lunedì 19 ottobre 2015

E' finita per l'Ilva (?)

Il colpo finale per l’impresa tarantina sta arrivando dal World Trade Organization (Organizzazione Mondiale del Commercio) che, il prossimo anno, classificherà la Cina come “economia di mercato”. Non solo, alla fine di questa storia, si sarà pagato un prezzo altissimo in termini di vite umane e patologia ma, grazie ad una classe dirigente autoreferenziale ed egoista, andrà perduta anche la risorsa occupazionale
di Erasmo Venosi
Il disastro ambientale e sanitario di Taranto continua come  scriviamo da due anni,  ma le lobby sindacali e  partitiche abbarbicate agli scranni e affette da vista corta, sostenute da un Governo che crede nei demiurghi, stanno concorrendo alla distruzione di risorse. Il riferimento è, chiaramente, a Ilva. Bondi, Gnudi, il supermanager ex di Luxottica, Guerra, voluto dal  Presidenti  del consiglio e dal filosofo reggente della Commissione  Industria , Commercio e Turismo del Senato. Ora siamo alla resa dei conti ! Ilva chiuderà il corrente anno  con 450 milioni di perdite e una  produzione complessiva ancora in ulteriore contrazione, dai 5.5 mln di tonnellate a 4.8 . Per il pareggio dei costi di produzione ne necessiterebbe invece 7,5 mln di tonnellate. Gli altoforni in esercizio sono tre con capacità di produzione pari a 6 milioni di tonnellate e la produzione di equilibrio dei costi è possibile solo con la ripartenza dell’altoforno n°5: il più grande di Europa. Il problema però è tutto racchiuso nell’assenza di commesse, e il fenomeno non riguarda solo l’Ilva. I dati relativi alla importazione di acciaio in Italia sono emblematici:  dai Paesi extra UE si è importato un 32% in più e dai Paesi UE un 4,2%. Una rilevante quantità di acciaio importata! L’Ilva è stata anche esclusa dalla fornitura  di acciaio per il gasdotto trans adriatico conosciuto come TAP (Trans Adriatic Pipeline) che porta il gas naturale dal Mar Caspio attraversando Grecia, Albania e approdando a Lecce. Voci fondate  parlano di  altri 250 milioni di debiti maturati verso i fornitori. Il Commissario Gnudi sta lavorando per ulteriore credito,  circa 200 milioni di euro, che rappresentano le risorse se concesse per tirare avanti fino all’inizio del 2016. Il colpo finale per l’impresa tarantina sta arrivando dal World Trade Organization (Organizzazione Mondiale del Commercio) che, il prossimo anno, classificherà la Cina come “economia di mercato”. Conseguenza, questa, dell’entrata della Cina l’11 dicembre del 2001 nel WTO. La Cina ritiene che l’ammissione al WTO implichi la classificazione, per il prossimo anno, di “economia di mercato”.
Quali le implicazioni? Rilevantissime per l’economia europea e dell’eurozona, in particolare. La Cina ha una sovraccapacità produttiva, in molti settori industriali, che comporta l’assalto ai mercati mondiali attraverso la pratica dei prezzi bassi. In questo modo saturano la loro capacità produttiva e, considerato i sussidi che lo Stato proprietario eroga, praticano prezzi di vendita inferiori  ai costi di produzione. L’offensiva cinese si sta già realizzando nei confronti dell’industria siderurgica indiana perché sono stati  venduti  laminati a prezzi da saldo. I produttori di acciaio indiani hanno chiesto al Governo l’imposizione di dazi all’acciaio cinese importato per un periodo pari a sette mesi. Quest’azione dell’India, a protezione della produzione siderurgica locale, è denominata “dazio compensativo” ed è resa possibile dall’assenza di classificazione della Cina come “economia di mercato” da parte della WTO. Il Governo italiano sembra che abbuia già agito presso l’Unione Europea affinché alla Cina non sia riconosciuto lo status di “economia di mercato”. Va detto con grande onestà che interi settori industriali europei potrebbero saltare nel prossimo anno, a causa dell’espandersi delle produzioni cinesi che inonderanno il mercato a prezzi inferiori a quelli di produzione. Comunque l’Ilva prima, che grazie alla Cina potrebbe “morire“, a causa dell’impossibilità oggi, tra crisi di liquidità, assenza di commesse, costi delle prescrizioni Aia, esigenza di modificazione del ciclo produttivo di raggiungere il cosiddetto punto di pareggio (break even). 
Alla fine sarebbe davvero incredibile aver pagato un costo altissimo, in vite e patologie, e perdere tutta l’occupazione a causa della vista corta di una classe dirigente autoreferenziale ed egoista, incapace di pensare traiettorie di riconversione verso un modello di specializzazione produttiva coerente con la nuova divisione internazionale del lavoro. Contestualmente, bisognerebbe che a livello centrale si avesse consapevolezza che viviamo in un contesto a forte transizione; e quindi un legislatore attento e lungimirante dovrebbe rafforzare i sistemi di sicurezza nei confronti di chi perde il lavoro.  Si può ignorare il recente studio di due ricercatori della Università di Oxford “”The Future of Employment : How Susceptible Are Jobs to Computerisation” nel quale si legge che circa la metà dei posti di lavoro negli Stati Uniti è a rischio di essere automatizzato nei prossimi dieci o al massimo venti anni?  Stessa percentuale è rilevata dal Centro Studi Bruegel per i paesi europei. La nuova ondata d’innovazione tecnologica nei settori dell’intelligenza artificiale, robotica e genomica potrebbero notevolmente influire anche nel lavoro ad alta qualificazione oltre che in quella a bassa. Tutto questo comporta l’espandersi d’ineguaglianza nella distribuzione del reddito come tra l’altro sufficientemente dimostrato da Thomas Piketty nel suo “Il capitale nel XXI secolo “. Allora perché non ripensare l’uso di risorse pubbliche nella difesa dell’ambiente, nella manutenzione del territorio, nella straordinaria ricchezza di arti e tradizioni, nella conoscenza, nell’istruzione, nei sistemi idrici, nelle reti elettriche e nelle comunicazioni e infine nella ricerca di base? Piantandola, infine, di distruggere le Università del Sud con cervellotiche, quanto illegali, sistemi di ripartizione del Fondo di Finanziamento Ordinario! (Cosmopolismedia)

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