sabato 31 ottobre 2015

Epidemia europea...

Annullata la visita all’Ilva della Commissione ambiente e sanita’ del Parlamento europeo


Gli eurodeputati del M5S, Pedicini e D'Amato, hanno chiesto di poter effettuare comunque la visita nello stabilimento siderurgico. Martedì 3 novembre saranno a Taranto per incontrare le associazioni, i comitati e i sindacati locali
Annullata la missione della Commissione ambiente e sanità del Parlamento europeo all'Ilva di Taranto. La visita si doveva tenere il 3, il 4 e il 5 novembre prossimi. Ad annunciarlo il presidente della Commissione Giovanni La Via con un messaggio urgente inviato ai componenti la delegazione. L'annullamento è stato deciso dopo che, all'ultimo minuto, tre europarlamentari, tra cui due italiani del gruppo Sinistra e Democratici, Massimo Paolucci e Nicola Caputo, hanno comunicato la loro indisponibilità a prendere parte alla missione. Altri due europarlamentari, Mazuronis e Florenz, rispettivamente del gruppo Alde e del gruppo Epp, avevano comunicato la loro assenza già da alcuni giorni.
L’ eurodeputato del M5S, Piernicola Pedicini (coordinatore pentastellato in Commissione ambiente) e l’eurodeputata tarantina del M5S Rosa D'Amato hanno comunque chiesto al commissario dell'Ilva, Corrado Carubba, di poter effettuare la visita nello stabilimento siderurgico, mettendo in evidenza che essendo stato tutto programmato sarebbe stato utile e opportuno poterla effettuare.
Pedicini e D'Amato hanno anche annunciato che martedì 3 novembre saranno comunque a Taranto per incontrare le associazioni, i comitati e i sindacati locali che erano stati esclusi dalla partecipazione agli incontri ufficiali con la delegazione della Commissione che avrebbe dovuto tenere la visita nello stabilimento Ilva e, poi, alle ore 11.30, terranno una conferenza stampa in via Piemonte, n. 114. (Cosmopolismedia)

venerdì 30 ottobre 2015

Non c'è un tubo per l'Ilva

Lo schiaffo della Tap all'Ilva: "I tubi del gasdotto saranno prodotti in Germania"

Il contratto comporta la fornitura complessiva di circa 170.000 tonnellate d'acciaio. Nuove comunicazioni daranno notizia prossimamente dell'assegnazione del contratto per i tubi lineari da 36" della sezione offshore e di quello per il resto dei tubi da 48" della sezione onshore. "Mi congratulo con Salzgitter Mannesmann International per il successo della sua offerta - ha dichiarato Ian Bradshaw, Managing Director di TAP - e ringrazio tutte le aziende che hanno partecipato a questa gara.
TAP ha seguito un rigoroso processo di selezione in questa fase di assegnazione di contratti e continuerà così, selezionando le aziende fornitrici sulla base delle loro competenze tecniche, standard di sicurezza e di altri criteri selettivi aderenti alle migliori pratiche internazionali. TAP ha in programma di assegnare numerosi altri importanti contratti entro la fine dell'anno - ha aggiunto Bradshaw - in modo che sia possibile iniziare la costruzione del gasdotto in Grecia, Albania e Italia nel 2016 come previsto". (Quot)

giovedì 29 ottobre 2015

Oltre l'età del ferro

Legami di Ferro

Libro di Beatrice Ruscio. Introduzione e presentazione di Alessandro Marescotti. Recensione di Laura Tussi. Edizioni Narcissus 2015. In collaborazione con PeaceLink
24 ottobre 2015 - Laura Tussi
Legami di ferro.
Dalla miniera alla fabbrica.
Dal cuore dell'Amazzonia brasiliana al quartiere Tamburi di Taranto
Libro di Beatrice Ruscio
Introduzione e presentazione di Alessandro Marescotti
Recensione di Laura Tussi
Edizioni Narcissus 2015
In collaborazione con PeaceLink

Il seminario internazionale a cui ha partecipato l'Autrice del libro “Legami di ferro”, Beatrice Ruscio, in rappresentanza dell'Associazione ecopacifista PeaceLink, è stata un'importante occasione per far emergere la questione di Taranto dal contesto locale, per unire questa lotta a un movimento internazionale di mobilitazione e resistenza contro gli immani e inesorabili progetti delle imprese e delle multinazionali che vogliono ottenere il massimo profitto a costo di devastazioni ambientali, pregiudicando così la vita e la salute di intere popolazioni. Il denominatore comune che unisce le città di Taranto e di Piquià de Baixo si chiama minerale di ferro: la stessa polvere proveniente dal Brasile e estratta nelle miniere della multinazionale Vale è poi esportata in tutto il mondo.
Il libro racconta una bella storia di solidarietà tra l'Italia e il Brasile. È la storia di Taranto e di Piquià de Baixo in Amazzonia, inesorabilmente collegate dal drammatico filo conduttore di due disastri ambientali, provocati dalla polvere che è alla base del processo siderurgico, ossia il minerale di ferro: inquinamento ambientale e diritto alla salute uniscono Piquià de Baixo e il Quartiere Tamburi di Taranto, Ilva e Vale, in una stretta relazione, in giochi di forza e di potere dall'alto e di movimenti sociali in lotta dal basso. Il minerale di ferro, che viene estratto dalle miniere del Carajàs, nella foresta amazzonica brasiliana, arriva anche all’Ilva di Taranto. Il ciclo siderurgico provoca inquinamento e ingiustizia a livello globale. Per questo motivo, una visione globale deve accomunare le lotte locali, per affrontare un razzismo ambientale che lede i diritti umani di molti abitanti del pianeta: dei popoli discriminati e martoriati dei tanti “sud” del mondo.
In realtà, il mondo non ha bisogno di tutto l'acciaio che viene prodotto. Ma il sistema economico produce in funzione del profitto e dello sfruttamento massimo della capacità produttiva, e non in funzione dei bisogni reali e effettivi. Sostenere questo modello siderurgico predatorio significa alimentare la produzione delle cosiddette grandi opere, inutili e dannose, e il consumismo dell'industria bellica e automobilistica.
La multinazionale Vale dichiarava che lo sviluppo dell'industria sarebbe stata un'occasione di arricchimento umano e sociale per quella regione, con il rispetto dell'ambiente e delle persone. Al contrario, è sempre prevalsa la logica del guadagno, dello sfruttamento e del massimo profitto dell'industria. Sostanzialmente, solo pochi si sono arricchiti, a discapito della natura, depredata e vilipesa, e dei lavoratori, che lamentano spesso condizioni di estremo sfruttamento, e dell'intera collettività, che in realtà non ha mai visto le promesse di benessere e progresso tanto declamate e millantate.
“Il viaggio di PeaceLink in Brasile ha consentito di tessere i fili di un'alleanza globale che va oltre la questione ecologica: è un'alleanza per la difesa dei diritti umani e per una nuova economia di giustizia”, afferma Alessandro Marescotti, Presidente di PeaceLink, nell'introduzione al libro. Nel testo, l'approccio alla questione ambientale e ecologica diventa un'occasione di conoscenza davvero innovativa, unendosi alla grande tematica della giustizia sociale, in una panoramica globale che permette di interpretare l'ecologia e l'economia in una visione di giustizia sociale e solidale, per cui tramite l'incontro tra persone, accomunate dallo stesso dramma, si concepiscono le ragioni autentiche dello stare insieme, in un'”ecologia di persone”, per una giusta lotta comune a favore del diritto alla vita e alla salute: per i diritti umani.
La lotta per spezzare la violenza e la protervia del ciclo siderurgico mondiale ha conosciuto diversi epicentri del conflitto ambientale, disseminati in tutto il mondo, dall'India al Brasile. Da una parte all'altra del globo intere popolazioni subiscono tremende ingiustizie ambientali e lottano per vedere rispettati i propri diritti di esseri umani. L'Autrice paragona il viaggio in Brasile a un salto in una realtà parallela a quella di Taranto, con tante differenze culturali, economiche, ambientali, ma così incredibilmente simile e unita da legami di solidarietà forti, indistruttibili, di gente forte, unita da “legami di ferro”, indistruttibili.
Su A-Rivista Anarchica n. 402 Novembre 2015:
Note: www.arivista.org
su ILDialogo.org:
http://www.ildialogo.org/cEv.php?f=http://www.ildialogo.org/cultura/Recensioni_1445719112.htm
su PRESSENZA - International Press Agency:
http://www.pressenza.com/it/2015/10/legami-di-ferro/

lunedì 26 ottobre 2015

Svalvolata!

Il cattivo funzionamento di una valvola nel reparto 'Trattamento acque' attinente all'impianto di laminazione del treno nastri 2 ha causato la fuoriuscita di una contenuta quantità di materiale oleoso che si è sversato nei canali dello stabilimento Ilva e quindi in mare.

Lo rende noto la stessa azienda in amministrazione straordinaria precisando che "Ilva è intervenuta tempestivamente e, attraverso una ditta specializzata, sta eseguendo tutte le operazioni di contenimento e di aspirazione del materiale stesso. La situazione risulta essere sotto controllo e Ilva, in costante contatto con l'Autorità portuale di Taranto, sta procedendo allo smaltimento della sostanza oleosa".

