Il film Marepiccolo ha scatenato la "poesia" dei critici cinematografici nella descrizione di Taranto, una quotidianità, per noi, che nel resto d'Italia suona come degrado, disastro e morte.
Un dubbio... ma come mai, per Marepiccolo tutti possono accusare direttamente l'Ilva e compagni di merende di ammazzare la gente e se un solo tarantino osa citare i dati dichiarati, ad esempio, da padron Riva, si becca le querele dei suoi scagnozzi?
Misteri del cinema.
Sotto un cielo rosso Ilva
Sviluppo nocivo e criminalità organizzata. Il Sud di Marpiccolo, in uscita oggi nelle sale, è preso in questa tenaglia. Sotto la cappa tossica dell’Ilva di Taranto, responsabile (come sostiene il film) di un decimo dell’inquinamento europeo e di un’alta incidenza tumorale, la storia di due rabbiose reazioni su entrambi i fronti. Da una parte una madre che, insieme ad altre, si autorganizza per sabotare la costruzione di un’antenna per telefonia mobile vicino a una scuola. Dall’altra un figlio che, privo di prospettive, vuole andar via, ma non prima di aver sfidato il boss locale.
A ispirare il regista Alessandro Di Robilant, conosciuto soprattutto grazie a Il giudice ragazzino (film sul magistrato Rosario Livatino, assassinato dalla mafia), è l’amore per il Meridione. «Il Sud - ci spiega - produce un grande potenziale non utilizzato, e poi io sono sempre più predisposto a raccontare quella difficoltà della vita che lì purtroppo è facile trovare». Per farlo, Di Robilant si è focalizzato su Taranto, città poco frequentata cinematograficamente e ricoperta di una polvere rossa da inquinamento.
«Paradosso è - ricorda - che i suoi bellissimi tramonti sono dovuti anche alle sostanze che escono dalle fabbriche. Sembra una cosa poetica, ma in realtà è mortifera. Entrando, senti subito in gola l’acredine dei rifiuti tossici delle ciminiere ». Una città, dunque, i cui problemi risultano evidenti ma non vengono messi all’ordine del giorno. Molti vorrebbero cambiare la situazione, però a mancare sono le premesse. «Ci vuole - continua il cineasta - una volontà congiunta da parte di chi governa un posto e chi, a Roma, deve assumersi la responsabilità di dare una mano. Ciò che vedo, invece, è una divisione drammatica tra chi governa e chi subisce e una sorta di tacito disinteresse o silenzio sulla vicenda dell’Ilva. Ho l’impressione che non venga minimamente affrontata. Mi auguro che prima o poi in sede europea qualcuno alzi il dito per dire che quella situazione deve cambiare, perché produce morti. Il tremendo paradosso è che, detto questo, si tratta dell’unica fonte di guadagno che la città ha. Un ricatto da cui è difficile venir fuori: mi dai da lavorare, però poi la mia pensione la devo spendere all’ospedale».
Di contro, rispetto alle persone che si è trovato di fronte, Di Robilant parla - anche come segnale di ottimismo trasposto in Marpiccolo - di un’umanità reattiva, partecipe, solidale. E composta soprattutto da donne. «Sono rimasto molto colpito - conclude - dalla forza del popolo femminile del Paolo VI, quartiere in cui è ambientata la storia. Sono donne unite, piene di vita, di voglia di combattere malgrado un’esistenza piena di problemi e di continui attentati alla dignità. Di opportunità di lavoro ce ne sono poche, migliorare la qualità della vita è difficile, ma malgrado ciò ho visto gente combattere quotidianamente in maniera encomiabile. è stata una bella lezione, e il messaggio che ho voluto dare è che cultura significa non farsi raccontar bugie, e diventar coscienti significa anche potersi sforzare per migliorare le cose». (terranews)
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