L’ACCIAIO REGGE LA CRISI PER ORA
Gianmario Leone TarantOggi 30 01 2012
PRODOTTO APPENA IL 5% IN MENO RISPETTO AL 2011. MA SE L’ILVA CHIUDE IL CROLLO E’ ASSICURATO
La produzione di acciaio in Italia nel 2013 è attesa in linea con
quella dell’anno appena conclusosi: 27,2 milioni di tonnellate, il 5,2%
in meno rispetto al 2011. Secondo le previsioni di Federacciai però, si
potrebbe scendere sotto questa soglia qualora l’euro dovesse continuare
ad essere forte nei confronti del dollaro. “Nel 2012 la crisi è stata
attutita solo grazie alle esportazioni. I forti rischi di svalutazione
del dollaro e di rivalutazione dell’euro per un paese come il nostro
peseranno”, ha dichiarato ieri il presidente dell’organizzazione,
Antonio Gozzi. Federacciai, per chi non lo sapesse, è la federazione che
rappresenta le imprese italiane del settore della siderurgia: fa parte
di Confindustria e conta circa 150 aziende associate che realizzano e
trasformano oltre il 95% della produzione italiana di acciaio. Non è un
caso, dunque, se tra i vice presidente dell’organizzazione vi è Nicola
Riva.
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E’ ancora meno un caso se per anni ha ricoperto la stessa carica
il fratello maggiore, Fabio. Del resto, le stime di Gozzi sulla
produzione dell’acciaio fornite ieri, non hanno calcolato gli effetti
che deriverebbero da un eventuale chiusura dell’Ilva di Taranto. E’ lo
stesso Gozzi a confermare come, nonostante l’azione della magistratura,
“fino a oggi l’Ilva, nonostante lo stop and go ha cercato di andare
avanti con la produzione”. Cosa intenda il buon Gozzi quando parla di
“stop and go” della produzione Ilva, non è dato sapere, visto che il
siderurgico tarantino non ha mai di fatto cessato la sua attività
produttiva. Anzi, secondo le tante testimonianze fornite dagli operai,
dal giorno del sequestro avrebbe addirittura aumentato il suo “score”
produttivo. Nelle previsioni di Federacciai, l’Ilva quest’anno produrrà
“fra 6-7-8 milioni di tonnellate”: ennesima testimonianza del fatto che
la riduzione sulla produzione imposta all’Ilva dal ministro
dell’Ambiente Corrado Clini nella nuova AIA, 8 milioni di tonnellate,
non provocherà alcun danno alle casse del gruppo Riva. “Se, invece, la
situazione si incancrenisce - afferma infatti Gozzi - dai 27 mln di
tonnellate prodotte nel 2012, considerate che quasi 8 vengono da
Taranto”, ha concluso. Al di là della vicenda Ilva, resta un fatto
incontrovertibile: che la crisi economica morde e si fa sentire sul
settore dell’acciaio: rispetto ai picchi toccati nel 2007-08, la domanda
europea è scesa del 30-35%, mentre in Italia solo negli ultimi due anni
la domanda interna è calata del 40% in tutti i comparti, sia nei
prodotti lunghi utilizzati nell’edilizia sia in quelli piani utilizzati
per le auto. Quello che potrebbe accadere con un’eventuale chiusura
dell’Ilva quindi, atterrisce il settore economico italiano al sol
pensiero. Come riportammo su queste colonne lo scorso agosto
nell’inchiesta sul mondo della siderurgia italiana, i numeri del
siderurgico tarantino parlano da soli. Solo nell’ultimo anno, 8 milioni
di tonnellate di prodotti finiti piani. I clienti hanno nomi pesanti:
Fiat, Bmw, Peugeot, Finmeccanica, i principali tubisti italiani come
Marcegaglia, Alfieri e Padana Tubi, le carpenterie metalliche Cimolai e
il Gruppo Manni, imprese del settore elettrodomestici e caldaie, aziende
del comparto costruzioni che operano nella realizzazioni di grandi
infrastrutture. C’è il commercio di prodotti piani, che acquista lamiere
e coils per approvvigionare artigiani e micro aziende: 1500
commercianti, metà dei quali tratta prodotti piani, sul cui mercato
italiano l’Ilva detiene l’80% (il 40% in complesso sui 28,5 milioni di
tonnellate di produzione di acciaio italiana). L’industria nazionale si