Inoltre, è detto in una nota, "al fine di evitare il ripetersi di simili eventi, l'azienda sta progettando ulteriori controlli sull'impianto che ha provocato lo sversamento odierno". (Rep)

L'Europa sull'Ilva

Il Parlamento europeo pensa a maggiori controlli Ue per l'Ilva di Taranto, evocando la possibilita' di richiesta di una direttiva "ad hoc" in tal proposito. E' quanto si legge in un rapporto del direttorato generale del Parlamento europeo realizzato per la commissione Ambiente dello stesso Parlamento Ue. Il campo d'azione dell'istituzione comunitaria "e' piuttosto limitato" in un caso che richiede soprattutto interventi a livello statale, ma il Parlamento Ue "potrebbe considerare attentamente le implicazioni del caso Ilva per quanto riguarda la necessita' di armonizzare le regole di ispezione a livello europeo, ad esempio attraverso una direttiva in materia" da richiedere alla Commissione europea. Maggiori controlli e ispezioni europei si rendono necessari, a detta del Parlamento Ue, visto che quelle dell'Ilva di Taranto "e' un caso particolarmente grave di non conformita' aziendale alla normativa ambientale europea e per le conseguenze per l'ambiente e la popolazione locale". Un caso che mette in luce anche "le conseguenze del fallimento delle autorita' nazionali nell'attuare in modo tempestivo la legislazione adottata per recepire le norme ambientali dell'Ue".
Questo il report:




Chi è l'autrice italiana del report? Ecco il suo curriculum, dal sito dell'Università di Catania

curriculum

Qualcosa di più di patetici

Ilva, Carrubba su commessa Tap: “Partita ancora aperta” – Tomaselli: “Aia rispettata al 91%”

Sul palco e in platea ci sono i tanti volti più o meno noti del Pd locale e coloro che rappresentano i cittadini nelle aule parlamentari:  dai deputati Michele Pelillo e Ludovico Vico al senatore Salvatore Tomaselli. Il convegno che si tiene alla Cittadella delle imprese sul tema  “Ilva e Taranto, ambientalizzazione e bonifiche. A che punto siamo?” corre il serio rischio di diventare una passerella politica in cui il Pd cerca di mostrare il suo volto migliore e un ruolo da “risolutore” dei problemi ambientali che da sempre attanagliano la città.
Per non cadere nella “trappola”, cerchiamo di concentrare la nostra attenzione sui nodi cruciali legati alla più stretta attualità e lo facciamo sentendo soprattutto le due voci “tecniche” ospiti sul palco: quella del Commissario straordinario Ilva Corrado Carrubba e del Commissario alle bonifiche Vera Corbelli. Nessuna preoccupazione da parte di Carrubba in merito all’ultima diffida datata 14 ottobre, trasmessa dal ministero dell’Ambiente all’Ilva in merito alla gestione dei rifiuti (leggi qui). «Non sono questi i problemi dell’Ilva - dice ad InchiostroVerde poco prima dell’inizio del convegno – l’Arpa Puglia ha notato che dei sacconi non avevano le etichettature previste ma abbiamo già provveduto a dare i chiarimenti richiesti».
Sul rispetto delle prescrizioni Aia -  l’80%, entro il 31 luglio 2015 - non si è sbilanciato: «Dovete chiedere al ministero dell’Ambiente», mentre sulla prescrizione più importante, la copertura dei parchi minerali, rimasta al di fuori di quell’80%, spiega: «Stiamo andando avanti nella realizzazione delle opere propedeutiche e degli interventi di caratterizzazione e messa in sicurezza del sedime dei parchi, cosa che si sta facendo ora anche in contraddittorio con Arpa Puglia. La tempistica è quella prevista dall’Aia e dai tempi necessari per fare una serie di cose che solo in parte dipendono direttamente dall’azienda».
In merito alla polemica sulla mancata presenza nella Legge di Stabilità varata in questi giorni dal governo della misura a favore delle imprese dell’indotto Ilva e al tweet del presidente della Regione Puglia Michele Emiliano che rispondendo al presidente di Confindustria Taranto ha buttato la croce sui Commissari Ilva, Carrubba preferisce glissare: “Ognuno ha il suo modo di esprimersi…”.
Carrubba preferisce andare al sodo: “Il Governo aveva assunto una linea di disponibilità da parte del ministro Guidi che non mi pare lei abbia smentito. Credo che sia emerso un intoppo tecnico in sede di presentazione della Legge di Stabilità e che non ci sia stata una volontà politica. Penso e mi auguro che il Parlamento, in sede di approvazione della Legge, possa trovare la risposta ad un problema come quello dell’indotto che vive una sofferenza importante. Più queste imprese vengono messe nella condizione di lavorare serene, più lavoriamo in tranquillità anche noi».
Infine, un cenno sulla commessa per la fornitura dei tubi per il gasdotto Tap. Partita persa, come annunciato da qualcuno settimane fa, o ancora recuperabile? «Da quanto sappiamo vi è ancora un confronto aperto con la stazione appaltante – precisa Carrubba – la loro valutazione di non conformità, per fortuna non definitiva,  era dovuta a motivazioni essenzialmente tecniche. Chiedono tubi particolari e noi abbiamo fatto uno sforzo progettuale in questa direzione attraverso il nostro management. I tubi sono un segmento di produzione molto importante che la vecchia proprietà aveva un po’ abbandonato. Oggi, noi fatichiamo a recuperare sia il mancato investimento nell’ambiente che nell’innovazione e nella qualità di prodotto. Il mercato odierno non punta tanto sulla quantità ma su gamme elevate di qualità. La sfida dell’Ilva è anche questa».
Sul tema delle bonifiche e del disinquinamento del mar Piccolo, si sofferma il Commissario straordinario Vera Corbelli, alle prese con un lavoro che definisce “immane”, di cui attori ed enti locali devono saper far tesoro in prospettiva futura. «E’ necessario che la piattaforma di azione che stiamo costruendo sia condivisa da tutti – sottolinea – dobbiamo e dovete essere uniti». Ricorda che per il mar Piccolo era stata prevista dal precedente Commissario straordinario una gara, che lei ha voluto stoppare perché non c’erano ancora le basi per procedere in quella direzione.
«Si rischiava un procedimento che in futuro avrebbe comportato il blocco dei lavori – dice la Corbelli – andando a minare le esigenze dei mitilicoltori. Con il nostro progetto di sistema, invece, stiamo cercando di salvaguardare tutti. E voglio tranquillizzare che procedendo così non si rischia di perdere i fondi, ma si costruiscono le basi per averne altri». Le attività del mar Piccolo, intanto, sono andate avanti. «Abbiamo effettuato delle ispezioni e censito tutto ciò che si trova nei fondali. A breve avvieremo 150 sondaggi profondi  per capire dove e come effettuare gli interventi necessari».
Infine, la voce di un politico, quella del senatore Salvatore Tomaselli, capogruppo Pd della Commissione Industria, che in merito al rispetto delle prescrizioni Aia da parte di Ilva si sbilancia fornendo un dato: «La relazione Ispra attualmente in fase di validazione al ministero dell’Ambiente consegna una fotografia che parla del rispetto del 91% delle prescrizioni Aia. Ovviamente sono fuori gli investimenti più grossi come quelli per la copertura dei parchi minerali, ma il 91% mi pare un buon dato». Purtroppo è l’entità puramente numerica, e non qualitativa degli interventi ambientali, a prendere il sopravvento. (Inchiostroverde)

Anima tarantina



Tempo fa abbiamo pubblicato la notizia della mostra di Mariarosaria Stigliano, un'artista nata a Taranto che vive e lavora a Roma : http://comitatopertaranto.blogspot.it/2011/06/fabbrica-citta-presto-la-mostra.html

Ecco il comunicato stampa della prossima mostra, in programma a Roma:


Mariarosaria Stigliano
"COME QUANDO FUORI PIOVE"
vernissage Sabato 31 ottobre, ore 17.00 - 21.00
galleria d’arte Edarcom Europa- via Macedonia 12/16, Roma
a cura di Francesco Ciaffi
testi: Ennio Calabria, Daniela Madonna
31 ottobre 15 novembre 2015
Fino a Natale tutti i giorni domenica compresa 10,30/13,00 – 15,30/19,30
INFO: 06.7802620 - http://www.edarcom.it



Mariarosaria Stigliano


Alberto_SughiMariarosaria Stigliano nasce a Taranto nel 1973.Dopo essersi laureata in legge, consegue una seconda laurea in pittura all'Accademia di Belle Arti di Roma e l'abilitazione all'insegnamento delle discipline pittoriche. Inizia ad esporre nel 2005 e il suo lavoro viene apprezzato in Italia e all'estero.

sabato 24 ottobre 2015

Oltre il fondo del barile

Trivelle nel Golfo di Taranto: l’Italia ancora generosa con i petrolieri. In primis la Shell

