Caso Ilva, i 190 milioni dei Riva
I proprietari della fabbrica di Taranto sostengono di
aver investito tutti gli utili in azienda, per renderla meno
inquinante. Invece un bel gruzzolo è stato trasferito in una loro
holding
L'Ilva paga, Riva incassa: ecco le consulenze d'oro dei padroni dell'acciaieria di Taranto. Dal 2008 al 2011 una holding controllata da Emilio Riva insieme a figli e nipoti ha ricevuto almeno 190 milioni di euro a titolo di compensi per servizi di varia natura prestati al grande gruppo siderurgico. Lo rivela il settimanale L'Espresso nel numero in edicola domani, venerdì 26 ottobre. In pratica, i Riva si sono trasformati in consulenti di se stessi, profumatamente pagati, con i soldi dell'acciaieria di Taranto. Un'operazione in conflitto d'interessi su cui nessuno tra i sindaci o gli amministratori di Ilva ha avuto nulla da obiettare. La holding Riva Fire – rivela l'inchiesta pubblicata da L'Espresso - ha siglato anni addietro ricchi contratti di consulenza con Ilva, che paga di conseguenza.
In questo modo la famiglia ha ricevuto decine di milioni ogni anno. "Abbiamo sempre reinvestito nell'azienda tutti profitti dell'Ilva", ripetono da anni Emilio Riva e i figli. Niente dividendi, quindi. Ma non ce n'era bisogno perché grazie ai contratti di consulenza la famiglia di industriali lombardi ha comunque prelevato decine di milioni dalle casse dell'Ilva. Nel giugno scorso, all'assemblea dei soci del gruppo siderurgico, la famiglia Amenduni, azionista con il 10 per cento, ha chiesto chiarimenti sulla natura delle consulenze e sulla congruità dei compensi. La risposta dei Riva è stata che la loro holding fornisce una serie di servizi all'Ilva, un colosso con oltre 15 mila dipendenti e centinaia di dirigenti, in cambio dei quali riceve pagamenti definiti "conformi a un campione significativo di gruppi italiani". Vittorio Malagutti (L'Espresso)
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