lunedì 12 gennaio 2009

Boccia su Riva e l'Ilva

(La Gazzetta del Mezzogiorno) Professor Boccia, ora è l’industria dell’acciaio in grave difficoltà per la crisi. A quasi tre anni dal dissesto sembra che gli incubi per Taranto non finiscano mai.
«Proprio Riva deve capire che, con la crisi, il tempo del ricatto occupazionale è finito. L’Ilva, le aziende dell’area industriale e la stessa città, in tutti i suoi ceti a partire dalla classe dirigente, devono ascoltare l’appello del presidente Napolitano: non c’è altra strada per superare il momento difficile se non quella di creare una società più giusta. A Taranto questo lo dissi subito dopo il dissesto e mi fa piacere la sintonia col capo dello Stato».
Lei fu già critico con l’Ilva . . .
«Attenzione, perché non mi sono trasformato in un figlio dei fiori, in un antindustrialista. Dico però che la questione ambientale non è lo sfizio di un amministratore. E’ la premessa perché tra 20 anni i nostri figli vivano in una Puglia migliore di quella in cui viviamo oggi. A Riva dico: vuoi restare? Investi sulla città. Penso a un patto per reimpiegare parte degli utili a Taranto. Il Gruppo Riva dice che il siderurgico è centrale nella loro strategia d’impresa. Ma se scaricano su Taranto, sui lavoratori, i costi della crisi non sembra proprio così. Ecco, quindi, che il campo va sgombrato dagli equivoci. Ovvio che gli investimenti cui alludevo dovrebbero riguardare l’ambiente e avere anche altre ricadute benefiche sulla collettività. Sarò un illuso, ma penso ad un modello industriale e sociale come quello di cui fu artefice Adriano Olivetti».
Onorevole sembra un sogno.
«E allora, se nell’impresa, e nella comunità, non penetra il concetto che si perde insieme e si guadagna insieme, soprattutto nei momenti di crisi, rovesciamo il ragionamento chiamando in causa il governo Berlusconi. Visto che è stata elargita ad Alitalia una cassa integrazione di sette anni, pagata ai lavoratori, in gran parte milanesi e romani, con i soldi che spettavano al Mezzogiorno, allora il governo preveda una cassa integrazione di dieci anni all’Ilva: chiudiamo lo stabilimento e così “liberiamo” Taranto. Potremmo estendere la provocazione all’Eni, perché no? Cosa resterebbe? Ah, sì Alenia. Il mercato, si sa, è impietoso se qualcosa non va per il verso giusto. Mi auguro che l’azienda voglia continuare a mantenere la sua presenza forte in provincia di Taranto».
C’è chi teme lo spostamento della direzione di Alenia a Napoli.
«Per carità, risparmiamoci la guerra tra poveri. Puglia e Campania, depurate da criminalità e sommerso, potrebbero essere l’asse che traina il Sud come la Lombardia e il Veneto al Nord».
E la politica? Per far le cose bisogna essere in due.
«Infatti. Parlo di comunità e di politica, perché per me coincidono. A Taranto la classe dirigente sarà sottoposta al giudizio degli elettori a partire dalle provinciali di giugno. Il Pd, e il suo candidato Florido, hanno una chance».
Scenderà in campo con una lista?
«Dipende da come si muovono Florido e il partito. Non è da escludere. Certo, il Pd deve coinvolgere la gente, i ceti delle professioni, i giovani, non come elettori, ma come nuova classe dirigente. Parlo dei tanti che finora sono stati tagliati fuori. Chi ha governato per 15 anni ora scriva qualche articolo sul giornale. Occorrono forza e coraggio di cambiare».
FULVIO COLUCCI

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