Le prime ad essere approvate sono a favore della Shell, che dopo essersi ritirata in quattro e quatt’otto dall’Artico, adesso trova i più ospitali mari italiani, con una accoglienza a braccia aperte. Si tratta delle due concessioni d73 FR SH e d74 FR SH, entrambe fra le province di Cosenza, Matera e Crotone. La prima si estende per 730 chilometri quadrati, la seconda per 620. E cioè regaliamo alla Shell 1350 chilometri quadrati di mare.
E anche se non sembra, ad approvare il tutto non è il Ministero del Petrolio, ma quelli del Turismo e dell’Ambiente d’Italia.
Verranno qui eseguite ispezioni sismiche con tecniche airgun, che offriranno una immagine in 3D di eventuali giacimenti petroliferi. Gli studi sismici – ripetuti violenti spari di aria compressa intervallati di 10-15 secondi – dureranno per circa sei settimane. Il decreto che approva l’airgun nel golfo di Taranto ricorda che è tutto “temporaneo” e che non verranno realizzate “opere permanenti” in mare o in terra. E quindi, come sempre, tuttapposto.
Ma a chi vogliono darla a bere. La Shell non fa ispezioni sismiche perché vuole regalare immagini scintillanti dei fondali marini al governo italiano. La Shell fa ispezioni sismiche perché vuole trivellare, e l’airgun è solo il primo passo verso la realizzazione di scellerati progetti.
Mentre la concessione d73 FR SH è più a largo, la d74 FR SH sarà a 6 miglia da riva e a un miglio da un sito di importanza comunitario, il SIC 9310053 detto “Secca di Amandolara”. Un solo miglio! Ma questo non importa perché secondo la “Commissione Tecnica di Verifica” sulla Via della Shell non “emergono incidenze negative”.  Poi però si ricorda che la stessa Commissione ha imposto una “fascia di rispetto di 12 miglia” dal “perimetro esterno di tutte le aree marine e costiere a qualsiasi titolo protette”.
Non è ben chiaro come il miglio di distanza dall’area protetta possa essere compatibile con la fascia delle dodici miglia. Mistero dei ministeri.
Oltre al Sic di cui sopra, c’è n’è un altro, il Sic IT 9310048 detto “Fondali Crosia-Pietrapaola-Cariati”, a sei miglia dalla stessa concessione d74 FR SH e quindi anche questa entro la fascia delle 12 miglia di protezione.
La Regione Puglia e Basilicata hanno espresso parere negativo su entrambe le concessioni. Della regione Calabria non c’è traccia. Ma nonostante il parere negativo di ben due Regioni, ci sono state delle misteriose “controdeduzioni” che hanno portato a soprassedere il parere delle Regioni interessate. Come dire: ne sa di più un Ministero di Roma o la Shell che le Regioni Puglia e Basilicata delle criticità dei mari, e delle aspirazioni del popolo di Puglia e Basilicata. Non molto democratico, no?
E poi, non ho capito perché, come sempre, ai petrolieri sia stato concesso di fare controdeduzioni. Non è una partita alla pari quella in cui i petrolieri hanno la prima e l’ultima parola. Perché Puglia e Basilicata non hanno potuto fare contro-controsservazioni? Se ai petrolieri sono concessi due interventi, perché ai cittadini e alle Regioni no? O meglio ancora, un one shot game. L’avrò detto milioni di volte. In un sistema democratico, uno fa la proposta e l’altro fa le osservazioni e poi si decide. E poi basta. Non che ad alcuni è concesso di rispondere ad infinitum ed ad altri no.
Ci sono delle ridicole prescrizioni – presentazioni di scartoffie varie, la presenza di osservatori marini che devono presentare il loro curriculum, la compilazione di un rapporto in italiano con elencate tutte le specie marine che si sono incontrate in mare con ora, temperatura, numero di esemplari, il fermo in caso siano avvistati mammiferi, ed evitare che le tartarughe marine Caretta Caretta possano intrappolarsi nelle apparecchiature di rilievo sismico. Ma veramente quelli del Ministero credono che i petrolieri faranno tutte queste cose? E chi controllerà il tutto?
Ma due sono le cose che più mi fanno pensare.
Intanto, secondo le prescrizioni dei ministeri in questione la Shell deve eseguire l’airgun fuori dal periodo di deposito delle uova, della riproduzione e del reclutamento delle principali specie ittiche commerciali. Questo vuol dire che lo sanno anche loro che l’airgun può incidere sulla pesca.
E soprattutto, noto che in tutte queste labirintine prescrizioni, non viene stabilita la potenza massima utilizzabile. Dicono solo che si deve usare “la minor potenza acustica necessaria”. Cioè sparate quanto più volete basta che sia, secondo voi, necessario.
Interessante che la Basilicata abbia espresso parere negativo e che anzi, il governatore lucano, Marcello Pittella, del Pd, sia anche il capofila, delle Regioni referendarie. Cosa farà adesso Marcello Pittella? Griderà allo scandalo? Andrà su tutte le televisioni di Basilicata e d’Italia a dire che è inaccettabile che il governo, Pd o non Pd, prenda decisioni così contrarie alla volontà sua e della sua Regione? O semplicemente farà finta di niente, e resterà in un salomonico silenzio finché tutto l’approvabile sia stato approvato, ispezionato, trivellato? (FQ)

Altro airgun, altri 620kmq di mare regalato alla Shell nel golfo di Taranto

D 74 FR SH -- Shell, 620kmq - Approvata 13 Ottobre 2015
 d 73 FR SH -- Shell, 730kmq - Approvata 13 Ottobre 2015




Restano in bilico queste altre della Global Petroleum e della Global Med qui e' tutto global :) 

 d 80 FR GP -- Global Petroleum, 745kmq - In fieri

d 81 FR GP -- Global Petroleum, 750kmq - In fieri


d 82 FR GP -- Global Petroleum, 746kmq - In fieri

 d 83 FR GP -- Global Petroleum, 746kmq -  In fieri

d 85 FR GP -- Global Med 748kmq  - In fieri
d 86 FR GP -- Global Med 748kmq -  In fieri
d 87 FR GP -- Global Med 737kmq  - In fieri
d 89 FR GP -- Global Med 745kmq - In fieri
d 89 FR GP -- Global Med 749kmq - In fieri

venerdì 23 ottobre 2015

Scatole cinesi, pardòn, all'italiana!

Incontro al MiSE, molte le novità sul futuro dell'acciaio tarantino

Un primo incontro per fare il punto della situazione, per poi tirare le somme e stilare una tabella di marcia nel vertice del 29 a Roma. Di questo hanno discusso mercoledì sera nelle stanze del ministero dello Sviluppo Economico il titolare del dicastero, Federica Guidi, i tre commissari straordinari dell'Ilva in amministrazione straordinaria e i segretari nazionali di Fiom, Fim e Uilm.
La novità più importante riguarda la vita della fabbrica per i prossimi tre mesi: il ministro Guidi ha assicurato il pagamento degli stipendi e la tenuta economica dell'azienda, grazie a 100-150 milioni di euro che deriverebbero dal residuo del prestito di 400 milioni di euro delle banche, che ad un certo momento è stato sospeso e adesso è stato invece riattivato.
Altra novità importante riguarda la nascita della new.co che, secondo quanto annunciato dal ministro Guidi, vedrà la luce entro il mese di dicembre. La nuova società dovrebbe vedere al suo interno la Cassa Depositi e Prestiti con una quota che oscillerebbe tra il 50 e il 60% (anche se bisognerà stare molto attenti nel rispettare lo statuto dell'istituto a cominciare dal vincolo della partecipazione temporanea e della natura positiva del bilancio dell'azienda in cui si interviene), alcune banche (tra cui è lecito credere ci saranno Unicredit, Banca Intesa e Banco Popolare che sono i tre istituti di credito più esposti nei confronti della vecchia Ilva Spa e che da tempo sostengono l'azienda con una serie di prestiti che per legge rientrano nei crediti prededucibili) ed infine anche alcuni soggetti privati italiani operanti nel campo della siderurgia. Che in sintesi è molto vicina alla linea che da tempo soprattutto Federacciai e Confindustria hanno sposato.
La new.co, una volta creata, prenderà in affitto per 2-3 anni gli impianti produttivi con cessione del ramo specifico, in modo tale da ripartire da “zero” lasciando così i debiti in quella che sarà a tutti gli effetti la vecchia Ilva Spa, sulle cui vicende e sui cui creditori a novembre ci sarà presso il tribunale fallimentare di Milano (nello scorso gennaio ha constatato uno stato di insolvenza per quasi tre miliardi di euro) la prima udienza: sono infatti oltre 20mila le istanze di insinuazione al passivo presentate dai creditori, tra cui sono presenti in gran numero le aziende dell'indotto. Una volta affittati gli impianti, la new.co gestirà l'Ilva per un periodo che, nelle previsioni del governo, oscilla tra i 24 e i 36 mesi, durante i quali dovrà avvenire il tanto agognato e sin qui poco realizzato risanamento ambientale, con l'attuazione di tutte le prescrizioni presenti nel piano ambientale dei commissari che ha recepito le 96 prescrizioni dell'autorizzazione integrata ambientale (AIA). Proprio nella riunione di giovedì prossimo a Roma potrebbe avvenire la presentazione del piano di ristrutturazione elaborato dai commissari, che dovrà essere approvato dal ministero e dal governo. In quella sede si discuterà anche della costituzione del Fondo turnaround, una società di servizio approvata dal governo con un decreto la scorsa estate, che prevede l'ingresso nel fondo di enti e fondi d'investimento: secondo indiscrezioni si parla di una cifra intorno agli 1,6-1,8 miliardi di euro. Staremo a vedere. (Siderweb)

Digressioni legali

Il Gip di Taranto, con la sentenza del 14 luglio 2015, ha posto una questione di legittimità alla Corte Costituzionale sull'art. 3 del DL 4 luglio 2015, n° 92 su limiti e condizioni del sequestro in un'impresa strategica


Il fatto
A seguito dell'infortunio mortale di un operaio dell'Ilva erano stati indagati i dirigenti e i tecnici dello stabilimento sia per omessa predisposizione di protezioni e dispositivi idonei a garantire l'incolumità dei lavoratori, presso l'altoforno dell'Ilva, che per la mancata predisposizione di strumentazioni per il prelievo della ghisa e la misurazione della temperatura (artt 110 - 437, co. 1 e 2, c.p.); sono stati anche accusati di aver violato la normativa antinfortunistica (art. 71, D.L.vo n° 81/2008).
Per queste ragioni, il Pubblico Ministero aveva disposto il sequestro preventivo d'urgenza dell'altoforno, che era stato successivamente convalidato. Tuttavia a causa dell'introduzione dell'art. 3 del decreto legge 92/2015 ("Misure urgenti per l'esercizio dell'attività di impresa di stabilimenti oggetto di sequestro giudiziario"), i difensori dell'Ilva ritenevano che il Pm dovesse sospendere l'esecuzione del sequestro.

