Un manifesto per rinascere
Da Taranto gli architetti lanciano un documento in dieci punti per
costruire un nuovo rapporto tra progetto e territorio. Perché esistano
città e non periferie e per creare una comunità consapevole, capace di
esprimere le proprie necessità
Il paradigma della sostanziale indifferenza verso un equilibrio tra le diverse componenti del territorio che ha caratterizzato lo sviluppo italiano dal dopoguerra a oggi è rappresentato da quelle città nelle quali sono condensate importanti attività industriali. Spesso impattanti e inquinanti a livelli inauditi, causa di veri e propri drammi sul fronte della salute di chi lì vive e lavora e sempre prevalenti su qualsiasi logica di sviluppo alternativo.
L’elenco potrebbe essere lungo – da Bagnoli a Casale Monferrato, da Porto Marghera a Gela o Carbonia, solo per fare qualche esempio – e Taranto è uno di questi capitoli che tanto hanno segnato la storia d’Italia. E che hanno scritto pagine drammatiche sotto molti aspetti, anche quello di avere creato e approfondito conflitti nel corpo sociale, ponendo in aperto contrasto le ugualmente legittime esigenze del diritto al lavoro e di quello alla salute.
Da qui è nata l’idea del Consiglio nazionale degli architetti di organizzare nella città pugliese – assieme all’Ordine di Taranto e alla Federazione regionale – un’iniziativa di confronto e analisi che avesse una ricaduta forte in termini di proposte e di messaggio alla politica e all’economia. Ed è quanto è avvenuto il 10 e 11 luglio, con una serie di occasioni di approfondimento su questi temi. Si tratta di una tappa del lungo percorso che il Cnappc ha avviato da alcuni anni lanciando la parola d’ordine della Rigenerazione urbana sostenibile e che ha visto l’organo nazionale degli architetti porsi al centro del dibattito nazionale affinché sia condivisa la necessità di un grande piano di rinascita per l'intero territorio.
Questo appuntamento è stato ancora più rilevante in quanto ha prodotto un documento di grande rilievo politico, professionale e sociale: un Manifesto che condensa dieci obiettivi per il governo del territorio e per costruire un nuovo rapporto tra progetto e territorio stesso. Si tratta di un documento (vedi i box) prodotto dalla Conferenza Nazionale degli Ordini riunita a Taranto e lanciato nel corso della due giorni di dibattito. Una riflessione sul futuro delle città italiane e sul loro ruolo centrale nel sistema Italia. Dieci principi fondamentali per contribuire a costruire il futuro delle città contemporanee post-industriali e coniugare sostenibilità e qualità urbana e sociale con i processi di crescita e di trasformazione. Principi che gli architetti italiani indicano come fondamentali, sia come dichiarazione di impegno in prima persona sia come richiesta di assunzione di responsabilità da parte della politica e di tutti quanti devono decidere in quale direzione deve andare il paese.
Nuovo rapporto con il territorio
“Progettare luoghi dove vivere e crescere, non periferie”, afferma Leopoldo Freyrie, presidente del Cnappc, sintetizzando i contenuti del Manifesto. “Gli spazi pubblici,
gli edifici, i centri storici, le porzioni di città consolidata sono
parti di un insieme metropolitano e urbano che va interpretato con nuove
visioni, valorizzando e non sprecando il suolo. I processi di trasformazione devono essere attivati con la partecipazione dei cittadini fin dalle prime fasi di pianificazione: abbiamo bisogno di costruire una comunità consapevole e capace di esprimere le proprie necessità in modo costruttivo. Al centro del processo va posto il progetto, che è sempre propositivo, lavora non per divieti o negazioni ma scegliendo la soluzione più adeguata per il problema”.La rigenerazione urbana si basa su un nuovo paradigma del rapporto con il territorio che non può prescindere dalla tutela del paesaggio e dalla salvaguardia dal rischio sismico e idrogeologico, dalla difesa delle attività agricole e dal recupero del costruito: rendendolo efficiente o sostituendolo con nuove realizzazioni che non consumino nuovo suolo. Ma anche combattendo con determinazione l’abusivismo per restituire qualità urbana.
