'Io, l'avvocato dei morti dell'Ilva'
di Tiziana Migliati (Espresso)
Si chiama Massimiliano Del Vecchio, da dieci anni
combatte in aula per conto delle vittime dei gas nocivi. E racconta
storie terribili: come quella dell'operaio costretto a togliersi la
maschera col respiratore per rispondere alle telefonate dei capi
L'avvocato Massimiliano Del Vecchio
Alcuni di quegli operai intossicati dalle emissioni nocive
dell'Ilva, lui non li ha mai conosciuti. Per loro parlano le
diagnosi mediche, le perizie epidemiologiche, le carte e gli occhi
dei familiari che si sono rivolti a lui, l'avvocato Massimiliano
Del Vecchio, e che a ogni udienza si presentano in aula.
Sono circa 223 le cause promosse dai familiari e dagli eredi per lesioni o decessi ascrivibili a motivi di lavoro. Gran parte riguardano l'Ilva o ancor prima la Fintecna, quando la proprietà dello stabilimento era pubblica. Ma la casistica è più ampia: «Abbiamo posizioni processuali aperte contro il ministero della Difesa, ritenuto responsabile di aver procurato mesoteliomi su dipendenti civili dell'Arsenale, contro la Darsena cantiere navale, cause contro Cementir e la raffineria Eni. Insomma, copriamo tutto lo spettro dell'inquinamento ambientale sofferto da questa città. Lo facciamo da oltre vent'anni», dice il legale.
Del Vecchio è il coordinatore nazionale della consulenza giuridica della Fiom Cgil per la salute e la sicurezza. Il sindacato si è costituito parte civile nei processi che avranno udienza nei prossimi giorni a Taranto e che riguardano il siderurgico: Il 3 ottobre contro l'Ilva per 15 lavoratori deceduti per mesotelioma o carcinoma polmonare, incentrato sull'esposizione a rischio da amianto.
Il secondo processo, il 23 novembre, coinvolge i più importanti manager della siderurgia pubblica nazionale e i direttori dello stabilimento che si sono succeduti dal '66 al '94. Riguarda neoplasie di varia natura, determinate da un mix di polveri cancerogene: «Nei processi ci avvaliamo delle perizie degli epidemiologi della procura, dei nostri tecnici, come la dottoressa Fiorella Belpoggi che è la direttrice dell'istituto Ramazzini di Bologna e il dottor Marco Bottazzi consulente nazionale Inca», spiega Del Vecchio.
Chi è il lavoratore tipo che avvia un'azione legale contro l'Ilva?
«Soprattutto gli eredi. E poi gli operai che escono dal ciclo produttivo, e spesso si ammalano quando pensano di godersi la pensione: capita perché i tempi di latenza di queste patologie sono molto lunghi».
Adesso ci sono le prove che l'Ilva inquina: è possibile che si intentino anche cause collettive da parte di cittadini?
«Qualche giornale ha parlato impropriamente di class action, ma non è un'azione prevista per questo tipo di reato: omicidio colposo plurimo, con l'aggravante dei futili motivi costituiti dal profitto. Le cause pilota partono dai lavoratori che hanno una struttura sindacale e legale già rodata, ma non escludo che tra un po' possa determinarsi un ricorso massiccio alla tutela giudiziaria, come è stato per Seveso».
In questi giorni si parla delle norme che l'Ilva deve rispettare per contenere le emissioni nocive, si cerca di stabilire un limite al di sotto del quale l'azienda possa produrre inquinando meno. Cosa ne pensa?
«In realtà io ho sempre sostenuto che i limiti non possono determinare esenzione da colpa e responsabilità per l'azienda che produce sostanze cancerogene, anche se resta al di sotto. La misura per l'individuazione del limite massimo di sopportazione deve essere quello della salute umana, non è la salute che deve adeguarsi a quelli che sono i limiti definiti dalla pubblica amministrazione».
Il terzo processo contro l'Ilva avrà la sua sentenza il 17 ottobre e riguarda l'avvelenamento di un lavoratore da gas di altoforno...
«Sì, sono quei gas che respiriamo anche in città, seppur filtrati e diffusi a distanza di chilometri. Se aspirati sul luogo di lavoro determinano la morte. E c'è una vedova che si batte da 4 anni perché suo marito abbia una sentenza esemplare».
Chi era la vittima?