L'eccezione di illegittimità costituzionale del Pm
Il Pm, ha ritenuto opportuno declinare la sua competenza esprimendo parere contrario sull'istanza dei difensori dell'Ilva, rimettendo gli atti per la decisione al Giudice per le indagini preliminari (G.i.p.).
Secondo il Pm, il decreto in questione non è in grado di annullare il sequestro in atto in quanto la competenza è riservata al Gip poiché era stato lui stesso ad aver emesso il decreto.
Inoltre, per il caso di specie non si può applicare la disciplina dell'art. 3 perché riguarda quelle ipotesi in cui il sequestro preventivo impedisce l'esercizio dell'attività d'impresa eventualità che però non era stata motivata dai ricorrenti.
Per tali ragioni il Pubblico Ministero ha quindi proposto un'eccezione di illegittimità costituzionale dell'art. 3 del decreto legge 4 luglio 2015, n° 92, in base all'art. 41 della Cost., ne punto in cui dispone che "l'iniziativa economica non può svolgersi in modo da arrecare danno alla dignità umana", e agli articoli della Costituzione riguardanti i diritti inviolabili dell'uomo, quali la vita, la salute e il lavoro strettamente connesso alla sicurezza.
Secondo il Pm, il decreto del 2015, riconoscendo all'impresa il compito di predisporre unilateralmente un piano di misure aggiuntive senza sottoposizione ad alcun sindacato, non realizzerebbe un bilanciamento tra il diritto alla salute e all'ambiente salubre ed il diritto all'iniziativa economica.

Le considerazioni del giudice per le indagini preliminari
Il Gip ha quindi rilevato la questione della competenza sul sequestro preventivo, affermando che per poter capire quale fosse l'organo competente, è prima necessario collocare l'art. 3 del D.L. n° 92/2015 all'interno dell'ordinamento.
I commi 2 e 3 dell'articolo in esame prevedono che le imprese di interesse strategico nazionale sottoposte a sequestro, devono predisporre un piano di intervento e sono sottoposte per l'esercizio dell'attività d'impresa a un vincolo di durata massima pari a un anno.
Quindi il provvedimento giudiziario ipotizzato nell'art. 3 riguardando un sequestro già in atto e la relativa esecuzione deve essere adottato dal giudice che ha disposto il sequestro e non dal Pm, il quale deve solo provvedere agli adempimenti esecutivi.
Alla luce di queste considerazioni spetterebbe dunque al Gip, la decisione sull'istanza avanzata dai difensori dell'Ilva, in quanto organo che ha adottato il provvedimento di sequestro.
Tuttavia, secondo il Gip alla controversia in esame non si dovrebbe applicare l'art. 3 poiché, come già sottolineato in precedenza dal Pm, riguarda una tipologia di sequestro atta ad impedire l'esercizio dell'attività d'impresa.
Il Gip ha anche precisato che il caso Ilva è contemplabile nelle disposizioni contenute all'art. 1, c. 4 del DL 3 dicembre 2012, n. 207 nel punto in cui prevede che il Ministero dell'Ambiente può autorizzare, a date condizioni, la prosecuzione dell'attività produttiva per un periodo di tempo determinato
Nonostante ciò, pare che il legislatore abbia inteso applicare l'art. 3 al sequestro de quo, pertanto, secondo il Gip risulta indispensabile verificarne comunque la legittimità costituzionale.
Il giudice ha quindi evidenziato che l'art. 3 era stato promulgato dal Governo per neutralizzare gli effetti del sequestro disposto sull'Altoforno, e che il richiamo al DL 207/2012 nel decreto del 2015, sembrava finalizzato a estendere al nuovo articolo la copertura di costituzionalità riconosciuta dalla sentenza n. 85/2013.
Sempre a detta del Gip quel tipo di decisone era stata presa soltanto perché l'impresa aveva rispettato un provvedimento amministrativo (AIA) con cui si era impegnata ad adeguare gli impianti alle migliori tecniche disponibili. Inoltre, il DL 207/2012, contiene un rinvio al Codice ambiente con cui all'art. 29-decies erano stai predisposti una serie di controlli e interventi da parte delle autorità competenti, che possono sfociare anche in misure sanzionatorie in rapporto alla gravità delle eventuali violazioni accertate.

La ratio del provvedimento è dunque quella di provvedere al risanamento degli impianti, per ridurre le emissioni nocive alla salute e all'ambiente, senza dover necessariamente chiudere lo stabilimento. Qualora l'impresa non osservi le disposizioni, l'autorità sanzionerà le relative inadempienze.
È però opportuno sottolineare che nel DL 92/2015 non c'è alcun riferimento ad un provvedimento come quello AIA previsto nel DL 207/2012.
Difatti, nell'art. 3, per i sequestri relativi ad impianti di interesse strategico nazionale e per i reati inerenti alla sicurezza dei lavoratori, il Governo ha posto soltanto due limiti: la durata della sospensione non superiore a un anno e l'onere per l'impresa di predisporre un piano anche provvisorio, per la tutela della sicurezza sui luoghi di lavoro.
Non si fa riferimento al tipo di misure di sicurezza da adottare, che dovrebbero invece garantire la sicurezza dei lavoratori, come accade nel DL 207/2012, che prevede l'obbligo che le misure debbano essere quelle conformi alle migliori tecnologie disponibili.
Stando a quando disposto nell'art. 3 l'azienda ha quindi solo l'obbligo di comunicare la predisposizione del piano ad alcune autorità amministrative, e non all'autorità giudiziaria procedente.
L'attività di costante monitoraggio delle aree di produzione oggetto di sequestro è di competenza dei Vigili del fuoco, dell'ASL e dell'INAIL, che hanno la facoltà di svolgere ispezioni dirette a verificare l'attuazione delle misure ed attività aggiuntive previste nel piano. Ciò nonostante, non è previsto alcun apparato sanzionatorio in caso di insufficienza o inadeguatezza degli interventi aziendali, o per la mancata realizzazione di quanto indicato nel piano.
In questo modo l'art. 3 paralizza il provvedimento di sequestro dell'autorità giudiziaria grazie all'attivazione da parte dell'impresa del provvedimento, con il solo obbligo di comunicarlo solo ad alcuni enti.
In questo modo l'ordinamento italiano consente che un'azienda, se d'interesse strategico nazionale, possa continuare a svolgere la propria attività anche quando il suo esercizio può aggravare le conseguenze di un reato, per la durata di un anno, grazie alla predisposizione e comunicazione di un piano di interventi ad alcuni enti pubblici, i quali non possono sindacarne contenuti ed attuazione.

La questione di legittimità sollevata dal Gip
La questione di legittimità riguardava quindi non soltanto l'art. 2 della Costituzione (diritti inviolabili dell'uomo) ma l'art.3 della Costituzione (principio di uguaglianza).
Infatti, l'esposizione dei lavoratori delle imprese di interesse strategico a fattori di rischio più elevati, è una forma di diseguaglianza rispetto ai lavoratori che svolgono la loro attività in aziende che non sono di interesse strategico.
L'art. 4 della Cost, invece, riconoscendo a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuovendo le condizioni che rendano effettivo questo diritto, sancisce il diritto al lavoro di ogni singolo cittadino. Ciò perché il lavoratore deve operare in condizioni di massima sicurezza. Non a caso l'art. 35 Cost., tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni, affermando il diritto ad un'esistenza libera e dignitosa come quello all'equa retribuzione, alla formazione ed elevazione professionale, alla durata massima della giornata lavorativa, al riposo settimanale, alle ferie retribuite, all'assistenza previdenziale.
Pertanto, l'art. 3 risulta decisamente in contrasto con il dovere di tutela del lavoro. In relazione all'art. 32 della Cost., il Gip afferma che con l'articolo in esame non sarebbe tutelato il diritto alla salute, in quanto non ha disposto un istituto o una procedura come quella AIA prevista dal DL 207/2012.
L'art. 41 prevede che l'attività economica privata non possa svolgersi in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana, ponendosi in netto contrasto con il fatto che l'altoforno, nei giorni successivi all'incidente mortale aveva manifestato dispersioni incandescenti e che quindi non è in grado di garantire la sicurezza dei lavoratori.
Infine, l'art. 112 Cost,. afferma il principio dell'obbligatorietà dell'azione penale da parte del Pubblico Ministero, il quale si occupa della repressione dei reati, e della loro prevenzione. Ed invece, l'art. 3 permette il perpetuarsi di una situazione penalmente rilevante, privando di efficacia i provvedimenti preventivi doverosamente adottati a tal fine dalle competenti autorità giudiziarie, incidendo sulla loro potestà costituzionale.
In conclusione, secondo il Gip di Taranto, non è possibile definire la questione posta dai difensori dell'Ilva con l'incidente di esecuzione, senza prima verificare la legittimità costituzionale dell'art. 3 del decreto legge 4 luglio 2015, n° 92. Così facendo, il Gip ha posto la questione di legittimità sull'art. 3 del DL 92/2015 e conseguentemente ha disposto l'immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale. (Insic)

