Ilva, casse vuote: corsa contro il tempo. In 9 mesi bruciati 400 milioni
I numeri sono impietosi: dai 40 milioni in media di perdite mensili nel primo semestre dell’anno (per un totale di 250 milioni di euro) ai 150 milioni bruciati da luglio a settembre (circa 50 al mese, quindi). Sarà la concorrenza spietata di un mercato in sovrapproduzione, sarà che i clienti - tra incidenti, sequestri, dissequestri, blocchi delle forniture, gestione commissariale - non si fidano più di tanto e temono ritardi nelle consegne, sta di fatto che i conti dell’Ilva di Taranto sono sempre più un colabrodo. E la cassa, nonostante le linee di credito con le banche e l’iniezione dei 156 milioni provenienti dalla chiusura del contenzioso con Fintecna, è ormai di nuovo a secco. La prossima tornata di stipendi dovrebbe essere salva, ma per il dopo i punti interrogativi sono a caratteri sempre più grandi. Ed è ancora una volta corsa contro il tempo, per cercare di salvare quello che pochi anni fa era il secondo gruppo siderurgico europeo, fiore all’occhiello del sistema industriale italiano.Un gruppo che macinava utili e dava lavoro e sicurezza nel futuro a decine di migliaia di persone. Il paradosso è che gli stabilimenti continuano ad essere dal punto di vista tecnologico tra i migliori nel mondo.
LA PRODUZIONE È di questi giorni l’annuncio che la produzione giornaliera media scenderà da 17.000 a 14.000 tonnellate. Lo scorso luglio l’azienda dichiarò di stimare una produzione complessiva 2015 di 5 milioni e mezzo di tonnellate. E invece ora ci si dovrà accontentare di 4,8 milioni di tonnellate (sempre che anche questo obiettivo non debba essere ridimensionato).
Sta di fatto che a questi livelli il gruppo è destinato a macinare perdite: il break even infatti è fissato a 8 milioni di tonnellate annue. Cosa che si può raggiungere solo con il ritorno in funzionamento anche dell’Afo5, il più grande d’Europa, chiuso a marzo per l’adeguamento alle prescrizioni ambientali. Il problema attuale però non è una ridotta capacità produttiva.
Con i tre altoforni in funzione (Afo1, che è stato adeguato e riacceso ad agosto, Afo2 che dopo un incidente mortale è stato sequestrato e poi dissequestrato dai magistrati, e Afo4) lo stabilimento di Taranto potrebbe comunque produrre sei milioni di tonnellate annue. Se ci fossero le commesse, però. I vecchi clienti invece si rivolgono sempre più spesso all’estero. Il fenomeno non riguarda solo l’Ilva: i dati di Federacciai confermano nella prima parte dell’anno un incremento delle importazioni di acciaio in Italia (+4,2% per l’import Ue; +32% per l’import extra Ue). Significano milioni di tonnellate di acciaio che arrivano da fuori. L’esclusione dell’Ilva dalla “short list” di imprese per la produzione dei tubi del consorzio Tap è stato un altro duro colpo. Ancora non si è capito quanto recuperabile. Di certo l’Ilva vede sfumare quote di mercato per la gioia dei concorrenti esteri, soprattutto tedeschi.
LA CASSA Gli allarmi per i forzieri vuoti si susseguono. E intanto, secondo Confindustria Taranto, sono stati accumulati altri 250 milioni di debiti con i fornitori. La gestione commissariale sta facendo salti mortali per tirare avanti. I prossimi stipendi sono salvi. Ma che ci sia bisogno di nuove iniezioni di liquidità è indubbio. I commissari stanno lavorando tenacemente per ottenere nuove linee di credito a breve con le banche. Una, di circa 50 milioni di euro, servirebbe per scontare le fatture dei clienti esteri sulla falsariga di quella già in essere per i clienti italiani.
Le trattative sarebbero a buon punto e, secondo autorevoli fonti, nei prossimi giorni l’accordo potrebbe essere perfezionato. Poi c’è il problema del saldo ai fornitori: si lavora su un finanziamento garantito intorno ai 100 milioni. La speranza è di chiudere il tutto tra un paio di settimane. Se così fosse ci sarebbe ancora ossigeno fino a marzo, sperando che nel frattempo arrivino le due buone notizie attese: lo sblocco del miliardo e 200 milioni dei Riva in Svizzera e l’avvio della newco.(Gazzettino)
Nessun commento:
Posta un commento