Boom delle richieste di cassa integrazione nell’ultimo mese: solo nell’industria, a settembre, un aumento del 70%. I primi a perdere il posto sono i precari: secondo la Cgil ne usciranno almeno 350 mila da qui a febbraio. Il caso Brembo: 200 contratti a termine cancellati. E dal governo ancora nessuna misura concreta.
(il cittadino d'Italia) Non fosse tragico, sarebbe ridicolo. Le misure del governo a sostegno dell’economia reale dovranno aspettare ancora qualche giorno. Tutte tranne una, che invece viene data per certa: la proroga della detassazione di straordinari e premi, non meno di un miliardo di euro stanziati finora, destinati ad aumentare se, come pare, si alzerà la soglia di reddito necessaria per usufruirne o se la misura verrà estesa ai dipendenti pubblici. Che persino associazioni imprenditoriali, come Assolegno lombarda ha fatto ieri, ne parlino come di una misura «inutile», dovrebbe fare riflettere. Soprattutto perchè non c’è numero, nè osservatorio, che non mostri in questi giorni la «straordinaria emergenza» della crisi in corso. I dati del ministero del lavoro sull’aumento della cassa integrazione a settembre e ottobre non sono che l’ultimo tassello di un mosaico di crisi che attraversa l’intero paese. Da nord a sud, trasversalmente in tutti i settori produttivi, e per tutte le dimensioni d’impresa.A ottobre, le ore di cassa integrazione (tra ordinaria e straordinaria) sono arrivate a quota 23 milioni (contro i 19,5 milioni di settembre). Osservando i diversi settori produttivi, è l’industria a registrare il dato peggiore, con un aumento della cassa integrazione ordinaria che, a settembre, è arrivato al 68,45% rispetto a un anno fa. Un dato eclatante, considerando che è la cassa integrazione ordinaria lo strumento utilizzato per fronteggiare crisi di tipo congiunturale. Complessivamente, tra interventi ordinari e straordinari, l’aumento a settembre è stato pari al 23% (sempre su base annuale), il 14% per l’edilizia.
Rigiriamo la frittata e vediamola dalla parte del lavoro. Una ricerca della Fiom bresciana mostra il ridimensionamento dei salari in un colosso (per le dimensioni d’impresa nostrane) come l’Iveco, che occupa circa 3 mila dipendenti: uno stipendio da cassintegrato, al terzo livello e con cinque scatti di anzianità, arriva a 847 euro al mese. Più in generale, dice il segretario della camera del lavoro di Brescia, Marco Fenaroli, in ottobre le richieste di cassa integrazione sono «raddoppiate» rispetto a settembre. In tutti i settori. E non solo nel Nord.
In Lombardia sono 800 le aziende che hanno chiesto la cig. Nella provincia di Torino sono 260. Il Nordest è in recessione. Nessun settore produttivo pare salvarsi. Alla crisi ormai consolidata del tessile, si aggiunge quella pesante dell’auto, e ancora, l’elettrodomestico, l’alimentare («storicamente un settore anticiclico», dicono dalla Cgil), il chimico. Persino la siderurgia, un settore che negli ultimi anni ha macinato utili a non finire e che costituisce il punto di fornitura delle materie prime nel manifatturiero, entra in fibrillazione: l’Ilva di Taranto ha chiesto 13 settimane di cig per 2000 dipendenti, e in crisi c’è anche il polo genovese e quello di Piombino. «Di una somma si tratta - dice Susanna Camusso (Cgil) - Tra la crisi dei consumi che già c’era e l’arrivo della crisi internazionale». A fronte di un quadro simile, i fondi per gli ammortizzatori sociali stanziati nella finanziaria 2009 sono pari a quelli dell’anno precedente (480 milioni di euro circa), con l’aggiunta di 150 milioni euro finalizzati alla copertura della cassa integrazione in deroga (quella destinata cioè alle aziende che altrimenti non ne avrebbero diritto). «Decisamente insufficienti», secondo Camusso.
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