giovedì 22 ottobre 2015

Ragazzo di fumo

‘Venditori di fumo': Taranto, l’Ilva e l’eterno ricatto tra lavoro e salute

Venditori di fumo”, di Giuliano Pavone, è un libro che parla di Taranto e del suo rapporto con la grande industria siderurgica che sul suo territorio ha impresso il proprio segno, con un sodalizio forse inscindibile, dalle molteplici ricadute occupazionali, ambientali e politiche. L’espressione che dà il titolo al libro, vendere fumo, proviene da intercettazioni telefoniche, e rende bene il senso di quell’opaca cortina di “disinformazione e connivenze”, sorta intorno al complesso industriale tarantino, della quale Pavone parla in modo dettagliato. Grazie alla quale, secondo l’autore, “Gli italiani ignorano, o al limite sanno vagamente, che in una città del loro Paese il pascolo è stato inibito nel raggio di 20 km, che migliaia di capi di bestiame sono stati abbattuti e che in un quartiere, il quartiere Tamburi, un’ordinanza comunale vieta il gioco nelle aree verdi perché contaminate. Ugualmente sotto silenzio è passata, all’inizio del 2012, la notizia che il nesso fra le emissioni delle fabbriche, e le malattie e i decessi che a Taranto si verificano oltre la media, è stato accertato in modo incontrovertibile”.
Giuliano Pavone ricostruisce dettagliatamente le vicende che hanno trasformato Taranto, città antica, di fondazione spartana, in una realtà parzialmente misconosciuta ai più, assurta agli onori delle cronache solo sporadicamente, in occasione delle morti bianche degli operai. O, infine, quando è scoppiato, finalmente, il bubbone giudiziario, con i procedimenti che hanno visto contrapposti da un lato la Procura di Taranto, il fronte ambientalista e quello dei cittadini tarantini, sempre più preoccupati per le ricadute ambientali della produzione di acciaio sulla città, e, dall’altro, il fronte politico-sindacale. Secondo Pavone questo divario emerse il 2 agosto 2012, proprio a Taranto, in un burrascoso e contestato comizio sindacale.
La lucidità della doviziosa ricostruzione giornalistica viene interrotta solo sporadicamente da brevi riflessioni (venate di nostalgia) sulla bellezza di una città che avrebbe meritato un altro modello di sviluppo, più idoneo a valorizzarne territorio e potenzialità inespresse. “Taranto è una collana gettata da una mano distratta. Ma con una certa eleganza, con quella grazia naturale che si trova solo – talvolta – nei gesti casuali e frettolosi”.
Il rapporto simbiotico tra città e siderurgico si è concretizzato in una “monocultura dell’acciaio”, a causa della quale “per ogni cosa che non sia civiltà dell’acciaio, vecchio o nuovo che sia, non c’è spazio”. Asfissia, dunque, per ogni alternativo modello di crescita che non sia parte dell’indotto “monoculturale”.
Il gip Patrizia Todisco dispose il sequestro degli impianti, suscitando non poco malumore nella politica nazionale, fin nelle alte sfere, oltre che il fondato timore, degli operai, di perdere il lavoro. Venne presentato, quel sequestro, come un’improvvisa calamità, invece che, come dice Pavone, “il portato di una lunga catena di azioni e omissioni”. Si arrivò a dire che il vero problema fosse la presenza del rione Tamburi a ridosso dell’Ilva… Si ricorda, nel libro, che le ordinanze, in realtà, chiedevano quel che sempre si è chiesto: “Che l’Ilva smetta di inquinare oltre i limiti consentiti”, sostenute, in tal senso, da due perizie tecniche rilevanti: “A Taranto la gente si ammala di cancro (e non solo) più che altrove. E ciò dipende dall’inquinamento industriale. L’hanno stabilito due perizie, una epidemiologica e l’altra chimica, commissionate dal giudice per le indagini preliminari Patrizia Todisco nell’ambito di un procedimento che vede il colosso siderurgico Ilva sul banco degli imputati”.
Si aprì, così, un caso giudiziario, tuttora in corso, che travalica il mero ambito penale, imponendo all’attenzione dei media il rapporto pericolosamente conflittuale tra salute e lavoro. Nel libro si familiarizza con parole chiave come benzoapirene (e relativi largheggiamenti nei limiti, tutti italiani…), diossina, polveri sottili, PM10, eccessi di mortalità in età pediatrica; leggerete storie tragiche, come quella del piccolo Lorenzo, e del suo coraggioso papà, conoscerete le dinamiche odiose del “ricatto occupazionale”.
Nata sulle ceneri dell’Italsider, “cattedrale nel deserto”, Ilva è esempio paradigmatico di industrializzazione top-down. Ma tra il 1960 e oggi, cosa è cambiato, nell’industria e nei tarantini? Pavone racconta il nuovo innamoramento tra tarantini e città. Parla della ricerca di nuove soluzioni. Venditori di fumo contiene tante pagine di speranza. Ma, si badi bene, una speranza costruita su idee e partecipazione dei cittadini. Non una speranza calata, anch’essa, dall’alto, come un decreto, o come l’Italsider. (FQ)

Bella di Abatantuono

«Belli di papà» dal Messico alla Puglia di Abatantuono

È stato quasi interamente girato a Taranto e in provincia il film Belli di papà prodotto dalla Colorado Film di cui è presidente Maurizio Totti, con la regia di Guido Chiesa e protagonista Diego Abantantuono, nelle sale dal 29 ottobre. Ispirata all’originale film messicano Nosotros Los Nobles, la versione italiana dal titolo Belli di papà mette il dito sul rapporto genitori/figli, un argomento di scottante attualità e che qui trova una declinazione inedita, quando il ricco padre decide di emigrare dal Nord al Sud, facendosi seguire dai suoi tre figli superficiali e spendaccioni i Belli di papà, per l’appunto, in cerca di una «redenzione», di una nuova vita e anche di un lavoro.

Li troveranno al Sud, con precisione a Taranto dove i tre figli dovranno convivere con un’altra realtà e assumere una nuova coscienza.

«Quando abbiamo deciso di realizzare il film – spiega Maurizio Totti della Colorado – siamo andati alla ricerca di un posto del Sud, che in qualche modo ricordasse Città del Messico, dove era ambientato Nosotros Los Nobles, perché abbiamo pensato che il Sud di tutto il mondo si somiglia. Il primo pensiero è stato per la Puglia, perché Diego Abatantuono si è sempre considerato pugliese a tutti gli effetti, con il padre nato a Vieste, dichiarando in ogni occasione che in Puglia si è sempre sentito a casa, tant’è che in quella terra è sempre venuto volentieri a girare alcuni suoi film».

Scelta la regione si è poi passati a individuare la giusta location, «che abbiamo trovato nella città di Taranto e nella sua provincia, non ancora sfruttate dal cinema e senza le solite immagini da cartolina. Un set adatto per ambientarci un film, lontano dal clamore e da un turismo eccessivo. E poi Taranto Vecchia è affascinante e nella sua decadenza mantiene ancora il fascino di un’antica nobiltà, lo splendore della greca Taras, racchiuso nelle vestigia del suo Museo Archeologico Nazionale. Ma nel capoluogo jonico s’affaccia anche il presente, quando dalla vecchia casa in cui si è rifugiata la famiglia milanese irrompe dai vetri di una finestra lo skyline delle luci dell’Ilva che si riflettono sul mare».

Ma continua Totti a proposito dell’Ilva: «Non abbiamo fatto un film di denuncia ambientale e sui danni che il siderurgico ha prodotto, perché la nostra intenzione era quella di realizzare una commedia che facesse ridere, ma anche riflettere». Ed ancora: «La scelta della Puglia si imposta anche perché c’è una Film Commission funzionante e molto attiva, ben avviata in tutti i suoi settori e per chi deve girare un film è importante trovare tecnici e personale competente in quanto si possono ridurre le spese di produzione e lavorare con sicurezza. Nel periodo di lavorazione non abbiamo trovato nessuna difficoltà o impedimento di qualsiasi natura ma tanta collaborazione e partecipazione da parte dei tarantini e dai cittadini della provincia che facevano a gara per darci il loro contributo e questo non solo: non solo a Taranto, ma anche a Manduria, San Marzano, Avetrana, che spero possa far dimenticare tutta quella cronaca negativa che in quest’ultimo periodo l’ha marchiata».

In conclusione Maurizio Totti si augura che il film possa portare a Taranto quella visibilità «che mie precedenti produzioni come Puerto Escondido e Mediterraneo hanno dato a quelle località del Messico e della Grecia, dove quei film sono stati girati». (GdM)

mercoledì 21 ottobre 2015

Logisticamente...

