domenica 19 luglio 2015

Tutta colpa della città vecchia? Ma nessuno si chiede se il locale era apprezzato?

Non ci risulta che tutti i locali stiano chiudendo, anzi...

Taranto, finito incanto per i vicoli gli imprenditori sono in fuga

«Le storie d’amore finiscono. Tutto qua». Ha il viso sereno Sergio Mellone. Oggi, ha il viso sereno. Ma per tre anni ha combattuto una battaglia contro l’immobilismo. Contro quel «non cambia mai nulla» tanto caro ad una generazione di quarantenni, rimasti a Taranto quasi per sbaglio. Protesi alla fuga, ma ancorati ai luoghi comuni. Sergio Mellone è il titolare del “Pavino”, il locale di via Duomo, in città vecchia. «Forse da separati io e l’Isola ritroveremo fiducia. E magari torneremo a volerci persino bene». Sergio ha deciso di mettere in vendita la sua attività.
La voce gira da qualche settimana tra i vicoli. Giovedì 16 luglio Pavino ha compiuto tre anni. Dal 24 luglio però il locale va “in ferie”. Qualche apertura straordinaria nei giorni dell’Isola che Vogliamo, la manifestazione più riuscita a Taranto, e poi settembre, che potrebbe essere l’ultimo mese di gestione della famiglia Mellone. Sì, perché Sergio è il titolare, ma attorno c’è una squadra femminile composta da mamma e sorella. «C’hanno messo l’anima qua dentro».
Ed in effetti il locale ha sempre avuto quel tocco delicato nella cura dei dettagli che appartiene alle donne. Schizzi di colore, nei fiori, nelle tovagliette, persino nel cibo, che arginavano il legno duro degli arredi. A lottare, lì dentro, non c’era solo Sergio ma un combinato di anime gentili e d’idee. Eppure non è bastato, l’amore per la città vecchia si è spento. Progressivamente.
«Attendo la vendita e poi capirò cosa fare. Forse aprirò questo progetto altrove. O forse ne scriverò un altro. Ma qui non è più il mio posto». Il tono di voce non è dispiaciuto. Il dispiacere si è consumato in tre anni di incomprensioni. È sempre così: quando si attenua la rabbia, ritorna la lucidità, e quella quiete dentro la quale trovare le risposte. E dopo le risposte arrivano le decisioni.
«Questo non è più il mio posto». Un anno fa, sempre nel mese di Luglio, c’eravamo già occupati del problema del commercio in città vecchia. Si tratta di investimenti importanti e a scatola chiusa, non sostenuti da una politica lungimirante, che aveva e ha un solo compito, ed è quello di mettere radici solide proprio lì dove i matrimoni nascono sotto una cattiva stella. Alleggerire la burocrazia e le file negli uffici, facilitare l’accesso ai documenti, agli immobili, snellire le pratiche, insomma creare condizioni adeguate affinchè chi decide di investire in città vecchia, e le emergenze dell’Isola sono ben note, quantomeno si senta sostenuto, protetto. Questo è il compito della politica.
Ed invece chi investe non solo si ritrova a dover gestire un primo approccio amministrativo complicato, ma anche nel tempo, negli anni, si accorge che la vera sfida è non scappare. Pulizia inadeguata, presidi di sicurezza assenti, illuminazione insufficiente, concessioni di spazi che hanno ritardi inenarrabili. Questa è la fotografia. Esempi di piccole cose che viaggiano a corrente alterna. Trascurabili per chi amministra, pantano per chi ci ha messo del denaro.
Nonostante le ripetute denunce, anche a mezzo stampa, l’immobilismo di sistema prende sempre il sopravvento in città vecchia. Magari cambiano le pedine, ma alla fine tutto resta fermo. Appunto impantanato. «Fosse stato il motorino che sfreccia il problema» ci aveva detto un anno fa Sergio, lasciando intendere che il contesto complicato della città vecchia, quegli alti e bassi ben visibili che attraversano uno scampolo di terra poggiato su palazzi crollati e pescherecci, non è il vero problema. Quantomeno non è il primo.
L’illegalità non appartiene solo ad un ragazzino che gira senza casco, l’illegalità è quella cappa di mediocrità e clientele che alla fine non fa crescere nessuno. Questo è ancora oggi il male della città vecchia, è questo che non permette a tutti democraticamente di pesarsi sul mercato.
Eppure doveva essere così l’Isola: palazzi storici aperti, con all’interno mostre permanenti, un affaccio dedicato alla pesca e al turismo legato al mare, l’altro più suggestivo sui tramonti e sugli approdi che sbucano dopo un percorso tra gli ipogei, un pullulare di attività commerciali, laboratori urbani dove aggregare i giovani, l’Università motore di economia e cervelli, tutte, ma proprio tutte le piccole chiesette sempre aperte, e la luce che passa a qualsiasi ora tra i vicoli a tracciare una rotta comune tra chi la abita e chi la visita (quella rotta che le iniziative spot non sono mai riusciti veramente a tracciare). Un’Isola aperta, accessibile.
Un’Isola che respira. La immaginava così anche Sergio, sapeva che sarebbe stata dura, ma fino a poco tempo fa riusciva ancora a guardarla ad occhi chiusi. Poi il disincanto. I piedi per terra. E un’altra storia d’amore che si chiude. (GdM)

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