Ilva, «no» dei sindacati alla cassa integrazione
Un dialogo tra sordi l’incontro di ieri pomeriggio
tra il presidente dell’Ilva Bruno Ferrante e i segretari generali dei
sindacati metalmeccanici: Stefanelli (Fiom Cgil), Panarelli (Fim Cisl) e
Talò (Uilm). L’azienda è rimasta ferma sulle sue posizioni: non potrà
spendere un centesimo nel risanamento - è stato all’ingrosso il
ragionamento imbastito da Ferrante - se non ci sarà il dissequestro
degli impianti da parte della magistratura. Solo la produzione
permetterà di applicare le prescrizioni contemplate dall’Aia,
l’Autorizzazione integrata ambientale.
Se questo non sarà - è
l’orientamento dell’Ilva - l’azienda sarà costretta a fermarsi e a
rimettere la palla nel campo della magistratura. L’Ilva, attraverso il
presidente, ha confermato che investire, per rendere eco-compatibili gli
impianti, obbligherà il Gruppo Riva ha chiedere prestiti bancari e, in
questo momento, l’Ilva, sempre secondo la valutazione fatta da Ferrante
ed esposta ai segretari sindacali, non è considerata in una situazione
ottimale per accedere a finanziamenti vista la crisi.
A questo
«gioco» i sindacati non ci stanno e lo hanno confermato ieri. «Abbiamo
chiesto - dichiara il segretario della Uilm Antonio Talò - che sia
congelato tutto il pacchetto di provvedimenti sull’occupazione: dalla
cassa integrazione agli eventuali contratti di solidarietà. Prima l’Ilva
dovrà mostrare ai sindacati il piano industriale e, insieme, dovremo
discuterlo. Successivamente si potrà ragionare sugli esuberi nell’area a
freddo e nell’area a caldo». «Da parte di Clini - ha aggiunto Talò - ci
aspettiamo l’accettazione del piano. Altrimenti, se salta tutto, la
procura e i custodi giudiziari porteranno a termine lo spegnimento e
così finirà ogni incertezza. Non si può, come ha fatto il presidente
dell’Ilva, prima dire che i quasi mille esuberi nell’area “a caldo”,
conseguenza della chiusura dell’altoforno 1 e di alcune batterie della
cokeria, saranno ricollocati in azienda e poi agitare lo spettro degli
esuberi. Ed è ancor più grave dire che, per questi lavoratori, al
contrario dei quasi 2mila dell’area a caldo in cassa integrazione dal 19
novembre, il destino dovrà essere deciso dai custodi giudiziari in
quanto gestori dell’area a caldo. Noi chiederemo notizie alla
magistratura - ha concluso Talò - ma la responsabilità del futuro
occupazionale resta di Riva».
«Sono deluso e amareggiato
dall’esito dell’incontro» ha dichiarato Vincenzo Castronuovo, segretario
di settore Ilva della Fim Cisl. «Ferrante non può dire che il quadro è
cambiato perché il tribunale del Riesame gli dava la possibilità di
tenere gli impianti in marcia. A questo punto perché continuano a
produrre? A questo punto conviene accelerare la chiusura da parte dei
giudici. Noi abbiamo confermato la nostra posizione: i sindacati
parleranno di cassa integrazione solo dopo aver conosciuto
approfonditamente il piano industriale».
Simili i toni di
delusione usati nella nota stampa dal segretario generale della Fiom
Cgil, Donato Stefanelli. «L’Ilva presenterà il piano industriale a valle
dell’acco glimento dell’istanza di dissequestro degli impianti da parte
della procura. Per quel che ci riguarda il piano industriale prescinde
alle vicende giudiziarie poiché differisce sia agli aspetti ambientali e
sanitari, sia alle prospettive di rilancio industriale dello
stabilimento di Taranto. Siamo indisponibili a trattare sulla cassa
integrazione in assenza di un piano strategico complessivo. Viste le
ripercussioni della vicenda Ilva sull’industria italiana si rende sempre
più urgente la convocazione del tavolo negoziale sulla siderurgia da
parte del Governo Monti». (GdM)
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