Taranto tra le prime d’Europa

Tra i primi 20 porti europei, tre porti italiani: Genova, Trieste e Taranto. La Commissione europea ha, infatti, individuato i principali 319 porti marittimi europei, che sono fondamentali per un funzionamento efficace del mercato interno e dell’economia europea, 83 dei quali sono riconosciuti come porti della rete centrale ed ora ha svolto un riesame dei porti che si concentra su queste 319 strutture “in quanto basi per un ottimo funzionamento della rete portuale europea che gestiscono il 96% delle merci e il 93% dei passeggeri che transitano attraverso i porti dell’Ue”.
«Il nostro porto - dicono dallo Ionian Shipping Consortium - è l’unico del Mezzogiorno d’Italia di rilevanza internazionale ed è naturale che nella riforma che porta il nome del ministro Delrio, sia stata una scelta obbligata quella di confermare a Taranto la sede dell’unica Autorità Portuale di Puglia che incorpora Brindisi, Bari e Manfredonia. Il Porto di Taranto e la sua poliedricità dunque possono davvero diventare volano di ripresa e rilancio nella nostra economia a patto che la città sia consapevole, in tutte le sue articolazioni politiche e amministrative, della centralità del Porto inteso come sistema di moli e di retroportualità attrezzata all’intermo-dali-tà trasportistica. Del resto gli abituali utilizzatori del Porto, come la nuova gestione pubblica dell’Ilva, hanno potuto constatare anche lo spirito collaborativo con il quale gli operatori marittimi concorrono ad una ripresa effettiva della grande infrastruttura». Secondo lo Ionian Shipping Consortium «una delle provocazioni non soltanto lessicale è quella di iniziare a coniugare il termine polisettoriale non soltanto per il famoso “molo” e pensare fattivamente ai nuovi mercati che si prospettano: dall’agroalimentare all’energetico vegetale fino al crocieristico. Oggi però l’impegno per tutti deve essere quello di consegnare al Porto di Taranto il giusto ruolo che ad esso compete nel panorama infrastrutturale pugliese e nazionale». (Tasera)

Diritti umani impolverati

Ilva: il caso-Taranto arriva alla Corte Europea, ecco i primi ricorsi

Ambiente e salute. Due principi che a Taranto hanno vita difficile. Anche oggi e nonostante tutte le prese di coscienza a Taranto poco o nulla è stato fatto per tutelare la salute pubblica e difendere la cittadinanza dall’inquinamento. Un gruppo di residenti di Taranto ha presentato alla Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) un ricorso collettivo per denunciare la violazione da parte dello Stato italiano degli obblighi di protezione della vita e della salute in relazione all’inquinamento prodotto dall’Ilva.
L’annuncio dei residenti viene diffuso, per il tramite dei loro legali, in coincidenza con la celebrazione della prima maxi udienza dinanzi alla Corte d’Assise di TarantoTra le doglianze sollevate di fronte alla CEDU dai ricorrenti – difesi dallo Studio Saccucci Fares di Roma – figurano in particolare la violazione del loro diritto alla vita e all’integrità psico-fisica, in quanto le autorità nazionali e locali hanno omesso di predisporre un quadro normativo ed amministrativo idoneo a prevenire e ridurre gli effetti gravemente pregiudizievoli sulla vita e sulla salute dei residenti derivanti dal grave e persistente inquinamento prodotto dal complesso dell’Ilva, e la violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare, anche in conseguenza dei ripetuti decreti c.d. “salva Ilva” con cui il Governo ha mantenuto in funzione l’impianto sotto la propria gestione a dispetto della normativa europea e delle decisioni della magistratura.
Trattandosi di un caso di importanza generale in cui è a rischio la vita e la salute dei ricorrenti, i legali confidano di ottenere dalla Corte di Strasburgo la trattazione urgente del ricorso ed il suo accoglimento nel merito con una sentenza “di principio” che imponga allo Stato italiano di adottare le misure necessarie a rendere la produzione dell’Ilva conforme alle disposizioni ambientali nazionali ed europee.
“È inaccettabile che le pubbliche autorità non abbiano ancora adottato le misure idonee a rendere l’impianto rispondente alle prescrizioni ambientali, vanificando ripetutamente gli interventi della magistratura. Così come è inaccettabile – conclude l’avvocato Andrea Saccucci, che difende i ricorrenti – che gli abitanti di Taranto continuino ad ammalarsi ed a morire a causa dell’inerzia dello Stato”. (Pugliain)

martedì 20 ottobre 2015

Cominciamo bene...

Ilva, iniziato e subito rinviato il maxiprocesso a Taranto. Pm: a noi compete lotta ai reati

All’ex assessore regionale e attuale parlamentare di Sel Nicola Fratoianni, imputato per favoreggiamento, il decreto che dispone il giudizio è stato notificato soltanto lo scorso 30 settembre dalla Guardia di Finanza e così, alla luce degli almeno 20 giorni prima tra la notifica e l’avvio del processo dettati dal codice di procedura penale, il vero avvio del processo «Ambiente svenduto» sull’inquinamento provocato dall’Ilva, slitta al 1° dicembre.
Rinvio annunciato e per alcuni versi salutare. L’aula «Alessandrini» del Palazzo di Giustizia è troppo piccola (e anche non impiantisticamente dotata, non essendoci più le luci e i microfoni che la trasmissione «Un giorno in Pretura» assicurò per il processo Scazzi) per contenere 47 imputati, oltre cento avvocati, un migliaio di parti civili, una quarantina tra giornalisti fotografi e operatori e il pubblico prevedibile in occasione delle udienze-clou. Così, la prossima volta, con le notifiche regolari, l’aula magna dell’ex scuola addestramento reclute dell’Aeronautica militare farà da adeguato palcoscenico ad un dibattimento destinato a scrivere (o a riscrivere, a seconda dei punti di osservazione) la gestione privata (1995-2013) della più grande acciaieria d’Europa.
Certo, Fratoianni con la sua presenza in aula avrebbe potuto sanare il difetto di notifica, ma il suo legale, prima nei giorni scorsi fuori udienza e ieri direttamente al microfono, ha invece tenuto a far rilevare l’irregolarità, rendendo l’appuntamento di ieri utile unicamente per capire quanto dura l’appello di tutte le parti (61 minuti, con una lettura anche molto spedita) e consentire a chi parte non lo è ancora - come duecento residenti al rione Tamburi, due associazioni di consumatori e l’Asl di Taranto - di depositare richiesta di costituzione.
«Abbiamo ritenuto - spiega il direttore generale dell’Asl Stefano Rossi alla Gazzetta - di affidare un mandato all’avvocato Stefano De Francesco perché, al di là di quello che sarà l’esito del processo, è opportuno che l’Asl capisca cosa è successo in questi anni a Taranto, portando anche il suo contributo tramite i dati raccolti dal dipartimento di prevenzione. Si tratta di un processo che riguarda la salute dei tarantini, l’Asl non poteva non esserci e, voglio sottolinearlo, senza badare al risarcimento che eventualmente sarà stabilito».
La riapertura del fronte parti civili sarà al centro della prossima udienza perché, oltre alle nuove richieste, ieri Legambiente tramite gli avvocati Eligio Curci e Ludovica Coda, e a seguire con l’annuncio fatto dai ministeri dell’Ambiente e della Salute con l’avvocato dello Stato Antonio Tarentini e la Regione Puglia con l’avvocato Salvatore D’Aluiso, intendono chiamare nuovamente in causa le tre società (Ilva, Riva Fire e Riva Forni Elettrici) imputate ai sensi della legge 231 che disciplina la responsabilità amministrativa delle imprese. In sede di udienza preliminare era stata presentata da più parti richiesta di costituzione di parte civile contro le tre società ma il giudice Vilma Gilli l’aveva rigettata, uniformandosi alla giurisprudenza che ritiene inammissibile la richiesta di costituzione di parte civile perché nella legge 231/2001 tale evenienza non è proprio prevista, e non per distrazione o per dimenticanza, ma per scelta. Silenzio, però, letto in maniera diversa dalle parti in causa che richiamano un pronunciamento della Corte di Giustizia Europea del 9 febbraio 2011 secondo la quale la legge 231 del 2001 non impedisce alla vittima di un reato di chiedere il risarcimento dei danni direttamente causati da tale reato, nell’ambito del processo penale, alla persona giuridica autrice di un illecito amministrativo.
Una battaglia non irrilevante perché ballano miliardi di euro, gli oltre 30 chiesti da tutte le parti civili sia alle persone fisiche che alle società in giudizio. Il 1° dicembre sarà la Corte d’Assise (presidente Michele Petrangelo, giudice a latere Fulvia Misserini e sei giudici popolari) a dover entrare nel merito, esaminando sia le nuove richieste delle parti civili che la prevedibile opposizione delle difese degli imputati. La Corte d’Assise dovrà anche valutare la richiesta di patteggiamento che gli avvocati dell’Ilva Angelo Loreto e Filippo Sgubbi riproporranno dopo che in udienza preliminare la Procura negò il consenso, mettendo il giudice Gilli nelle condizioni di passare oltre.
Nel collegio difensivo va segnalata la formalizzazione della nomina del professor Franco Coppi a legale di Fabio Riva, l’unico imputato ad essere detenuto. Coppi ha già assistito la famiglia Riva in occasione del maxi-sequestro da oltre 8 miliardi di euro disposto dal giudice Patrizia Todisco nel 2013, curando gli interessi di Riva Fire e ottenendo il 20 dicembre dello stesso anno l’annullamento senza rinvio da parte della Corte di Cassazione. (GdM)

Donna? No, Diossina!