«Un lavoratore che rispondendo più volte al telefono nei pressi delle valvole dell'altoforno, quelle che impediscono la fuoriuscita del gas, si è esposto al progressivo avvelenamento da monossido di carbonio. L'operaio si toglieva la maschera col respiratore per rispondere al telefono: e la maggior parte delle telefonate proveniva proprio dal datore di lavoro, che sapeva che l'operaio agiva nei pressi di un ambiente pregno di gas».
Sono circa 223 le cause promosse dai familiari e dagli eredi per lesioni o decessi ascrivibili a motivi di lavoro. Gran parte riguardano l'Ilva o ancor prima la Fintecna, quando la proprietà dello stabilimento era pubblica. Ma la casistica è più ampia: «Abbiamo posizioni processuali aperte contro il ministero della Difesa, ritenuto responsabile di aver procurato mesoteliomi su dipendenti civili dell'Arsenale, contro la Darsena cantiere navale, cause contro Cementir e la raffineria Eni. Insomma, copriamo tutto lo spettro dell'inquinamento ambientale sofferto da questa città. Lo facciamo da oltre vent'anni», dice il legale.
Del Vecchio è il coordinatore nazionale della consulenza giuridica della Fiom Cgil per la salute e la sicurezza. Il sindacato si è costituito parte civile nei processi che avranno udienza nei prossimi giorni a Taranto e che riguardano il siderurgico: Il 3 ottobre contro l'Ilva per 15 lavoratori deceduti per mesotelioma o carcinoma polmonare, incentrato sull'esposizione a rischio da amianto.
Il secondo processo, il 23 novembre, coinvolge i più importanti manager della siderurgia pubblica nazionale e i direttori dello stabilimento che si sono succeduti dal '66 al '94. Riguarda neoplasie di varia natura, determinate da un mix di polveri cancerogene: «Nei processi ci avvaliamo delle perizie degli epidemiologi della procura, dei nostri tecnici, come la dottoressa Fiorella Belpoggi che è la direttrice dell'istituto Ramazzini di Bologna e il dottor Marco Bottazzi consulente nazionale Inca», spiega Del Vecchio.
Chi è il lavoratore tipo che avvia un'azione legale contro l'Ilva?
«Soprattutto gli eredi. E poi gli operai che escono dal ciclo produttivo, e spesso si ammalano quando pensano di godersi la pensione: capita perché i tempi di latenza di queste patologie sono molto lunghi».
Adesso ci sono le prove che l'Ilva inquina: è possibile che si intentino anche cause collettive da parte di cittadini?
«Qualche giornale ha parlato impropriamente di class action, ma non è un'azione prevista per questo tipo di reato: omicidio colposo plurimo, con l'aggravante dei futili motivi costituiti dal profitto. Le cause pilota partono dai lavoratori che hanno una struttura sindacale e legale già rodata, ma non escludo che tra un po' possa determinarsi un ricorso massiccio alla tutela giudiziaria, come è stato per Seveso».
In questi giorni si parla delle norme che l'Ilva deve rispettare per contenere le emissioni nocive, si cerca di stabilire un limite al di sotto del quale l'azienda possa produrre inquinando meno. Cosa ne pensa?
«In realtà io ho sempre sostenuto che i limiti non possono determinare esenzione da colpa e responsabilità per l'azienda che produce sostanze cancerogene, anche se resta al di sotto. La misura per l'individuazione del limite massimo di sopportazione deve essere quello della salute umana, non è la salute che deve adeguarsi a quelli che sono i limiti definiti dalla pubblica amministrazione».
Il terzo processo contro l'Ilva avrà la sua sentenza il 17 ottobre e riguarda l'avvelenamento di un lavoratore da gas di altoforno...
«Sì, sono quei gas che respiriamo anche in città, seppur filtrati e diffusi a distanza di chilometri. Se aspirati sul luogo di lavoro determinano la morte. E c'è una vedova che si batte da 4 anni perché suo marito abbia una sentenza esemplare».
Chi era la vittima?
«Un lavoratore che rispondendo più volte al telefono nei pressi delle valvole dell'altoforno, quelle che impediscono la fuoriuscita del gas, si è esposto al progressivo avvelenamento da monossido di carbonio. L'operaio si toglieva la maschera col respiratore per rispondere al telefono: e la maggior parte delle telefonate proveniva proprio dal datore di lavoro, che sapeva che l'operaio agiva nei pressi di un ambiente pregno di gas».
Nessun commento:
Posta un commento