Un’industria molto matura ma con un grande futuro
Sono almeno trent’anni, forse di più, che sui giornali italiani, economisti ed esperti parlano di quanto sia ormai «matura », intesa come vecchia e obsoleta, l’industria siderurgica. Certo per produrre acciaio ci vogliono tanti capitali, grandi spazi, infrastrutture adeguate, amministrazioni disposti,comeavveniva in passato, a chiudere un occhio di fronte agli effetti dell’inquinamento per mantenere comunque posti di lavoro. Il dibattito non è granchè cambiato, anche se oggi, dopo una ristrutturazione dell’industria su base planetaria, sono arrivati nuovi protagonisti e sono stati aggiornati gli obiettivi. L’Italia è, nonostante le crisi e i ridimensionati, unimportante produttore e un grande mercato. Il nostro paese continua ad essere un importatore netto di acciai di alta qualità (e questo dovrebbe far riflettere sulla nostra struttura produttiva) mentre l’industria dell’auto, degli elettrodomestici, l’edilizia sono sempre importanti consumatori di acciaio. Gli industriali siderurgici, che lamentano la caduta della domanda, attendono con ansia l’avvio dei grandi lavori, delle centrali nucleari, del Ponte sullo Stretto promessi da Berlusconi.
Uscito di scena lo Stato, a partire dal 1992, la siderurgia è tutta nelle mani dei privati. Il primo degli italiani è il gruppo Riva, cui fa capo la grande Ilva di Taranto, esempio dell’industrializzazione di Stato al Sud. Ma la privatizzazione non ha creato nuovi grandi protagonisti nazionali, casomai ha aperto la strada all’ingresso degli stranieri. Ad esempio l’Acciaieria di Piombino venne consegnata dallo Stato a Lucchini negli anni Novanta: l’industriale bresciano si presentò con un piano di 900 licenziamenti, cacciando dalla fabbrica l’intero gruppo dirigente della Fiom. Altri tempi, si dirà. Sì, ma alla fine tutto torna: Lucchini, indebitato e sull’orlo del fallimento, è stato poi costretto a vendere l’intero gruppo ai russi della Severstal che hanno definito la fabbrica di Piombino «il nostro cuore in Europa Occidentale », hanno investito sulla sicurezza e mantenuto relazioni equilibrate sia con i sindacati che con le amministrazioni. Grandi operatori in Italia sono anche il gruppo Mittal, di proprietà dell’omonima famiglia indiana, primo produttore mondiale, la tristemente famosa ThyssenKrupp di Terni e Tenaris Dalmine della famiglia Rocca. Il quadro è completato dalla Marcegaglia, da più piccoli produttori bresciani, bergamaschi e vicentini che spesso usano i forni elettrici. È tornato a far parlare di sè anche Arvedi di Cremonache vent’anni fa era stato azionista dellaGemina e del Corriere della Sera, non senza problemi. Oggi, in una nuova fase di ristrutturazione internazionale a causa della recessione economica, il problema dei lavoratori italiani è confrontarsi con proprietà spesso troppo lontane. «La presenza delle multinazionali rende coplesse queste relazioni - spiega Vittorio Bardi, responsabile della Fiom per la siderurgia - si stanno cercando strade nuove, ad esempio è stato fatto un accordo sindacale europeo col gruppo Mittal per fronteggiare la crisi nei diversi Paesi, ma la gestione è sempre difficile ecomplessa ».
La congiuntura siderurgica non è certo positiva per il nostro paese. E la crisi potrebbe colpire ancora. Secondo gli industriali la produzione nazionale è caduta del 43%nei primi sette mesi dell’anno (poco più della flessione media europea del 41%) e le prospettive non sono rosee. Dopo la Tenaris Dalmine è possibile che anche la ThyssenKrupp decida di presentare un piano di riorganizzazione per l’impianto di Terni, come conseguenza di una più ampia ristrutturazione già avviata in Germania. Di positivo, invece, c’è qualche segnale all’Ilva di Taranto, secondo le notizie che giungono dal sindacato. Èstato riavviatounaltofornoe stanno rientrando alcuni lavoratori dalla cassa integrazione. Non è una svolta, ma è qualcosa di positivo in questa fase così difficile. Rinaldo Gianolatutti (Unità)
«Noi operai dell’acciaio ostaggio delle multinazionali»
Sono un po’ incazzato, scusa. Mi hanno comunicato che la fabbrica chiude. Poi ho visto quelli del pd in parlamento che hanno fatto passare lo scudo fiscale perchè qualcuno era a spasso. Ma se si votava per il testamento biologico stai tranquillo che la Binetti non mancava un colpo, si inchiodava alla seggiola. Ora, dimmi tu, come deve comportarsi un operaio? Il mio padrone è una multinazionale, la Tenaris Dalmine, e non so bene contro chi devo lottare. E la politica non va, in fabbrica mi hanno preso in giro: “Hai visto i tuoi amici del pd....” Non si sa più cosa fare e cosa pensare». Carlo Chelotti, 38 anni, lavora alla Tenaris Dalmine dal 1995, oggi assieme a un migliaio di suoi colleghi è un esubero. Il leader dei tubi ha deciso che Piombino si chiude, 124 operai fuori più gli altri dei servizi, al Nord nello storico stabilimento di Dalmine più di 700 devono andarsene, inoltre si taglia a Costa Volpino e anche ad Arcore, dove risiede il nostro adorato premier che non vede la crisi... Leggi l'articolo completo
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