Il colpo finale per l’impresa
tarantina sta arrivando dal World Trade Organization (Organizzazione
Mondiale del Commercio) che, il prossimo anno, classificherà la Cina
come “economia di mercato”. Non solo, alla fine di questa storia, si
sarà pagato un prezzo altissimo in termini di vite umane e patologia ma,
grazie ad una classe dirigente autoreferenziale ed egoista, andrà
perduta anche la risorsa occupazionale
di Erasmo Venosi
Il disastro ambientale e sanitario di
Taranto continua come scriviamo da due anni, ma le lobby sindacali e
partitiche abbarbicate agli scranni e affette da vista corta, sostenute
da un Governo che crede nei demiurghi, stanno concorrendo alla
distruzione di risorse. Il riferimento è, chiaramente, a Ilva. Bondi,
Gnudi, il supermanager ex di Luxottica, Guerra, voluto dal Presidenti
del consiglio e dal filosofo reggente della Commissione Industria ,
Commercio e Turismo del Senato. Ora siamo alla resa dei conti ! Ilva
chiuderà il corrente anno con 450 milioni di perdite e una produzione
complessiva ancora in ulteriore contrazione, dai 5.5 mln di tonnellate a
4.8 . Per il pareggio dei costi di produzione ne necessiterebbe invece
7,5 mln di tonnellate. Gli altoforni in esercizio sono tre con capacità
di produzione pari a 6 milioni di tonnellate e la produzione di
equilibrio dei costi è possibile solo con la ripartenza dell’altoforno
n°5: il più grande di Europa. Il problema però è tutto racchiuso
nell’assenza di commesse, e il fenomeno non riguarda solo l’Ilva. I dati
relativi alla importazione di acciaio in Italia sono emblematici: dai
Paesi extra UE si è importato un 32% in più e dai Paesi UE un 4,2%. Una
rilevante quantità di acciaio importata! L’Ilva è stata anche esclusa
dalla fornitura di acciaio per il gasdotto trans adriatico conosciuto
come TAP (Trans Adriatic Pipeline) che porta il gas naturale dal Mar
Caspio attraversando Grecia, Albania e approdando a Lecce. Voci fondate
parlano di altri 250 milioni di debiti maturati verso i fornitori. Il
Commissario Gnudi sta lavorando per ulteriore credito, circa 200
milioni di euro, che rappresentano le risorse se concesse per tirare
avanti fino all’inizio del 2016. Il colpo finale per l’impresa tarantina
sta arrivando dal World Trade Organization (Organizzazione Mondiale del
Commercio) che, il prossimo anno, classificherà la Cina come “economia
di mercato”. Conseguenza, questa, dell’entrata della Cina l’11 dicembre
del 2001 nel WTO. La Cina ritiene che l’ammissione al WTO implichi la
classificazione, per il prossimo anno, di “economia di mercato”.
Quali le implicazioni? Rilevantissime
per l’economia europea e dell’eurozona, in particolare. La Cina ha una
sovraccapacità produttiva, in molti settori industriali, che comporta
l’assalto ai mercati mondiali attraverso la pratica dei prezzi bassi. In
questo modo saturano la loro capacità produttiva e, considerato i
sussidi che lo Stato proprietario eroga, praticano prezzi di vendita
inferiori ai costi di produzione. L’offensiva cinese si sta già
realizzando nei confronti dell’industria siderurgica indiana perché sono
stati venduti laminati a prezzi da saldo. I produttori di acciaio
indiani hanno chiesto al Governo l’imposizione di dazi all’acciaio
cinese importato per un periodo pari a sette mesi. Quest’azione
dell’India, a protezione della produzione siderurgica locale, è
denominata “dazio compensativo” ed è resa possibile dall’assenza di
classificazione della Cina come “economia di mercato” da parte della
WTO. Il Governo italiano sembra che abbuia già agito presso l’Unione
Europea affinché alla Cina non sia riconosciuto lo status di “economia
di mercato”. Va detto con grande onestà che interi settori industriali
europei potrebbero saltare nel prossimo anno, a causa dell’espandersi
delle produzioni cinesi che inonderanno il mercato a prezzi inferiori a
quelli di produzione. Comunque l’Ilva prima, che grazie alla Cina
potrebbe “morire“, a causa dell’impossibilità oggi, tra crisi di
liquidità, assenza di commesse, costi delle prescrizioni Aia, esigenza
di modificazione del ciclo produttivo di raggiungere il cosiddetto punto
di pareggio (break even).
Alla fine sarebbe davvero incredibile
aver pagato un costo altissimo, in vite e patologie, e perdere tutta
l’occupazione a causa della vista corta di una classe dirigente
autoreferenziale ed egoista, incapace di pensare traiettorie di
riconversione verso un modello di specializzazione produttiva coerente
con la nuova divisione internazionale del lavoro. Contestualmente,
bisognerebbe che a livello centrale si avesse consapevolezza che viviamo
in un contesto a forte transizione; e quindi un legislatore attento e
lungimirante dovrebbe rafforzare i sistemi di sicurezza nei confronti di
chi perde il lavoro. Si può ignorare il recente studio di due
ricercatori della Università di Oxford “”The Future of Employment : How
Susceptible Are Jobs to Computerisation” nel quale si legge che circa la
metà dei posti di lavoro negli Stati Uniti è a rischio di essere
automatizzato nei prossimi dieci o al massimo venti anni? Stessa
percentuale è rilevata dal Centro Studi Bruegel per i paesi europei. La
nuova ondata d’innovazione tecnologica nei settori dell’intelligenza
artificiale, robotica e genomica potrebbero notevolmente influire anche
nel lavoro ad alta qualificazione oltre che in quella a bassa. Tutto
questo comporta l’espandersi d’ineguaglianza nella distribuzione del
reddito come tra l’altro sufficientemente dimostrato da Thomas Piketty
nel suo “Il capitale nel XXI secolo “. Allora perché non ripensare l’uso
di risorse pubbliche nella difesa dell’ambiente, nella manutenzione del
territorio, nella straordinaria ricchezza di arti e tradizioni, nella
conoscenza, nell’istruzione, nei sistemi idrici, nelle reti elettriche e
nelle comunicazioni e infine nella ricerca di base? Piantandola,
infine, di distruggere le Università del Sud con cervellotiche, quanto
illegali, sistemi di ripartizione del Fondo di Finanziamento Ordinario! (Cosmopolismedia)
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