sabato 5 gennaio 2013
Il pelato coop
Dopo il danno, la beffa.
Taranto è la città dove il PD ha sempre espresso il peggio di sè.
Squallidi partitocrati piccoli piccoli si sono venduti anche le madri per bustarelle da pezzenti.
Un ex sessantottino diventato grasso e tracotante siede alla camera nel nome di questa città, sotto le bandiere del PD. Dalle intercettazioni telefoniche apprendiamo che lui, tarantino, voleva far "gettare il sangue" (traduzione letterale di "scettà 'u sangh", un'espressione tarantina usata come metafora per esprimere il desiderio di vedere qualcuno eliminato in modo violento e doloroso) a Della Seta, un collega di partito e parlamentare, che difendeva il diritto alla giustizia nei confronti di alcune delle infinite umiliazioni che la grande industria ha inferto al territorio.
Qui il partito ha mandato un altro parlamentare, siciliano, a intascare crediti di voti guadagnati chissà con quali promesse. Nella sua regione era impresentabile per uno scandalo di squallida corruzione in cui è invischiato il marito.
Qui il PD domina la provincia con la giunta più ignava della storia del territorio, che ha dovuto allontanare l'assessore all'ambiente, anche lui PD, perchè talmente marcio da far pensare che passasse più tempo a lavorare per l'Ilva che per i suoi concittadini.
Per non parlare del presidente, con interessi familiari all'Eni...
E stendiamo pure un velo pietoso sul comune e sugli affari del PD (sanità, alloggi popolari, centri commerciali...)
E oggi che ci riserva il PD?
Una bella spalmata di manifesti elettorali con il Pelato Coop.
Il pelato che voleva "donare" alla città il rigassificatore che non volevano i brindisini, quello che ha accettato l'obolo (98000 euro) dei Riva per la sua personale campagna elettorale.
Oggi ammorba con un manifesto dalla grafica scontatamente coop tutte le strade della città, sorridendo sotto i baffi, con una faccia di bronzo da fare invidia alle statue di Riace.
Fate la provvista, cari pecoroni tarantini, comprate il pelato coop, costa solo 99000 euro!
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“Caro Pierluigi, mi rivolgo a lei per un episodio di cui è stato protagonista il senatore Roberto Della Seta (PD)”. Comincia così una lettera inviata nel 2006 a Bersani da Emilio Riva patron dell’Ilva su suggerimento di Gerolamo Archinà, direttore dei rapporti istituzionali dell’Ilva, per segnalargli che il suo senatore intendeva assumere una iniziativa contro il decreto salva-Ilva che il governo Berlusconi stava per varare.
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Un intervento richiesto dal Riva “facendo leva sulla reciproca conoscenza” con Bersani, al quale in quello stesso anno elargì un sostanzioso contributo di 98.000 €, ufficialmente per finanziare la sua campagna elettorale. Quindi Bersani conosceva e bene la situazione dell’Ilva e delle sue difficoltà per le continue richieste di interventi per il controllo delle emissioni e della bonifica ambientale richiesti per ricevere le dovute autorizzazioni, ma il segretario PD fece finta di niente e non segnalò il problema dell’inquinamento ambientale. E mentre i Riva facevano ricorso a Bersani, un altro senatore del PD Ludovico Vico veniva intercettato al telefono con un dirigente dell’Ilva al quale disse, tra l’altro: “a quello lì, a Della Seta, gli dobbiamo fare uscire il sangue…”. Il Pd sapeva della grave minaccia costituita dall’Ilva ma era interessatamente silente e colpevolmente connivente. Salvo poi abbandonarsi, una volta scoperti, alla sceneggiata cui tutti assistiamo.
Sempre alle prese con il problema dell’Aia (Autorizzazione integrata ambientale) Archinà si rivolse pure a Vendola, per lamentarsi dell’atteggiamento di Giorgio Assennato, presidente dell’Arpa di Puglia (Agenzia Regionale per la Prevenzione e Protezione dell’Ambiente), che non sembrava propenso a concedere un parere positivo alla continuazione delle produzioni dell’Ilva senza sostanziosi accorgimenti correttivi degli stablimenti di Taranto. Archinà insiste e richiama Vendola il quale lo rassicura: “Tranquillo, non mi sono dimenticato di voi”. Invece di difendere il suo stretto collaboratore, Vendola si abbandona allo sperticato elogio telefonico dei Riva: “L’Ilva è una realtà produttiva cui non possiamo rinunciare; e quindi, fermo restando tutto il resto, dobbiamo vederci, dobbiamo dare garanzie. Volevo dirglielo, perchè (Assennato, ndr) poteva chiamare per dire che il presidente della Puglia non si è defilato”. Che Vendola abbia severamente redarguito il suo collaboratore presidente dell’Arpa è lo stesso Assennato a confermarlo. In una conversazione intercettata il 23 giugno 2010 tra lui e Archinà, Assennato si incavola di brutto col dirigente dell’Ilva: “Girolamo, sono molto incazzato! La dovete smettere di comportarvi così, di andare dal presidente (Vendola, ndr) a dire che siete vittime di una persecuzione dell’Arpa. Vendola questa mattina ha convocato Massimo Blonda (direttore scientifico dell’Arpa, ndr) e gli ha rimproverato di essere persone senza palle!”. Una vera squisitezza detta dal governatore “diverso”, ma per i magistrati che indagano costituisce la prova regina dell’avvenuto intervento di Vendola a tutela degli interessi dei Riva e dell’Ilva. l In merito, appare significativo il silenzio di Vendola durante la vicenda Ilva ed il suo defilarsi dalla stessa. Più tardi, in un’altra telefonata, Vendola disse ad Archinà: “I vostri principali alleati, in questo momento, ve lo voglio dire, sono quelli della Fiom. Per poi aggiungere quasi scusandosi: “Le ho fatte veramente le battaglie…le difese sulla vita e sulla salute”…
Per Archinà ormai l’ambito della regione Puglia sta stretto a Vendola che mira ai massimi livelli del potere nazionale e commenta: “Lui ormai aspira in alto, penso, anzi sono sicuro che ci riuscirà. Per cui ci stanno bene i suoi discorsi”. Sì, i Riva si sentivano sicuri perché il governatore gli aveva garantito la copertura della Fiom. Più tranquillo di così!
Ora la parola spetta alla magistratura che ha portato l’inchiesta Ilva-Bersani-Vendola ad un punto molto avanzato. Chissà che cosa si è rotto nel meccanismo di connivenze e di intreccio affari-politica-interessi personali da far precipitare la situazione con i protagonisti ognuno contro l’altro ed in fuga alla si salvi chi può. Erano tutti d’accordo, poi all’improvviso hanno scatenato il finimondo sulla pelle di 50.000 famiglie che rischiano il lastrico e il sistema produttivo nazionale che rischia un tracollo. Ma in ogni caso, riteniamo che stavolta a Vendola non basterà la giudice amichetta di merende della sorella per salvarlo. E ne vedremo delle belle! (qelsi)
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