Reati ambientali, i compromessi li fa la politica non la magistratura
Quando ci si occupa d’ambiente, si finisce sempre, prima o poi, con il trovarsi di fronte al tragico dilemma “tutela della salute e dell’ambiente o tutela dell’occupazione?“, riassunto da alcuni, negli anni 70 con il crudo slogan “meglio morire di fame subito o di cancro tra 30 anni?”.E’ un problema che non dovrebbe mai sorgere in quanto, in un quadro armonico di vero sviluppo, i due termini non sono affatto in contrapposizione; anzi, una corretta politica di tutela ambientale porta ad incrementare i livelli occupazionali in modo duraturo e stabile.
Purtroppo, nella pratica e nel breve periodo, specie in un Paese poco “normale” come il nostro, e specie in tempi di crisi economica ed occupazionale, avviene il contrario. Il caso Ilva è, ovviamente, emblematico a livello nazionale ma purtroppo rischia di diventare solo uno dei tanti.
Altrettanto emblematico è che, a questo punto, il problema iniziale si trasforma in un presunto conflitto “politica-magistratura” dove la politica privilegerebbe l’occupazione rispetto ai sequestri ed alle chiusure imposti dai magistrati alle aziende in nome della tutela della salute e dell’ambiente.
E non a caso negli stessi giorni spunta sulla stampa un corposo dibattito sulla “ragionevolezza” della magistratura che, in tempi di crisi economica ed occupazionale, dovrebbe farsi carico delle conseguenze sociali delle sue iniziative attuando un “bilanciamento” tra opposti diritti costituzionali quali la salute ed il lavoro. Dibattito -si badi bene- che prende piede e decolla proprio negli stessi giorni in cui il governo, di fronte all’ultimo sequestro Ilva richiesto dalla Procura di Taranto dopo la morte di un operaio, emette un decreto legge in cui, “considerata la straordinaria necessità ed urgenza di emanare disposizioni che assicurino la prosecuzione, per un periodo determinato, dell’attività produttiva degli stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale interessati da un provvedimento giudiziario di sequestro dei beni”, consente che negli impianti sequestrati si continui a lavorare a condizione che l’impresa predisponga un piano “recante misura ed attività aggiuntive, anche di tipo provvisorio, per la tutela della sicurezza sui luoghi di lavoro, riferite all’impianto oggetto del provvedimento di sequestro”.
Dirà la Corte Costituzionale se questo decreto legge è conforme ai dettami della Costituzione, oppure, come sostiene la Procura di Taranto, viola ben 6 articoli della stessa, soprattutto perché delega alla stessa azienda la scelta di nuove misure per garantire la sicurezza dei lavoratori.
A livello più generale, tuttavia, vi sono almeno due osservazioni da fare.
La prima riguarda la politica del governo verso la problematica ambiente-lavoro. Su questo blog abbiamo già documentato numerose disposizioni di favore per le aziende inquinanti specie se di “interesse strategico nazionale”, cioè soggette ad Aia (Autorizzazione Integrata Ambientale). E di certo, pur senza volere generalizzare, desta profonda inquietudine la circostanza che alti funzionari del Ministero dell’Ambiente, come denunciato negli ultimi giorni con riferimento alla centrale Enel- Tirreno Power di Vado Ligure, progettassero di fare una “porcata” per salvare la centrale dai provvedimenti della magistratura.
Del resto, la stessa legge sugli “ecoreati” appena promulgata, se da un lato costituisce una svolta importante perché introduce finalmente i delitti contro l’ambiente, dall’altro risente di troppi compromessi dell’ultima ora alle pretese di Confindustria: dal disastro ambientale punibile solo se “abusivo” agli eccessi di buonismo in caso di delitti colposi e di ravvedimento operoso, e alla eliminazione del divieto di airgun; con l’aggravante di avere applicato alle contravvenzioni esistenti una normativa di “eliminazione” delle stesse ricalcata pedissequamente su quella delle violazioni per la sicurezza del lavoro, provocando notevoli difficoltà di applicazione anche per quel poco che si applicava.
Questo non vuol dire affatto “bilanciare” esigenze della salute e dell’ambiente con le esigenze occupazionali e delle aziende. Vuol dire invece far prevalere le seconde sulle prime.
La seconda osservazione riguarda i rapporti politica-magistratura. I compromessi li fa la politica non la magistratura che deve solo applicare le leggi fatte dalla politica e, in primo luogo la Costituzione.
Certo, nessuno ha i paraocchi e, di certo, quando la legge consente più scelte, il magistrato dovrà attuare quella più appropriata al caso concreto, tenendo conto delle possibili conseguenze. Ma, detto questo, non si può chiedere al magistrato di assumersi responsabilità non sue o addirittura di disattendere il suo dovere di disporre un sequestro preventivo di fronte al pericolo che vengano aggravate o protratte le conseguenze di un reato ovvero venga agevolata la commissione di ulteriori reati (art. 321 c.p.p.).
E, per favore, se qualcuno vuole citare, per il “bilanciamento”, la sentenza sull’Ilva della Corte Costituzionale (n. 85/2013), la legga bene. Apprenderà, così, che, se da un lato è vero che non vi sono diritti costituzionali “tiranni“, dall’altro, per fortuna, che “i valori dell’ambiente e della salute… non possono essere sacrificati ad altri interessi, ancorché costituzionalmente tutelati“. (Gianfranco Amendola - FQ)
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