Million dollar “Ilva”
La “notizia” è di quelle simpatiche. Viene battuta dalle agenzie di
stampa nella tarda mattinata di ieri. A quanto pare, l’Ilva avrebbe
perso la possibilità di garantire le forniture per la costruzione di un
gasdotto in Oklahoma, negli Stati Uniti. Il cliente che aveva fatto
l’ordine alla società del gruppo Riva, avrebbe annullato l’ordine
non avendo ricevuto, alla scadenza prefissata, parte della commessa. Si
tratterebbe di novemila tonnellate di tubi che erano già state prodotte
dal siderurgico di Taranto e che fanno parte dello stock complessivo di
quel milione e 700mila tonnellate fra tubi e lamiere (valore vicino al
un miliardo di euro) che dal 26 novembre é sottoposto a sequestro
giudiziario. Le agenzia dicono anche che tale evento “lo rende noto
l’azienda”. Ma nella giornata di ieri l’Ilva non ha diramato nessun
comunicato stampa ufficiale, né convocato alcuna conferenza stampa per
rendere noto l’accaduto. Silenzio assoluto anche da parte dei sindacati.
Sempre secondo le agenzia di stampa, l’ordine prevedeva la consegna
delle 25.000 tonnellate di tubi grezzi - del valore complessivo di 25
milioni di dollari - in tre momenti differenti: la prima e la seconda
tranche entro novembre 2012 e la terza tranche entro questo gennaio.
L’azienda che aveva fatto l’ordine avrebbe fatto sapere all’Ilva che non
avendo ricevuto neanche la prima tranche del prodotto (costituita dalle
9500 tonnellate di tubi che sono sotto sequestro nell’area portuale di
Taranto), l’ordine era da considerarsi annullato. Ma le date in
questione, lasciano più di qualche dubbio. Perché ammesso e non concesso
che tutta questa storia sia vera, appare molto strano che l’Ilva non
abbia potuto consegnare le prime due tranche dell’ordine perché
“impedita” dal sequestro della Procura. Visto che quest’ultimo è
arrivato il 26 novembre, praticamente a fine mese. La mancata consegna,
inoltre, non può nemmeno essere addebitata al sequestro dell’area a
caldo del 26 luglio, visto che nonostante la non facoltà d’uso ai fini
produttivi degli impianti imposta dal gip Patrizia Todisco, l’Ilva entro
il 26 novembre aveva prodotto la bellezza di quasi due milioni di
tonnellate tra coils e lamiere: dunque ben oltre i 9500 tubi che avrebbe
dovuto consegnare all’azienda in questione. Così come appare alquanto
strano che le agenzie di stampa non forniscano il nome dell’acquirente e
che l’Ilva non l’abbia fornito loro. Così come è francamente poco
credibile che un’azienda d’oltreoceano che aveva effettuato un ordine
all’Ilva, non sia venuta a conoscenza delle vicende giudiziarie che
hanno investito il siderurgico tarantino e che hanno fatto il giro del
mondo la scorsa estate. Ancora una volta, quindi, ci troviamo di fronte
all’approssimazione più assoluta, con gli organi di stampa che ripetono
come pappagalli ben ammaestrati (cosa in cui sono stati impegnati per
anni) quanto “riferito” dall’Ilva attraverso canali peraltro poco
chiari. Ed allora, proviamo noi a fare un po’ di chiarezza.
Prendendo per buona la notizia della commessa sfumata, attraverso un po’
di ricerche possiamo ipotizzare che si dovrebbe trattare della
costruzione della porzione meridionale del gasdotto “Keystone XL” in
corso dal mese di agosto, da parte dell’azienda “TransCanada”, colosso
canadese nel campo del gas e dell’energia che ha chiuso il 2011 con un
utile netto di 1,5 miliardi di dollari. “Keystone XL” è un gasdotto
lungo 3.460 chilometri di condotte che trasporta greggio da Hardisty,
Alberta (provincia del Canada occidentale dove tra l’altro ha sede la
TransCanada), ai mercati del Midwest di Wood River, Patoka in Illinois e
Cushing in Oklahoma. La parte canadese del gasdotto va da Hardisty,
gira a sud e attraversa il confine con il North Dakota. Dal Nord Dakota,
il gasdotto si dirama a sud attraverso il Sud Dakota ed il Nebraska. A
Steele City, nel Nebraska, un braccio del gasdotto gira verso est
attraverso il Missouri per consegnare il gas a Wood River e Patoka,
nell’Illinois, mentre un altro braccio continua a sud attraverso lo
stato dell’Oklahoma per portare il gas a Cushing, sempre in Oklahoma. Le
consegne a Wood River e Patoka sono iniziate nell’estate del 2010,
mentre la consegna a Cushing è iniziata nel febbraio del 2011. La
costruzione di questo gasdotto è stata completata per un terzo del suo
percorso e si prevede che possa essere completato entro l’estate di
quest’anno.
Ciò detto, non può e non sarà certamente un caso se
questa notizia è venuta fuori ieri. Guarda caso proprio nel giorno in
cui il gip Todisco e il tribunale dell’Appello di Taranto si sarebbero
dovuti esprimere sull’istanza di dissequestro del milione e 700mila
tonnellate presentata dall’Ilva. La decisione è stata rinviata ad oggi.
Ma il giochetto ha raggiunto limiti francamente stucchevoli. Queste
minacce vigliacche lasciate trapelare come “notizie”, non fanno più
paura a nessuno. Né potranno influenzare la decisione del gip e dei
giudici del Riesame. A cui l’Ilva manda questo nuovo messaggio
“internazionale”: “vedete cosa succede se non ci restituite il materiale
prodotto? Perdiamo commesse, milioni di dollari che potremmo investire
nel risanamento degli impianti, che darebbero ossigeno e liquidità alle
nostre casse e ci permetterebbero di continuare a pagare gli stipendi
dei nostri dipendenti”. Suona proprio bene, vero? Peccato che quei coils
e quelle lamiere realizzati prima del 3 dicembre, altro non sono che
“corpo del reato” perché prodotti utilizzando gli impianti dell’area a
caldo sui quali l’azienda non aveva alcuna facoltà d’uso ai fini
produttivi. Dunque l’Ilva ha violato palesemente la legge. Con la
connivenza silenziosa di istituzioni e sindacati. Provate a chiedere a
canadesi ed americani, che sulla giustizia sono avanti anni luce
rispetto a noi così come sulla chiusura delle aziende siderurgiche
altamente inquinanti, se avrebbero voluto costruire il loro gasdotto con
del materiale prodotto contro la legge e che ha contribuito ad
inquinare un intero territorio e a far ammalare operai, uomini, donne e
bambini di un’intera città. E’ proprio il caso di dire, “yankee go
home”.
Gianmario Leone TarantoOggi 15 01 2013
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