Processo Ilva, il ‘fattore D’ e le altre novità

Non è la prima volta che Ilva finisce sotto processo. Ma questo processo ha sette novità importanti da segnalare:
1) Fattore D: Diossina. Tocca l’avvelenamento delle sostanze alimentari. Reato per cui sono previste pene altissime. Mai era stato toccato questo aspetto a Taranto.
2) Fattore P: Politica. Tocca politici che hanno governato. Mai era stato violato questo “livello eccellente” a Taranto per i processi ambientali. Ed è una novità dirompente anche nel panorama nazionale.
3) Fattore E: Epidemiologia. Mai era stata fatta un’indagine epidemiologica per accertare il nesso fra inquinamento e salute sull’intera città di Taranto.
Inoltre vanno segnalati altri aspetti di assoluta importanza:
4) Disastro ambientale: il processo per la prima volta in Italia abbraccia un territorio così ampio (per la diossina sono stati interdetti i pascoli liberi in un raggio di 20 chilometri);
5) Parti civili: siamo arrivati a superare le 1300 parti civili, l’estensione della richiesta di risarcimenti coinvolge ormai ampi pezzi della città, a parte i 20 mila creditori che bussano alle porte dell’Ilva nel tribunale fallimentare di Milano;
6) Associazione a delinquere: una gravissima accusa è stata mossa a molti imputati, ed è argomentata anche con intercettazioni telefoniche che mai erano state effettuate a Taranto e che hanno scoperchiato un mondo inquietante;
7) Processo apripista: molte città inquinate in Italia guardano a Taranto come ad un esempio a cui ispirarsi: chiedono anch’esse giustizia.

lunedì 19 ottobre 2015

(S)concorrenti

Peacelink ha inviato oggi una lettera alla Commissione Europea Concorrenza

Peacelink ha inviato oggi una lettera alla Commissione Europea Concorrenza, facendo seguito ad una denuncia effettuata dalla stessa associazione nell’agosto 2014.
Antonia Battaglia aveva portato allora la Commissione a conoscenza di una possibile violazione del diritto europeo in materia di concorrenza da parte del governo italiano, finalizzato a erogare fondi pubblici ad ILVA al fine, probabilmente, di coprire i debiti dell’azienda siderurgica e di rilanciarne la produzione.
Peacelink, già autrice della denuncia che ha portato la Commissione Europea Ambiente a lanciare una procedura di infrazione contro l’Italia per il non rispetto delle norme in materia di inquinamento industriale, ha voluto sottolineare con questa nuova lettera che la preoccupazione è generata dal fatto che i fondi, che vengono presentati come necessari a opere di risanamento e adeguamento ambientale, potrebbero in realtà essere utilizzati per garantire il funzionamento corrente dell’ILVA.
La lettera indica, inoltre, che la questione ambientale è sempre all’ordine del giorno viste le emissioni ( quelle evidenti e non) e considerato che la preoccupazione generata dal continuo impatto ambientale dello stabilimento è molto diffusa e avrebbe portato la magistratura, secondo fonti giornalistiche, ad aprire nuove indagini.
Domani a Taranto comincia il processo ILVA. Peacelink chiede quindi alla Commissione Europea di accertare che l’uso di nuovi prestiti delle banche all’ILVA non collida con le direttive europee e non sia finalizzato a tamponare una emorragia di perdite consistenti e continue.
In allegato il testo originale.
Per Peacelink: Antonia Battaglia, Alessandro Marescotti, Luciano Manna

Allegati

  •  
    Brussels,    19    October  2015   
       
    Commissioner  Vestager, Competition  European  Commission   
    CC:  Commissioner    Vella, Environment    European  Commission      

    Dear  Commissioner,      
       
    Peacelink     has     brought     to     the     Commission’s     attention     already     in     August     2014    (SA.38613(2014/CP))  that  in the  financial management of ILVA, there could have    been    an    alleged    infringement    of    the    state    aid    rules    of    the    European    Union.       
    As   You   know,   Peacelink   is   the   author   of   the   denunciation   that   led   the   European    Environment    Commission    to    launch    the    infringement    procedure    against    Italy    on    industrial    pollution.     
    Our concern  is  that  the Italian government could have adopted laws which approve the use of  sums seized  by magistrates for  ILVA’s fiscal evasions. Moreover, it       would       appear       that       the       Italian       government       uses       public       money,    through     the   support   to   banks   that   extend   loans   to   ILVA,   for   all   urgent   matters    concerning    ILVA’s    debts,    daily    financial    management    and    payments.       
    We  are    in    fact    deeply    preoccupied    that    while    it    is    advocated    that    these    sums    are    needed    to    put    the    plant    at    norm     and    to    put    in    place    urgent    measures    to    stop    pollution         and       ameliorate       the       obsolete      infrastructure,      in    reality      all      measures    foreseen           by         the         ILVA       permit         have         not         been         realised         and         keep         on         being    postponed     endlessly.     Then,    what   would     loans     and     financial   support   be     for     if    not    to    extend    ILVA’s    production    and    cover    payements?   
    As  Commissioner    Vella    knows,    it    would    really    seem    that    ILVA    keeps    on    infringing    EU     laws   on     pollution.     The     results     are     not   only     visible     day     after     day     in     Taranto     –    emissions       are     very     evident-­‐       but     keep     on     being     reported     by     workers,      citizens,    doctors,    reports    compiled    by    ISPRA,    and    new    investigations    by    magistrates.     

    We   would   thus   like   to   urge   the   EU   Commission   to   investigate   on     the     new     800    million       euros     that     have     been     provided      by     the     Italian     government     to     ILVA,     as    press    has    announced.     
    Urgent  environmental    measures    that    should    have    been    already    realised    long    ago,   
    have     not    been     realised    and    the    situation     in     Taranto    keeps    on    being    extremely  alarming.     
       
    Best    regards,     
    Antonia  Battaglia                         Alessandro    Marescotti                                                     Luciano    Manna       
     

Requiscat

Operaio Ilva morto per tumore,10 assolti

Il gup del Tribunale di Taranto Pompeo Carriere ha assolto otto ex direttori dello stabilimento siderurgico di Taranto (prima Italsider, poi Ilva) e due medici dall'accusa di omicidio colposo per la morte di Nicola Bozza.
    L'uomo, dipendente del reparto Mof dal 1969 al 2004, morì nel 2007 per un 'carcinoma gastrico con metastasi polmonari, epatiche e linfonodali'. Per l'accusa aveva lavorato in un ambiente in cui era presente l'amianto, senza esserne informato. (Ansa)

E che contratto!

Taranto: tavolo istituzionale definisce contratto sviluppo

Oggi a Taranto, durante la riunione del tavolo istituzionale, presieduta dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Claudio De Vincenti, affiancato dal sottosegretario alla Difesa Domenico Rossi, e' stato definito il Contratto Istituzionale di Sviluppo (Cis), che monitora gli interventi di riqualificazione e sviluppo del territorio della citta' e dei Comuni di Statte, Crispiano, Massafra e Montemesola. Il contratto, si legge in una nota, vale circa 800 milioni, di cui 390 milioni per il sistema portuale, 207 per il completamento dell'ospedale, 91 per le bonifiche, 89 per l'edilizia abitativa e la riqualificazione del centro storico, 30 milioni per altre infrastrutture. De Vincenti ha spiegato che "possiamo ritenere rispettata la road map che ci eravamo dati fin dall'inizio e quindi puntare ad arrivare a breve, entro i primi giorni di novembre, al Cipe per l'approvazione del Contratto, per passare poi alla firma vera e propria entro il prossimo mese". Presenti anche, a rappresentare la complessita' e l'interdipendenza del progetto, alti dirigenti dei Ministeri dello Sviluppo Economico, delle Infrastrutture, dei Beni culturali, dell'Ambiente, nonche' dirigenti della struttura di missione, del dipartimento per le Politiche di coesione, dell'agenzia per la coesione territoriale e di Invitalia.(CdM)

E' finita per l'Ilva (?)

