venerdì 19 ottobre 2012

All'indomani dell'ultimo Clini show

RIKATTOCCUPAZIONALE a volontà, con l'aggravante della minaccia cinese!!! L'ultima spiaggia della Riva family diffusa attraverso i media amici.

Ilva fa un passo indietro. «L'Aia ci danneggia»

Ora tutto è possibile, anche che Riva lasci Taranto. L’autorizzazione integrale ambientale sottoscritta ieri al ministero dell’Ambiente (dopo l’assenso dei ministeri dello Sviluppo economico, Salute, Interni e Lavoro), è un passo avanti dicono gli interlocutori istituzionali, ma Ilva non ci sta. Fa sapere di essere nell’impossibilità di adempiere alle prescrizioni dell’Aia, «in assenza della piena disponibilità dei beni». Uscendo dal ministero il presidente Bruno Ferrante a caldo aveva spiegato che «questa Aia entra in vigore nel 2012, mentre altrove in Europa si attenderà il 2016 e c’è persino chi chiede che si sposti al 2020 l’adozione delle nuove prescrizioni. Ciò per noi significa essere meno competitivi rispetto ad altri che potranno produrre in un regime assolutamente in condizioni più favorevoli rispetto alle nostre». Dunque, nonostante gli auspici mattutini del ministro Corrado Clini - «mi auguro che l’azienda colga l’opportunità di Aia per realizzare quel processo di ammodernamento e di miglioramento della produzione» - e nonostante il via libera al documento la situazione è diventata più difficile; e acquista un senso la risposta che Ferrante ha dato ad una domanda del nostro giornale: «Lasciare Taranto al momento non è ipotizzabile». Ora non lo è, ma domani? C’è un punto dirimente per la famiglia Riva che, in base alle prescrizioni dell’Aia, dovrebbe investire per l’adeguamento degli impianti circa 3 miliardi: può avviare questa operazione senza avere certezze normative? Perché, per esempio, l’inserimento nel testo (come sollecitava la Regione e il Comune di Statte - presenti alla conferenza dei servizi assieme al Comune e alla Provincia di Taranto e a molte associazioni ambientaliste) della norma sul danno per la salute, senza i regolamenti attuativi, può far saltare tutto: le prescrizioni potrebbero mutare in corso d’opera, diventando anche più rigide e con costi inaccettabili per l’azienda. Dunque tutto è possibile, tanto più che nonostante il via libera dell’Aia non tutti sono pienamente soddisfatti. Se il presidente della Provincia Gianni Florido lo ritiene un documento «rivoluzionario», per l’assessore regionale Lorenzo Nicastro è invece «un punto di partenza: laddove dovessero emergere nuovi elementi, dovrà essere riaperto». Quanto al sindaco di Taranto, la sua firma è stato un atto dovuto, «con un vincolo a tre mesi: se entro il 31 gennaio non toccheremo con mano risultati concreti ritireremo la nostra fiducia».
Rosanna Lampugnani (CdM)

Da Arcelor al gruppo Hebei l'acquirente si trova a Est

Taranto 21esima al mondo per acciaio prodotto
Per manifestazioni d'interesse il Porto diventa strategico

