Perché Taranto resta in silenzio
Cittadini disillusi dalla divaricazione tra i tempi della giustizia e quelli tecnico-politici
Il
processo Ambiente svenduto che avrà inizio a Taranto il 20 ottobre
prossimo si preannuncia lunghissimo, così come parecchio lunghe sono già
state le fasi dell’indagine preliminare, entrata nel vivo nel 2012, e
della successiva udienza preliminare che si è conclusa l’altro ieri.
All’interno di quello che ha già assunto le sembianze di un
maxiprocesso, si sviluppano in realtà vari processi paralleli. Due sono i
suoi filoni principali. Il primo riguarda il modo in cui è stata
organizzata una produzione di fabbrica che ha ritenuto «accettabili» le
conseguenza del disastro ambientale, dell’usura della sicurezza nei
luoghi di lavoro, dell’avvelenamento delle sostanze alimentari, della
terra, delle falde acquifere. Il secondo riguarda invece le protezioni
politiche e istituzionali che questo sistema di produzione avrebbe avuto
negli ultimi anni, dal momento che l’inchiesta non si è spinta a
studiare le responsabilità politiche delle stagioni precedenti, benché
siano evidenti. Rispetto al
modo di produrre acciaio nel più grande stabilimento italiano va
ricordato anche che sono stati rinviati a giudizio i massimi
rappresentanti di quella “struttura ombra” eretta dai Riva che avrebbe
controllato la fabbrica e i suoi dipendenti come una sorta di “Gladio
interna” non contemplata negli organigrammi ufficiali dell’azienda,
tanto da alimentare quella sensazione di extraterritorialità che ha
avvolto la vicenda Ilva dalla metà degli anni novanta in poi.
Quando il processo si concluderà,
probabilmente la sentenza definitiva verrà accolta in una città mutata,
in cui la parabola dell’acciaio avrà preso da sé altre strade. Ciò
spiega la relativa apatia con cui è stata accolta in città la notizia
dei rinvii a giudizio. Taranto appare silente, se confrontata con le
proteste vibranti degli ultimi anni. Perché? Perché si sta assistendo a
una divaricazione tra i tempi del maxiprocesso e il piano
tecnico-politico quotidiano: gli incidenti, il sequestro dell’altoforno
2, i nuovi decreti, il non completamento di misure essenziali per
l’applicazione della stessa Autorizzazione integrata ambientale. Finora,
ad esempio, la copertura dei parchi minerari non è avanzata di un solo
centimetro. A ciò si aggiunge la complicazione del mercato
internazionale: anche qualora l’Ilva venisse rimessa a nuovo in tempi
brevi, quei colossi come ArcelorMittal che avevano mostrato un certo
interesse a rilevare gli impianti dopo il commissariamento, appaiono
oggi molto più freddi. L’avvio del maxiprocesso cade inoltre in uno dei
momenti economicamente più difficili che Taranto abbia mai vissuto. Al
nodo Ilva si aggiungono la crisi del porto, quella del call center
Teleperformance, e i numeri inquietanti sui non occupati in tutta la
provincia. Insomma, la città sembra essere stretta in un gorgo perfetto,
da cui uscire sembra un’impresa titanica. (A Leogrande - CdM)
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