabio Riva, vicepresidente del Gruppo Riva, per il quale sarebbero "una minchiata i due tumori in più all'anno" causati dalle emissioni dell'acciaieria di Taranto che, grazie alla complicità dei poteri forti, ai blandi controlli, alle regole su misura, è una barca alla deriva con la cassaforte vuota (mentre, com'è stato scoperto dalla Guardia di Finanza di Milano, due miliardi di euro erano nei paradisi fiscali).

Report farà vedere dove sono finiti i generosi profitti intascati dai Riva grazie alla produzione d'acciaio a Taranto e che sarebbero dovuti essere investiti nel risanamento a tutela della salute pubblica e degli operai. L'inchiesta "Patto d'acciaio" è stata condotta da Sabrina Giannini


sabato 18 gennaio 2014

fanno quello che vogliono!

L’Ilva inquina ancora. Per legge – Ecco l’esito dell’ultima ispezione Ispra e Arpa

Il vulnus giuridico è sempre lo stesso. Per effetto dell’art. 1 comma 3 del decreto di Riesame dell’AIA del 26 ottobre 2012 (incorporato nella legge 231/2012 meglio conosciuta come ‘salva Ilva), ogni trimestre i tecnici di ISPRA ed ARPA Puglia si recano nello stabilimento siderurgico Ilva per verificare lo stato di attuazione degli interventi strutturali e gestionali previsti dal riesame dell’AIA: l’ultima ispezione è avvenuta il 3 e 4 dicembre scorsi (le precedenti si sono svolte il 5-6-7 marzo, il 28-29-30 maggio e il 10-11 settembre dello scorso anno).
Puntualmente i tecnici hanno riscontrato diverse violazioni, segnalate all’azienda ed al ministero dell’Ambiente all’interno di diffide con le quali s’intimava all’Ilva di “mettersi in regola” (diffide del 14 giugno, 22 luglio e 21 ottobre). Cosa peraltro mai avvenuta. A quel punto, secondo quanto previsto sia dal Codice Ambientale (Dlgs. 152/2006) che dal riesame AIA e dalla legge 231/2012, sarebbero dovute partire le sanzioni nei confronti dell’azienda, il cui importo avrebbe potuto raggiungere come tetto massimo, il 10% del fatturato.
Tutto questo non è mai accaduto. Per diversi motivi. Il primo, ed è per questo che parliamo di “vulnus giuridico” (che su queste colonne abbiamo segnalato più volte negli ultimi mesi), è dovuto a quanto previsto dalla legge 89 del 4 agosto scorso. Perché se è vero che la stessa prevede che la progressiva adozione (lasciata appositamente in una terminologia ambigua) delle misure indicate nelle prescrizioni AIA sia affidata al commissario Enrico Bondi, è altrettanto vero che quella stessa legge ha previsto la nomina da parte del ministero dell’Ambiente di tre esperti, a cui è stato affidato il compito di stilare un piano di lavoro che rimodulasse la tempistica della realizzazione delle prescrizioni stesse (piano presentato lo scorso 10 ottobre e che il decreto 136 del 3 dicembre scorso prevede debba essere approvato tramite decreto del ministro dell’Ambiente entro il prossimo 28 febbraio).
Oggi, come nei mesi scorsi, la domanda che ci sorge spontanea è sempre la stessa: perché mandare i tecnici di ISPRA ed ARPA all’interno dell’Ilva per accertare la scontata violazione di prescrizioni che è stato stabilito per legge siano attuate in tempi diversi rispetto a quanto prescritto dal riesame AIA dell’ottobre 2012? Visto che tra l’altro il commissariamento del siderurgico si è reso necessario proprio per la mancata attuazione delle prescrizioni AIA da parte del gruppo Riva? Del resto, se la maggior parte delle tempistiche previste inizialmente dall’AIA sono state tutte rimodulate nel tempo, è sulle “nuove prescrizioni” che Bondi deve garantire la progressiva attuazione, non su quelle “vecchie”. Quindi, come scrivemmo nei mesi scorsi, è come se all’Ilva questi ultimi 8 mesi fossero stati del tutto “condonati”.
