lunedì 9 novembre 2009

Ilva trema: è finita la pacchia?

GLI SVILUPPI DELL’INCHIESTA DELLA FINANZA SUI MOLI DATI IN CONCESSIONE DAL DEMANIO AL GRUPPO DI EMILIO RIVA
Aree portuali inquinate ecco cosa rischia l’Ilva: Sequestro definitivo se l’azienda non correrà subito ai ripari. Sono stati contestati la gestione non autorizzata di rifiuti e il rilevante danno ambientale.
«Se l’Ilva non correrà ai ripari sarà definitivo il sequestro dei moli»


• Se le analisi confermeranno i dubbi, se davvero, come si teme, è stato arrecato un danno ambientale di rilevante entità, presto i 93 ettari di moli, banchine ed aree retroportuali (il secondo, terzo, quarto e quinto sporgente del porto di Taranto), assegnati dal Demanio in concessione all’Ilva e sottoposti a sequestro probatorio martedì scorso dai finanzieri del Nucleo di polizia tributaria potrebbero finire sotto sequestro preventivo, con tutto quello che ne potrebbe conseguire per la più grande industria siderurgica d’Europa.
A paventare la possibilità di trasformare il tipo di provvedimento adottato è il procuratore aggiunto Pietro Argentino, titolare dell’inchiesta, che da un lato, nel decreto pochi giorni fa notificato, dispone che «la società abbia in uso quanto sottoposto a sequestro tenuto conto che, ai fini probatori, occorre che almeno sino alle definizione dei riscontri e delle analisi dei fondali posti nelle zone portuali in concessione all’Ilva in quelle immediatamente prospicienti, la situazione dello stato delle attività, dei luoghi e delle cose rimanga tal quale» e dall’altra, avverte che «in mancanza delle rimozione delle deficienze riscontrate nell’effettuare le attività - sia quelle di natura tecnica sia quelle connesse al possesso delle necessarie autorizzazioni - entro il più breve tempo possibile, potrà essere richiesto il mantenimento del presente provvedimento ai fini preventivi » .
Il decreto di sequestro dell’altro giorno, controfirmato dal procuratore capo Franco Sebastio, segue quello del 5 febbraio scorso quando i militari delle Fiamme Gialle, guidati dal colonnello Nicola Altiero e dal tenente colonnello Giuseppe Pastorelli, misero i sigilli a 1700 tonnellate di rifiuti specili costituiti da «bricchette» stoccate nell’area demaniale senza alcun tipo di autorizzazione.
Il lavoro delle fiamme gialle ha mosso i suoi passi da una duplice considerazione: la presenza sul sito di rifiuti industriali di ogni genere, che però l’Ilva non considera come tali, e la mancanza assoluta di scarichi per le acque meteoriche e di dilavaggio. In sostanza, secondo quanto accertato dalla Guardia di Finanza, tutte le acque accumulate sui pontili e sulle banchine, finivano a mare.
I militari avrebbero riscontrato che la raccolta delle acque avveniva in 11 vasche. Dopo la sedimentazione, la stessa acqua sarebbe stata utilizzata per bagnare i piazzali e per il lavaggio delle aree esterne. In assenza di scarichi autorizzati, si legge nel provvedimento di sequestro, le acque reflue devono intendersi al pari di rifiuti allo stato liquido e, come tale, andrebbero certificati con una specifica documentazione. Per questo gli inquirenti hanno ipotizzato la gestione non autorizzata di rifiuti.
I militari avrebbero anche accertato la presenza di idrocarburi in percentuali molto elevate. L’operazione, che riguarda anche la zona demaniale adiacente ai pontili, è stata compiuta in collaborazione con i tecnici dell’Arpa Puglia. Questi ultimi, aiutati dai sommozzatori delle fiamme gialle e dagli uomini della Sezione aeronavale, hanno prelevato campioni sui fondali marini, prospicienti le aree sottoposte a sequestro. I militari hanno avviato anche una serie di accertamenti di natura fiscale allo scopo di verificare il pagamento della cosiddetta ecotassa.
Nelle aree sequestrate, che si estendono per la precisione su 931.000 metri quadrati e dove avviene il carico e lo scarico di materie prime e prodotti finiti, l’Ilva avrebbe stoccato anche rifiuti speciali solidi e liquidi, in violazione della concessione demaniale che non fa alcun riferimento ai rifiuti.
Per ora sono 3 le persone finite sotto inchiesta. Si tratta di Luigi Capogrosso, direttore dello stabilimento, del responsabile dell’area «sbarco merci» Giuseppe Manzulli e del responsabile dell’area logistica «prodotti finiti» Antonio Colucci.
Lo scorso 7 ottobre nel corso di un sopralluogo compiuto dai finanzieri sul secondo sporgente, sulla parte del piazzale non dotata di pavimentazione, fu constatata la presenza di una vasta depressione del manto stradale, colma di reflui e fanghi frammisti ad oli minerali. Le analisi di alcuni campioni effettuata dall’Arpa hanno evidenziato, tra l’altro, la presenza di idrocarburi totali in percentuali elevate e fuori parametro.
MIMMO MAZZA (La Gazzetta di Taranto, p.IV)

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