martedì 20 gennaio 2009

Cronache da Genova: la Taranto del 2020!

Cosa succedeva nel luglio del 2004 a Genova? Leggiamolo in una cronaca del Corsera

«L' Ilva non riapra, intesa con il governo»

Un migliaio di operai delle acciaierie Ilva di Genova hanno scioperato ieri per chiedere una svolta sul piano di riconversione dello stabilimento e migliori garanzie di sicurezza dopo l' incidente di lunedì in cui dodici operai sono rimasti feriti (due sono ancora in ospedale). I manifestanti hanno attraversato in corteo la città e una delegazione di operai e sindacalisti ha incontrato il prefetto della città, Giuseppe Romano, che ha assicurato ai sindacati un incontro con il governo entro oggi. Fim, Fiom e Uilm chiedono l' apertura di un tavolo di confronto alla presidenza del Consiglio «atteso invano dal febbraio 2004» per «assumere decisioni certe e condivise sul destino dell' area a caldo della siderurgia». Sull' incidente è intervenuto anche il ministro dell' Ambiente Altero Matteoli, ieri a Genova: «Su Cornigliano non è che cambiamo i programmi: c' è un impegno preso innanzi tutto dalla Regione ma sposato anche dal governo per arrivare a questa bonifica e far sì che in questa zona si possa realizzare un altro ciclo produttivo. Mancano ancora 100 milioni di euro: una parte li inseriamo nella prossima finanziaria, poi con l' impegno negli anni successivi realizzeremo tutto l' importo necessario». La procura, intanto, ha aperto un fascicolo per ora contro ignoti. Le ipotesi di reato sono incendio colposo, disastro colposo, lesioni personali colpose per violazione delle norme della prevenzione degli infortuni. DAL NOSTRO INVIATO GENOVA - Due giorni fa le tre esplosioni nell' altoforno delle acciaierie Ilva di Cornigliano e lui che, a caldo, butta lì una premessa: «Credo che questo incidente segni il de profundis di questo impianto dannoso e pericoloso per gli operai e per i cittadini». Era solo il germoglio di un' idea che Sandro Biasotti, presidente della Regione Liguria, coltiva da anni: la chiusura, cioè, dell' area a caldo dello stabilimento-mostro di Cornigliano. Così martedì quando ha saputo degli scoppi e dei feriti ha preso il telefono e ha chiamato Roma: «La situazione va risolta. E va risolta adesso». Chi fosse il suo interlocutore a Palazzo Chigi e che assicurazioni gli abbia dato, lui non vuole dirlo. Ma ieri aveva l' espressione di chi ha già un rimedio in tasca quando ha aperto il Consiglio regionale annunciando che «bisogna cogliere questa occasione per non riaprire più l' altoforno». Allora, presidente, si può dire che l' Ilva non riaprirà più? «Si può dire che il progetto della chiusura immediata, invece di quella prevista entro il 31 dicembre di quest' anno, è una possibilità più che concreta. Credo, e lo dico anche per la mia esperienza da ex imprenditore, che non ci sia interesse a ristrutturare un impianto che poi deve comunque chiudere». Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta sostiene da sempre la sua campagna di «rottamazione» dell' Ilva. E' da lui che ha avuto assicurazioni sullo smantellamento immediato dell' altoforno? «Ho parlato con più di un politico ma non sono autorizzato a fare i loro nomi. Diciamo che il mio interlocutore è in generale, è il governo». Se ci sarà l' accelerata del piano di chiusura cosa succederà alle centinaia di operai che lavorano nell' area da smantellare? «La chiusura non può che essere contestuale con un provvedimento del governo che assicuri la salvaguardia contrattuale e salariale di tutti i lavoratori dello stabilimento. Cosa, peraltro, già stabilita e tracciata nelle sue linee guida con l' accordo di febbraio, con il quale si è deciso di chiudere le acciaierie di Cornigliano. Si tratterebbe tutt' al più di anticipare di qualche mese le soluzioni occupazionali». In questo periodo il governo è in tutt' altre faccende affaccendato. Quante possibilità ci sono di ritrovarsi fra un anno a ridiscutere del problema? «Nessuna. Abbiamo impiegato anni a mettere assieme tutte le parti e a siglare l' accordo di febbraio. Non finirà tutto in una bolla di sapone. Le acciaierie devono chiudere. L' area deve essere bonificata e riqualificata. Sarà la via del rilancio di Genova. Sarà il futuro stesso di Genova. Non possiamo mancare l' appuntamento. Indietro non si torna». Quando la questione sarà discussa a Palazzo Chigi? «Non è ancora stata fissata una data precisa ma i contatti con il governo sono già fitti e lo saranno di più nei prossimi giorni. L' incontro decisivo a Roma è molto vicino. Direi più o meno entro dieci giorni». Sembra che questa chiusura sia «digerita» più o meno bene da tutte le parti in causa: politici, sindacalisti, lavoratori perfino la stessa proprietà. E allora quale è stato l' intoppo che ha tirato per le lunghe l' ipotesi dello smantellamento? «Le resistenze sono state a lungo politiche e sindacali. Si è perso molto tempo a valutare l' idea di piazzare un forno elettrico invece dell' altoforno. Ma io l' ho visto un forno elettrico: a parte la pericolosità - perché sembra che produca inquinamento radioativo - brucia rottami in quantità impressionanti. E noi a Cornigliano dove li mettiamo tutti quei rottami? Comunque l' osso più duro è stato Emilio Riva, il presidente dell' Ilva. Che alla fine si è convinto. «Sì, anche perché è previsto che una fetta consistente dell' attuale Ilva rimanga nelle sue disponibiltà. Non è che al suo Gruppo l' accordo offra qualcosa di indefinito. Direi piuttosto che non ne esce affatto male. Avrà per le mani 650 mila metri quadrati strategici perché sono quelli dello sbocco verso il mare. Con la banchina a disposizione». Come dire che se Cornigliano chiudesse domani non ci perderebbe nessuno «E' così. Quello stabilimento sconfinato nel cuore della città non ha più senso. Abbiamo i turisti, la cultura, il mare, la salute della gente da salvaguardare. Si tratta di scegliere: o tutto questo o la siderurgia». Giusi Fasano

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