Crisi all'Ilva di Taranto da oggi fermo altoforno 1 di FULVIO COLUCCI (La Gazzetta del Mezzogiorno)
TARANTO - Sarà un effetto domino. E la cassa integrazione, finora più evocata che vissuta almeno nei numeri dalla maggioranza dei 3500 lavoratori in esubero, si toccherà con mano. Oggi si ferma l’altoforno numero 1 e, a cascata, la linea D dell’agglomerato, le batterie della cokeria (le numero 3 e 4 sono già ferme, si aggiungono la batteria 5 e la 6), i parchi minerali, gli impianti marittimi. Più di un migliaio di persone a casa, mentre i numeri della crisi confermano: la coda del 2008 è stata velenosissima per l’Ilva.
L’azienda ha certificato cali vistosi nella produzione di ghisa. Si è passati da 4 milioni e mezzo di tonnellate del primo semestre a 3 milioni 801mila circa: meno 16,3 per cento nel secondo semestre di quest’anno. All’appello mancano 743mila tonnellate. Altrettanto significative le perdite nella produzione di bramme. Da gennaio a giugno 2008 sono state sfornate 4 milioni e 954mila tonnellate circa ridottesi, nel secondo semestre di quest’anno, a 4 milioni 101mila circa. La differenza in meno è del 17,2 per cento. Più contenuto il calo della produzione di coils del treno nastri (meno 1,4 per cento). Da 4 milioni 312mila tonnellate circa del primo semestre si è passati a 4 milioni 374mila tonneallte circa del secondo semestre. In questo caso, però, è eloquente snocciolare tre dati. Nel gennaio di quest’anno, quando l’Ilva marciava verso nuovi record produttivi e la crisi non era all’orizzonte, si sono prodotte 822mila tonneallte di coils. A dicembre poco più di 334mila. E pensare che, tra luglio e settembre, l’Ilva ha prodotto tra le 860mila e le 825mila tonneallte di coils, segnando un record nel trimestre: 2 milioni 567mila 671 tonnellate. Numeri che rendono ancor più dirompente l’effetto della crisi.
E il 2009? La recessione picchierà duro e si stima la perdita secca di un paio di milioni di tonnellate di acciaio con un calo produttivo stimabile intorno al 40 per cento. Ma sono solo ipotesi, le stesse che si fanno sui rischi di un allargamento della cassa integrazione. Molto cauto è, per esempio, Pietro De Biasi responsabile delle relazioni industriali e del personale del Gruppo Riva: «Se per ipotesi, ma spero di no, si ampliassero gli impianti da fermare in ragione di un aggravamento della crisi, la cassa integrazione aumenterebbe. E’ una ipotesi e ripeto: mi auguro che non accada». De Biasi ritiene, comunque, la cassa integrazione unico strumento per fronteggiare la crisi, «estendendo al massimo la rotazione del personale». E la settimana corta? «E’ un gigantesco equivoco, tutto italiano. In Germania non esiste la settimana corta, si traducono “lavoro corto” le parole tedesche utilizzate per indicare la cassa integrazione. In uno stabilimento a ciclo integrale come l’Ilva di Taranto non puoi fermare per 24 ore un impianto senza arrecare danni enormi. Ecco, quindi, che la cassa integrazione a rotazione diventa uno strumento per garantire l’“equa” distribuzione del peso della crisi sui lavoratori».
De Biasi gela, infine, chi, specie nei sindacati, vuol introdurre il contratto di solidarietà: «E’ uno strumento degli anni ‘80, poco flessibile, poco utile, ormai marginale se si pensa, tra l’altro, che poche aziende lo hanno adottato. Comunque, non rientra nello spettro di soluzioni che l’Ilva può mettere in campo per gestire la fase difficile nella quale ci troviamo».
Contrario al contratto di solidarietà e a favore, invece, della cassa integrazione a rotazione è il segretario della Uilm Rocco Palombella: «Noi stiamo vigilando perché all’Ilva sia applicato in pieno l’accordo sulla cassa integrazione e non si abusi, per esempio, dello straordinario. Sembrerà incredibile, ma all’Ilva c’è chi vuol dare ancora dimostrazione di produttività, malgrado la crisi. All’azienda dico: in cassa integrazione ci dovrebbero andare anche i capi squadra. Non hanno percepito la profondità della crisi». Favorevole al contratto di solidarietà è Franco Fiusco della Fiom Cgil: «Le ore di lavoro si riducono, distribuendole equamente fra i dipendenti. Ma io continuo a dire che questa crisi va monitorata attentamente, perché potrebbe qualcuno potrebbe prenderla a pretesto, sfruttando il momento e “giocando” sui numeri». Gruppo Riva e sindacati si rivedranno a metà febbraio per fare il punto sulla situazione. Solo allora sapremo davvero se la crisi si allargherà.
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