sabato 25 luglio 2015

Il pastore e la pecorella smarrita

«Ilva, la salute viene prima di tutto» 

L’arcivescovo della diocesi di Taranto, monsignor Filippo Santoro, si è insediato in città nel gennaio del 2012. Sei mesi dopo, è scoppiato il caso Ilva. Se c’è una memoria storica di questi tre anni, questa è certamente la sua.
Eccellenza,Taranto è ancora divisa tra chi chiede il rispetto del diritto alla salute e chi difende il diritto al lavoro. Sono posizioni così inconciliabili?
Il governo ha degli orientamenti economici da mantenere e salvare, perché per l’Italia la produzione dell’acciaio è strategicamente importante e c’è un problema lavorativo che coinvolge migliaia e migliaia di persone. La magistratura è interessata a rispondere a delle precise denunce sulla violazione della salute. Come diocesi siamo sempre stati rispettosi per l’intervento della magistratura, perché siamo per la difesa della vita, della salute e dell’ambiente. Tre mesi prima che scoppiasse il caso Ilva, ad aprile 2012, alla presenza di Emilio Riva, allora patron dello stabilimento, durante il precetto pasquale in fabbrica, dissi che venivo a celebrare per essere vicino ai lavoratori ma che avevo negli occhi gli ammalati di cancro dell’ospedale Moscati e mi straziava il cuore il dolore di tanti bambini.
Secondo lei, come se ne esce?
Io apprezzo l’intervento della magistratura, che ha fatto diventare nazionale il caso Taranto ed esigo che il governo passi dalle promesse ai fatti nella questione dell’adeguamento degli impianti di Ilva, della bonifica del territorio e della difesa delle condizioni di sicurezza sul luogo di lavoro.
Quali sono i suoi timori?
Il timore è quello della rassegnazione della gente, che pensa che alla fine non si risolverà nulla.
E le speranze?
La posizione chiara della magistratura per me è un segno di speranza, perché difficilmente una denuncia così forte può essere elusa. Ed anche l’impegno economico promesso dal governo mi fa ben sperare.
Prima c’era Riva, oggi c’è lo Stato. È cambiato il rapporto tra la fabbrica e i cittadini di Taranto?
Qualche segnale positivo è stato dato, per esempio dal commissario per le bonifiche Vera Corbelli, ma non basta. Sarebbe auspicabile che i progressi nel rendere sicuri gli impianti fossero resi noti. La gente non va informata solo quando succedono disastri. Per molte persone, giustamente o ingiustamente, non c’è differenza tra il comportamento dei Riva e l’attuale gestione dello Stato. Certo, sono processi lenti, ma dall’Ilva devono dare segni chiari che la salute della gente è la prima delle preoccupazioni dell’attuale dirigenza. Nello spirito dell’ultima Enciclica di Papa Francesco, è importante ribadire che il primo degli interessi non deve essere quello produttivo ma l’attenzione alle persone, alla comunità ed agli stessi lavoratori.
E vede germogli di rinascita?
La ricostruzione umana ed urbanistica della Città vecchia di Taranto, che sostengo anche con il restauro di edifici della Curia di valore storico. Sperando che serva di esempio per il Comune, che latita.
Giovedì i 47 rinvii a giudizio. Si fatica a leggere certi
nomi tutti insieme…
Da questa vicenda viene fuori tutta la fragilità di una politica che esige una riscossa della società nelle sue componenti più sane, migliori, per un riscatto sociale, ambientale e culturale.
Tra i condannati, con rito abbreviato, anche un sacerdote diocesano, don Marco Gerardo. La città si aspetta provvedimenti…
La fondata speranza, come abbiamo detto in una
nota ufficiale, è che ci sia una valutazione positiva in sede di Appello, approfondendo tutti gli elementi. È chiaro che nell’ipotesi di una condanna, ci regoleremo di conseguenza. Quella di don Marco, comunque, è una posizione che non ha direttamente a che fare con l’inquinamento ambientale (è stato condannato per favoreggiamento verso Archinà, uomo delle pubbliche relazioni dell’Ilva,
ndr).
Taranto può essere anche altro dall’Ilva?
Certo. Occorre che sia rivalutata la sua vocazione turistica, agricola ed artigianale. È necessario un investimento forte su questi altri settori. Un corpo malato o si amputa o si cura. L’amputazione è un ricorso estremo che aprirebbe gravissimi problemi sociali.(Avvenire)

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