Ilva, battaglia per rispettare l’Aia
Si
sposta nuovamente a Palazzo di giustizia la vertenza Ilva. Mentre la
Procura stringe i tempi per definire l'inchiesta «Ambiente venduto» e
dare così finalmente una cornice, dopo anni di duro lavoro dei militari
delle Fiamme Gialle, al quadro che vedeva gli uomini del gruppo Riva
disporre a proprio piacimento di parlamentari, amministratori locali,
funzionari pubblici e giornalisti, gli avvocati del siderurgico stanno
limando la richiesta di dissequestro degli impianti a cui il 26 luglio
scorso sono stati virtualmente apposti i sigilli. Virtualmente perché,
pur avendo il gip Patrizia Todisco firmato un decreto di sequestro
preventivo senza la facoltà d'uso degli impianti, l'Ilva da quel giorno
non ha mai smesso di produrre ed anzi proprio in questi giorni sta
tagliando il traguardo degli 8 milioni di tonnellate d'acciaio che poi è
il tetto massimo di produzione previsto dalla nuova Autorizzazione
integrata ambientale.
I legali del gruppo Riva vogliono il
dissequestro degli impianti non per poter produrre liberamente - quello,
come detto, malgrado tutto già lo fanno - ma perché la piena
disponibilità della fabbrica viene ritenuta una condizione essenziale
per poter accedere al credito bancario necessario per far fronte a tutti
gli interventi previsti dall'Aia (si parla di una spesa superiore ai 3
miliardi e mezzo di euro).
Sempre a Palazzo di giustizia, il
prossimo 30 novembre si consumerà il primo atto della causa civile che
vede l'Ilva opposta ad una signora residente al rione Tamburi che ha
contratto una invalidante forma di mielite e chiede pertanto i danni al
gruppo Riva. I legali del siderurgico hanno chiamato in causa Comune e
Provincia, ritenendoli inadempienti riguardo la realizzazione di
interventi per impedire lo spargimento di polveri minerali nel
quartiere. La tesi è stata già respinta dal Comune, costituitosi tramite
gli avvocati Massimo Moretti e Giuseppe Dimito, e ora viene contestata
anche dalla Provincia che con il suo legale Cesare Semeraro ha
depositato un atto nel quale viene definita temeraria oltre che
giuridicamente infondata la mossa dell'Ilva.
Da oggi, come
annunciato nei giorni scorsi ai sindacati metalmeccanici, l'Ilva metterà
in ferie forzate i lavoratori del reparto Produzione lamiere 2, a cui
si aggiungeranno da mercoledi' 21 novembre quelli del Tubificio 2. In
tutto sono circa 500 gli operai impiegati nei due reparti che rientrano
tra quelli per i quali è stata chiesta la cassa integrazione ordinaria
per 1940 lavoratori dell'area a freddo. Sul ricorso agli ammortizzatori
sociali non c'è ancora accordo con i sindacati, ma l'azienda ha fatto
intendere che non farà passi indietro: domani è previsto un nuovo
incontro tra le parti.
Intanto, una delegazione di consiglieri
comunali di Taranto, fra cui i capigruppo della maggioranza, e il
sindaco di Taranto, Ezio Stefano, partiranno oggi a mezzanotte in
pullman per Roma e domani mattina stazioneranno davanti a Palazzo Chigi
con il gonfalone municipale. L’obiettivo è sollecitare il Governo a
riconvocare rapidamente il «Tavolo istituzionale Taranto» insediato dal
premier Mario Monti lo scorso 17 aprile e mai più riconvocato nonostante
l'emergenza Ilva, deflagrata in piena estate. Tre le questioni che la
delegazione tarantina vuole prospettare: coinvolgimento della presidenza
del Consiglio e non solo del ministero dell'Ambiente sul caso Ilva,
nomina del commissario previsto dalla «Legge Taranto» sulla bonifica
delle aree inquinate approvata il 5 ottobre dal Parlamento, attenzione
alla grave situazione economica della città. Domani Stefàno sarà anche
ascoltato dalla commissione Lavoro del Senato sulla sicurezza sui luoghi
di lavoro.(GdM)
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