«I dati del biomonitoraggio sugli allevatori tarantini e quelli su un campione di donne in età riproduttiva confermano che esiste a Taranto, e in particolare nelle aree a ridosso della zona industriale, un problema di contaminazione della catena alimentare». Lo ha detto all’ANSA il direttore del Dipartimento di prevenzione della Asl di Taranto, Michele Conversano.
Conversano ha partecipato alla conferenza stampa sui risultati del biomonitoraggio sulle donne tarantine, eseguito dall’Istituto Superiore di Sanità nell’ ambito del progetto 'Life 08 womenbiop'.
«La presenza di elementi inquinanti negli allevamenti a ridosso dell’area industriale – ha aggiunto – contrasta con la minore presenza nelle donne per il semplice fatto che gli alimenti vengono quasi sempre acquistati dalle famiglie attraverso la grande distribuzione, e dunque raramente si tratta di produzioni locali. Ciò però non toglie che il problema della contaminazione della catena alimentare locale esiste».
Il lavoro di biomonitoraggio svolto sino ad oggi, conclude Conversano, è «solo un tassello del piano complessivo di prevenzione allo studio insieme all’assessore regionale alle Politiche della Salute, Ettore Attolini. Già oggi abbiamo a disposizione, attraverso alcune deroghe, otto tecnici in più per il lavoro di prevenzione». (GdM)
Diossine a Taranto? Non più di altri posti. E scoppia la polemica |
Diossine,
policlorobifenili (PCB), e in generale gli inquinanti organici
persistenti prodotti in aree come quella dell’Ilva di Taranto non hanno
una incidenza particolare sulle donne in età riproduttiva. È quanto
emerge da un biomonitoraggio effettuato dall’Istituto superiore di
sanità insieme alla Asl di Taranto su un campione circa cento donne
residenti nell’area urbana di Taranto e residenti in aree prive di
impatto industriale per rilevare in entrambi i gruppi l'esposizione a
inquinanti organici a elevata tossicità. Biomonitoraggio che ha mostrato
«concentrazioni ematiche sovrapponibili con quelle osservate in altri
studi condotti sulla popolazione generale italiana e in indagini simili
effettuate in molti Paesi europei». Lo studio, presentato questa mattina, fa parte del progetto 'Womenbiopop' finanziato dalla Comunità Europea e dall’Istituto Superiore di Sanità con il contributo del ministero dell’Ambiente, ed è «il più vasto progetto realizzato finora su donne in età riproduttiva per valutare l’esposizione a inquinanti organici persistenti e tossici», come ha sottolineato Loredana Musmeci, Direttore del Dipartimento Ambiente e connessa Prevenzione Primaria dell’Istituto Superiore di Sanità. «I risultati per la provincia di Taranto non solo non devono in alcuna maniera fare abbassare lo stato di attenzione rispetto al monitoraggio della popolazione del territorio – ha osservato – ma indicano anzi che i successivi studi di biomonitoraggio dovranno essere estesi a altri fattori di rischio chimico oltre che includere soggetti di ambo i sessi e tutte le fasce di età «. Con questo progetto «abbiamo cercato di valutare diversi fattori di rischio in modo da avere un quadro il più completo possibile delle variabili che possono intervenire per comprendere i risultati ottenuti» ha spiegato Elena De Felip ricercatrice dell’ISS e responsabile scientifico dello studio. Così si aggiunge «un altro tassello alla comprensione di un fenomeno complesso» visto che «l'interpretazione dei dati di biomonitoraggio è in genere complicata e si giova anche del confronto con altri studi. I risultati ottenuti nel precedente biomonitoraggio condotto sugli allevatori delle masserie della provincia di Taranto hanno mostrato l’impatto delle attività industriali sulla produzione alimentare locale e la conseguente maggiore esposizione degli allevatori rispetto alle donne che hanno partecipato allo studio sulla popolazione femminile, confermando il ruolo predominante dell’esposizione alimentare nel determinare i livelli ematici di questi inquinanti». PEACELINK: ABBIAMO RISERVE SULLA METODOLOGIA DELLO STUDIO«L'indagine ha un limite di fondo: è stata realizzata solo su donne giovani. Poichè le diossine sono bioaccumulabili, esse crescono di circa tre volte nel corso della vita e si riscontrano in concentrazioni molto più alte in donne anziane». Lo afferma in una nota il presidente di Peacelink Taranto Alessandro Marescotti riferendosi all’indagine 'Womenbiopop' sulla presenza delle diossine nel sangue delle donne di Taranto, effettuata dall’Istituto superiore di sanità (Iss) insieme alla Asl di Taranto, che non ha evidenziato una incidenza particolare degli inquinanti organici persistenti prodotti in aree come quella dell’Ilva sulle donne in età riproduttiva. «Esprimo le mie riserve metodologiche – aggiunge Marescotti - su questo studio. L’indagine presentata è basata pertanto su una impostazione che minimizza le differenze e che non consente di apprezzare le variazioni di concentrazione fra esposti e non esposti; questa differenza si può apprezzare appieno solo comparando donne anziane esposte e donne anziane non esposte». Per l’ambientalista «non appropriata è stata inoltre la comparazione fra le donne di Taranto e quelle di Terni. «Terni è infatti inquinata dalla diossina dell’inceneritore e dei forni elettrici dell’acciaieria – afferma – A Terni vi è un divieto di pascolo analogo a quello di Taranto, per via dell’eccessiva concentrazione di diossine nei suoli». E «non è felice neppure la comparazione con i dati della zona del Lago di Garda, che è vicino a Brescia, fortemente contaminata dall’apirolio che è stato prodotto lì e portato nel polo industriale e militare di Taranto. Ecco perchè – conclude - questo studio non fa scalpore». (GdM) |
2 commenti:
leggi un pò quel che scrivo qui, penso sia di tuo pieno interesse... e magari aiutami, aiutiamoci a capirne qualcosa. Perchè la stampa ufficiale davvero fa di tutto per creare cortine di fumo... :
http://corporeuscorpora.blogspot.it/2013/01/ilva-biomonitoraggio-ancora-dati.html
Saluti!
P.s. non mi ero accorto che c'era un post specifico, anche se avrei dovuto supporlo... ;)
http://comitatopertaranto.blogspot.it/2013/01/a-proposito-di-nicola-porro.html
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