Per mettere un punto sulla querelle, il decreto 136 dello scorso 3 dicembre che la Camera si appresta a votare, si occupa proprio di questo “vulnus giuridico”. Esattamente al punto “F” dell’art. 12, dove si legge che non ci sarà “nessuna sanzione speciale per atti o comportamenti imputabili alla gestione commissariale dell’Ilva se vengono rispettate le prescrizioni dei piani ambientale e industriale, nonché la progressiva attuazione dell’Aia”. Il governo ha chiarito che “la progressiva adozione delle misure” (prevista dalla legge 89 del 4 agosto) è intesa nel senso che la stessa è rispettata se la qualità dell’aria nella zona esterna allo stabilimento “non abbia registrato un peggioramento rispetto alla data di inizio della gestione commissariale” e se “alla data di approvazione del piano, siano stati avviati gli interventi necessari ad ottemperare ad almeno il 70% (un emendamento accolto nei giorni scorsi ha alzato l’asticella all’80%) del numero complessivo delle prescrizioni contenute nelle autorizzazioni integrate ambientali, ferma restando la non applicazione dei termini previsti dalle predette autorizzazioni e prescrizioni”.
Dunque, ciò che conta sarà “dimostrare” di aver avviato l’80% degli interventi, senza priorità alcuna sull’importanza degli stessi e sull’effettiva conclusione (tanto c’è sempre l’ipotesi del fallimento dietro l’angolo, prevista dalla legge 89 del 4 agosto). Inoltre, le sanzioni riferite ad atti imputabili alla gestione precedente al commissariamento, ricadranno sulle “persone fisiche che abbiano posto in essere gli atti o comportamenti”, i Riva, e non saranno poste a carico dell’impresa commissariata “per tutta la durata del commissariamento”: dunque, nel caso l’azienda ritorni al gruppo lombardo, saranno i Riva a farsene carico. Sia di quelle che saranno eventualmente erogate dal ministero dell’Ambiente, sia quelle che arriveranno dal Prefetto. Tutto ciò detto, entriamo nel merito dell’ispezione dello scorso dicembre. Che ha evidenziato per la quarta volta di fila l’inadempienza delle solite prescrizioni. Per questo, ci concentreremo sulle “novità” o i dati in più presenti nel verbale dell’ispezione.
Per quanto concerne la prescrizione n. 4 (“Per le aree di deposito di materiali polverulenti, prioritariamente per il parco Nord coke e per il parco OMO, si prescrive l’avvio dei lavori per la costruzione di edifici chiusi e dotati di sistemi di captazione e trattamento di aria filtrata dalle aree per lo stoccaggio di materiali polverulenti”), si apprende che Ilva lo scorso 22 novembre ha presentato istanza di modifica non sostanziale per “rinuncia all’utilizzo dell’area parco Nord Coke”, pur avendo inoltrato la documentazione di un progetto per l’area in questione appena lo scorso 29 luglio. I tecnici hanno verificato infatti che il parco è risultato sgombro di materiale per larga parte della sua superficie.
Per quanto riguarda la prescrizione n. 5 (“Sistemi di scarico per trasporto via mare con l’utilizzo di sistemi di scarico automatico o scaricatori continui coperti” per evitare le emissioni di polveri derivanti dalla movimentazione di materiali presso gli sporgenti 2 e 4 del porto), l’Ilva ha ordinato un nuovo scaricatore a tazze per il secondo sporgente, in aggiunta ad uno analogo utilizzato sul quarto sporgente, ma si continua a sottolineare che l’azienda “non ha trasmesso, entro 30 giorni dalla data di ricezione della diffida del 14/06/13, il progetto esecutivo corredato dal relativo crono programma degli interventi”. E l’adozione di sistemi di scarico automatici da completare con benne chiuse (ecologiche) da installare negli esistenti scaricatori automatizzati dov’è finita?
Discorso analogo per la prescrizione n. 6 (“Interventi chiusura nastri e cadute”, mediante la chiusura completa (su tutti e quattro i lati) di tutti i nastri trasportatori”): i lavori sono in corso con una percentuale di completamento dichiarata dall’Ilva pari a circa il 28% di lunghezza lineare coperta rispetto al totale (in tutto parliamo di 90 km). Giova a tal proposito ricordare che l’azienda ha ottenuto una corposa proroga sulla tempistica prevista (l’accoglimento dell’istanza di modifica non sostanziale con nota del 17/12/2012 da parte della Commissione IPPC ha previsto che i 90 km di nastri che andavano coperti entro gennaio scorso fosse posticipata ad ottobre 2015).
