giovedì 5 novembre 2009

Taranto Far West d'Italia!

Marpiccolo, la recensione

In Italia non abbiamo un cinema di genere, o meglio non lo abbiamo più (si lo so che in teoria ancora si producono film di genere ma per decenza preferisco fingere che non vengano proprio girati), però fortunatamente esistono ancora delle nicchie più o meno di genere che affrontano determinati temi in determinate maniere disegnando nuove categorie.
Marpiccolo è a suo modo un film di un genere che sta tra il gangsteristico all’italiana, il melodrammatico e il realista. Si tratta di quei film che dipingono situazioni disperate di provincia (o meglio estrema periferia) utilizzando attori del luogo per raccontare storie di malavita con o senza redenzione (quello dipende).
Godard diceva che per fare un film servono due cose: una donna e una pistola, probabilmente aggiustando la sua provocazione si potrebbe dire che questo è indispensabile quantomeno per un film di genere e alle volte mi sembra che l’unico contesto in cui una pistola (intesa come estremizzazione del conflitto e rappresentazione della massima tensione tra il vivere il morire) non sembri ridicola in un film italiano sia questo.
Marpiccolo poi non è immune da cadute di stile e qualche fastidiosa leggerezza (almeno un paio di attori principali recitano in maniera davvero non accettabile e i dialoghi davvero potevano essere migliori) però centra in pieno le caratteristiche del suo genere, ovvero uno scenario disperato nel quale incastrare i personaggi (in questo caso la periferia di Taranto con dei terribili palazzoni e lo sfondo delle fabbriche inquinanti riprese in fantastici totali che non dimenticano mai di includere il cielo!), condizioni di vita al limite del tollerabile (povertà, mancanza di prospettive, obbligo di collusione con la mafia locale, famiglia disastrata) e una storia di fiori nel cemento.
Ecco se oggi è ancora possibile parlare di “azione” nel nostro cinema lo si può fare all’interno di queste regole e queste convenzioni. La scena della rapina in casa del boss locale (un perfetto Michele Riondino) è degna di stima e anche il modo in cui il protagonista si scontra con la violenza (dalle botte agli spari) è onesta senza mai suonare ridicola.
In più Marpiccolo è italiano nel senso migliore del termine, cioè riesce a guardare i suoi personaggi ad altezza uomo, trova senso in una lotta contro le istituzioni senza senso apparente e utilizza per i ruoli principali non attori ma corpi, non professionisti scelti per il volto che hanno per quelle facce molto più comunicative di qualsiasi altra cosa che hanno la stessa valenza in un inquadratura dei palazzoni aggressivi. Il nostro Far West esiste ed è questo.
(Screenweek)

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