Ilva, blitz del Governo per bloccare spegnimento dell’altoforno
Paradossalmente si può parlare di
nono decreto Ilva, a pochi giorni di distanza dall’ottavo. Perché è
vero che formalmente la Camera ieri ha discusso di un provvedimento che
ha come oggetto il diritto fallimentare civile, ma è anche altrettanto
vero che se si è arrivati alla decisione di porre la fiducia su questo
testo è solo perché all’ultimo momento il governo vi ha inserito un
emendamento che, di fatto, è la copia dell’articolo 3 del decreto 92
scorso. Si tratta di un vero e proprio blitz stigmatizzato
dall’opposizione come un falso ideologico (M5S), come una lesione dello
stato di diritto (Sel) che crea un precedente grave su cui poi,
puntualmente anche se in grave ritardo, dovrà esprimersi la Corte
costituzionale.
Direbbe Antonio Di Pietro: che c’azzecca l’Ilva con il diritto fallimentare?Nulla, ma il 24, cioè entro dopodomani, l’azienda dovrà fornire il cronoprogramma di spegnimento dell’Altoforno 2, in base alle richieste della procura tarantina che non si è fermata nemmeno di fronte al decreto di inizio luglio che stabiliva – così come stabilisce quello su cui l’aula di Montecitorio voterà tra poche ore - la continuità di esercizio di uno stabilimento di intesse nazionale nonostante il sequestro del bene, quando le misure cautelari sono state adottate in relazione ad ipotesi di reato inerenti la sicurezza dei lavoratori, perché si deve garantire «il bilanciamento tra la continuità produttiva, la salvaguardia dell’occupazione, la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro».
Il governo ritiene che di fronte all’ipotesi di reato, non ancora accertato, si debba continuare a produrre.
Ma qual è l’interesse nazionale, si chiedeva ieri il pentastellato Alberto Solezzi?
«Quello degli obitori». Una battuta sgradevole con evidente riferimento alla morte dell’operaio Alessandro Morricella.
Fatto sta che gli accadimenti stanno assumendo le sembianze di uno scontro grave tra poteri dello Stato, perché ad ogni intervento censorio della magistratura segue un decreto che ne annulla gli effetti pratici. Quanto si potrà andare avanti in queste condizioni?
Il potere legislativo negli ultimi tre anni si è trovato ad affrontare per otto volte la questione Ilva (nove con ieri), commissari sono succeduti a commissari nella guida dell’impianto (e gli ultimi tre saranno auditi domani a Montecitorio) mentre la magistratura ha continuato la sua azione di controllo del rispetto di norme a suo giudizio violate.
La città di Taranto è esausta (i 600 milioni stanziati dal governo in realtà sono 240 che si aggiungono ai 360 di tre anni fa, di cui non è chiaro l’utilizzo), i dipendenti di Ilva preoccupati e nessuno è in grado di mettere un punto fermo alla vicenda. (Rosanna Lampugnani CdM)
Ilva, governo in campo a tutela del decreto Oggi vertice in Procura
Il governo Renzi non molla la presa sull’Ilva e difende l’ultimo decreto, l’ottavo, in forza del quale, malgrado il pressing della magistratura, l’azienda sta utilizzando l’altoforno 2, l’impianto nel quale si verificò l’incidente costato la vita, lo scorso 12 giugno, al giovane operaio Alessandro Morricella.«Con l’adozione di quel decreto - ha spiegato ieri il sottosegretario allo Sviluppo Economico Simona Vicari, alla Camera dei Deputati, davanti alle Commissioni VI e X della Camera riunite in sede referente - il Governo è intervenuto in una situazione complessa ed articolata a causa delle molteplici esigenze di natura pubblicistica da salvaguardare e bilanciare e degli interessi legati ad un territorio e ad una realtà industriale che costituisce un polo di interesse strategico nazionale per il nostro Paese ed una componente essenziale dell’intera produzione di acciaio europea. Come è noto, il decesso di un giovane lavoratore dell’Ilva aveva causato l’adozione di un provvedimento di sequestro preventivo dell’altoforno 2, la cui fermata avrebbe comportato la chiusura dell’intera Ilva».«Per ragioni tecniche di sicurezza, un impianto siderurgico quale quello in questione - ha spiegato il sottosegretario - non può marciare in condizioni di assoluta sicurezza con un solo altoforno, ai fini del rispetto dei limiti in materia di emissioni ambientali. In tale scenario era forte la preoccupazione del Governo poiché, da un lato, era necessario evitare l’arresto della produttività di un’azienda di interesse strategico nazionale, che occupa circa 12.000 dipendenti, oltre l’indotto (al momento, circa 3000 unità), e, dall’altra, occorreva assicurare la tutela dell’interesse posto a base dei provvedimenti della magistratura ovvero che la continuazione della produzione avvenisse in maniera compatibile con la salvaguardia della tutela dei lavoratori e la sicurezza dei luoghi di svolgimento delle loro prestazioni. La norma - ha concluso la Vicari - ha operato tale bilanciamento di interessi attraverso l'ampliamento della sfera di operatività di una norma già esistente nel sistema, e, in tal modo, ha accordato all’impresa la facoltà d’uso dell’impianto, che tuttavia resta sequestrato e nella disponibilità dell’Autorità giudiziaria». Oggi alle ore 14, le Commissioni riunite Ambiente e Attività produttive della Camera svolgeranno l’audizione dei Commissari straordinari dell’Ilva, Piero Gnudi, Corrado Carruba ed Enrico Laghi, in merito all’attuazione del Piano industriale dell’Ilva e alle prescrizioni di tutela ambientale, sanitaria e di sicurezza.
Anche i sindacati prendono posizione dopo il verbale con il quale il custode giudiziario Barbara Valenzano ha ordinato lo spegnimento dell’altoforno 2. «No al caos istituzionale» scrive il segretario generale della Uilm di Taranto, Antonio Talò, in una lettera aperta inviata al premier Renzi e ai ministri Galletti, Poletti e Guidi.
«Il malessere diffuso tra i lavoratori – osserva Talò – è tale, che in mancanza di una manifesta determinazione dell’esecutivo che si è assunto, attraverso la legge, l'inviolabile onere di tracciare la via d’uscita da questo pericoloso impasse, ci adopereremo inevitabilmente a manifestare presso le sedi in indirizzo con ognuno e per i diritti di ciascuno». Secondo il sindacalista «appare evidente, da quanto nostro malgrado si evince, che otto dispositivi di legge non sono bastati ad assicurare un percorso, seppur faticoso, di ritorno alla normalità di una città e di una fabbrica, così come definita strategica e di interesse nazionalè. Un percorso di ritorno al diritto, cui lavoratori e cittadini da anni auspicano». (GdM)
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