approvvigiona con 5 degli 8 milioni di tonnellate prodotte dall’Ilva,
ovvero il 40-45% del fabbisogno della filiera industriale
trasformatrice. Senza l’Ilva, toccherà importare dall’estero con costi
finanziari extra anche sulla logistica: tra i 2 e i 5 miliardi di euro
di spesa in più. Ma l’Ilva serve anche nell’export. Nell’ultimo anno il
Gruppo Riva ha esportato 3 milioni di tonnellate (2,5 nella UE e mezzo
milione nell’extra UE). Dunque, senza l’Ilva, aumenterebbero le
importazioni e diminuirebbero le esportazioni. Inoltre, in Italia non
c’è azienda che potrebbe sostituire la produzione che garantiscono i
Riva. Il Gruppo Arvedi, ad esempio, non ha la stessa capacità
produttiva. Così come Piombino e Trieste. Ma oltre confine, ci
riuscirebbero: eccome. C’è la ArcelorMittal (seppur in crisi), i danesi
di Corus, ThyssenKrupp, i cinesi e i russi. L’effetto complessivo di
sostituzione dell’Ilva sulla bilancia commerciale nazionale, oscilla tra
3,7 e i 5,5 miliardi all’anno. A cui vanno aggiunti oneri legati
all’importazione, tra i 750 milioni e 1,5 miliardi di euro. L’onere
complessivo per la cassa integrazione complessiva, sarebbe all’incirca
di 330 milioni l’anno. La cifra finale è di circa 8 miliardi di euro
l’anno. Ecco perché, anche Gozzi, non ha dubbi sul fatto che l’Italia,
grazie all’Ilva, debba continuare a produrre acciaio: “Non esiste un
solo grande paese industriale al mondo che non abbia produzioni
siderurgiche, pensare che si possa fare a meno è stupido e
irrealistico”. Ma dopo mesi di attacchi fuori luogo alla magistratura
tarantina, anche Gozzi sembra aver ceduto su un punto: “bisogna produrre
compatibilmente con la salvaguardia dell’ambiente, servono investimenti
e lavori a lungo termine, come è accaduto all'impianto a ciclo
integrale di Linz in Austria di Voestalpine”, ha aggiunto. Perché per
Gozzi, la situazione dell’Ilva, è simile a molti altri luoghi in Europa.
Ma come mai sino ad oggi nulla è stato fatto? Anche Gozzi si dice
“colpito” da questa mancanza. Non è per caso che il gruppo Riva ha
“mancato” in tante situazioni? “La società ha guadagnato 4,2 miliardi e
ne ha investiti nell’Ilva di Taranto 4,5, più di quanto il gruppo ha
guadagnato in questi anni e di questi oltre un miliardo per l’ambiente. I
Riva avranno molte colpe, ma cosa si deve chiedere a un imprenditore se
non di reinvestire quello che guadagna in tutte le sue aziende? Non
vorrei che senza un processo la partita dell'Ilva e dei Riva sia già
chiusa”. Il solito ritornello, dunque. Ma nessuno, nemmeno Gozzi,
chiarisce su cosa sarebbero stati investiti questi fantomatici 4,5
miliardi. Né chiarisce a cosa sia servito il presunto miliardo
sull’ambiente, visto che anche il ministro Clini ha dovuto ammettere che
gli impianti dell’area a caldo vanno risanati entro 3 anni perché
inquinano. Non secondo i dati che però possiede Gozzi. “Secondo una
recente rilevazione dell'Istituto Mario Negri di Milano (contenuto nella
famosa controperizia dell’Ilva che però, “stranamente” non è stata
presentata nell’incidente probatorio dai legali dell’azienda) a Taranto
non c'è più diossina che in qualsiasi altra città italiana, questo
perché non lo dice nessuno?”. Perché è una clamorosa bufala, caro Gozzi.
2 commenti:
Notizie imprecise.
Andate a vedere le cifre sul crollo del mercato che sono sul mio sito. Sommate le chiusure di cui parliamo. Aggiungete che in pochi anni, come accaduto allo shipping, I Brics produrranno da loro stessi. Anche se peggio e inquinando tantissimo.
Federacciai gioca al suo gioco. E tiene bordone al governo che tiene bordone a loro. E ai sindacati.
Ricordate la cassa integrazione chiesta a prescindere da Ferrante... e bon, chapeau!
P.s. i ricorsi di anticosituzionalità sono stati depositati da giorni, ormai.
condividiamo le note.
Sottoporremo i commenti al giornalista!
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