“Senza dimenticare una profonda azione di semplificazione legislativa che miri a ottenere questi risultati in tempi certi e ragionevoli e che contribuisca a valorizzare quelle risorse progettuali di cui questo paese ha tanto bisogno. Vogliamo essere – conclude Freyrie – interlocutori privilegiati in queste tematiche, non solo per la nostra competenza in materia ma anche perché ci assumiamo la responsabilità di essere parte attiva del processo di rigenerazione.
Taranto è un simbolo
Taranto è stata la cornice ideale di una riflessione di questo tipo, che ha visto esponenti del mondo della politica, dell’economia, dell’ambientalismo, del lavoro e della produzione portare importanti contributi all’interno dei temi rappresentati nei titoli dei due incontri: “Post_produzione, città, industria, ambiente. Una visione di progetto” e “Centri storici, aree produttive, aree militari, aree portuali. La rigenerazione urbana e gli esempi di buone pratiche in Puglia. La proposta per Taranto”.
Perché questa città “è il più tipico esempio del rapporto tra città e produzione – afferma Massimo Prontera, presidente dell’Ordine degli Architetti PPC di Taranto – e della complessità della crisi della città contemporanea. Qui si è concentrato il massimo delle produzioni impattanti: un’acciaieria, una raffineria, un cementificio, l’arsenale militare che hanno lasciato e lasciano un segno molto forte, hanno condizionato lo sviluppo della città e la qualità della vita e dell’abitare. È indispensabile ragionare sul recupero e sulla riconversione di ampie aree del territorio per restituirle alla fruizione collettiva e infatti in questa due giorni si è parlato di bonifiche, di rigenerazione e anche delle diverse scale di progetto necessarie per un approccio di questa complessità”.
Taranto come esempio, quindi, e infatti nel corso delle diverse occasioni di dibattito sono state analizzate molte esperienze nazionali e internazionali relative ad aree riqualificate o da riqualificare, “si è parlato di buone e di cattive pratiche – racconta Prontera – utili per capire quali indicazioni trarre per il futuro di Taranto. Perché la nostra specifica complessità nasce anche dal fatto che le realtà industriali sono pienamente operative e il loro futuro è indipendente dalle scelte politiche e per il territorio”.
Una riflessione approfondita
La due giorni di dibattito è stata preceduta da un’altra iniziativa organizzata dall’Ordine di Taranto: la Festa dell’Architetto, che ha declinato lo stesso tema della riconversione della città attraverso tre diverse occasioni. La prima, “Taranto volta pagina”, ha riunito alcuni giovani scrittori tarantini che a vario livello hanno pubblicato opere sulla città e le sue problematiche – tra salute, lavoro, territorio e ambiente – per dialogare con il mondo dei progettisti. La seconda “Punto e… a Taranto” è stata dedicata a due registi – di un corto e di un docufilm – che, al termine della proiezione dei loro lavori, si sono confrontati con il pubblico. L’ultima ha riguardato la mostra collettiva di fotografie risultato di un concorso fotografico bandito sulle aree dismesse, marginali e degradate della città e la proiezione delle immagini realizzate il giorno precedente dai giovani aderenti di un fotoclub locale che hanno interpretato il territorio tarantino.
Taranto quindi come tappa di un percorso di coinvolgimento di sempre più ampi settori politici, sociali ed economici per costruire un processo di rinascita del paese. Serve che la politica faccia la sua parte, presto e bene: avviando quell’indispensabile processo di semplificazione normativa ancora troppo timido e accogliendo proprio questi dieci principi del Manifesto che possono rappresentare una base da condividere al più ampio raggio. (Larchitetto)
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