«Per il momento non è ipotizzabile lasciare Taranto». Ma è come dire: un domani chissà. «Per noi significa minore competitività e quindi i nostri competitori europei nei prossimi anni potranno produrre in un regime assolutamente diverso dal nostro, cioè più favorevole alla loro produzione». E ancora: «Dobbiamo valutare anche la nostra futura capacità produttiva: c'è un limite che è stato indicato, dobbiamo verificare se è coerente con l'impegno finanziario che ci viene richiesto». Tre indizi, quelli lanciati ieri dal presidente dell’Ilva, Bruno Ferrante, all’uscita dal ministero dell’Ambiente rispondendo a chi gli chiedeva dell’eventualità di lasciare il sito di Taranto. Tre indizi che non sempre fanno una prova. Ma qualche volta sì. E allora si può anche prendere in considerazione l’ipotesi che il gruppo Riva metta in vendita le acciaierie di Taranto. Ma chi potrebbe comprarle? Lo sguardo deve essere rivolto a Est, laddove si è spostato il baricentro del mondo: la Cina produce il 45% dell’acciaio mondiale e dieci anni fa, nel 2002, era solo al 15 per cento. Per rendere l’idea, se i cinesi producono quasi 700 milioni di tonnellate di acciaio, l’Italia — che pure è undicesima — non arriva a 30 (e gli Usa, terzi, non superano 90). La conferma arriva anche dall’occupazione: su quasi due milioni di addetti che lavorano nelle acciaierie, un milione e 250 mila sono in Asia, contro i poco meno di 230 mila in Europa (circa 37 mila in Italia).
È in Asia, quindi, che occorre cercare i colossi mondiali dell’acciaio. In Asia perché non c’è soltanto la Cina, in prima fila, ma anche l’India: il più grande gruppo produttivo al mondo di acciaio è l’indo-franco-lussemburghese ArcelorMittal con 97,2 milioni di tonnellate all’anno secondo i dati 2011 della Worldsteel association. A seguire, in classifica, c’è solo oriente: il secondo gruppo è il cinese Hebei (44,4 milioni di tonnellate), il terzo il cinese Baostell group (43,3 milioni), il quarto la coreana Posco (39,1 milioni), il quinto il cinese Wuhan group (37,7 milioni). E l’Europa? I tedeschi di Thyssen Krupp, con 17,9 milioni di tonnellate, si fermano al 16esimo posto e il gruppo Riva, il numero uno italiano, a livello mondiale è solo 21esimo. Insomma, il primo della serie B, se la A, come nel calcio, si restringe ai primi 20. Se mai i Riva mettessero in vendita l’Ilva e se mai si facesse avanti un compratore, questo non potrebbe quindi che essere indiano o cinese. Più probabilmente cinese, considerando la strategicità del porto jonico che più o meno periodicamente, tra alti e bassi, ha nell’ultimo decennio attirato l’attenzione degli operatori con gli occhi a mandorla. Se lo sguardo a Est, per i compratori, è scontato, non altrettanto lo è la convenienza dell’operazione. La tempistica, al contrario, non è delle migliori per un venditore. Le ultime statistiche di Worldsteel evidenziano come nello scorso mese di agosto nell’Unione europea sono state prodotte 12,2 milioni di tonnellate di acciaio grezzo, il 4,4% in meno rispetto ad agosto 2011 e — su base giornaliera — il minimo da dicembre 2009. Con un calo di produzione mensile, a livello globale, dell’1% e dell’1,7% in Cina. Sì, anche in Cina, perché persino i cinesi hanno sbagliato i calcoli: la sovraproduzione di acciaio, con conseguente discesa dei prezzi, riguarda anche loro. Una volta che sarà smaltita, però, non c’è dubbio che la produzione di acciaio a ritmi elevati ripartirà da lì, da oriente, così come fa il sole ogni mattina. E se il mondo, non solo dell’acciaio, negli ultimi vent’anni si è davvero spostato a Est, non è escluso che non possa accadere anche a Taranto.
Michelangelo Borrillo (CdM)

2 commenti:

Abate di Théléme ha detto...

Buon pezzo.
Vorrei sottolineare però che su queste dimensioni e per queste tipologie produttive non si tratta più solo di "mercato" ma di politica internazionale.
Arcelor Mittal si sta ritirando quasi ovunque dall'Europa.
Ma con questo non voglio dire che ci sia via libera per la Cina... anzi.
Forse è proprio sbarrata e non certo dal governo italiano, piuttosto filocinese...
prima o poi scriverò al riguardo, sto cercando le fonti necessarie.
Ad ogni modo hai centrato il punto, ciò che si sta muovendo lo fa per il mercato, più che per altro.
E i tarantini subiscono ancora.

coxta ha detto...

Si, sapevamo del bluff di Arcelor... In generale basta citare l'Est per evocare le paure... non a caso queste cose compaiono sui "media amici" non di certo su riviste serie di finanza e industria!