giovedì 15 novembre 2012

I sindacati fanno la "vocina" grossa?

Ilva, «no» dei sindacati alla cassa integrazione

Un dialogo tra sordi l’incontro di ieri pomeriggio tra il presidente dell’Ilva Bruno Ferrante e i segretari generali dei sindacati metalmeccanici: Stefanelli (Fiom Cgil), Panarelli (Fim Cisl) e Talò (Uilm). L’azienda è rimasta ferma sulle sue posizioni: non potrà spendere un centesimo nel risanamento - è stato all’ingrosso il ragionamento imbastito da Ferrante - se non ci sarà il dissequestro degli impianti da parte della magistratura. Solo la produzione permetterà di applicare le prescrizioni contemplate dall’Aia, l’Autorizzazione integrata ambientale.
Se questo non sarà - è l’orientamento dell’Ilva - l’azienda sarà costretta a fermarsi e a rimettere la palla nel campo della magistratura. L’Ilva, attraverso il presidente, ha confermato che investire, per rendere eco-compatibili gli impianti, obbligherà il Gruppo Riva ha chiedere prestiti bancari e, in questo momento, l’Ilva, sempre secondo la valutazione fatta da Ferrante ed esposta ai segretari sindacali, non è considerata in una situazione ottimale per accedere a finanziamenti vista la crisi.
A questo «gioco» i sindacati non ci stanno e lo hanno confermato ieri. «Abbiamo chiesto - dichiara il segretario della Uilm Antonio Talò - che sia congelato tutto il pacchetto di provvedimenti sull’occupazione: dalla cassa integrazione agli eventuali contratti di solidarietà. Prima l’Ilva dovrà mostrare ai sindacati il piano industriale e, insieme, dovremo discuterlo. Successivamente si potrà ragionare sugli esuberi nell’area a freddo e nell’area a caldo». «Da parte di Clini - ha aggiunto Talò - ci aspettiamo l’accettazione del piano. Altrimenti, se salta tutto, la procura e i custodi giudiziari porteranno a termine lo spegnimento e così finirà ogni incertezza. Non si può, come ha fatto il presidente dell’Ilva, prima dire che i quasi mille esuberi nell’area “a caldo”, conseguenza della chiusura dell’altoforno 1 e di alcune batterie della cokeria, saranno ricollocati in azienda e poi agitare lo spettro degli esuberi. Ed è ancor più grave dire che, per questi lavoratori, al contrario dei quasi 2mila dell’area a caldo in cassa integrazione dal 19 novembre, il destino dovrà essere deciso dai custodi giudiziari in quanto gestori dell’area a caldo. Noi chiederemo notizie alla magistratura - ha concluso Talò - ma la responsabilità del futuro occupazionale resta di Riva».
«Sono deluso e amareggiato dall’esito dell’incontro» ha dichiarato Vincenzo Castronuovo, segretario di settore Ilva della Fim Cisl. «Ferrante non può dire che il quadro è cambiato perché il tribunale del Riesame gli dava la possibilità di tenere gli impianti in marcia. A questo punto perché continuano a produrre? A questo punto conviene accelerare la chiusura da parte dei giudici. Noi abbiamo confermato la nostra posizione: i sindacati parleranno di cassa integrazione solo dopo aver conosciuto approfonditamente il piano industriale».
Simili i toni di delusione usati nella nota stampa dal segretario generale della Fiom Cgil, Donato Stefanelli. «L’Ilva presenterà il piano industriale a valle dell’acco glimento dell’istanza di dissequestro degli impianti da parte della procura. Per quel che ci riguarda il piano industriale prescinde alle vicende giudiziarie poiché differisce sia agli aspetti ambientali e sanitari, sia alle prospettive di rilancio industriale dello stabilimento di Taranto. Siamo indisponibili a trattare sulla cassa integrazione in assenza di un piano strategico complessivo. Viste le ripercussioni della vicenda Ilva sull’industria italiana si rende sempre più urgente la convocazione del tavolo negoziale sulla siderurgia da parte del Governo Monti». (GdM)

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