lunedì 27 luglio 2015

Magari fosse solo disillusione...

Perché Taranto resta in silenzio

Cittadini disillusi dalla divaricazione tra i tempi della giustizia e quelli tecnico-politici

Il processo Ambiente svenduto che avrà inizio a Taranto il 20 ottobre prossimo si preannuncia lunghissimo, così come parecchio lunghe sono già state le fasi dell’indagine preliminare, entrata nel vivo nel 2012, e della successiva udienza preliminare che si è conclusa l’altro ieri. All’interno di quello che ha già assunto le sembianze di un maxiprocesso, si sviluppano in realtà vari processi paralleli. Due sono i suoi filoni principali. Il primo riguarda il modo in cui è stata organizzata una produzione di fabbrica che ha ritenuto «accettabili» le conseguenza del disastro ambientale, dell’usura della sicurezza nei luoghi di lavoro, dell’avvelenamento delle sostanze alimentari, della terra, delle falde acquifere. Il secondo riguarda invece le protezioni politiche e istituzionali che questo sistema di produzione avrebbe avuto negli ultimi anni, dal momento che l’inchiesta non si è spinta a studiare le responsabilità politiche delle stagioni precedenti, benché siano evidenti. Rispetto al modo di produrre acciaio nel più grande stabilimento italiano va ricordato anche che sono stati rinviati a giudizio i massimi rappresentanti di quella “struttura ombra” eretta dai Riva che avrebbe controllato la fabbrica e i suoi dipendenti come una sorta di “Gladio interna” non contemplata negli organigrammi ufficiali dell’azienda, tanto da alimentare quella sensazione di extraterritorialità che ha avvolto la vicenda Ilva dalla metà degli anni novanta in poi.
Quando il processo si concluderà, probabilmente la sentenza definitiva verrà accolta in una città mutata, in cui la parabola dell’acciaio avrà preso da sé altre strade. Ciò spiega la relativa apatia con cui è stata accolta in città la notizia dei rinvii a giudizio. Taranto appare silente, se confrontata con le proteste vibranti degli ultimi anni. Perché? Perché si sta assistendo a una divaricazione tra i tempi del maxiprocesso e il piano tecnico-politico quotidiano: gli incidenti, il sequestro dell’altoforno 2, i nuovi decreti, il non completamento di misure essenziali per l’applicazione della stessa Autorizzazione integrata ambientale. Finora, ad esempio, la copertura dei parchi minerari non è avanzata di un solo centimetro. A ciò si aggiunge la complicazione del mercato internazionale: anche qualora l’Ilva venisse rimessa a nuovo in tempi brevi, quei colossi come ArcelorMittal che avevano mostrato un certo interesse a rilevare gli impianti dopo il commissariamento, appaiono oggi molto più freddi. L’avvio del maxiprocesso cade inoltre in uno dei momenti economicamente più difficili che Taranto abbia mai vissuto. Al nodo Ilva si aggiungono la crisi del porto, quella del call center Teleperformance, e i numeri inquietanti sui non occupati in tutta la provincia. Insomma, la città sembra essere stretta in un gorgo perfetto, da cui uscire sembra un’impresa titanica. (A Leogrande - CdM)

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