A qualcuno interessa Taranto?
L’impressione
è che si attenda la morte naturale dell’Ilva. Se l’aspettano in
fabbrica gli operai, l’auspicano (da tempo) gli ambientalisti, sono
rassegnati perfino quelli che vorrebbero salvarla. L’attività dello
stabilimento è ai minimi storici per quantità e qualità del prodotto e
lo spegnimento dell’altoforno 2, ordinato dalla magistratura dopo la
morte del povero operaio Alessandro Morricella, se non accade qualcosa
nelle prossime ore, avvicinerà il decesso. Strano, perché nessuno ha
mai deciso che la fabbrica deve chiudere. Eppure da più parti si
considera che questi siano gli ultimi giorni dell’Ilva. Non appaia una
contraddizione. Accade spesso nel nostro Paese che si attende che gli
eventi si realizzino da soli, non si sa mai si dovesse prendere una
decisione. Avete più sentito parlare di acquirenti stranieri? Indiani,
brasiliani, cordate italiane... Pouff! Spariti nel nulla. E che fine
abbia fatto il marchingegno economico-giudiziario che usando i soldi
sequestrati ai Riva (1,2 miliardi di euro) avrebbe permesso di iniziare
la bonifica nessuno lo sa. Le uniche cose certe sono le udienze dei
processi che si susseguono con ammirevole regolarità e l’inquinamento
che continua ad ammorbare la città.
I magistrati
vanno avanti come caterpillar aiutati anche dalle barzellette che
raccontano i Riva, tipo quella di proporre 14 milioni di euro per
patteggiare il reato di disastro ambientale, come è accaduto ieri.
Mentre le polveri hanno sfondato senza problemi il fragile muro della
recinzione dei parchi minerali per infiltrarsi di nuovo fra porte e
finestre. Un’altra cosa certa è la pressione in Europa contro l’acciaio
italiano del quale, come si sa, se ne farebbe volentieri a meno. I
tedeschi sostengono da tempo che Taranto non è necessaria nella
distribuzione della produzione (e dei profitti) sostenendo che c’è un
calo nella richiesta di acciaio nel mondo. E d’altronde ricordiamo tutti
il rapporto choc dello scorso anno della banca svizzera Ubs, quella che
protegge il patrimonio dei Riva, che senza mezzi termini sosteneva che
la chiusura dell’acciaieria di Taranto sarebbe stata «una cattiva
notizia per i dipendenti ma una buona per tutti gli altri beneficiari».
Insomma pare che se lasciamo stare le cose come stanno, tempo un
annetto, e faremo contenti (quasi) tutti, giudici, imprese straniere,
ambientalisti integerrimi. L’unica forse a non essere contenta sarà
proprio Taranto perché la chiusura dell’Ilva non solo significherà 11
mila disoccupati in più, ma non comporterà la liberazione
dall’inquinamento. Il cadavere della fabbrica resterà lì ad appestare
l’aria chissà per quanto. Bagnoli docet. Batta un colpo chi può.(CdM)
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