mercoledì 1 luglio 2015

Non si svende a patti con chi uccide

Disastro ambientale l'Ilva chiede di patteggiare la Procura dice «no»

L'Ilva, attraverso i tre commissari straordinari, avrebbe voluto patteggiare la pena e uscire anzitempo dal processo 'Ambiente svendutò, ma la procura di Taranto ha giudicato 'non congrua' la richiesta. Troppo pochi insomma i dieci milioni di euro indicati dall’Ilva in amministrazione straordinaria a titolo di risarcimento, a fronte di un piano ambientale che richiede risorse stimabili in circa due miliardi di euro. L’azienda aveva proposto anche una sanzione pecuniaria di quasi 3 milioni e 100mila euro e la non applicazione dell’interdizione dell’attività con la nomina di un custode giudiziale. Tutto inutile. Per il pool di pubblici ministeri "non è indicato il profitto del reato dell’ associazione a delinquere" e "non è possibile la parcellizzazione dei costi».
L'Ilva, è stato spiegato, ha tratto profitto dall’attività siderurgica proprio mentre le emissioni, secondo i periti, determinavano il disastro ambientale e provocavano malattie e morti. I commissari potrebbero anche decidere di riproporre la richiesta nel processo in Corte d’Assise, ma per il momento le posizioni restano distanti. Il gup non ha potuto entrare nel merito in quanto il patteggiamento sarebbe stato possibile solo in caso di accordo tra procura e azienda.
L’udienza è così proseguita con le arringhe dei legali di Ilva spa, Riva Fire e Riva Forni Elettrici (che rispondono in base alla legge 231 sulla responsabilità giuridica delle imprese). Oltre alle tre società sono imputate 49 persone fisiche tra vertici dell’Ilva, politici, amministratori e funzionari di enti e ministeri. L'udienza conclusiva è stata fissata per il 20 luglio, quando il giudice Vilma Gilli si esprimerà sulle richieste di rinvio a giudizio ed emetterà il provvedimento per gli imputati che hanno chiesto il rito abbreviato.
Stamani era attesa anche la presenza in aula di Fabio Riva, ex vicepresidente di Riva Fire, la holding che controllava il gruppo dell’Ilva di Taranto, arrestato il 5 giugno scorso dopo oltre due anni e mezzo trascorsi a Londra. L’industriale, che ha ottenuto la revoca della misura cautelare dalla Corte d’Appello di Milano dopo essere stato condannato a 6 anni e mezzo di carcere per una presunta truffa da 100 milioni di euro, ha rinunciato a comparire.
Il suo difensore, l’avv. Nicola Marseglia, ai giornalisti ha detto che Fabio Riva, ristretto nel carcere a Taranto per l'inchiesta Ambiente svenduto, «non è mai stato latitante, si tratta di una cattiva informazione sia dal punto di vista formale sia dal punto di vista sostanziale. A Londra, dal primo giorno, subito dopo essere stato liberato su cauzione, è sempre stato sottoposto a misura coercitiva. Non escludiamo, nell’ambito di questo procedimento, di far pervenire una sorta di dichiarazione spontanea scritta".
Oggi è stata data la parola ai pubblici ministeri per le repliche e il procuratore Franco Sebastio si è soffermato sulle pressioni che sarebbero state esercitate nei confronti del direttore regionale di Arpa Puglia Giorgio Assennato in relazione al monitoraggio ambientale, definendo "ineluttabile" il rinvio a giudizio dell’ex presidente della Regione Puglia Nichi Vendola (accusato di concussione) e del sindaco di Taranto Ippazio Stefano (che risponde di abuso d’ufficio). Sebastio ha definito «confidenziale, quasi di soggezione» il tono delle intercettazioni telefoniche tra i politici e l’ex responsabile delle relazioni industriali dell’Ilva Girolamo Archinà. Lo stesso primo cittadino, in un esposto presentato in procura, definiva i fatti legati all’inquinamento «di eccezionale gravità» e per questo «avrebbe dovuto intervenire». «Quando leggemmo l’ordinanza sindacale – ha osservato Sebastio – capimmo immediatamente che quel documento non avrebbe retto più di 30 secondi alle eccezioni del Tar». (GdM)

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