venerdì 6 novembre 2009

Quanti modi di descrivere un disastro

Il film Marepiccolo ha scatenato la "poesia" dei critici cinematografici nella descrizione di Taranto, una quotidianità, per noi, che nel resto d'Italia suona come degrado, disastro e morte.
Un dubbio... ma come mai, per Marepiccolo tutti possono accusare direttamente l'Ilva e compagni di merende di ammazzare la gente e se un solo tarantino osa citare i dati dichiarati, ad esempio, da padron Riva, si becca le querele dei suoi scagnozzi?
Misteri del cinema.

Sotto un cielo rosso Ilva
Sviluppo nocivo e criminalità organizzata. Il Sud di Marpiccolo, in uscita oggi nelle sale, è preso in questa tenaglia. Sotto la cappa tossica dell’Ilva di Taranto, responsabile (come sostiene il film) di un decimo dell’inquinamento europeo e di un’alta incidenza tumorale, la storia di due rabbiose reazioni su entrambi i fronti. Da una parte una madre che, insieme ad altre, si autorganizza per sabotare la costruzione di un’antenna per telefonia mobile vicino a una scuola. Dall’altra un figlio che, privo di prospettive, vuole andar via, ma non prima di aver sfidato il boss locale.
A ispirare il regista Alessandro Di Robilant, conosciuto soprattutto grazie a Il giudice ragazzino (film sul magistrato Rosario Livatino, assassinato dalla mafia), è l’amore per il Meridione. «Il Sud - ci spiega - produce un grande potenziale non utilizzato, e poi io sono sempre più predisposto a raccontare quella difficoltà della vita che lì purtroppo è facile trovare». Per farlo, Di Robilant si è focalizzato su Taranto, città poco frequentata cinematograficamente e ricoperta di una polvere rossa da inquinamento.
«Paradosso è - ricorda - che i suoi bellissimi tramonti sono dovuti anche alle sostanze che escono dalle fabbriche. Sembra una cosa poetica, ma in realtà è mortifera. Entrando, senti subito in gola l’acredine dei rifiuti tossici delle ciminiere ». Una città, dunque, i cui problemi risultano evidenti ma non vengono messi all’ordine del giorno. Molti vorrebbero cambiare la situazione, però a mancare sono le premesse. «Ci vuole - continua il cineasta - una volontà congiunta da parte di chi governa un posto e chi, a Roma, deve assumersi la responsabilità di dare una mano. Ciò che vedo, invece, è una divisione drammatica tra chi governa e chi subisce e una sorta di tacito disinteresse o silenzio sulla vicenda dell’Ilva. Ho l’impressione che non venga minimamente affrontata. Mi auguro che prima o poi in sede europea qualcuno alzi il dito per dire che quella situazione deve cambiare, perché produce morti. Il tremendo paradosso è che, detto questo, si tratta dell’unica fonte di guadagno che la città ha. Un ricatto da cui è difficile venir fuori: mi dai da lavorare, però poi la mia pensione la devo spendere all’ospedale».
Di contro, rispetto alle persone che si è trovato di fronte, Di Robilant parla - anche come segnale di ottimismo trasposto in Marpiccolo - di un’umanità reattiva, partecipe, solidale. E composta soprattutto da donne. «Sono rimasto molto colpito - conclude - dalla forza del popolo femminile del Paolo VI, quartiere in cui è ambientata la storia. Sono donne unite, piene di vita, di voglia di combattere malgrado un’esistenza piena di problemi e di continui attentati alla dignità. Di opportunità di lavoro ce ne sono poche, migliorare la qualità della vita è difficile, ma malgrado ciò ho visto gente combattere quotidianamente in maniera encomiabile. è stata una bella lezione, e il messaggio che ho voluto dare è che cultura significa non farsi raccontar bugie, e diventar coscienti significa anche potersi sforzare per migliorare le cose».
(terranews)

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