Il colpo finale per l’impresa tarantina sta arrivando dal World Trade Organization (Organizzazione Mondiale del Commercio) che, il prossimo anno, classificherà la Cina come “economia di mercato”. Non solo, alla fine di questa storia, si sarà pagato un prezzo altissimo in termini di vite umane e patologia ma, grazie ad una classe dirigente autoreferenziale ed egoista, andrà perduta anche la risorsa occupazionale
di Erasmo Venosi
Il disastro ambientale e sanitario di Taranto continua come  scriviamo da due anni,  ma le lobby sindacali e  partitiche abbarbicate agli scranni e affette da vista corta, sostenute da un Governo che crede nei demiurghi, stanno concorrendo alla distruzione di risorse. Il riferimento è, chiaramente, a Ilva. Bondi, Gnudi, il supermanager ex di Luxottica, Guerra, voluto dal  Presidenti  del consiglio e dal filosofo reggente della Commissione  Industria , Commercio e Turismo del Senato. Ora siamo alla resa dei conti ! Ilva chiuderà il corrente anno  con 450 milioni di perdite e una  produzione complessiva ancora in ulteriore contrazione, dai 5.5 mln di tonnellate a 4.8 . Per il pareggio dei costi di produzione ne necessiterebbe invece 7,5 mln di tonnellate. Gli altoforni in esercizio sono tre con capacità di produzione pari a 6 milioni di tonnellate e la produzione di equilibrio dei costi è possibile solo con la ripartenza dell’altoforno n°5: il più grande di Europa. Il problema però è tutto racchiuso nell’assenza di commesse, e il fenomeno non riguarda solo l’Ilva. I dati relativi alla importazione di acciaio in Italia sono emblematici:  dai Paesi extra UE si è importato un 32% in più e dai Paesi UE un 4,2%. Una rilevante quantità di acciaio importata! L’Ilva è stata anche esclusa dalla fornitura  di acciaio per il gasdotto trans adriatico conosciuto come TAP (Trans Adriatic Pipeline) che porta il gas naturale dal Mar Caspio attraversando Grecia, Albania e approdando a Lecce. Voci fondate  parlano di  altri 250 milioni di debiti maturati verso i fornitori. Il Commissario Gnudi sta lavorando per ulteriore credito,  circa 200 milioni di euro, che rappresentano le risorse se concesse per tirare avanti fino all’inizio del 2016. Il colpo finale per l’impresa tarantina sta arrivando dal World Trade Organization (Organizzazione Mondiale del Commercio) che, il prossimo anno, classificherà la Cina come “economia di mercato”. Conseguenza, questa, dell’entrata della Cina l’11 dicembre del 2001 nel WTO. La Cina ritiene che l’ammissione al WTO implichi la classificazione, per il prossimo anno, di “economia di mercato”.
Quali le implicazioni? Rilevantissime per l’economia europea e dell’eurozona, in particolare. La Cina ha una sovraccapacità produttiva, in molti settori industriali, che comporta l’assalto ai mercati mondiali attraverso la pratica dei prezzi bassi. In questo modo saturano la loro capacità produttiva e, considerato i sussidi che lo Stato proprietario eroga, praticano prezzi di vendita inferiori  ai costi di produzione. L’offensiva cinese si sta già realizzando nei confronti dell’industria siderurgica indiana perché sono stati  venduti  laminati a prezzi da saldo. I produttori di acciaio indiani hanno chiesto al Governo l’imposizione di dazi all’acciaio cinese importato per un periodo pari a sette mesi. Quest’azione dell’India, a protezione della produzione siderurgica locale, è denominata “dazio compensativo” ed è resa possibile dall’assenza di classificazione della Cina come “economia di mercato” da parte della WTO. Il Governo italiano sembra che abbuia già agito presso l’Unione Europea affinché alla Cina non sia riconosciuto lo status di “economia di mercato”. Va detto con grande onestà che interi settori industriali europei potrebbero saltare nel prossimo anno, a causa dell’espandersi delle produzioni cinesi che inonderanno il mercato a prezzi inferiori a quelli di produzione. Comunque l’Ilva prima, che grazie alla Cina potrebbe “morire“, a causa dell’impossibilità oggi, tra crisi di liquidità, assenza di commesse, costi delle prescrizioni Aia, esigenza di modificazione del ciclo produttivo di raggiungere il cosiddetto punto di pareggio (break even). 
Alla fine sarebbe davvero incredibile aver pagato un costo altissimo, in vite e patologie, e perdere tutta l’occupazione a causa della vista corta di una classe dirigente autoreferenziale ed egoista, incapace di pensare traiettorie di riconversione verso un modello di specializzazione produttiva coerente con la nuova divisione internazionale del lavoro. Contestualmente, bisognerebbe che a livello centrale si avesse consapevolezza che viviamo in un contesto a forte transizione; e quindi un legislatore attento e lungimirante dovrebbe rafforzare i sistemi di sicurezza nei confronti di chi perde il lavoro.  Si può ignorare il recente studio di due ricercatori della Università di Oxford “”The Future of Employment : How Susceptible Are Jobs to Computerisation” nel quale si legge che circa la metà dei posti di lavoro negli Stati Uniti è a rischio di essere automatizzato nei prossimi dieci o al massimo venti anni?  Stessa percentuale è rilevata dal Centro Studi Bruegel per i paesi europei. La nuova ondata d’innovazione tecnologica nei settori dell’intelligenza artificiale, robotica e genomica potrebbero notevolmente influire anche nel lavoro ad alta qualificazione oltre che in quella a bassa. Tutto questo comporta l’espandersi d’ineguaglianza nella distribuzione del reddito come tra l’altro sufficientemente dimostrato da Thomas Piketty nel suo “Il capitale nel XXI secolo “. Allora perché non ripensare l’uso di risorse pubbliche nella difesa dell’ambiente, nella manutenzione del territorio, nella straordinaria ricchezza di arti e tradizioni, nella conoscenza, nell’istruzione, nei sistemi idrici, nelle reti elettriche e nelle comunicazioni e infine nella ricerca di base? Piantandola, infine, di distruggere le Università del Sud con cervellotiche, quanto illegali, sistemi di ripartizione del Fondo di Finanziamento Ordinario! (Cosmopolismedia)

domenica 18 ottobre 2015

C'è poco di che gioire...

Criminalità e reati ambientali, a Taranto la maglia nera

I mali di Taranto? Legalità, reati ambientali e innovazione tecnologica. E’ quanto rileva ICity Rate 2015, l’indagine annuale realizzata da Forum Pa che stila la classifica delle città italiane sul fronte della smartness, analizzando 106 Comuni capoluogo sulla base di 150 indicatori statistici.
Nella speciale classifica la città dei due mari si piazza all’87o posto. Ad incidere maggiormente gli indicatori riguardanti la “legalità”. Taranto è maglia nera per ciò che attiene gli eco reati. Pesante anche il dato riguardante gli amministratori minacciati (104o posto) ed i giornalisti minacciati (91o posto). Incoraggiante il dato riguardante gli appalti. La percentuale di bandi assegnati con il criterio del massimo ribasso è inferiore rispetto a buona parte degli altri comuni capoluogo italiani: Taranto si piazza al 29esimo posto. Poco confortanti anche i dati relativi all’economia. Il capoluogo ionico si piazza negli ultimi posti della graduatoria per quanto riguarda gli indicatori di produttività, imprenditorialità, concentrazione di soggetti di ricerca e sviluppo. In tema di ambiente non tutti gli indicatori sono negativi, visto che Taranto resta al palo per disponibilità verde (104), raccolta differenziata (94), imprese green (90), fotovoltaico municipale (102), iniziative di conferimento dei rifiuti (87).
Per quanto riguarda la qualità dell’aria la nostra città si piazza al 47esimo posto. E’ importante sottolineare come, in questo caso, il dato sia il frutto del calcolo del numero di giorni di superamento del limite di protezione della salute umana previsto per il Pm10. Taranto ottiene invece un buon piazzamento (27) nel controllo dell’aria (centraline fisse di monitoraggio della qualità dell’aria per 100mila abitanti) e nella dispersione della rete idrica (37). (Tasera)

Sparatevele voi!

Golfo di Taranto, ecco i danni che può provocare la ricerca di idrocarburi

Il ministero dell’Ambiente continua a rilasciare autorizzazioni per la ricerca di idrocarburi nel Golfo di Taranto. Pezzo dopo pezzo, buona parte del Golfo sta per essere ceduta ai petrolieri che hanno in mente di bombardare il nostro mare dalla Puglia alla Calabria, su traiettorie lunghe migliaia di chilometri. Il loro scopo è quello di scoprire se nel sottofondo marino esistono giacimenti di idrocarburi sfruttabili e lo fanno utilizzando i micidiali air-gun che generano spaventose esplosioni di aria compressa.
Le esplosioni effettuate ogni 5-15 secondi per settimane e settimane, originano onde sonore che arrivano sul fondo del mare, lo attraversano e, in base a come vengono riflesse o rifratte, forniscono informazioni sulla presenza degli idrocarburi. Il livello sonoro raggiunto dalle esplosioni è impressionante e può arrivare fino a 260 decibel! Si tratta di un rumore difficile anche da immaginare, basti pensare che la soglia del dolore per l’orecchio umano è fissata a 130 decibel e il rumore generato da un tornado arriva a 250 decibel.
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Le impressionanti onde sonore investono tutti gli animali marini che nei casi migliori scappano via terrorizzati, nei peggiori perdono l’udito o subiscono emorragie interne che ne provocano la morte. Gli animali più colpiti dalle esplosioni sono i cetacei dal delicatissimo apparato uditivo, ma anche molti invertebrati, pesci e rettili marini. L’air-gun produce seri danni anche alle attività di pesca che si sostengono con le specie ittiche locali come dimostrato in uno studio condotto nell’oceano Atlantico, dove è stato evidenziato che le catture del merluzzo bianco e dell’eglefino sono diminuite dal 40% all’80% in tutta l’area sottoposta a prospezione. Altri studi evidenziano come l’impatto maggiore delle esplosioni di aria compressa venga esplicato sulle larve e sugli avannotti delle specie ittiche che mostrano purtroppo un alto tasso di mortalità.
Questa evidenza indica come gli air-gun siano disastrosi nelle aree di nursery, ovvero in tutte quelle aree sottomarine scelte dagli animali per riprodursi e dove i giovani individui trascorrono le prime fasi della loro vita. Il Golfo di Taranto racchiude moltissime aree di nursery che tra l’altro sono considerate Habitat prioritari di salvaguardia per la Convenzione di Barcellona
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e Habitat di interesse comunitario per la Direttiva Habitat 92/43/CEE. Le più importanti aree di nursery sono le praterie di Posidonia oceanica, il coralligeno e le scogliere madreporiche a coralli bianchi nel piano batiale che si trovano anche a oltre 1000 metri di profondità e sono sconosciute ai più. E proprio queste ricche barriere coralline di profondità si trovano spaventosamente vicino alle aree che saranno sottoposte alle distruttive ricerche petrolifere. La biodiversità del nostro mare, le specie minacciate come i magnifici cetacei che popolano il nostro Golfo e che attirano turisti e amanti della natura da ogni dove, le popolazioni ittiche che sostengono la pesca locale, gli habitat profondi ancora in parte sconosciuti alla scienza, il cui studio alimenta gli enti di ricerca presenti sul territorio, insomma i nostri beni più grandi sono stati venduti per soddisfare gli interessi dei petrolieri.
Rossella Baldacconi, Dottore di Ricerca (PhD) in Scienze Ambientali