mercoledì 11 novembre 2009

Ingranaggi reazionari

Ecco un brutto, proprio brutto, articolo di Aldo Grasso sul Corriere della Sera in cui si difende l'equazione di potere e ignoranza. Dall'alto del baluardo giornalistico del capitalismo, Grasso si traveste da censore e accusa Paolini nientedimeno che di voler insegnare alla gente qualcosa!
Certo, il teatro deve solo divertire vero? magari paolini poteva mettere due o tre veline seminude e qualche commentatore di partite a fare da sfondo alle avventure dei vecchietti friulani alle prese con il capitalismo.
Certo, sull'economia si può fare ironia, ma mai mettere in discussione il sistema, vero Grasso?
I circenses non possono farci capire quanto amaro è il panem!
I teoremi della fisica per farci sentire ignoranti? Offesa al Dio Spot??
No, grazie signor Grasso, si tenga pure la sua sensazione di ignoranza, non condividiamo le sue frustrazioni. E ci risparmi la sua miseria culturale fatta di citazioni calcistiche!
Il freddo della notte tarantina fa da contrappunto all'abdicazione dell'informazione dal suo dovere di progresso e civiltà. E Taranto, serva di mille padroni senza mai una voce di dissenso, ne è esempio da diretta nazionale.
Chi sono i veri "miserabili" di Paolini?
(si legga anche la critica di Malaparte su tvbolg.it)

Senza spot Marco Paolini perde ritmo
In diretta dal porto di Taranto ha proposto su La7 il suo spettacolo-ballata «Misera­bili. Io e Margaret Thatcher»


Ogni tanto La7 si permette un lusso riservato a pochi: una serata senza interruzioni pubblicita­rie. In diretta, dal porto di Taranto, Marco Paoli­ni ha proposto il suo spettacolo-ballata Misera­bili. Io e Margaret Thatcher, con la musica dei Mercanti di Liquore. Paolini è uno straordinario affabulato­re, il suo teatro si regge sulla parola e alla parola è affidata l’evocazione di mondi che vanno dalla caduta del muro di Berlino ai «miserabili» di Victor Hugo, dalle spietate re­gole del mercato al secondo principio della termodinamica.
Quando Paolini racconta è un incanto: il viaggio in Ford Transit verso la Polonia, Paese del teatro alternativo nei lonta­ni Settanta, le avventure di Ge­lindo (un suo pezzo forte), l’in­troduzione del walkman come isolamento dal mondo. Da un po’ di tempo, però, sulla scia di Dario Fo e Giorgio Gaber (suoi indiscussi punti di riferimen­to), Paolini cede alla predica: fra le righe (ma anche fuori), vuole impartire lezioni di eco­nomia («non è la democrazia che ha tirato giù il muro ma il mercato, il consumismo»; e se anche fosse?), intimorisce gli spettatori con citazioni di Mar­garet Thatcher, fa sentire il pe­so della nostra ignoranza citan­do il principio di indetermina­zione di Heisenberg e chieden­do agli spettatori cosa sia l’en­tropia. Meno male che faceva un freddo cane (ma che sadi­smo tirarla alla lunga per vede­re schiattare in diretta il pubbli­co!), così ci è stato risparmiato il global warming. Ovviamen­te, tutte queste teorie e tutti questi sermoni della montagna vanno a scapito dello spettacolo. Se solo Paolini accettasse le interruzioni pubblicitarie, imparerebbe ad asciugare di più le sue storie, a riflettere sull’importanza del ritmo in tv.
P.S. Sì, ma poi, se non c’è pubblicità, come fa Urbano Cai­ro, che ha la concessionaria per La7, a guadagnare qualche euro da investire nel Toro?


...In locale è andata meglio:


Fulvio Colucci sulla Gazzetta è tra i pochi a mostrare di avere il polso della situazione:

Il dialogo per dire no alla fabbrica del dolore


Marco Paolini ha definito troppo realisti i tarantini lunedì sera al porto. Troppo realisti perché guardano, a suo dire, senza «speranza» al presente. Come si fa a parlare di speranza in una città disperata? Senza lavoro, senza salute, senz’aria pulita, con una classe dirigente che balla sul Titanic gingillandosi con marchi, inaugurazioni, tagli di nastri? Vogliamo fare un conto della serva? Sommare i cassintegrati Ilva agli esuberi Evergreen, all’indotto che si sta sfaldando, alle piccole e medie imprese che licenziano. E sommare algebricamente queste persone ad altre persone: i morti, gli ammalati d’inquinamento e malattie professionali? Ci va di fare questo gioco? La somma sarebbe enorme e, nello specchio delle vanità mediatiche, alla fine sarebbe zero. Non funziona così. A meno che per speranza non si spacci quel «neorealismo» di sapore vendoliano che sta trasformando Taranto in un enorme set cinematografico da un lato e vuol accreditarla come nuova San Giovanni Rotondo dall’al - tra. Sempre fabbrica del dolore sarebbe... Allora il miglior pezzo di questo realismo arriva dalle parole degli «invisibili»: il Circolo operaio che parteciperà alla marcia di Altamarea: «Vogliamo riannodare l’impegno di chi vive i problemi in un posto di lavoro e chi rappresenta il tessuto associativo della società civile». Detto in altri termini: dialogare, dialogare, dialogare. Marciando per l’am - biente o confrontandosi sul futuro di sviluppo e occupazione. Non c’è altra via di scampo. E’ questo il nostro miglior realismo. Peccato Paolini non abbia fatto in tempo a vederlo.

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