Nel piano di lavoro dei tre esperti, si legge però che “il termine fissato dal Gestore per il completamento dell’intervento era indicato ad ottobre 2015”. Era, appunto. Ora, per la realizzazione della copertura totale dei nastri, si dovrà attendere giugno 2016. E pensare che nel “Rapporto Ambiente e Sicurezza” Ilva del 2011, i nastri trasportatori figuravano tra le opere di “ambientalizzazione” già effettuare dall’azienda, il cui costo rientrava nel famoso miliardo investito dal gruppo Riva dal ’95 al 2012.
Per quanto riguarda la prescrizione n. 16 riguardante l’AFO/2 (“Depolverazione Stock House”, che consiste nell’abbattimento delle polveri generate nel processo di lavorazione dell’acciaio) la cui ultimazione era prevista per gennaio 2014, l’Ilva è in attesa di ricevere il nulla osta dal ministero dell’Ambiente “per l’effettuazione degli scavi per le fondazioni del camino e del filtro”. Dopo essere stato fermato nel mese di luglio, AFO/2 è ripartito lo scorso novembre. Nel penultimo verbale redatto dai tecnici ISPRA ed ARPA in merito all’ispezione del 10 e 11 settembre, era stata verificata l’ultimazione degli interventi di chiusura per la “stock house”.
Come riportammo nello scorso ottobre però, nel piano redatto dai tre esperti a proposito dei lavori previsti per AFO 2 si leggeva quanto segue: “il forno AFO/2 è stato fermato per motivi di mercato (indipendentemente dalle prescrizioni AIA), e ne è previsto il riavvio nel gennaio 2014; gli interventi di depolverazione sono stati riprogrammati temporalmente e con la previsione di installazione di filtri a tessuto. L’ultimazione degli interventi deve avvenire entro il 31 marzo 2014. Il riavvio sarà eseguito dopo la conclusione delle opere”. Questo significa che Ilva ha fatto ripartire un altoforno senza che prima siano stati effettuati tutti i lavori previsti dall’AIA. Durante l’ispezione di settembre l’Ilva, a fronte delle contestazioni dei tecnici ISPRA e ARPA, rispose di essere “in attesa della definizione delle proposte del piano degli esperti”: ma prima ancora che il piano sia stato approvato con apposito decreto ministeriale, l’azienda ha fatto ripartire un impianto che lei stessa aveva previsto di rimettere in marcia nel gennaio 2014 (e che per il piano degli esperti doveva ripartire a lavori ultimati non prima del prossimo mese di marzo).
E veniamo ora alle ulteriori note dolenti. Per quanto riguarda la prescrizione n. 49 (“L’emissione di particolato con il flusso di vapore acqueo in uscita dalle torri di spegnimento sia inferiore a 25 g/t coke. Presentare, entro 6 mesi dal rilascio del provvedimento di riesame dell’AIA, un progetto esecutivo per il conseguimento di un valore inferiore a 20 mg/Nm3. Eseguire, con frequenza mensile, il monitoraggio delle emissioni diffuse di polveri da tutte le torri di spegnimento con metodo VDI 2303 (Guidelines for sampling and measurement of dust emission from wet quenching”), di cui ci siamo occupati nei giorni scorsi per via del caso scoppiato con le emissioni del 1 gennaio scorso, nel verbale d’ispezione è segnalato il perdurare del superamento del valore imposto dall’AIA di 25 grammi per tonnellata. Lo si apprende dalle registrazioni fornite dalla stessa Ilva relative al periodo luglio-settembre 2013, dove in alcuni casi è stato registrato il superamento dei limiti per le torri di spegnimento n. 5 asservite alle batterie 7-8, sia per le torri n. 6 asservite alle batterie 11-12, attualmente in funzione. Inoltre, non risultano aggiornamenti per il progetto per ridurre ulteriormente le emissioni.
I problemi di questa operazione (fisiologica per un siderurgico) sono due come evidenziammo tempo addietro: il primo è che le torri di spegnimento dell’Ilva non sono dotate di filtri che trattengano il particolato del coke che il vapore trascina con sé. L’unica “limitazione” alle polveri emesse infatti, è “garantita” dalle delle così dette “persianine”, che altro non sono che delle sporgenze interne alle torri, su cui la polvere “dovrebbe” depositarsi. Secondo: l’Ilva non è dotata dello spegnimento a secco del coke (“dry quenching”) che viene utilizzato in diversi impianti siderurgici europei, che consente da un lato un notevole risparmio energetico e dall’altro l’eliminazione delle nubi di vapore che portano con se il particolato del coke. ARPA Puglia, nel corso del processo istruttorio della commissione IPPC di riesame dell’AIA, aveva proposto di esaminare la possibilità di adozione di tale procedimento: ma il suggerimento, nemmeno a dirlo, non fu accolto.
