venerdì 3 luglio 2015

Dietro la retorica banale batte un cuore profondamente reazionario e confindustriale!

La feccia umana di "giudici, imprese straniere, ambientalisti integerrimi" che dovrebbe gioire e ballare mentre chiudono l'Ilva  ringrazia l'editorialista lobbista per questo outing reazionario al gusto di neoricatto occupazionale. 


A qualcuno interessa Taranto?

L’impressione è che si attenda la morte naturale dell’Ilva. Se l’aspettano in fabbrica gli operai, l’auspicano (da tempo) gli ambientalisti, sono rassegnati perfino quelli che vorrebbero salvarla. L’attività dello stabilimento è ai minimi storici per quantità e qualità del prodotto e lo spegnimento dell’altoforno 2, ordinato dalla magistratura dopo la morte del povero operaio Alessandro Morricella, se non accade qualcosa nelle prossime ore, avvicinerà il decesso. Strano, perché nessuno ha mai deciso che la fabbrica deve chiudere. Eppure da più parti si considera che questi siano gli ultimi giorni dell’Ilva. Non appaia una contraddizione. Accade spesso nel nostro Paese che si attende che gli eventi si realizzino da soli, non si sa mai si dovesse prendere una decisione. Avete più sentito parlare di acquirenti stranieri? Indiani, brasiliani, cordate italiane... Pouff! Spariti nel nulla. E che fine abbia fatto il marchingegno economico-giudiziario che usando i soldi sequestrati ai Riva (1,2 miliardi di euro) avrebbe permesso di iniziare la bonifica nessuno lo sa. Le uniche cose certe sono le udienze dei processi che si susseguono con ammirevole regolarità e l’inquinamento che continua ad ammorbare la città.
I magistrati vanno avanti come caterpillar aiutati anche dalle barzellette che raccontano i Riva, tipo quella di proporre 14 milioni di euro per patteggiare il reato di disastro ambientale, come è accaduto ieri. Mentre le polveri hanno sfondato senza problemi il fragile muro della recinzione dei parchi minerali per infiltrarsi di nuovo fra porte e finestre. Un’altra cosa certa è la pressione in Europa contro l’acciaio italiano del quale, come si sa, se ne farebbe volentieri a meno. I tedeschi sostengono da tempo che Taranto non è necessaria nella distribuzione della produzione (e dei profitti) sostenendo che c’è un calo nella richiesta di acciaio nel mondo. E d’altronde ricordiamo tutti il rapporto choc dello scorso anno della banca svizzera Ubs, quella che protegge il patrimonio dei Riva, che senza mezzi termini sosteneva che la chiusura dell’acciaieria di Taranto sarebbe stata «una cattiva notizia per i dipendenti ma una buona per tutti gli altri beneficiari». Insomma pare che se lasciamo stare le cose come stanno, tempo un annetto, e faremo contenti (quasi) tutti, giudici, imprese straniere, ambientalisti integerrimi. L’unica forse a non essere contenta sarà proprio Taranto perché la chiusura dell’Ilva non solo significherà 11 mila disoccupati in più, ma non comporterà la liberazione dall’inquinamento. Il cadavere della fabbrica resterà lì ad appestare l’aria chissà per quanto. Bagnoli docet. Batta un colpo chi può.(CdM)

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