Come sempre, molti opinionisti si ergono a predicatori di La Palice o ad epigoni di Sherlock Holmes quando danno qualche loro parere (si veda però, in proposito, la celebre spiegazione dei "pareri" che diede Giorgio Gaber... ).
Peccato che il Nostro non abbia letto per intero le sentenze emesse e non abbia quindi (o non voglia averlo) ben chiaro in quali condizioni quell'acciaio sia stato prodotto e che tipo di interlocutore, in termini di affidabilità, sia considerata l'Ilva e la sua proprietà.
Consigliamo allora umilmente al giornalista di non scrivere opinioni troppo superficiali (che di lapalissiano hanno ben poco) e di investire qualche settimana ad informarsi prima di sentenziare.
L’Ilva, il corpo di reato e il buonsenso
Sin dall’inizio della vertenza i magistrati tarantini hanno posto sotto sequestro, nei capannoni e nei piazzali dell’acciaieria, molte tonnellate di acciao già lavorato. Pronto per essere spedito alle ditte che ne hanno bisogno. Un miliardo e duecento milioni di valore di mercato.
Lo hanno fatto perché considerano questo pesantissimo malloppo corpo di reato. In quanto prodotto da impianti che danneggiano la salute.
Vero, ma ormai quell’acciaio esiste già. La sua produzione può aver fatto del male, ma è cosa fatta e non si può tornare indietro con una macchina del tempo.
Non si può con il sequestro annullare gli effetti passati della sua produzione. Buon senso lapalissiano.
E che corpo di reato sarebbe ? Viene considerato corpo di reato un qualcosa (arma, cadavere, medicinali, indumenti, luoghi…) che può servire a dimostrare l’avvenuto reato o a fornire prove e indizi per individuare i colpevoli.
Ma, che l’Ilva produca acciaio è fatto assodato. Lo stato dei suoi impianti, anche. A cosa serve il sequestro di tonnellate di acciaio finito ? Può fornire ulteriori elementi alla magistratura ?
Direi proprio di no. Allora non è l’acciaio l’oggetto reale a cui mira il sequestro, ma il suo valore. Che può essere usato eventualmente per coprire una parte del risarcimento dei danni causati dall’Ilva. Andrebbe bene, se non fosse che questo meccanismo colpisce anche le decine di industrie e ditte in tutta Italia che senza quella materia prima non possono continuare a lavorare. E, in alcuni casi, dovranno mandare i loro dipendenti a infoltire l’esercito di cassintegrati e licenziati.
Sarebbe sensato cercare un’altra soluzione. Per esempio quella di mettere sul mercato quell’acciaio e sequestrare i proventi della sua commercializzazione. Cautelandosi con l’Ilva, ma senza far molto male ad altre imprese.(Mario Scialoja - L'Espresso)
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