Ancora peggio per quanto riguarda la prescrizione n. 70 secondo punto, nella parte relativa alla eliminazione del fenomeno di “slopping” tramite interventi di natura gestionale. Lo scorso 15 novembre l’Ilva dichiarava di aver ultimato l’intervento di implementazione su tutti i convertitori del nuovo sistema ISDS, come evoluzione del sistema RAMS finalizzato alla prevenzione dei fenomeni di “slopping”. ISPRA ed ARPA però, segnalano come permanga ancora inevasa la richiesta del protocollo operativo del nuovo sistema RAMS (come peraltro già evidenziato dalla diffida del 14 giugno scorso).  Dal febbraio al dicembre 2012 si verificarono ben 240 fenomeni di “slopping” nelle due acciaierie.
Dal verbale dell’ultima ispezione, si apprende che sono stati analizzati alcuni episodi anomali nel periodo che va dal 1 settembre all’11 novembre 2013: gran parte degli episodi di emissioni anomale dal tetto delle acciaierie (oltre l’80%), hanno avuto luogo tra le ore 20 e le ore 6 del mattino. Di 21 eventi di emissione straordinaria dal tetto dell’acciaieria annotati sul registro elettronico, ben 17 hanno avuto luogo in quell’intervallo di tempo: in pratica quando, venuta meno la luce del giorno, è pressoché impossibile osservarli ad occhio nudo. A tal proposito è stata richiesta all’Ilva una relazione di approfondimento soprattutto sulle cause tecniche ed ambientali che hanno provocato tali eventi, corredata da una quantificazione degli effetti ambientali.
Infine, la prescrizione n. 85. Che prevedeva, entro 6 mesi dal rilascio del provvedimento di riesame dell’AIA, “una rete di monitoraggio in continuo della qualità dell’aria attraverso l’adozione di 6 centraline di monitoraggio da ubicare in prossimità del perimetro dello stabilimento; la stessa rete, da integrare con la rete regionale secondo le modalità che saranno indicate da ARPA Puglia, sarà implementata da un sistema di monitoraggio d’area ottico spettrale “fence line open-path”, costituito da 5 postazioni DOAS complete e 3 sistemi LIDAR completi”. Lo scorso settembre, ARPA aveva verificato che erano terminate le installazioni delle strumentazioni nelle centraline di stabilimento per il monitoraggio della qualità dell’aria e che i relativi dati vengono trasmessi all’Agenzia per la successiva validazione.
Il problema, come segnalato nei mesi scorsi anche da un’associazione ambientalista locale, riguarda la centralina installata nell’area cokeria. Prima stranezza, il fatto che la recinzione metallica di delimitazione dell’area asservita alla cabina, dove sono ubicati i deposi metri per la caratterizzazione delle polveri, è risultata con cancello aperto e senza lucchetto. Inoltre, viene segnalato il fatto che l’Ilva, del tutto autonomamente, abbia provveduto ad installare un sistema permanente di bagnatura del tratto stradale prospiciente la cabina, cosa che nelle altre aree dove sono installate le altre centraline non avviene. In questo modo, è impossibile stabilire il contributo dell’inquinamento proveniente dall’esercizio degli impianti rispetto a quello dovuto al traffico di veicoli che esercitano in quell’area. La stessa ARPA ha evidenziato all’ISPRA che “il sistema di irrigazione rende l’area della cokeria immediatamente adiacente alla centralina differente rispetto alla situazione ambientale del resto dell’impianto, producendo così una eliminazione del contributo di “fondo” locale ai dati misurati, e quindi rendendo poco significativa la correlabilità dei dati della centralina rispetto alla situazione dell’impianto”.
Quello che sconcerta, al di là del fatto che tali eventi continuano a contribuire all’inquinamento, è il fatto che anche gli enti preposti come ISPRA ed ARPA sono in attesa di capire quale amministrazione debba accertare lo stato di qualità dell’aria e se i termini del rispetto della stessa debbano essere intesi come scadenze temporali o più in generale come prescrizioni. Così come si attende di comprendere quale sarà la nuova procedura di accertamento, contestazione e notifica delle sanzioni. Insomma, si brancola nel buio. Come se si fosse in una zona franca dove nessuno sa esattamente cosa fare. Auguri.
Gianmario Leone (TarantoOggi, 18.01.2014)